genomica
Branca della genetica che studia la caratterizzazione molecolare e l’espressione di interi genomi. Il termine, coniato alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, definisce nuovi campi della genetica nati dal progetto di sequenziamento del genoma umano e di altri organismi rappresentativi (batteri, lieviti e Drosophila melanogaster). La g. strutturale ha come fine l’identificazione dell’insieme dei geni in un genoma, mentre la g. funzionale, mira ad analizzare le modalità di espressione dei geni e le loro interazioni. Tra i settori della g. con maggior potenziale a livello clinico è opportuno menzionare la farmacogenomica (➔). Le informazioni della farmacogenomica possono essere ottenute mediante lo studio dei livelli di espressione genica, ossia tramite l’impiego dei microarrays e l’analisi degli SNP (Single Nucleotide Polymorphisms), variazioni di una sequenza nucleotidica che possono rendere un individuo più o meno suscettibile all’azione di un farmaco. Complementare alla g. è la proteomica: questa branca analizza, anziché i geni, i loro prodotti, ossia le proteine, ed è finalizzata a confermare i risultati che vengono ottenuti dall’analisi dell’espressione genica e ad attribuire un ruolo funzionale ai geni, e quindi alle proteine, identificati.
Metodica che ha agevolato lo studio della g., poiché consente di analizzare virtualmente tutto il genoma e di definire un profilo di espressione genica. I microarray sono supporti di plastica o di vetro contenenti piccole sequenze di DNA complementare (cDNA) a singola elica. A tali sequenze, si legano, laddove siano espressi, i cRNA provenienti dalle cellule di interesse (per es., cellule tumorali) marcati con un composto fluorescente. La lettura del microarray avviene mediante uno scanner che, misurando la fluorescenza laddove è avvenuta l’ibridizzazione, consente di definire l’espressione genica delle cellule in analisi. Specifici programmi bioinformatici permettono infine l’analisi dei dati. Due sono i vantaggi principali di questa tecnica: vengono utilizzate piccole quantità di RNA ed è quindi possibile analizzare anche sottopopolazioni cellulari scarsamente rappresentate; si possono analizzare circa 54.000 geni contemporaneamente e quindi ottenere un’informazione globale di tutto il genoma in un tempo relativamente breve.
Le applicazioni cliniche della genomica in ambito oncologico
Diverse sono le applicazioni della genomica, e in partic. della metodica dei microarray, in ambito oncologico. Questa tecnica consente infatti di: correlare l’espressione genica con alterazioni biologiche note; identificare sottogruppi di pazienti con caratteristiche clinico-biologiche precedentemente non conosciute; individuare geni, e quindi potenzialmente proteine, espressi in maniera differenziata dalla popolazione neoplastica rispetto ad altre popolazioni neoplastiche o a tessuti non neoplastici; identificare potenziali bersagli terapeutici; identificare geni, o famiglie di geni, che si correlino con l’andamento clinico.
Il maggior numero di informazioni si è ottenuto in oncoematologia, poiché nei tumori ematologici le cellule neoplastiche sono facilmente reperibili dal sangue periferico o dal midollo osseo. Inoltre, la percentuale di cellule neoplastiche è generalmente elevata e non vi è quindi il rischio di presenza di cellule contaminanti che potrebbero inficiare i risultati. Al contrario, l’impiego della genomica nei tumori solidi presenta diverse problematiche, tra cui il tessuto da analizzare, la qualità del materiale biologico e la presenza di cellule contaminanti.
Per ciò che concerne la correlazione tra l’espressione genica e le alterazioni biologiche note, è nelle leucemie acute linfoidi (LAL) e mieloidi (LAM), rispettivamente che lo studio della genomica ha consentito di identificare ‘firme’ (signatures), ossia un insieme di geni, specificamente associati a note aberrazioni genetico-molecolari, ovvero ad alterazioni precedentemente identificate soprattutto mediante metodiche di citogenetica o di biologia molecolare. L’importanza di questi risultati risiede nel fatto che le suddette alterazioni molecolari hanno generalmente valenza prognostica. Inoltre, tanto nelle LAL che nelle LAM lo studio dei microarray ha consentito di identificare sottogruppi non precedentemente individuati con metodiche standard. L’analisi dettagliata di questi sottogruppi sta portando a comprendere in modo più approfondito i meccanismi biologici che inducono la trasformazione leucemica delle cellule e, inoltre, a stratificare dettagliatamente i pazienti, consentendo di definire sottogruppi di pazienti con prognosi più sfavorevole – che potrebbero beneficiare di approcci chemioterapici più aggressivi – o, al contrario, di identificare pazienti con un andamento clinico migliore, in modo che ricevano regimi chemioterapici ad intensità ridotta, con minor rischio di effetti collaterali. Per ciò che concerne l’identificazione di geni espressi in maniera preferenziale nelle popolazioni neoplastiche, nella leucemia linfatica cronica (LLC) questo approccio ha consentito di identificare un gene, ZAP-70, che è maggiormente espresso in pazienti con alcune caratteristiche biologiche specifiche e che presentano un andamento clinico più aggressivo. In modo simile, questa metodica ha permesso di identificare un gene, ANXA1, che è esclusivamente espresso nella leucemia a cellule capellute (HCL). L’identificazione di questi geni è di estrema importanza, poiché può essere di supporto nella stratificazione prognostica dei pazienti (nel caso di ZAP-70) o può altresì essere impiegata in un contesto diagnostico, per una corretta diagnosi differenziale (nel caso di ANXA1). I microarray hanno fornito informazioni biologiche rilevanti nell’ambito dei linfomi diffusi a grandi cellule. Infatti, la genomica è stata utile per identificare due sottogruppi di pazienti il cui profilo di espressione genica è assolutamente distinto, in un caso simile a quello delle cellule germinali (CG) e nell’altro dei linfociti B attivati (ABC). Questa distinzione ha importanza prognostica poiché i pazienti con un profilo ABC presentano un andamento clinico più infausto; inoltre ha portato allo sviluppo di strategie terapeutiche che inibiscono alcuni dei geni identificati.
Infine, la genomica è stata impiegata nel tentativo di identificare geni che possano predire l’andamento clinico. Al momento, è stato possibile individuare soprattutto famiglie di geni piuttosto che singoli geni. I geni del ciclo cellulare sono frequentemente identificati a prescindere dalla neoplasia analizzata.
La genomica ha consentito una distinzione tra cellule neoplastiche e tessuti non-neoplastici in diversi tumori, tra cui il carcinoma della mammella, del polmone e della prostata e il melanoma. Nell’ambito del carcinoma della mammella ha permesso anche di distinguere i diversi sottotipi istologici e di identificare un profilo, basato su un piccolo numero di geni, che si correla con l’andamento clinico. Risultati simili sono stati ottenuti nel tumore del polmone, dove è stato possibile distinguere i diversi tipi istologici, in partic. il tumore a cellule squamose, il microcitoma e l’adenocarcinoma. In quest’ultimo, a seconda degli studi, sono stati riconosciuti diversi sottogruppi, con specifiche caratteristiche morfologiche e di stadio di differenziazione. Anche in questi tumori è stato possibile identificare un gruppo di geni associati alla prognosi. Nel melanoma, la genomica ha consentito di identificare alcuni geni che sono coinvolti nei meccanismi di organizzazione del citoscheletro e della motilità cellulare, che potrebbero contribuire alla capacità di generare metastasi, suggerendo quindi che l’iperespressione di geni coinvolti nella motilità cellulare possa essere responsabile della presenza di metastasi. Alcuni di questi trascritti potrebbero rappresentare potenziali bersagli terapeutici. Anche nel tumore della prostata sono stati identificati geni che potrebbero essere utilizzati come bersagli terapeutici.