Genocidio
di Rudolph J. Rummel
Genocidio
sommario: 1. Introduzione. 2. Cos'è il genocidio? 3. La giurisdizione sul crimine di genocidio. 4. Origine del termine. 5. Storia del crimine di genocidio. 6. Il genocidio come concetto sociologico. 7. Il genocidio nella storia. 8. Cause e condizioni del genocidio. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Il genocidio è considerato universalmente uno dei peggiori crimini morali che un governo (ossia qualunque autorità al potere, anche quella costituita da un gruppo di guerriglieri, un quasi-Stato, un soviet, un'organizzazione terroristica, una forza di occupazione, ecc.) può commettere nei confronti dei cittadini o di coloro che sono soggetti al suo controllo. Questa condanna si deve principalmente a ciò che il mondo ha appreso sull'Olocausto, ossia sul tentativo sistematico - messo in atto dalle autorità tedesche durante la seconda guerra mondiale - di annientare l'intero popolo ebraico. L'eccidio di 5-6 milioni di Ebrei è dunque diventato un caso paradigmatico e ha dato origine al concetto stesso di genocidio. Mano a mano che il mondo è venuto a conoscenza di fenomeni analoghi, la comunità internazionale si è mobilitata attraverso le Nazioni Unite affinché il genocidio fosse riconosciuto come crimine internazionale e i suoi responsabili assicurati alla giustizia. Nel 1948, di conseguenza, le Nazioni Unite approvarono e presentarono la Convenzione sulla Prevenzione e la Repressione del Genocidio (CPRG; http://www.unhchr.ch/html/menu3/b/p_genoci.htm) e, più di recente, un gruppo di Stati ha sottoscritto l'istituzione di una Corte Penale Internazionale (CPI). Secondo la definizione del crimine data dalla Convenzione, il genocidio consiste nell'intento di annientare, in toto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale. La Corte Penale Internazionale, partendo da tale definizione, l'ha ulteriormente sviluppata, prevedendo una giurisdizione più estesa e la facoltà di incriminare un individuo, qualunque sia il suo status o la carica che ricopre. È degno di nota il fatto che essa attualmente non sia competente solo per i casi di genocidio, ma anche per altri crimini contro l'umanità, quali gli eccidi di Stato, le campagne di sterminio, la riduzione in schiavitù, la deportazione, la tortura, lo stupro, la schiavitù a fini sessuali, il sequestro e l'eliminazione clandestina (il fenomeno dei cosiddetti desaparecidos), l'apartheid.
Il genocidio è altresì oggetto di studio da parte degli storici e degli scienziati sociali, ma la definizione giuridica del concetto si dimostra inadeguata per un'indagine di tipo storico ed empirico. Per questa ragione sono state proposte altre definizioni, che possono essere suddivise in due categorie. Secondo la definizione del primo tipo, il genocidio è l'intento di uccidere determinati individui in ragione della loro appartenenza a un gruppo, che può essere anche di natura politica o economica. In base alla definizione del secondo tipo, il genocidio - che in questo caso può anche essere chiamato 'democidio' (dal greco δχ͂μος, 'popolo') - è l'uccisione intenzionale, da parte di un governo, di individui disarmati e indifesi, quale che sia la motivazione dell'atto.
Se si tiene conto delle due accezioni sociologiche sopra menzionate, si scopre che nel corso del XX secolo i governi hanno ucciso circa 174 milioni di persone. In massima parte (probabilmente 110 milioni di persone) il genocidio è imputabile a governi comunisti, in particolare l'Unione Sovietica di Lenin, di Stalin e dei loro successori (62 milioni di vittime) e la Cina di Mao Zedong (35 milioni). Un numero considerevole di vittime è stato provocato da altri regimi totalitari o autoritari, specialmente la Germania di Hitler (21 milioni di persone) e il governo nazionalista di Jiang Jieshi (Chiang Kai-shek) in Cina (circa 10 milioni). Altri genocidi con un numero di vittime inferiore sono stati perpetrati dai governi dei Khmer rossi in Cambogia, da quelli del Giappone, della Corea del Nord, del Messico, del Pakistan, della Polonia, della Russia, della Turchia, del Vietnam e della Iugoslavia sotto Tito. Fondamentalmente, il genocidio è un prodotto del tipo di governo vigente in un paese. Esiste una stretta correlazione tra il grado di libertà democratica goduta da un popolo e la probabilità che il governo commetta un democidio. I moderni governi democratici non hanno in pratica commesso alcun genocidio interno. Il maggior numero di genocidi è stato perpetrato da governi totalitari, mentre quelli parzialmente o integralmente autoritari e dittatoriali sono responsabili di genocidi di minore entità.
A prescindere dal tipo di governo, la probabilità di genocidio aumenta in caso di guerra, o quando uno Stato si trova ad affrontare sconvolgimenti interni provocati, ad esempio, da una rivoluzione, da una ribellione o da un attacco esterno. Queste circostanze forniscono una copertura e un pretesto per il genocidio, che può essere commesso, sia in guerra che in pace, per diverse ragioni: per scongiurare una presunta minaccia contro il governo o la sua politica, per eliminare i membri di un gruppo odiato o invidiato, per avviare una trasformazione ideologica della società, per epurarla, oppure per ottenere vantaggi economici o materiali.
Considerando solo il caso di una società non democratica, la dinamica del genocidio si articola in otto fasi: classificazione dei cittadini in categorie differenti; simbolizzazione attraverso l'imposizione di una denominazione o di una caratterizzazione; disumanizzazione dei membri del gruppo preso di mira; organizzazione finalizzata all'uccisione o all'annientamento dell'intero gruppo; demonizzazione morale del gruppo prescelto; preparazione della campagna di sterminio; messa in atto del genocidio vero e proprio; negazione ex post del genocidio.
2. Cos'è il genocidio?
Anzitutto il genocidio è un crimine internazionale per il quale i responsabili, quale che sia il loro grado di autorità, possono essere imputati, processati e condannati dalla Corte Penale Internazionale. Secondo l'art. 6 dello Statuto della Corte (http://www.un.org/law/icc/), tale crimine comprende "uno qualsiasi dei seguenti atti commessi nell'intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale etnico razziale o religioso in quanto tale:
a) uccisione di membri del gruppo;
b) grave pregiudizio dell'integrità fisica o psichica dei membri del gruppo;
c) assoggettamento intenzionale del gruppo a condizioni di vita tali da comportare la distruzione fisica totale o parziale del gruppo;
d) misure volte ad ostacolare le nascite in seno al gruppo;
e) trasferimento forzato di bambini del gruppo ad un altro gruppo". In merito agli atti elencati si possono fare alcune osservazioni.
1) Il responsabile non è necessariamente il governo di uno Stato o le sue forze armate, ma potrebbe essere anche un'organizzazione internazionale (ad esempio, una missione di pace delle Nazioni Unite o della NATO), un'organizzazione terroristica, un gruppo di guerriglieri, ecc.
2) A prescindere dall'autorità sotto la quale viene perpetrato, il genocidio è ideato, pianificato e messo in atto da singoli individui, e sono singoli individui a essere giudicati dalla Corte Penale Internazionale per il crimine in questione. A differenza della Corte Internazionale di Giustizia (CIG), competente a pronunciarsi solo sulle controversie tra Stati, la Corte Penale Internazionale è un tribunale penale che incrimina singoli individui, emette mandati di cattura internazionali per assicurarne l'arresto e commina loro la pena. Ciò è esplicitamente affermato nell'art. 27: "Il presente Statuto si applica a tutti in modo uguale senza qualsivoglia distinzione basata sulla qualifica ufficiale. In modo particolare la qualifica ufficiale di capo di Stato o di governo, di membro di un governo o di un parlamento, di rappresentante eletto o di agente di uno Stato non esonera in alcun caso una persona dalla sua responsabilità penale per quanto concerne il presente Statuto e non costituisce in quanto tale motivo di riduzione della pena".
3) L'intenzione (lo scopo, l'obiettivo, il proposito) del responsabile è un elemento cruciale. Secondo il Rapporto della Commissione Preparatoria per la Corte Penale Internazionale (CPCPI; http://www.un.org/law/icc/prepcomm/prepfra.htm), la Corte può inferire l'esistenza di detto intento da "una condotta messa in atto nel contesto di un manifesto schema di condotta analogo diretto contro quel gruppo, o da una condotta tale in se stessa da causare la distruzione del gruppo" (art. 6a), inclusi "gli atti iniziali in uno schema emergente" (art. 6, introduzione).
4) La limitazione del genocidio ai soli gruppi nazionali, etnici, razziali o religiosi implica che il crimine riguardi i gruppi ai quali si appartiene per nascita. Essi potrebbero essere definiti gruppi 'indelebili'. Nel caso di un gruppo religioso, se è vero che si può scegliere di abbandonarlo una volta raggiunta l'età adulta, si tratta però di un'eventualità che si verifica raramente e, in ogni caso, un individuo potrebbe continuare a essere identificato con il gruppo religioso in virtù di determinate caratteristiche fisiche, come nel caso degli Ebrei. Non sono dunque classificabili come genocidio gli atti commessi nell'intento di annientare gruppi politici, ideologici, economici, militari, professionali o di altro tipo. Così, l'eccidio di un milione o più di 'capitalisti', 'simpatizzanti della destra' e 'controrivoluzionari' nel corso della Rivoluzione culturale cinese (1966-1969) non sarebbe da considerarsi un genocidio, e lo stesso dicasi per l'uccisione sistematica di decine di migliaia di 'comunisti' e di 'simpatizzanti della sinistra' da parte delle squadre della morte in America Latina tra gli anni sessanta e ottanta. Per giustificare l'esclusione di questi gruppi, in genere si fa riferimento al fatto che a essi si appartiene per scelta; si argomenta, inoltre, che la natura di tali gruppi e l'appartenenza a essi non sono chiare come nel caso dei gruppi che abbiamo definito indelebili.
5) Nella definizione di genocidio, è importante la precisa indicazione delle azioni volte alla distruzione di un gruppo. Ciò significa che i gruppi vengono intenzionalmente ed esplicitamente destinati alla distruzione, e che tale distruzione non è in alcun modo un effetto collaterale, la conseguenza di un'azione mirata a raggiungere un altro scopo, come spesso accade nel caso di operazioni difensive o di attacchi contro obiettivi militari nel corso di una guerra o di una ribellione.
6) Egualmente significativa è la scelta del verbo "distruggere". Gli atti compiuti con questo intento sono definiti con esattezza nell'elenco menzionato sopra, in cui non compaiono, ad esempio, i tentativi di eliminare un gruppo indelebile da un territorio mediante un'azione di 'pulizia etnica' (che comporta la rimozione coatta del gruppo in questione) o la distruzione della cultura di un gruppo, come avviene quando ai bambini che vi appartengono vengono inculcate lingua e usanze differenti. Ma se negli articoli dello Statuto della Corte Penale Internazionale e nel Rapporto della CPCPI la 'cultura' non trova menzione (forse vi potrà essere inclusa con lo sviluppo della giurisprudenza in materia di genocidio), la 'pulizia etnica' sembrerebbe invece essere considerata un crimine contro l'umanità. Secondo l'art. 7.1.d dello Statuto, è illegale deportare o trasferire in modo coatto una popolazione.
7) L'espressione "in tutto o in parte" significa che non esiste un limite inferiore al numero di individui contro i quali possono essere commessi gli atti che configurano il crimine di genocidio. Tali atti, commessi con l'intento descritto, costituirebbero genocidio anche qualora fossero diretti contro una sola persona.
8) Si ritiene in genere che il genocidio comporti l'uccisione dei membri di un gruppo indelebile. Secondo la definizione giuridica del crimine di genocidio data dalla Corte Penale Internazionale, invece, l'intenzione di distruggere un gruppo può esplicarsi anche in modi diversi dall'eliminazione fisica di uno o più dei suoi membri.
9) Il "grave pregiudizio dell'integrità fisica o psichica dei membri del gruppo" menzionato nel punto b) del citato art. 6 può includere la tortura, lo stupro, la riduzione in schiavitù a fini sessuali, l'apartheid, e altri trattamenti crudeli o degradanti (CPCPI, nota 3). Il fatto che questi atti siano stati esplicitamente inclusi, tra gli altri, nello Statuto della Corte Penale Internazionale rappresenta uno dei grandi progressi del diritto penale in materia di genocidio.
10) Nel punto c) l'espressione "condizioni di vita" può indicare "la deliberata privazione di risorse indispensabili alla sopravvivenza, come il cibo o l'assistenza medica, o l'espulsione sistematica dalle abitazioni" (CPCPI, nota 4).
11) L'espressione "trasferimento forzato" nel punto e) "non si riferisce solo alla forza fisica, ma può includere anche la minaccia dell'uso della forza o la coercizione - come ad esempio quella esercitata mediante la paura della violenza, l'isolamento, il carcere, l'oppressione psicologica e l'abuso di potere - o lo sfruttamento di un ambiente coercitivo" (CPCPI, nota 4).
12) Infine, va osservato che esistono numerosi altri crimini che, pur non essendo classificabili come genocidio, sono anch'essi perseguibili dalla Corte Penale Internazionale. L'art. 7 indica tra questi l'omicidio sistematico, lo sterminio di civili, la riduzione in schiavitù, la tortura, lo stupro, l'ingravidamento violento, la persecuzione politica, il sequestro e l'eliminazione clandestina con conseguente sparizione.
3. La giurisdizione sul crimine di genocidio
Nel 1998 120 paesi votarono l'adozione del Trattato istitutivo della Corte Penale Internazionale. Con uno Statuto firmato da 139 Stati e ratificato da 76, la Corte Penale Internazionale è stata istituita ufficialmente il 1° luglio 2002 con sede a L'Aia, nei Paesi Bassi. Si tratta di un tribunale permanente e indipendente delle Nazioni Unite, che secondo gli intenti dovrebbe essere operante a livello mondiale. Nel Preambolo, gli Stati parte si impegnavano a sottoscrivere lo Statuto "affermando che i delitti più gravi che riguardano l'insieme della comunità internazionale non possono rimanere impuniti e che la loro repressione deve essere efficacemente garantita mediante provvedimenti adottati in ambito nazionale e mediante il rafforzamento della cooperazione internazionale, determinati a porre fine all'impunità degli autori di tali crimini ed a contribuire in tal modo alla prevenzione di nuovi crimini, ricordando che è doveroso per ciascun Stato esercitare la propria competenza penale nei confronti dei responsabili di crimini internazionali [...], determinati, a questi fini e nell'interesse delle generazioni presenti e future, a creare una Corte penale internazionale permanente e indipendente collegata all'ordinamento delle Nazioni Unite ed avente competenza nei confronti dei crimini più gravi che concernono l'insieme della comunità internazionale".
Ciò dimostra il chiaro desiderio, maturato a livello internazionale, di punire sempre il crimine di genocidio, ovunque si verifichi.
Quando sarà definitivamente operante, nel 2003, la Corte Penale si comporrà di diciotto giudici e di un Procuratore scelti dagli Stati parte dello Statuto. I casi possono essere sottoposti alla Corte dalle parti, dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, o dal Procuratore. Quest'ultimo non può intraprendere un'indagine di sua iniziativa senza l'autorizzazione di due membri di una giuria composta da tre giudici della Corte. Tali indagini possono essere avviate sulla base di informazioni provenienti da qualsiasi fonte attendibile, anche da singoli individui.
La Corte Penale Internazionale ha giurisdizione automatica sui cittadini degli Stati parte dello Statuto, e sui cittadini di paesi non parte "se lo Stato del territorio in cui è stato commesso il crimine o lo Stato di cui l'accusato è cittadino vi acconsentono". Di conseguenza, i cittadini di Stati che non sono parte dello Statuto, i quali abbiano commesso il crimine di genocidio nel territorio di Stati che pure non vi fanno parte, potrebbero restare impuniti.
Un'altra limitazione alla giurisdizione è rappresentata dal fatto che il processo per genocidio nei tribunali nazionali ha la precedenza, se condotto in buona fede (con alcune varianti nella definizione, il genocidio è considerato un crimine nazionale dal diritto penale di oltre 70 Stati). E il processo penale per genocidio nei tribunali nazionali diventa sempre più frequente. Pertanto, sebbene il raggio d'azione della Corte Penale Internazionale sia alquanto ampio, la sua giurisdizione resta nondimeno limitata. Casi conclamati di genocidio possono sottrarsi all'incriminazione e alla condanna, come è accaduto, ad esempio (sotto la Convenzione sul Genocidio del 1948), per il sistematico annientamento della minoranza curda attraverso l'uso di gas velenosi, attuato da Ṣaddām Ḥusain nel 1988.
4. Origine del termine
I tentativi di annientare determinati gruppi sono sempre esistiti nella storia dell'umanità, ma questi atti di solito erano indicati, quando lo erano, in termini puramente descrittivi ("Nel 1226-1233 Gènghiz Khān intraprese la distruzione dei Tanguti in Cina"), oppure venivano raccolti sotto concetti molto generali - massacri, eccidi, carneficine, barbarie, efferatezza. Anche i tentativi della comunità internazionale di creare un diritto umanitario nel corso del XIX e del XX secolo si focalizzarono esclusivamente sui crimini di guerra e sui crimini contro l'umanità commessi in guerra. I vari Trattati dell'Aia e le Convenzioni di Ginevra, ad esempio, dichiaravano crimini internazionali la soppressione dei prigionieri di guerra, l'uccisione indiscriminata dei civili o le azioni militari contro di essi, l'affondamento di navi cariche di passeggeri inermi, ecc. In alcune occasioni, inoltre, alcuni Stati esercitarono pressioni o usarono la minaccia delle armi nei confronti di altre nazioni affinché ponessero fine al massacro dei propri cittadini o correligionari: alla fine del XIX secolo, ad esempio, le grandi potenze europee minacciarono un'azione contro l'Impero ottomano per gli eccidi di cristiani.
Nei Trattati dell'Aia e nelle Convenzioni di Ginevra non si faceva menzione del genocidio, né venivano classificati come tali gli eccidi che le potenze europee cercavano di impedire. Il motivo era piuttosto semplice e fu indicato da Winston Churchill, all'epoca primo ministro della Gran Bretagna. Nel corso della seconda guerra mondiale, quando il mondo venne a conoscenza della terrificante portata dello sterminio degli Ebrei attuato dai nazisti, egli infatti riconobbe che si trattava di "un crimine senza nome".
Fu il giurista polacco e studioso di diritto internazionale Raphael Lemkin a formulare nel 1944 il concetto giuridico di genocidio. Rifugiatosi in Svezia nel 1939, dopo l'occupazione tedesca della Polonia, alla fine della guerra Lemkin si stabilì negli Stati Uniti dove si batté perché le Nazioni Unite istituissero una Convenzione internazionale sul genocidio. In seguito Lemkin insegnò diritto alla Duke University e alla Yale University, e fu candidato quattro volte al premio Nobel per la pace.
Nel 1933, in occasione di un convegno internazionale tenutosi a Madrid, Lemkin presentò un documento in cui richiamava l'attenzione sulla distruzione storica di gruppi razziali, religiosi o di altri gruppi sociali, chiedendo l'istituzione di una convenzione internazionale che, al pari di quella contro la schiavitù e la pirateria, dichiarasse crimini internazionali gli atti mirati alla distruzione di determinati gruppi, definendoli, in mancanza di termini più appropriati, 'atti di barbarie'.
Lemkin era insoddisfatto di questa definizione eccessivamente generica, che peraltro non trovò accoglienza nel successivo diritto internazionale. Anni dopo, però, leggendo Platone egli si imbatté nel termine greco γε*νος, che significa 'razza' o 'tribù', e aggiungendovi il suffisso '-cidio' (dal verbo latino caedere, che significa 'uccidere'), secondo elemento di composti come 'omicidio' o 'suicidio', creò il neologismo 'genocidio'. Al culmine dell'Olocausto, nel 1944, Lemkin scrisse un libro sull'argomento, Axis rule in occupied Europe, in cui offriva la prima pubblica enunciazione del concetto e proponeva la regolamentazione internazionale del genocidio, inteso come "la prassi dello sterminio di nazioni e gruppi etnici".
Lemkin ebbe un ruolo importante nei processi contro i crimini di guerra nazisti davanti al Tribunale militare internazionale di Norimberga. Altrettanto importante fu il suo contributo nei dibattiti sul genocidio in seno alle Nazioni Unite, che sfociarono nella Risoluzione 96(I) dell'Assemblea generale (11 dicembre 1946) secondo la quale "il genocidio è un crimine soggetto al diritto internazionale, che il mondo civile condanna, e i cui mandanti e complici [...] sono perseguibili per legge".
5. Storia del crimine di genocidio
Il concetto di genocidio trovò la sua prima applicazione giuridica nel processo di Norimberga contro i criminali di guerra nazisti (1945-1946). Essi furono condannati per "crimini di guerra" (terzo capo d'accusa), tra cui "il genocidio deliberato e sistematico; ovvero lo sterminio di gruppi razziali e nazionali, diretto contro la popolazione civile di alcuni territori occupati, al fine di distruggere determinate razze e categorie di persone, nonché determinati gruppi nazionali, razziali o religiosi, in particolare Ebrei, Polacchi e Zingari". A seguito della Risoluzione 96(I) dell'ONU sul genocidio menzionata in precedenza, la questione relativa a una convenzione internazionale sull'argomento fu rimessa al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, che nel 1948 approvò la Convenzione sulla Prevenzione e la Repressione del Genocidio, entrata in vigore nel 1951 e ratificata, da allora, da 133 Stati.
In seno all'ONU i dibatti sul genocidio e la sua definizione finale si focalizzarono sugli orrori dell'Olocausto e sulla prevenzione o la punizione di futuri crimini analoghi. Proprio perché evoca memorie di mucchi di cadaveri, di lunghe file di uomini, donne e bambini inermi condotti nelle camere a gas o esposti al fuoco delle mitragliatrici, il genocidio è stato considerato uno dei peggiori crimini internazionali.
La definizione della Convenzione sulla Prevenzione e la Repressione del Genocidio è analoga a quella della Corte Penale Internazionale citata in precedenza, sebbene le delucidazioni e gli ulteriori elementi esplicativi aggiunti dalla CPCPI abbiano chiarito notevolmente cosa significhi in pratica tale crimine. Ad esempio, come abbiamo già accennato, si considera genocidio anche l'atto diretto contro una sola persona, e la tortura, lo stupro, la violenza sessuale sono considerati esplicitamente fattispecie di genocidio qualora implichino l'intento di annientare interamente o in parte un gruppo indelebile.
Solo gli Stati possono far parte della Convenzione e il genocidio può essere giudicato da un tribunale dello Stato in cui il crimine è stato commesso (art. 6), oppure "da un tribunale penale internazionale che può averne competenza rispetto alle parti contraenti che ne hanno riconosciuto la giurisdizione". Solo i paesi parte dello Statuto possono intentare una causa per genocidio sotto la giurisdizione della Convenzione. Quando i processi sono lasciati ai tribunali nazionali, le considerazioni di politica interna e internazionale assumono un ruolo preponderante. Per questa ragione, nessuna causa per genocidio è stata intentata sotto la giurisdizione della Convenzione da uno Stato membro, anche se molte se ne potrebbero avviare, ad esempio per i genocidi commessi nel Burundi (1972), in Cambogia sotto i Khmer rossi (1975-1979), in Iraq (1963 e ss.), Birmania (1962 e ss.), Nigeria (1967-1970), Ruanda (1994), Serbia (anni novanta), Sudan (1956 e ss.). Inoltre, molti genocidi sono stati commessi da Stati che non fanno o non facevano parte della Convenzione, come ad esempio quelli perpetrati in Angola, Cina, Congo (Kinshasa), Indonesia, Pakistan, Paraguay e Sierra Leone.
Al fine di affrontare i casi più evidenti di genocidio e di crimini di guerra, le Nazioni Unite hanno fatto ricorso alla creazione di tribunali ad hoc. Attualmente ne esistono solo due, uno dei quali è il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda (TPIR; http://www.ictr.org/), per il genocidio commesso in questo paese nel 1994. Il Tribunale è riuscito a processare per genocidio e altri crimini il maggiore Jean-Paul Akayesu, l'ex primo ministro Jean Kambanda e l'uomo d'affari e capo delle milizie Omar Serushago. Kambanda è stato riconosciuto colpevole di genocidio e di altri crimini contro l'umanità, e condannato all'ergastolo. Inoltre sono stati arrestati - e sono attualmente sotto processo - molti altri esponenti del governo, tra cui i ministri dell'Istruzione, della Sanità, dell'Informazione, degli Esteri, della Pubblica Amministrazione, del Commercio e dell'Industria. Poiché si trattava di un affare nazionale interno, ovvero di un crimine commesso contro il proprio popolo nel corso di una guerra civile, questo processo stabilisce un importante precedente per l'applicazione del diritto umanitario internazionale. Inoltre, molti Stati hanno cooperato con il TPIR, ad esempio per quanto riguarda i mandati di cattura emessi dal Tribunale, e così facendo hanno stabilito altri precedenti.
Il secondo tribunale creato ad hoc è il Tribunale Penale Internazionale per l'ex Iugoslavia (TPIJ; http://www.un.org/icty/index.html), istituito nel 1993 per gravi violazioni del diritto umanitario. Il genocidio rientra tra i crimini che il Tribunale è autorizzato a perseguire. Sette persone stanno scontando una condanna, tre l'hanno scontata e dieci sono state provvisoriamente rilasciate. Nel 1999 il Tribunale ha emesso un mandato di cattura contro l'ex presidente della Iugoslavia Slobodan Milosíević e quattro suoi collaboratori per genocidio e crimini contro l'umanità. Milosíević è attualmente sotto processo.
Le Nazioni Unite hanno altresì avviato una serie di tentativi per istituire tribunali analoghi per i genocidi e i crimini contro l'umanità commessi dai Khmer rossi in Cambogia, dal Fronte Unito Rivoluzionario della Sierra Leone, e per il genocidio perpetrato in Indonesia, nell'ex Timor Est (1975-1998). Per un motivo o per l'altro questi tentativi sono falliti completamente o parzialmente; è questo il caso, ad esempio, della Corte speciale per la Sierra Leone, un tribunale ibrido, in parte nazionale e in parte internazionale.
Nel futuro le attività di questi tribunali potrebbero essere unificate in seno alla Corte Penale Internazionale, oppure a quest'ultima potrebbe essere accordata giurisdizione esclusiva su questo tipo di crimini. Di fatto, la Convenzione sulla Prevenzione e la Repressione del Genocidio dell'ONU è stata sostituita dallo Statuto della Corte Penale Internazionale.
6. Il genocidio come concetto sociologico
Oltre a essere un crimine, il genocidio è anche oggetto di studio da parte di storici e scienziati sociali, che cercano di ricostruirne la storia, le dinamiche e le fasi, oltreché di individuarne le cause e le condizioni. Tali ricerche si dimostrano necessarie al fine di eliminare il genocidio dal mondo o di ridurne l'incidenza. Non sono sufficienti le sanzioni penali per scongiurare nuovi casi; occorre anche capire le ragioni per cui esso si verifica. La definizione giuridica adottata dalla Convenzione sul genocidio dell'ONU e dalla CPI è, per un verso, troppo vasta, perché include tipi di comportamento assai eterogenei - come l'omicidio, il danno psichico, l'impedimento delle nascite, l'allontanamento dei bambini da un gruppo, e via dicendo; per un altro verso, essa è troppo ristretta, in quanto non comprende l'intento di distruggere gruppi non indelebili come i gruppi politici, economici, ecc. Gran parte degli eccidi perpetrati dai governi, invece, è stata diretta proprio ad annientare gruppi di questo tipo. Si trattava manifestamente di omicidi e l'intenzionalità era insita nell'atto stesso. Ad esempio, i soldati che allineano un gruppo di civili contro un muro e li fucilano senza un giusto processo rappresentano un caso palese di omicidio di Stato. Tali sono stati gli eccidi di ostaggi da parte dei nazisti, quelli perpetrati nei gulag durante la campagna di collettivizzazione di Stalin negli anni trenta, quelli dei 'controrivoluzionari' da parte di Mao negli anni cinquanta e sessanta, il sequestro ed eliminazione clandestina di esponenti della sinistra (desaparecidos) a opera delle squadre della morte in Argentina, Brasile, Colombia, El Salvador e Honduras negli anni settanta e ottanta, e gli eccidi di ex ufficiali e membri del governo attuati dai Khmer rossi tra il 1975 e il 1979.
Il progredire delle nostre conoscenze sul genocidio dipende in misura essenziale dalla perspicuità e dalla pregnanza dei concetti. In particolare, tali concetti dovrebbero riferirsi a comportamenti ed eventi del mondo reale chiaramente e univocamente individuabili, a prescindere dagli osservatori e dai loro preconcetti. Se infatti vi è un'area delle scienze sociali viziata dai pregiudizi, è proprio quella attinente all'identificazione dei responsabili, delle cause, delle circostanze storiche e delle modalità degli eccidi perpetrati dai governi.
Per queste ragioni, gli studiosi hanno cercato di formulare delle definizioni di genocidio più adeguate all'interpretazione storico-sociologica di questa forma di omicidio da parte dello Stato. Diamo di seguito quattro definizioni generalmente accettate dalla comunità scientifica.
1) "Il genocidio è una forma di omicidio in massa unilaterale in cui uno Stato (o un'altra autorità) intende distruggere un gruppo, la cui identità e composizione vengono definiti dal responsabile dell'atto" (v. Chalk e Jonassohn, 1990).
2) "Genocidio, in generale, è l'omicidio in massa di un gran numero di esseri umani, non perpetrato nel corso di azioni militari intraprese da un nemico dichiarato, e in cui le vittime sono essenzialmente inermi e indifese" (v. Charny, 1999).
3) "Il genocidio è un atto sistematico e intenzionale volto a distruggere direttamente o indirettamente una collettività impedendo la riproduzione biologica e sociale dei suoi membri, perpetrato anche in caso di resa o di assenza di minaccia da parte delle vittime" (v. Fein, 1993).
4) "Il concetto di genocidio si applica solo quando viene messo in atto l'intento, a prescindere dal successo con cui è portato a termine, di eliminare fisicamente un intero gruppo (qual è individuato dai responsabili dell'atto)" (v. Katz, 1994).
Nella letteratura giuridica e sociologica, il genocidio è definito implicitamente o esplicitamente in tre modi.
Anzitutto abbiamo la 'definizione giuridica' adottata dalla Convenzione sulla Prevenzione e la Repressione del Genocidio e dalla Corte Penale Internazionale, sulla quale ci siamo già soffermati nel cap. 2.
In secondo luogo abbiamo la 'definizione comune', per cui il genocidio è l'omicidio (assassinio) intenzionale da parte di un governo, motivato dall'identità di gruppo delle vittime. La definizione comune del genocidio e quella datane da alcuni studiosi tendono a identificarlo, esclusivamente, con l'omicidio di determinati individui da parte di un governo, in ragione dell'effettiva o presunta appartenenza di gruppo delle vittime che, secondo alcuni, può anche essere appartenenza a un gruppo politico, economico e simili. Questo modo di considerare il genocidio si è talmente radicato nella mentalità comune che sembra del tutto illegittimo parlare di genocidio in caso di danni non letali, di tipo psichico o fisico, inflitti a un gruppo. Si osservi che in questa definizione non necessariamente l'annientamento del gruppo in questione è intenzionale. In base a essa, l'uccisione in massa di Ebrei in quanto Ebrei, di cristiani in quanto cristiani, di Cinesi in quanto Cinesi è da classificare come genocidio. Su questo punto, tuttavia, sussiste una certa confusione, poiché se in sede di definizione viene indicata l'intenzionalità della distruzione di un gruppo quale elemento necessario, nell'applicazione del concetto spesso si classificano come genocidio anche casi in cui tale intenzionalità non è esplicitata (ne sono esempi la carestia in Ucraina e la deportazione di gruppi di minoranza da parte di Stalin, gli eccidi di massa avvenuti a Timor Est in Indonesia, i campi di sterminio dei Khmer rossi in Cambogia), mentre è del tutto evidente che le persone sono state uccise in ragione della loro appartenenza di gruppo.
Infine, secondo la 'definizione generale' è genocidio qualunque uccisione intenzionale (assassinio) di individui inermi e indifesi perpetrata da un governo. In alcune situazioni, e soprattutto per alcuni studiosi (si veda la già citata definizione di Israel Charny), il genocidio è stato così definito per riempire un vuoto esistente sia nella definizione giuridica che in quella comune. Il fine è quello di includere nella definizione gli eccidi commessi per motivazioni diverse dall'appartenenza di gruppo delle vittime, ad esempio l'eliminazione dei prigionieri di guerra, degli oppositori politici, di chi viola leggi ferree; gli omicidi che si verificano nel corso degli stupri o della riduzione in schiavitù a sfondo sessuale, o nei processi di epurazione ideologica, o, ancora, quelli compiuti semplicemente per adeguare il tasso di mortalità a quello stabilito dal governo (come è accaduto nell'Unione Sovietica sotto Stalin negli anni trenta, o nel Vietnam del Nord negli anni cinquanta). Nessuno di questi casi può essere classificato come genocidio né in base all'accezione giuridica né in base a quella comune del termine.
Il problema di questa accezione ampliata è dato dal fatto che per riempire un vuoto se ne crea un altro. Se infatti il genocidio comprende tutti gli eccidi di Stato, viene a mancare un termine specifico per designare l'uccisione di determinati individui in ragione della loro appartenenza di gruppo, o l'intenzione di annientare un gruppo interamente o in parte. È proprio per risolvere questo problema concettuale che si rivela utile il ricorso al nuovo termine 'democidio'. Esso può essere impiegato al posto della definizione generalizzata di genocidio per designare gli eccidi perpetrati da un governo o dalle autorità in carica, riservando il termine genocidio al caso più specifico degli eccidi commessi in ragione dell'appartenenza di gruppo delle vittime.
Uno dei grandi progressi del diritto internazionale e umanitario segnato dallo Statuto della CPI è costituito dal fatto che ora l'omicidio e lo sterminio sono considerati crimini internazionali sia in tempo di guerra, sia in tempo di pace. L'art. 7.1 dello Statuto definisce l'omicidio e lo sterminio intenzionali di uno o più individui "crimini contro l'umanità" quando tali atti siano parte di "un attacco generalizzato o sistematico, diretto verso una popolazione civile, e si è a conoscenza dell'attacco". Cosa particolarmente importante, lo sterminio implica il "fatto d'imporre intenzionalmente condizioni di vita, quali la privazione dell'accesso al vitto ed alle medicine, finalizzate alla distruzione di parte della popolazione" (art. 7.2.b).
Gli omicidi e gli stermini commessi dai governi rientrano nella definizione generale di genocidio, cioè nel democidio. Lo Statuto della Corte Penale Internazionale risponde in questo modo alle critiche mosse alla Convenzione sulla Prevenzione e la Repressione del Genocidio, secondo le quali essa era troppo restrittiva, laddove avrebbe dovuto prendere in considerazione omicidi e stermini attuati per motivi diversi dal tentativo di distruggere gruppi indelebili, pur senza classificarli sotto il crimine di genocidio. Di fatto, la Corte Penale Internazionale contempla ora pressoché tutti i casi di democidio, con l'eccezione dell'assassinio degli oppositori politici o di altri individui (ad esempio, un giornalista scomodo) che non rientrano nel quadro di un attacco diffuso o sistematico contro la popolazione.
7. Il genocidio nella storia
Nel corso della storia milioni di persone sono state uccise dai governi o dalle autorità in carica per una varietà di motivi: perché erano odiate; perché appartenevano a un determinato gruppo etnico, o razza, o religione o nazionalità; perché costituivano un ostacolo; perché erano percepite come una minaccia o come nemici; per capriccio; o senza alcuna ragione. Secondo una stima per difetto i genocidi del passato avrebbero causato circa 133 milioni di vittime, un numero la cui dimensione è stata limitata solo dalla quantità relativamente modesta della popolazione mondiale. Le guerre precedenti il XX secolo avrebbero invece causato circa 40 milioni di morti e la peste nera dal V al XX secolo avrebbe ucciso 102 milioni di persone.
Pochi esempi saranno sufficienti. In Cina, quando un imperatore succedeva a un altro e una guerra imperiale si abbatteva sulla popolazione, i morti ammontavano a decine di milioni. Solamente nel corso della ribellione dei Taiping (1851-1864) morirono oltre quaranta milioni di persone, per la maggior parte probabilmente assassinate. I Mongoli, in particolare sotto l'efferato Gènghiz Khān, devastarono ampie regioni della Persia, del Medio Oriente, dell'Europa orientale, della Russia e della Cina, sterminando tra il XIV e il XV secolo forse 30 milioni di persone (circa il 13° della popolazione mondiale). All'epoca, ovviamente, esisteva anche la schiavitù, alla quale può essere imputata l'uccisione di circa 17 milioni di Africani. Lo sterminio degli Indiani d'America comportò a sua volta circa 13 milioni di morti. Questi sono solo gli esempi più noti, ma ve ne sono molti altri, meno clamorosi solo perché il numero delle vittime è minore: la persecuzione dei cristiani da parte dei Romani, le Crociate, i sacrifici umani degli Aztechi, l'Inquisizione spagnola, la caccia alle streghe, i numerosi pogrom contro gli Ebrei in tutta Europa, e via dicendo.
Nel XX secolo la popolazione mondiale si è moltiplicata. Se all'epoca dei Mongoli ammontava a circa 400 milioni di persone, nel 1900 arrivava a circa 1,2 miliardi, per giungere a 6,1 miliardi alla metà del 2001. All'aumento demografico è corrisposto l'aumento del numero di individui uccisi dai governi. Solo nel XX secolo il numero delle vittime supera probabilmente quello di tutte le epoche passate insieme, arrivando alla sconvolgente cifra di 174 milioni di persone, forse addirittura 340 milioni. È come se il mondo fosse stato investito da una catastrofica guerra nucleare a lento corso. La cifra, calcolata per difetto, di 174 milioni di morti equivale a quattro volte il numero delle vittime di tutte le guerre interne ed esterne combattute nel corso del secolo, incluse le due guerre mondiali. Se si mettessero in fila tutti questi cadaveri, si formerebbe una linea lunga quattro volte la circonferenza terrestre.
Il governo che ha commesso i peggiori crimini è stato quello dell'Unione Sovietica, dove Lenin, Stalin e i loro successori uccisero probabilmente 62 milioni di cittadini e di stranieri. A partire dal 1923, il Partito Comunista Cinese sotto Mao Zedong e i suoi successori ha sterminato circa 35 milioni di Cinesi. Con l'Olocausto i nazisti sotto Hitler perseguirono lo sterminio degli Ebrei, ma perpetrarono anche altri eccidi meno noti che, sommati a quello degli Ebrei, fecero complessivamente 21 milioni di vittime. È quasi ignorato il fatto che il governo nazionalista cinese, al potere dal 1928 al 1939 con Jiang Jieshi, uccise circa 10 milioni di Cinesi. Anche in altri paesi i governi si sono resi responsabili di eccidi che hanno provocato un numero di vittime pari o di poco superiore al milione, ma inferiore ai dieci milioni: Giappone (1937-1945, 6 milioni); Corea del Nord (1948-2002, oltre 2 milioni); Cambogia dei Khmer rossi (1975-1979, 2 milioni); Turchia (1909-1918, 1,9 milioni); Vietnam (1945-1987, 1,7 milioni); Polonia (1945-1948, 1,6 milioni); Pakistan (1958-1987, 1,5 milioni); Messico (1900-1920, 1,4 milioni); Russia (1900-1917, 1,1 milioni); Iugoslavia di Tito (1944-1987, 1 milione). Oltre un centinaio di altri governi hanno mietuto le loro vittime, a decine o a centinaia di migliaia, nel bagno di sangue che ha caratterizzato il XX secolo. Tutti questi eccidi sarebbero oggi considerati crimini dalla Corte Penale Internazionale.
Ma quanti di questi massacri possono essere considerati genocidi? Non vi sono dubbi che tale fu l'Olocausto, costato la vita a 5-6 milioni di Ebrei. Il Tribunale delle Nazioni Unite per il Ruanda (complessivamente, 500.000-750.000 Tutsi uccisi nel 1994) e il Tribunale Penale Internazionale per l'ex Iugoslavia (tra le 25.000 e le 100.000 vittime in Bosnia ed Erzegovina) hanno appurato che in questi due paesi è stato commesso un genocidio e hanno inflitto le pene relative. Altri casi che possono essere classificati come genocidi o affini al genocidio sono l'eccidio degli Armeni (circa 2,1 milioni) e quello dei Greci (347.000) e di altri cristiani a opera dei regimi turchi nel 1909-1923; il massacro di monaci buddhisti, di cambogiani-vietnamiti, di musulmani e altre minoranze (541.000) perpetrato dal regime dei Khmer rossi in Cambogia nel 1975-1979; l'uccisione in massa di Bantu, Ottentotti e Berg-Damaras (72.000) in Namibia a opera della Germania nel 1904-1907; il massacro degli Hutu (150.000) in Burundi; lo sterminio di Serbi ed Ebrei (655.000) in Croazia durante la seconda guerra mondiale; l'eccidio perpetrato in Iraq tra il 1966 e il 1999 di Curdi e Sciiti del Sud (oltre 100.000).
Se si adotta la definizione comune di genocidio il numero dei casi aumenta, e se li sommiamo a quelli che rientrano nella definizione giuridica abbiamo un totale di circa 80 milioni di persone uccise a opera dei governi. Tra i casi più significativi si possono citare quello degli Ucraini ridotti alla fame da Stalin nel 1932-1933, che provocò circa 5 milioni di morti; lo sterminio di 375.000 Tibetani, di musulmani dello Xinjiang e di altre minoranze nella Cina comunista; l'eccidio, nel 1971, di oltre un milione di Bengalesi e Hindu del Pakistan orientale (l'attuale Bangladesh) da parte del Pakistan occidentale; il massacro di 509.000 comunisti e membri della minoranza etnica cinese in Indonesia nel 1965, e quello di oltre 150.000 persone a Timor Est nel 1975-1998; l'eccidio iniziato nel 1955, e tuttora in corso, di cristiani e di neri del Sud in Sudan, che ha causato sinora oltre 1 milione di vittime; e in tutto il mondo continua il massacro di decine di milioni di indigeni e di nativi delle colonie.
8. Cause e condizioni del genocidio
Storici e scienziati sociali hanno elaborato le loro teorie del genocidio facendo riferimento alla struttura politica in cui esso si verifica, al contesto in cui viene messo in atto, alle motivazioni di chi lo commette, alla natura delle vittime e agli stadi attraverso cui viene attuato.
Gli studi storici e la ricerca empirica hanno messo in luce come il democidio, incluso il genocidio (comunque questo sia definito), sia una caratteristica dei sistemi totalitari e, in misura minore, di quelli autoritari. La probabilità che si verifichi un qualche tipo di genocidio o democidio è direttamente proporzionale alla mancanza di libertà democratica. Ne sono esempi l'Unione Sovietica di Stalin, la Germania di Hitler, la Cina comunista di Mao o quella fascista di Jiang Jieshi, la Spagna di Franco, l'Ungheria dell'ammiraglio Miklós Horthy, l'Iraq di Ṣaddām Ḥusain, l'Uganda di Idi Dada Amin, la Turchia di Kemāl Atatürk. I governi che non hanno commesso alcun genocidio interno, né altri massacri o campagne di sterminio all'interno del loro paese, sono le democrazie moderne che riconoscono le libertà civili e i diritti politici.
Quali che siano le istituzioni politiche di un governo, la possibilità di genocidio aumenta fortemente nel contesto di una guerra internazionale o interna. L'Olocausto ne è un chiaro esempio. Anche prima del 1939 si erano verificati eccidi di Ebrei, ma non nel quadro di una politica volta a sterminare tutti gli Ebrei ovunque cadessero sotto il controllo tedesco. Un'azione politica siffatta si ebbe in Germania solo dopo che il paese si trovò coinvolto nella seconda guerra mondiale. Lo stesso accadde per i massacri di Armeni da parte del governo dei Giovani Turchi. Nel corso della prima guerra mondiale, l'alleanza della Turchia con la Germania e l'invasione della Turchia orientale da parte dei Russi diedero ai Giovani Turchi il pretesto per epurare definitivamente il paese dalle minoranze armene e cristiane. Considerazioni analoghe valgono per la deportazione di minoranze etniche/nazionali (Tedeschi, Greci, Tartari, Ucraini e altri), attuata da Stalin durante il secondo conflitto mondiale, che causò 750.000 morti. Ancora, un milione e più di persone furono uccise nel corso della Rivoluzione messicana tra il 1910 e il 1920. Altri esempi di genocidi avvenuti nel corso di incursioni militari, guerre civili o lotte per l'indipendenza sono quelli commessi in Angola, Birmania, Cile, nei due Congo, Colombia, El Salvador, Indonesia, Iran, Iraq, Libano, Birmania, Nigeria, Ruanda, Sudan, Siria, Iugoslavia (Serbia e Croazia), per non citarne che alcuni. La guerra è sempre stata un pretesto, una copertura o uno stimolo per il genocidio e per gli eccidi.
Quanto alle motivazioni, numerosi studi hanno cercato di individuare ciò che sta dietro la volontà di distruggere un gruppo in quanto tale, oppure di eliminare determinati individui in ragione della loro appartenenza a un gruppo. Spesso i motivi sono complessi e intrecciati tra loro, ma in genere è possibile individuarne uno che assume maggior rilievo.
Anzitutto vi è il desiderio di annientare un gruppo che è percepito come una minaccia per il potere dominante. Ad esempio, le elezioni parlamentari del 1970 rivelarono la forza politica del Pakistan orientale, mettendo in forse il controllo della regione da parte del Pakistan occidentale e il potere del governo militare. Ciò portò all'invasione armata del Pakistan orientale e all'uccisione di oltre un milione di individui tra leaders, intellettuali e professionisti bengalesi, nonché di tutti gli Hindu che l'esercito riuscì a catturare. Un altro esempio è dato dalla strenua resistenza dei contadini ucraini al programma di collettivizzazione staliniano nel 1931-1932, che si associava alla minaccia rappresentata dal nazionalismo ucraino per il potere comunista. Così, nel 1932, quando quella che avrebbe potuto essere una carestia di moderata entità colpì la regione, Stalin ne potenziò gli effetti sequestrando o eliminando cibo e fonti di cibo - bestiame, animali domestici, sementi, selvaggina, ecc. - e boicottando l'importazione di alimenti in Ucraina. Persino i visitatori venivano perquisiti e lasciati entrare nella regione solo dopo aver sequestrato loro il cibo di cui erano trovati in possesso. Circa 5 milioni di Ucraini furono così fatti morire di fame. La stessa motivazione spinse la maggioranza di governo hutu in Ruanda a massacrare i Tutsi a seguito dei disordini scoppiati dopo l'incursione nella regione settentrionale del paese, nel 1991, del Fronte patriottico ruandese espatriato.
Una seconda motivazione è di natura strettamente emotiva, e consiste nel desiderio di distruggere coloro che sono odiati, disprezzati o che suscitano invidia e risentimento. Il genocidio degli Ebrei nel corso della storia, e in particolare l'Olocausto, furono sostanzialmente una manifestazione di odio religioso ed etnico, cui si mescolava l'invidia e il risentimento per gli eccezionali successi da essi ottenuti in campo economico e professionale. Lo stesso vale per il genocidio perpetrato in Turchia nel 1915-1918 contro gli Armeni, che godevano di una ricchezza e di uno status professionale assai superiori in proporzione alla loro consistenza numerica, ma che erano odiati anche in quanto minoranza cristiana in una società musulmana.
Una terza motivazione del genocidio è legata all'obiettivo di operare una trasformazione ideologica della società. In questo tipo rientrano, ad esempio, i genocidi e i democidi attuati dagli Stati comunisti, dove vennero eliminati quanti si dimostravano refrattari o avversi all'ideologia - proprietari terrieri, contadini benestanti (kulaki), nazionalisti, 'simpatizzanti della destra' e 'controrivoluzionari'.
Una quarta motivazione è la volontà di epurare, ovvero di eliminare dalla società credenze, culture, pratiche e gruppi etnici percepiti come estranei. Da ciò nascono le azioni di 'pulizia etnica', 'eliminazione dei rifiuti', 'profilassi', per citare alcune delle espressioni utilizzate in questi casi. Ne sono esempi il sistematico tentativo da parte di Mao Zedong e di Stalin di eliminare i 'miscredenti' dalle società comuniste; quello analogo compiuto dai cristiani nel Medioevo; l'eliminazione dei gruppi cristiani e dei musulmani 'blasfemi' in molti paesi islamici odierni, come l'Iran e l'Arabia Saudita; la pulizia etnica praticata dai Serbi in Bosnia ed Erzegovina negli anni novanta, e infine la guerra che l'esercito birmano ha condotto contro i Karen e altri gruppi etnici.
Una quinta motivazione, infine, è il vantaggio economico. Per questo, rapaci potenze coloniali o singoli individui (come il re Leopoldo del Belgio, che possedeva personalmente il Libero Stato del Congo) sterminarono o ridussero in schiavitù decine di milioni di persone che nei possedimenti coloniali ostacolavano i loro piani o si opponevano alla spoliazione delle ricchezze locali. Lo stesso vale per lo sterminio degli Indiani d'America, che continua ancor oggi, o per la morte di molti milioni di Africani fatti prigionieri, caricati a forza sulle navi e ridotti in schiavitù.
Le condizioni e le cause che sfociano nel genocidio si sviluppano gradualmente attraversando una serie di stadi. Considerando esclusivamente il caso di un governo totalitario o autoritario, Gregory H. Stanton ha individuato e definito i seguenti stadi.
1) Classificazione. Gli individui, divisi in vari tipi e categorie, vengono classificati in diversi gruppi, ad esempio bianchi, neri, asiatici; oppure cristiani ed ebrei; oppure, ancora, comunisti, simpatizzanti di sinistra o simpatizzanti di destra.
2) Simbolizzazione. Si procede a etichettare i diversi gruppi ('Cinesi', 'Ebrei', 'Hindu', 'marxisti', ecc.). Un particolare abbigliamento (ad esempio il turbante), un determinato cibo (ad esempio il riso), alcune caratteristiche fisiche (come il naso allungato) o comportamentali (ad esempio l'imperscrutabilità) possono essere usati per individuare i membri di un gruppo. La classificazione e la simbolizzazione sono fenomeni comuni a tutte le società e, sebbene costituiscano una condizione necessaria per il genocidio, da sole non bastano a far sì che esso avvenga o che si passi agli stadi successivi.
3) Disumanizzazione. I membri dei gruppi estranei vengono disumanizzati, equiparati a scimmie, scarafaggi, parassiti, topi, vermi, e via dicendo. In questo modo, essi vengono collocati chiaramente al di fuori del 'nostro' universo di valori e perciò non godono della tutela morale contro lo sterminio di cui beneficiano invece i membri del 'nostro' gruppo.
4) Organizzazione. Esponenti politici, leaders simpatizzanti e intellettuali si organizzano per reprimere e uccidere membri del gruppo estraneo, o per annientare in toto il gruppo disumanizzato. Si ammassano o si distribuiscono armi; si procede a selezionare e addestrare milizie, forze di pubblica sicurezza o reparti miliari; si definiscono piani d'azione preliminari.
5) Polarizzazione. Esponenti politici, estremisti, propagandisti o demagoghi intraprendono una campagna sistematica per massimizzare la distanza sociale, psicologica e morale tra 'noi' e 'loro'. In questo stadio, gli intellettuali e i leaders moderati vengono tacitati mediante intimidazioni, percosse, condanne al carcere ed eliminazione fisica diretta.
6) Identificazione. Il passo ulteriore è l'identificazione di coloro che dovranno essere uccisi. Questi possono essere costretti a indossare capi di abbigliamento o simboli di riconoscimento, oppure essere segregati nei ghetti. Si preparano liste di individui da eliminare che vengono consegnate a 'squadre della morte'; i membri del gruppo estraneo sono privati di qualsiasi arma attraverso sequestri sistematici o leggi che ne vietano loro il possesso. I possibili capi di una resistenza, come i giovani maschi, sono costretti ad arruolarsi nell'esercito e segregati per essere poi giustiziati, o semplicemente per restare in carcere.
7) Genocidio. Viene presa la decisione di attaccare ed eliminare i membri del gruppo estraneo o di annientare il gruppo in sé. Tale decisione può essere giustificata come una legittima campagna per sterminare i 'vermi' o ripulire la società dai 'rifiuti', per ripristinare la passata grandezza o per salvare la razza di una nazione, per vendicare torti passati, e così via.
8) Negazione. Lo stadio finale è la negazione di aver commesso il genocidio da parte dei responsabili. Essi distruggono od occultano le prove ufficiali, bruciano i cadaveri, scavano fosse comuni, o inventano una spiegazione razionale dello sterminio (dando a intendere, ad esempio, che le vittime erano 'ribelli', o 'collaboratori del nemico', oppure che sono morte nel corso di una guerra civile). Inoltre, i responsabili possono perseguitare quanti sostengono che il genocidio ha avuto luogo. Attualmente, la negazione ufficiale più coerente e sistematica è quella del governo turco, secondo il quale lo sterminio di oltre un milione di Armeni nel corso della prima guerra mondiale non fu un genocidio. Le vittime sarebbero state causate dalla guerra civile, dall'invasione della Russia e dal tentativo del partito dei Giovani Turchi di proteggersi dagli Armeni, effettivamente o potenzialmente ostili, deportandoli in un'altra zona del paese.
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