CAMILLA (de Camilla), Gentile
Figlio di Cattaneo di Gentile e di Peretta d'Oria, nacque nella prima metà del Quattrocento da un'illustre e nobile famiglia genovese, che sin dallo scorcio del sec. XII aveva giocato un ruolo di primo piano nella vita politica della Repubblica ligure.
Vincoli antichi e parentele anche recenti univano i Camilla alle altre illustri casate genovesi: il C. ebbe in moglie una Doria; una delle sue sorelle, Caterinetta, andò sposa a Gregorio Spinola, mentre un'altra, Ginevra, sposò Raffaele Pane.
Ai Camilla era intestato, secondo l'estimo del 1465, uno dei 32 "alberghi" della città; uno dei più piccoli, in quanto formato da soli cinque nuclei familiari, in cui quello di Gentile, tassato per lire 20 soldi 8 denari 9, è secondo in importanza dopo il fratello Filippo, tassato per lire 80. Come la maggior parte degli uomini del suo ceto, il C appare essenzialmente saggio amministratore ed equilibrato uomo di governo: alieno dalle ambizioni politiche delle famiglie "popolari", non tanto ardito da lanciarsi in imprese che andassero al di là delle normali operazioni economiche e commerciali di un uomo benestante in una città alla ricerca di nuovi equilibri, egli può considerarsi tipico esponente della solida aristocrazia che reggeva di fatto la Repubblica e ne assicurava la continuità, pur attraverso convulsi rivolgimenti politici, di quella classe, cioè, su cui poggiavano anche l'organizzazione e la potenza del Banco di S. Giorgio.
Tradizione familiare e posizione economica avviarono l'ancor giovane C., come il fratello maggiore Filippo, alle varie magistrature collegiali che reggevano il Banco e la Repubblica. Nel 1451 fu magistrato di sicurtà e correttore di costumi, e inviato anche come commissario di guerra nella Riviera Occidentale, dove si combatteva contro Giovanni I Del Carretto. Nel 1462 fece parte per la prima volta del Collegio degli anziani, e qui lo ritroviamo nel 1464, nel 1465, nel 1478, nel 1482, nel 1484. Nel febbraio 1466 venne scelto tra i ventiquattro protettori del Banco come console della colonia di Caffa, l'importante città costiera sul Mar Nero (ora Feodosija), centro di irradiazione del commercio genovese in Crimea. Per evitare le insidie àe la potenza navale turca moltiplicava lungo i percorsi marittimi, partì per la via di terra alla metà di luglio, con pochi compagni, munito di salvacondotti del pontefice Paolo II, che avrebbero dovuto facilitargli il cammino almeno attraverso i territori cristiani. Il viaggio richiedeva all'incirca quattro mesi e molte spese, per rifarsi delle quali egli ebbe dai protettori la concessione dell'Ufficio della "iagataria" delle erbe, legna e carbone di Caffa per ventisei mesi, ufficio che avrebbe potuto esercitare anche attraverso la persona di Nicolò Camilla, forse quello stesso che troviamo più tardi menzionato come suo unico figlio maschio ed erede universale. A Caffa il C. restò ventisei mesi, e per tredici fu contemporaneamente console, provvisore e massaro. Si trovò quindi ad affrontare ogni sorta di problemi: quelli posti dalla coesistenza di gruppi etnici diversi (per cui semplici violazioni dell'ordine pubblico risvegliavano antagonismi sociali e religiosi), dall'indisciplina, dall'inerzia o dalla disonestà di ufficiali genovesi (particolarmente pericolose in unacittà senza entroterra, circondata da Stati sulla cui amicizia e stabilità era impossibile contare), dal traffico clandestino di materiale bellico e dall'indebita intromissione di Genovesi nelle lotte tra i pretendenti al canato dei Tartari. Nella coloma il C. si trovava ancora nel febbraio 1469, ma le fonti riferiscono che nell'aprile 1470 egli era "nuovamente vegnuto de Capha" a Genova, portando notizie di una poderosa flotta che il sultano stava armando, della morte del vescovo eletto di rito greco Pacomio, e delle offerte di amicizia e protezione da parte del nuovo khān Mengli-Kerai.
Di nuovo a Genova tra i correttori di costumi nel 1471, il Caffa fece parte dell'ufficio di Caffa nel 1474 e nel 1475, e, dopo la caduta di quella città in mano turca, dell'ufficio di Chio. Nel dicembre, approfittando di un viaggio a Roma che egli faceva "pro rebus suis", venne incaricato di sollecitare da Sisto IV nuovi aiuti contro il sultano, la cui minaccia sembrava maggiormente incombere sull'isola, ultima colonia genovese nel Levante, proprio allora, mentre correvano voci di una tregua stipulata dai Turchi con il re di Ungheria. Nel 1480 fu inviato dal Banco come commissario in Corsica; nel 1481 fu tra i capitani di nave che, sotto la guida del cardinale Paolo Campofregoso, parteciparono alla spedizione di Otranto contro Maometto II. Proprio durante la sua assenza da Genova, l'amico Andreolo Guasco, residente in Polonia, gli scrisse ripetutamente a Genova perché convincesse la Repubblica e i protettori del Banco ad approfittare della crisi ottomana, seguita alla morte del sultano, per riconquistare le colonie del Mar Nero. Pressioni in questo senso furono compiute anche presso Mengli-Kerai, che prometteva tutto il suo appoggio e chiedeva insistentemente notizie del C. "quem nimis diligit et patrem vocat". Non se ne fece poi nulla, e nel 1482 il C. fu di nuovo inviato come commissario nella zona di Massa che i Genovesi speravano di riconquistare, dopo la morte di Iacopo Malaspina; nel 1483 fu tra i protettori del Banco e dell'Ufficio di moneta. Dall'agosto all'ottobre 1484 fu commissario per il Banco a Lerici e in Lunigiana, per seguire da vicino le operazioni di guerra contro i Fiorentini intorno a Sarzana e a Pietrasanta, e vi tornò nel 1487, poco prima della resa di Sarzana. Nell'agosto del 1490 fu dei quattro deputati "super rebus Corsice"; nel 1492 e nel 1493 governatore dell'isola. Sembra che questa sia stata l'ultima carica di rilievo da lui ricoperta, carica che non mancò di procurargli amarezze, specie per la violenta opposizione che suscitò l'opera del suo vicario, Giacomo de' Fornari, delle cui azioni il C. fu ritenuto responsabile. Egli non dovette però abbandonare la vita pubblica, se ancora nel 1499 era dei boni viri (tra i medii nobiles nigri)che ebbero tanta parte nel passaggio della Repubblica al dominio francese.
Morì tra l'agosto 1503 e il febbraio 1504, lasciando, oltre al figlio Nicolò, suo erede universale, tre figlie: Pacifica, monaca nel monastero di S. Chiara, di cui i Camilla avevano il patronato, Serafina e Pietra, monache nel monastero di S. Paolo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Materie Politiche, Instructiones et Relationes 2707B, n. 59; Ibid., Antico Comune n. 612: Focagiorum 1465, c. 20v;Ibid., Notaio G. Loggia, cart. n. 5, docc. n. 172, 383, 405, 406; cart. n. 6, docc. 396, 420, 424; Ibid., Archivio del Banco di S. Giorgio, Officium Corsice n. 2, cc. 18v, 283; Ibid., ibid., Colonne, cart. C, subvoce "Cattarineta filia quondam Cattanei de Camilla" dall'anno 1485al 1503, per la vertenza che oppose Filippo e Gentile Camilla, dopo la morte di Caterinetta, al marito di lei; Genova, Bibl. Franzoniana, F. Federici, Abecedario delle famiglie nobili genovesi (ms. del sec. XVIII); A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, II, Genova 1854, pp. 481, 538, 547; A. Vigna, Codice diplomatico delle colonie Tauro-Liguri durante la signoria dell'Ufficio di S. Giorgio, in Atti della Soc. ligure di storia patria, VII, 1 (1871), pp. 379-674; 2 (1879), pp. 778-779(su cui vedi anche M. Małowist, Kaffa, Kolonia genuénska na Krymie i problem wsclodni w latach 1453-75, Warszawa 1947, p. 269);G. Grasso, Doc. riguardanti la costituzione di una lega contro il Turco nel 1481, in Giorn. ligustico di archeol., storia e belle arti, VI (1879), pp. 345-350, 380 s., 419 s., 426;L.-G. Pelissier, Documents pour l'histoire de l'établissement de la domination française à Gênes (1498-1500), in Atti della Soc. ligure di st. patria, XXIV (1892), p. 359; C. Bornate, La guerra di Pietrasanta (1484-1845) secondo i docc. dell'Arch. genovese, in Misc. di storia italiana, L (1922), pp. 155-171, 199-201;Id., Genova e laCorsica alla fine del Medioevo, Milano 1940, pp. 9, 40, 57;Ph. Argenti, The occupation of Chios by the Genoese and their administration of the Island. 1346-1566, Cambridge 1958, I, p. 227, p. 447.