FABIA, GENTE
Antichissima stirpe patrizia romana che faceva risalire la propria origine a Ercole. Da essa prese il nome la tribù Fabia, istituita secondo la tradizione insieme con le altre tribù rustiche nel 494 a. C. Alla gente Fabia è legato il culto del primitivo dio Luperco. Ai Fabî e ai Quintilî o Quinzî appartennero sempre ed esclusivamente dapprima i dodici sacerdoti preposti a questo culto, che si collega con la leggenda delle origini di Roma e continuò a essere celebrato nelle feste dei Lupercali per tutta la repubblica e per tutto l'impero sino alla fine del sec. V. d. C. Da fodere (scavare) o fobea (fossa) e da faba (fava) gli antichi fanno derivare il nome Fabio. Fin dai primissimi tempi della repubblica i Fabî sono a capo dello stato e sono sempre stati i più celebrati fra le nobili genti romane per il gran numero di magistrature da loro ricoperte e ancor più per le loro grandi imprese di guerra e di pace. Ovidio (Fast., I, 606) riferisce che la gente Fabia si chiamò Massima per i suoi meriti. Nelle guerre contro gli Etruschi molto spesso un Fabio appare come duce dei Romani e per sette anni di seguito, dal 485 al 470, è registrato nei fasti un console Fabio. Poi per undici anni, dal 478, il nome dei Fabî scompare dai fasti e nel 477 gli annalisti pongono la battaglia del Cremera dove si dice avvenisse la strage dei 300 Fabî (v. appresso). In pieni tempi storici il cammino glorioso di questa gente s'inizia con Q. Fabio Rulliano, l'eroe delle guerre sannitiche, chiamato Massimo ed eletto console per quattro vollc (322-310-308-297). Era suo padre M. Fabio Ambusto console nel 360, 356, 354. A questo ramo appartiene Q. Fabio Massimo Verrucoso, il Temporeggiatore, console per quattro volte, censore nel 230, dittatore nel 217, il famoso avversario di Annibale. Non molto tempo dopo la guerra d'Annibale il tronco principale della gente Fabia minacciò d'estinguersi, e perciò Q. Fabio Massimo, pretore nel 180, adottò un figlio di L. Emilio Paolo che prese il nome di Q. Fabio Massimo Emiliano, e un figlio di Cn. Servilio Cepione, che si chiamò Q. Fabio Massimo Serviliano e fu console nel 142, censore nel 120. Questi due membri delle nobili stirpi degli Emilî e dei Servilî continuarono la discendenza della gente Fabia. Il ramo di Q. Fabio Massimo Serviliano si estinse presto, quello di Q. Fabio Massimo Emiliano è rappresentato ancora nell'impero da tre consoli: Paolo Fabio Massimo console nell'11 a. C., Africano Fabio Massimo console nel 10 a. C. e Paolo Fabio Persico console nel 34 d. C. Paolo Fabio Massimo fu particolarmente noto per la sua signorilità e per la sua cultura. Orazio gli dedicò un'ode (Carm., IV,1) e Augusto gli fu amico. Egli divenne anche parente dell'imperatore, sposando Marcia, figlia di L. Marcio Filippo console nel 35 a. C. e di Azia, sorella di Azia madre di Augusto. Poco dopo la gente dei Fabî si estinse.
I trecento fabî. - Trecento, o trecentosei uomini componenti la gente Fabia, furono, secondo la leggenda, sterminati dagli Etruschi alla battaglia del Cremera nel 477 a. C. (v. cremera). Dalla strage scampò soltanto un fanciullo che per l'età era rimasto a Roma, Q. Fabio Vibulano. Intorno a tutta la tradizione gli storici moderni pongono dubbî. La somiglianza del racconto pervenutoci della strage dei Fabî con quello del combattimento di Leonida e dei suoi 300 alle Termopili è evidente, ma ciò non significa che la battaglia del Cremera non sia avvenuta. Alcuni vogliono vedere nella leggenda dei Fabî una favola giuridico-morale che mostra i pericoli della guerra privata, dando soprattutto un esempio della congiura (coniuratio). Ma anche questa è una semplice congettura, perché tra la guerra privata e la coniuratio c'è molta differenza, essendo la coniuratio fatta per conto dello stato; non ha quindi nessuna relazione con la leggenda dei Fabî. È dunque da credere che l'epopea popolare abbia tramandato il ricordo d'una sconfitta realmente riportata dai Romani e che i Romani si siano realmente stabiliti presso il Cremera per impedire ai Fidenati di unirsi con i Veienti e che questi abbiano sventato il piano dei Romani. Non è certo facile spiegare perché i Fabî siano stati i promotori e gli esecutori dell'impresa, ma non è impossibile ammettere che la gente Fabia abbia tentato anche d'estendere i proprî possessi che probabilmente si trovavano in quelle vicinanze. In quanto poi alla notizia che uno solo fu il superstite, il quale soltanto dieci anni dopo ricopriva la prima magistratura dello stato, si può ritenere che in questo modo si sia voluta spiegare un'interruzione, constatabile nei Fasti, della partecipazione dei Fabî alle alte magistrature. Ma certo il superstite non fu unico, poiché non si può credere che i Fabî consoli negli anni dopo discendano tutti da questo Fahio, il quale, secondo una notizia, sposò una figlia del ricco (Otacilio Maleventano, e il figlio che doveva continuare la stirpe gloriosa ebbe il prenome di Numerio.
Bibl.: Th. Mommsen, Storia di Roma, trad. it., I, i, Torino 1902, p. 270 e seg.; F. Münzer, in Pauly-Wissowa, Real-Enc., VI, col. 1739 e seg.; id., Adelsparteien und Adelsfamilien, Stoccarda 1920, p. 224; Th. Mommsen, Röm. Forschungen, I, Berlino 1864, pp. 114, 247 seg.; K. J. Beloch, Röm. Gesch., Berlino 1926, p. 54 e segg.; G. De Sanctis, St. dei Romani, II, Torino 1907, p. 126 segg.; E. Pais, Storia critica di Roma, II, Roma 1915, p. 151 segg.; W. Kubitschek, De Romanarum tribuum origine ac propagatione, Vienna 1882, p. 12.