MAGRI, Gennaro (Gennariello)
Non si conosce la data di nascita di questo ballerino, coreografo e trattatista napoletano, attivo in varie piazze italiane ed europee tra il 1758 e il 1782. L'origine partenopea è attestata nell'Elenco dei signori virtuosi di canto, e di danza (1776).
Il M. era un ballerino "grottesco", cioè un danzatore che privilegiava la parte tecnica - soprattutto l'elevazione nei salti e la rapidità nelle pirouettes - e il gioco pantomimico.
La tradizione italiana dei ballerini grotteschi affondava le sue radici nella commedia dell'arte e aveva subito avuto un ruolo stabile nei balli incorporati nella neonata opera in musica, come rileva il coreografo e trattatista inglese J. Weaver nel suo Essay towards an history of dancing (London 1712). I grotteschi poi sono i protagonisti del famosissimo lavoro di G. Lambranzi Neue und curieuse theatralische Tantz-Schul (Nürnberg 1716).
Nel 1759 il M. fece parte della compagnia diretta dal coreografo F.A. Hilverding (considerato uno dei precursori del "ballet en action") di scena al Burgtheater di Vienna insieme con altri protagonisti della danza italiana della seconda metà del Settecento, tra cui Onorato Viganò, coreografo e padre di Salvatore, il creatore del coreodramma. Nella capitale austriaca il M. conobbe P.-B. Michel; questi fu assai stimato dal M., che lo definì "il miglior ballerino grottesco che abbia dato la Francia" (Trattato teorico-prattico di ballo, I, p. 126) e che danzò con lui anche a Venezia (1760-61) e Modena (1765).
Il M. lavorò con importanti coreografi quali G. Salomoni (Reggio nell'Emilia, 1761; Vienna, 1763-64; Napoli, 1768), P. Alouard (Brescia, 1758; Roma; Reggio nell'Emilia; Padova, 1762), A. Pitrot (Torino, 1768). La sua bravura come ballerino fu sempre ammirata e, anche quando si dedicò con più continuità alla coreografia, non cessò di esibirsi. P. Napoli-Signorelli ricorda la sua "leggiadria e leggerezza" (p. 289).
Nel 1765, dopo aver girato le maggiori piazze italiane, il M. fece ritorno a Napoli, ove curò i balli inseriti tra un atto e l'altro delle opere rappresentate al teatro S. Carlo fino al 1767, quando riprese a viaggiare a Siena, Milano e Torino.
Le sue coreografie per il S. Carlo erano improntate al divertimento; i balli seguivano un'esile trama, che poteva essere giustificata da alcuni episodi o dall'ambientazione del melodramma cui erano abbinati, e vedevano protagonisti mori prigionieri, gruppi di zingari, cittadini di diverse nazioni: questi fornivano il pretesto per danze di carattere in cui esibire al meglio la grande abilità raggiunta in quel tempo, sia nella tecnica sia nell'espressività pantomimica, dai danzatori e dalle danzatrici.
Un testimone oculare di quegli spettacoli, l'astronomo francese J.-J. de La Lande che fu in Italia nel 1765 e 1766 - non senza aver apprezzato anche la partner del M., la torinese Elisabetta Morelli - descrive esattamente quale era il gusto del pubblico napoletano, e italiano in generale, riguardo alla danza teatrale del periodo: "Les Italiens n'ont de goût que pour la danse haute & pantomime, qui est accompagnée de pas extraordinaires, de contorsions & de tours de force" (p. 357).
Rientrato a Napoli nel maggio del 1768, il M. partecipò in qualità di ballerino e coreografo, insieme con G. Salomoni, alla festa teatrale organizzata per le nozze del re Ferdinando IV di Borbone con Maria Carolina d'Austria (Croce). La carriera teatrale del M. continuò fino al 1773, anno decisivo per la danza a Napoli: reduce dai successi di Milano e Venezia, giunse come coreografo principale Ch. Le Picq, uno fra i più fedeli divulgatori delle teorie di J.-G. Noverre sul ballo pantomimo, il quale impose al S. Carlo la realizzazione di primi balli mitici o eroici, corredati di ampi programmi, e relegò quelli di carattere del M. al rango di secondi, di cui spesso non resta che l'indicazione del titolo.
Sospesa l'attività teatrale forse per un incidente a una gamba (Sgai, in Trattati di danza in Italia, p. 275), dal 1773 il M. svolse, sempre a Napoli, quella di maestro di ballo dei reali divertimenti, di cui si ha testimonianza fino al 1782 (Cafiero, p. 314), e presso la Reale Accademia militare e la Nobile Accademia di musica e di ballo: ai cavalieri che avevano voluto fondare quest'ultima è dedicato il Trattato teorico-prattico di ballo del M., pubblicato nel 1779 da V. Orsino, editore napoletano attivo dal 1760 agli anni Venti del XIX secolo.
Non si conoscono luogo e data di morte del Magri.
Documento indispensabile per conoscere la tecnica italiana dell'ultimo Settecento, il Trattato del M. è diviso in due volumi: nel primo si descrivono le posizioni di base, i passi, le legazioni, quali si confacciano meglio alle diverse circostanze teatrali e ai diversi personaggi; il secondo è invece dedicato ai balli di sala, le contraddanze e i minuetti, e ad alcune regole di comportamento sia per il maestro sia per i ballerini. Quasi presentendo che il lavoro sarebbe stato criticato, nella dedicatoria, datata 15 ag. 1778, il M. annuncia che chiunque oserà "lacerare" il suo nome, pur non ardirà "molestare" il suo lavoro, leggendo nel frontespizio quante persone illustri egli ha l'onore di servire (Trattato, I, pp. 5 s.). In effetti subito dopo l'uscita del Trattato fu pubblicato un libello a firma di Sgai, ex ballerino, che attaccava il M. per la presunta ignoranza delle fonti antiche, per gli errori di grammatica e ortografia, che facevano inorridire un fiorentino quale egli era, e per alcune divergenze di vedute sull'esecuzione dei passi. Il M. fu così costretto ad aggiungere un "Avvertimento. Al cortese lettore", in cui si difende dall'attacco portato dal "meschino, ed oscuro" portavoce dei suoi detrattori e che si può quindi leggere in alcune copie del Trattato e non in altre.
Scrivendo in un italiano influenzato dal dialetto napoletano, ma non per questo sgrammaticato, il M. si sforza di mantenere un linguaggio alto e dimostra di aver letto e di conoscere approfonditamente il trattato Dell'opera in musica di A. Planelli (Napoli 1772), malgrado questi ammetta solo la "danza nobile", di personaggi eroici, facendo invece trasparire poca simpatia per quella virtuosistica, propria dei grotteschi.
Nella Prefazione il M. accenna brevemente alle origini della danza e alla importanza degli italiani, riconosciuti fondatori di quest'arte, avendo sott'occhio nella sua disamina il Trattato del ballo nobile di G.B. Dufort (Napoli 1728), citato quasi letteralmente. Ma il vero interesse dell'autore è il mondo teatrale cui apparteneva e le dinamiche tra ruoli, passi e prassi esecutiva: nella prima parte sono continui i riferimenti ai personaggi della commedia dell'arte da lui interpretati e ai suoi colleghi (Pitrot, Le Picq, Viganò, G. Vestris, e via enumerando), utili per esemplificare l'efficacia di un passo o sottolineare alcuni particolari della sua esecuzione. Al ballo teatrale il M. voleva dedicare un secondo lavoro, che avrebbe compreso anche programmi di balli di invenzione sua e di altri coreografi, ma di cui finora non si hanno notizie (Trattato, I, pp. 138 s.).
La seconda parte del Trattato si apre con una prefazione, in cui l'autore annuncia di volersi ora occupare del ballo da sala, e specialmente della contraddanza, forte dell'esperienza maturata in sei anni di creazioni coreografiche per i festini dei sovrani. Vengono qui spiegati i tempi, le figure, i passi, e - grazie a un sistema di notazione da lui stesso inventato - il M. fornisce gli schemi di 39 contraddanze, ognuna corredata dalla relativa musica, in maniera tale che qualunque dilettante possa impararle anche senza maestro. Un accenno alla danza di corte per eccellenza, il minuetto, è però doveroso: il M. gli dedica il secondo capitolo, sottolineando come l'atteggiamento del ballerino debba essere ridente, maestoso, ricercato ma allo stesso tempo naturale (ibid., II, pp. 27 s.).
Le contraddanze possono essere di due tipi: quelle per un numero indeterminato di partecipanti disposti su due file - all'inglese - o più, e quelle per un numero determinato di ballerini, i quali dovrebbero conoscere oltre ai passi anche le figure, per evitare momenti di impasse a chi esegue e di noia a chi guarda. E che le contraddanze del M. fossero ben studiate ed eseguite viene confermato dal marchese de Sade nel suo Voyage en Italie. Commentando i balli della corte di Napoli durante il carnevale 1776, Sade descrive "un ballet figuré avec des habits de caractère" (p. 444) danzato dai reali e dalla più alta nobiltà con una buona intesa d'insieme e abbastanza vivacemente. Si può riconoscere in questo la XXXIX contraddanza che il M. così definisce: "È stata destinata questa Contraddanza per mascherata, ballata da trentadue Ballanti divisi in quattro Nazioni, o quattro Staggioni dell'Anno simboleggiando, o figurando le quattro parti del Mondo, caratteri, da eliggersi a talento quattro coppie per quattro coppie, di colori distinti vestiti" (trattato, II, p. 87). Come si è detto, il M. provvedeva anche alle musiche delle contraddanze: altri autori furono Piombanti (forse F. Piombanti, autore fiorentino di musica per ballo), Giuliano (forse G.F. Giuliani, anch'egli fiorentino, compositore per i balli del S. Carlo nelle stagioni 1782-83), Rava (Domenico o Gennaro), Di Sangro de Principi di S. Severo (forse l'arcadico Francesco), De Dominicis, Di Gennaro, Montoro, Scotti.
L'opera del M. può essere considerata un tassello essenziale per la conoscenza della tecnica accademica italiana, non solo perché documenta con chiarezza le modalità di esecuzione dei passi, ma anche perché ci illumina sulla gestualità ed espressività proprie di ciascun tipo di danzatore (serio, mezzo carattere, grottesco), anticipando quelle che saranno le linee guida di un altro grande maestro italiano dell'Ottocento, Carlo Blasis.
Edizioni moderne del Trattato: Theoretical and practical treatise on dancing, a cura di I.E. Berry - A. Fox, London 1988; Trattati di danza in Italia del Settecento (G.B. Dufort, G. Magri, F. Sgai), a cura di C. Lombardi, Napoli 2001, pp. 129-272. Il testo originale completo si può consultare nel sito della Library of Congress di Washington, all'indirizzo http://memory.loc.gov/ammem/dihtml/dicatlg.html.
Fonti e Bibl.: J.-J. de La Lande, Voyage d'un françois en l'Italie, fait dans les années 1765 & 1766, Venise-Paris 1769, p. 357; Elenco de' signori virtuosi di canto, e di danza attualmente addetti alli teatri con loro nome, cognome, e patria per servir d'aggiunta all'Indice de' spettacoli, Milano 1776, p. 55; P. Napoli-Signorelli, Storia critica de' teatri, VI, Napoli 1790, p. 289; B. Croce, I teatri di Napoli, Napoli 1891, p. 550; D.-A.-F. de Sade, Voyage en Italie, in Oeuvres complètes du marquis de Sade, a cura di G. Lely, XVI, Paris 1967, p. 444; M.H. Winter, The pre-romantic ballet, London 1974, pp. 149-152; R. Cafiero, Aspetti della musica coreutica fra Settecento e Ottocento, in Il teatro di S. Carlo 1737-1987, II, L'opera, il ballo, a cura di B. Cagli - A. Ziino, Napoli 1987, pp. 314, 327 s.; K.K. Hansell, Il ballo teatrale e l'opera italiana, in Storia dell'opera italiana, a cura di L. Bianconi - G. Pestelli, V, La spettacolarità, Torino 1988, p. 246; S. Bongiovanni, G. M. e il "ballo grottesco", in Creature di Prometeo. Il ballo teatrale. Dal divertimento al dramma. Studi offerti a A.M. Milloss, a cura di G. Morelli, Firenze 1996, pp. 239-245; R. Albano, Il teatro S. Carlo di Napoli, in R. Albano - N. Scafidi - R. Zambon, La danza in Italia dal XVIII secolo ai giorni nostri, Roma 1998, pp. 176 s.; The grotesque dancer on the eighteenth-century stage: G. M. and his world, a cura di B.A. Brown - R. Harris-Warrick, Madison 2005; Enc. dello spettacolo, VI, coll. 1864 s.; Dict. de la danse, Paris 1999, p. 274; The New Grove Dict. of music and musicians, XV, p. 598; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, XI (2004), Personenteil, col. 809.