Vedi GENOVA dell'anno: 1960 - 1994
GENOVA (v. vol. III, p. 816)
Ricerche occasionali dal 1968 e scavi programmati dal 1971 nel complesso conventuale di S. Silvestro hanno messo in luce i resti dell'insediamento più antico, ubicato sul colle di Castello, che dominava l'insenatura naturale del Mandraccio, utilizzata come approdo. L'oppidum Genuae, dopo una frequentazione sporadica dell'altura dalla fine del VI sec. a.C., sorse intorno alla metà del V: a quell'epoca risale un lacerto di muro a secco in pietra locale, cui si sovrappose nel 380/370 a.C. un secondo edificio a pianta quadrangolare, caratterizzato da muri con basamento in pietra e pavimento in argilla pressata, in uso fino al 270 a.C. circa.
Il culmine della collina su cui insisteva l'insediamento, appositamente spianato, era circondato su tre lati da una cinta muraria in pietra (messa in luce in più punti) articolata su fronti terrazzate e intervallata da corpi quadrangolari. Altri resti murari e livelli d'uso databili tra V e III sec. a.C. sono stati individuati sulle pendici E e ai piedi della collina (Piazza S. Maria in Passione, S. Maria di Castello, Piazza Cavour). Nel medesimo arco cronologico è compresa la vasta necropoli, con tombe a pozzetto scavate nella marna, che occupava le contrapposte colline di S. Andrea e S. Stefano; dopo i consistenti ritrovamenti tra 1898 e 1910, altre scoperte di tombe si sono verificate nel 1959-60 e nel 1966.
Lo studio dei materiali dell'abitato e della necropoli evidenzia una marcata influenza culturale etrusca sull'insediamento di G., nel quale dovette risiedere un contingente etrusco «coloniale», come dimostrano le numerose iscrizioni onomastiche graffite e in particolare un ciottolo con iscrizione mi nemetiès, interpretato di recente come cippo di confine.
La tradizione liviana (XXVIII, 46, 7) della distruzione àtWoppidum nel 205 a.C. a opera di Magone Barca, nel corso della seconda guerra punica, è confermata dal rinvenimento di strati di distruzione per incendio che ricoprivano i resti della cinta e da livelli di spianamento e discariche. Del II sec. a.C. è un magazzino di ceramiche a S. Maria di Castello, distrutto da un incendio.
La ricostruzione della città a opera dei Romani (203 a.C.) è stata oggetto di un ampio dibattito fra gli studiosi: al centro dell'interesse è un'area del centro storico a ridosso del colle di Castello che presenta un regolare reticolato di strade medievali tuttora sostanzialmente inesplorato. Lamboglia volle leggervi le tracce di un impianto castramentale romano, mentre altri ritengono trattarsi delle conseguenze di una formazione spontanea condizionata dall'orografia e di origine preromana, oppure al contrario risalente al IX secolo. La massima espansione della città sembra essersi verificata in età augustea, mentre dal II sec. a.C. si registra una progressiva occupazione del territorio circostante per usi prevalentemente agricoli e lungo l'arco costiero con borghi marinari poi sviluppatisi in epoca tardoantica. I numerosi interventi di archeologia urbana e rinvenimenti sporadici hanno restituito tracce di edifici romani: nella chiesa delle Scuole Pie un tratto di muro e materiali in livelli di distruzione (frammenti di pavimenti in signino, tessellato e affreschi) databili nell'età repubblicana e augustea, un tratto di pavimento a mosaico bianco e nero rinvenuto in Piazza Invrea tra il 1950 e il 1952; resti di muro di età augustea con livelli associati del I e II sec. d.C. nel sottosuolo della cattedrale di S. Lorenzo. Più consistenti resti di una domus sono stati messi in luce nel 1975 e nel 1985 in Piazza Matteotti: di essa si conservano alcuni ambienti, orientati secondo il reticolato urbano, con pavimenti in opus signinum e tessellatum con scaglie policrome; l'edificio, impiantato su uno strato agricolo repubblicano in età augustea, presenta varie fasi d'uso e successive trasformazioni sino al IV secolo. Ancora di età augustea sono due epigrafi reimpiegate separatamente, con dediche a M. Vipsanio Agrippa e alla Fortuna Redux, per le quali si è ipotizzata l'appartenenza a un Cesareo in onore della gens Iulia.
Non è stato ancora affrontato criticamente lo studio dell'unica opera pubblica documentata, l'acquedotto, di cui si conservano attualmente scarsi resti e testimonianze del tracciato ancora in parte visibile fino ai primi del '900, mentre al I sec. d.C. è databile un tratto della via strata impiantata nei pressi dell'attuale Via S. Vincenzo in alternativa a un precedente percorso. A età imperiale risale un edificio in Piazza Cavour con pavimentazione in lastre di marmo e muri in mattoni e pietra ritenuto di destinazione pubblica. Dopo un periodo di probabile ristagno culturale, determinato dall'esclusione dai principali percorsi commerciali, in particolare con la costruzione della Via Iulia Augusta, dal IV sec. G., che risulta citata come unico porto del Tirreno settentrionale nell’Edictum de pretiis dioclezianeo, acquistò nuova importanza per i fecondi contatti con Milano, da cui dipendeva essendo inclusa nella Liguria annonaria. La localizzazione di varie necropoli tardoantiche (S. Vincenzo-Via Maragliano; colle di S. Andrea; Piazza della Maddalena; S. Sabina) fornisce importanti conferme sui tracciati viari, lungo i quali si formarono nuclei insediativi in concomitanza con le prime fondazioni cristiane.
Nel periodo tardoantico sono documentate attività edilizie nella zona del porto, dove si ritiene fosse ubicato anche il foro (Piazza S. Giorgio), e lungo l'arco costiero, con strutture di contenimento (Ripa). Dal 537 la città fu soggetta ai Bizantini nella circoscrizione delle Alpes Cottiae e dopo l'invasione longobarda (569 d.C.) ospitò un nucleo di esuli milanesi insediatisi nella zona di Piazza Matteotti (resti di edifici); fu caposaldo della resistenza contro Rotari e da questi distrutta nel 640 c.a (Fredegario, Chronica, IV, 71).
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