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DE MARTINO, Gennaro

di Vincenzo Rizzo - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 38 (1990)
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DE MARTINO, Gennaro

Vincenzo Rizzo

Nacque presumibilmente sul finire del sec. XVI I; la sua attività di maestro marmoraro a Napoli è documentata per la prima volta nel 1737, quando eseguì su proprio disegno una composita lapide sepolcrale "in bardiglio e impresa [nobiliare] di marmi commessi all'interno" nella chiesa di S. Maria in Portico a Chiaia, per la famiglia di Tomaso Pisani (Napoli, Archivio storico del Banco di Napoli, Banco dei poveri, Giornale di cassa, matr. 1217, 16 ott. 1737).

Sicuramente già a quell'epoca egli era ben noto se si considera che nello stesso anno 1737 i delegati, protettori ed assistenti della potente Congregazione dei fratelli mendicanti per le anime del Purgatorio, della chiesa di S.Maria Vertecoeli e Pianto (un piccolo capolavoro del rococò napoletano, che veniva completamente rifatto in quegli anni) gli commissionarono alcuni altari, ancora visibili in situ, di accuratissima manifattura (ibid., matr. 1213, 14 nov. 1737). A confermare che il D. in quell'anno aveva raggiunto una sicura notorietà per la qualità dei suoi manufatti un altro documento ci attesta che Laura Serra, duchessa di Cassano, gli commissionò molti marmi decorativi per il suo imponente e capriccioso palazzo, sito sulla collina di Pizzofalcone - eretto su disegni di Ferdinando Sanfelice e suo riconosciuto capolavoro -, pagandogli 40 ducati, a conto di 80, solo come anticipo "dei lavori di sua arte ... giusta il biglietto del regio ingegnere don Filippo Buonocore e di don Michelangelo Porzio..." (ibid., matr. 1334, 24 dic. 1737, p. 589).

Nel 1740 il D. fece un altare nella chiesa parrocchiale di S. Tommaso apostolo, nel casale di Torca, a Massalubrense, ricevendo 60 ducati in conto di 200, sul lascito del defunto sacerdote don Vicenzo Schisani (Ibid., Banco di S. Maria della Pietà, Giorn. di cassa, matr. 1162, 23 dic. 1740, p. 572). Nel dicembre dello stesso anno il D. eseguì i marmi ornamentali che contornano il monumento funebre del magistrato Cesare Bosco, nell'ornonima cappella in S. Anna dei Lombardi a Napoli (cfr. Ibid., Banco dello Spirito Santo, Giorn. di cassa, matr. 1380, 23 dic. 1740, p. 629).

Nel 1741 il canonico Paolo Ricci gli pagò 43 ducati in acconto di 230 per "due Paliotti, Mense, Medaglioni e loro laterali, tutti di marmo e mischio" per gli altari della cappella di S. Nicola e S. Carlo nella chiesa napoletana dei Ss. Apostoli "a tenore del disegno dal medesimo Gennaro De Martino firmato ..."; "e le mense devono essere a similitudine di quella della cappella di S. Ivono nella stessa chiesa dei SS. Apostoli ... con l'uso di marmi Persichino, verde antico e giallo antico ... e deve fare anche le croci di rame indorate alla tedesca..." (Ibid., Banco dei poveri, Giorn. di cassa, matr. 1272, 2 dic. 1741).

Nell'aprile 1743 il D. lavorò ad un piccolo capolavoro del rococò napoletano: la cappella di S. Aspreno, nella basilica di S. Restituta (cattedrale di Napoli), per Gommissione del canonico Gennaro Mariello, per cui ricevette ben 800 ducati (Ibid., Banco di S. Maria del Popolo, Giorn. di cassa, matr. 1199, 24 apr. 1743, p.629). Nello stesso anno, su disegno dell'architetto Mario Gioffredo, eseguì un altare, con marmi colorati, per la cappella della villa del marchese Antonio Guindazzo (ibid., matr. 1210, 17 ott. 1743, p. 372). Nel dicembre 1747 lavorò per commissione dei governatori del Pio Monte (Casamicciola) a tre altari di marmo commesso, un lavamano, un ciborio per l'altare maggiore, tutte opere eseguite per la chiesa del noto ospizio termale, che in quell'anno fu ampliato e abbellito (Ibid., Banco dello Spirito Santo, Giorn. di cassa, matr. 1506, 1ºdic. 1747, pp. 216-19). Per questi manufatti ricevette in acconto ben 300 ducati.

Nell'agosto 1749 lavorò alla cona della cappella di S. Donato, nella chiesa di S. Lorenzo Maggiore a Napoli, per commissione di Nicola Brizio (Ibid., Banco di S. Maria del Popolo, Giorn. di cassa, matr. 1316, 22 ag. 1749, p. 78). Nello stesso anno fece un altare per la chiesa di S. Giovanni Evangelista della famiglia Pappacoda, per commissione del principe di Centola (ibid., 20 nov. 1749, p. 609).

Nel 1752 ricevette commissione dal principe di Satriano - dietro pagamento di 70 ducati - di lavorare alcuni marini ornamentali per il suo palazzo "nella strada di Chiaja, per servizio dell'Ambasciatore".

Nel 1754 lavorò a un camino "in marmo bardiglio, scorniciato, intagliato ed illustrato a specchio... con ricciolo impetenato verde" per la principessa di Feroleto (Ibid., Banco dello Spirito Santo, Giorn. di cassa, matr. 1636, 13 febbr. 17545 p. 218v). Nel 1755 lavorò a un monumento funebre Sersale, a Lecce (Ibid., Banco di S. Maria della Pietà, Giorn. di cassa, matr. 2076, 22 nov. 1755). Il 13 sett. 1757 ricevette 131 ducati a compimento di 1-743 per la splendida cona di marmo sull'altare maggiore della chiesa napoletana di S. Maria dei Pignatelli, su disegno dell'arch. Gaetano Buonocore (Ibid., Banco del Ss. Salvatore, Giorn. di cassa, matr. 1373, 13 sett. 1757). Nel novembre 1761 lavorò, insieme con il marmoraro Antonio Di Lucca - e su disegno dell'architetto regio Ferdinando Fuga -, all'immenso pavimento in marmi commessi nella basilica palatina di S. Chiara, al centro del quale è il grande stemma borbonico. Nel luglio dello stesso anno, per incarico del vescovo di Massalubrense, Giuseppe Bellotti, per 905 ducati, realizzò l'altare maggiore e il cappellone di S. Cataldo, nella chiesa cattedrale di quella città (ibid., matr. 1466, 7 luglio 1761, p. 50).

Non sappiamo dove e quando morì.

Ebbe un figlio, o fratello, a nome Giuseppe, che nell'ottobre 1742, insieme con il maestro marmoraro Gennaro Cimafonte, lavorò ai marmi mischi, ricchi di coquilles, cartocci e volute, nella sacrestia della chiesa del Carmine Maggiore di Napoli - uno degli esempi più cospicui del gusto rococò napoletano - su modello di Niccolò Tagliacozzi Canale e con la collaborazione di Matteo Bottigliero, autore delle sculture (Ibid., Banco del Popolo, Giorn. di cassa, matr. 1185, 31 ott. 1742, p. 498). Non è da escludere che anche il D. prendesse parte alla citata manifattura perché era costume costante che i maestri della stessa famiglia d'arte collaborassero ad un'opera di un certo impegno e durata.

Fonti e Bibl.: G. Fiengo, Documenti per la storia dell'architettura e dell'urbanistica napoletana del Settecento, Napoli 1977, p. 64; V. Rizzo, Sculture inedite di D. A. Vaccaro, Bottigliero, Pagano e Sanmartino, in Napoli nobilissima, XVIII (1979), 2, p. 56, doc. n. 11; Id., N. Tagliacozzi Canale o il trionfo dell'ornato nel Settecento napoletano. Documenti, I, a cura di F. Strazzullo, Napoli 1982, p. 163, doc. 72; M. Pasculli Ferrara-S. Nappi, Artisti napoletani in Puglia dal XVI al XVIII secolo, Bari 1983, pp. 333 ss.; V. Rizzo, Un archivio di delizia, in Quaderni del Laboratorio ricerche e studi vesuviano, nn. 6-7, settembre 1986, pp. 27-30.

Vedi anche
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