Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Tra gli artisti la cui carriera abbraccia il passaggio tra il Trecento e il Quattrocento Gentile da Fabriano si fa interprete dello stile di corte nell’Italia centro-settentrionale. La sua opera si impone come paradigma del gotico internazionale nella declinazione delle forme nonché nelle continue sperimentazioni tecniche.
Gentile da Fabriano è un artista itinerante che, a partire dalla sua giovanile formazione lombarda, ha la possibilità di entrare in contatto con ambienti ed esperienze che ne arricchiscono il linguaggio figurativo. Ma più spesso è la sua personale e delicatissima rilettura del mondo reale, tradotto nei termini di un’eleganza rarefatta, a suscitare una meditazione appassionata e cosciente. Ne è prova la fortuna di cui gode a Venezia, nell’entroterra veneto e nelle Marche. Decisivo anche il suo contributo alla formazione di artisti più giovani come Jacopo Bellini che con Gentile lavora probabilmente a Brescia e che accompagna il maestro a Firenze. Le sue due maggiori imprese ad affresco a Palazzo Ducale a Venezia e a San Giovanni in Laterano a Roma, perdute, lo vedono lavorare fianco a fianco con Pisanello al quale lo unisce l’interesse per una minuziosa e lenticolare indagine del reale. Il naturalismo in Gentile è sempre declinato in forme ritmicamente complesse e la sua produzione su tavola, dal polittico di Valleromita alla pala Strozzi, ci rivela un artista continuamente alla ricerca di inedite soluzioni formali, sostenute da un virtuosimo tecnico che gareggia con la contemporanea produzione orafa.
Figlio di Niccolò di Giovanni di Massio, Gentile nasce a Fabriano intorno al 1370. In giovane età deve allontanarsi dalla sua città, verso la corte di Gian Galeazzo Visconti. Forse il giovane pittore giunge a Pavia per tramite di Chiavello Chiavelli, signore di Fabriano e familiare di Gian Galeazzo.
Una sua formazione lombarda pare oggi, alla luce degli studi più recenti, la sola capace di spiegarne certe raffinatezze di stile e di tecnica, a partire dalla piccola ancona giovanile con la Madonna, il Bambino e i santi Francesco e Chiara (Pavia, Museo Malaspina) che vanta una prestigiosa committenza. Essa proviene infatti dal monastero pavese di Santa Chiara la Reale, una fondazione viscontea voluta dalla madre di Gian Galeazzo, Bianca di Savoia. Vi si ravvisano certe preziosità orafe nella granitura della foglia d’oro in linea con le sperimentazioni già avviate in pittura da Michelino da Besozzo. E il contatto con gli artisti di corte, in particolare con Giovannino de’ Grassi dell’offiziolo Visconti, indirizza il giovane Gentile verso una più acuta e minuziosa resa del vero, la stessa che si ritrova anche nella tavoletta dei Musei statali di Berlino con la Madonna con il Bambino tra i santi Caterina e Nicola, con il committente, forse Ambrogio di Bonaventura, inginocchiato.
L’improvvisa scomparsa di Gian Galeazzo nel 1402 segna una battuta d’arresto non solo per l’ambizioso progetto egemonico visconteo ma anche per la vita stessa della città, con innegabili contraccolpi per gli artisti che nella corte e nel duca avevano interlocutori importanti. Non sorprende quindi vedere artisti come Michelino da Besozzo e lo stesso Gentile lasciare la Lombardia per cercare lavoro in laguna. Gli anni veneziani del maestro sono altrettanto ricchi di opere e di incontri. Gentile è documentato a Venezia nel 1408, ma è probabile vi sia giunto prima. Risiede presso Santa Sofia ed è regolarmente iscritto alla scuola di San Cristoforo dei mercanti. Sono documentati lavori per le famiglie Amadi e Sandei.
In quegli anni veneziani si colloca la Madonna con il Bambino della Galleria Nazionale di Perugia, proveniente dalla locale chiesa di San Domenico, una tavola nella quale Gentile coniuga il naturalismo dei suoi primi anni lombardi con la tradizione veneziana rappresentata soprattutto da Paolo e Lorenzo Veneziano. La soluzione prospettata da Gentile è davvero inedita: egli declina il tema della Madonna con il Bambino, regalmente seduta su un trono di verzura, con il tema dell’umiltà e dell’ hortus conclusus, mentre angioletti musicanti intonano il Regina coeli leggendone le note da un cartiglio che si srotola elegante ai piedi della Vergine. Tre coppie di angeli sono graniti sulla foglia d’oro accanto alla Vergine, una soluzione che conferma l’interesse radicato in Gentile per le sperimentazioni tecniche e che rivela in lui un’attenzione ai modelli della contemporanea produzione orafa parigina. La tavola di Perugia costituisce poi l’archetipo per un’altra tavola, purtroppo in uno stato di conservazione non buono, oggi al Metropolitan Museum di New York, anch’essa realizzata in questi anni veneziani. Perduti invece sono gli affreschi eseguiti in Palazzo Ducale a Venezia, nella sala del Maggior Consiglio, in collaborazione con Pisanello, mentre non è esclusa una partecipazione alla stessa impresa di Michelino da Besozzo. Il ciclo illustrava le storie di Alessandro III e Federico Barbarossa e ed è noto solo da alcuni disegni di Pisanello, oggi al Louvre.
Pochi frammenti sono giunti fino a noi di un altro ciclo ad affresco dipinto da Gentile a Brescia per Pandolfo III Malatesta, nella cappella di San Giorgio presso il Broletto.
Il fatto di risiedere a Venezia non impedisce a Gentile di lavorare a commissioni al di fuori del contesto lagunare. Nasce in questi anni una delle opere più note, il polittico per l’eremo marchigiano di Valleromita. Il piccolo eremo di Santa Maria di Valdisasso, affidato ai Francescani zoccolanti, era divenuto oggetto delle attenzioni del signore di Fabriano, Chiavello Chiavelli, già mentore di Gentile, che lo aveva scelto quale luogo per la propria sepoltura.
Il polittico rimane nella chiesetta dell’eremo fino alle spoliazioni napoleoniche (1811), in seguito viene destinato alle collezioni dell’attuale Pinacoteca di Brera a Milano. L’opera, priva della cornice originale, manca della cimasa centrale, identificata con qualche dubbio nella tavoletta con la Crocifissione recentemente acquisita dalla pinacoteca milanese. Il pannello centrale presenta Cristo che incorona la Vergine, accolti dall’abbraccio di Dio Padre che appare tra rossi serafini, mentre la colomba dello Spirito Santo aleggia sul fondo dorato tra le due figure della Madre e del Figlio. Assistono all’evento alcuni santi, rappresentati su zolle erbose e fiorite nei pannelli laterali, mentre in un secondo registro le tavolette presentano una sequenza di storie. Il tema veneziano della Incoronazione della Vergine, che evoca il celebre modello di Guariento di Arpo (documentato dal 1338 al 1370) in Palazzo Ducale, è svolto in termini di una linearità purissima, risolta in eleganze di segno e di colore. Sul cielo stellato nella tavola centrale, tra un sole dorato a pastiglia e una luna argentea, si legge la firma del pittore in caratteri gotici: Gentilis de Fabriano pinxit.
Il ritrovamento e la recente pubblicazione del cosiddetto taccuino Coltellini hanno sollevato nuovamente il problema dell’autografia degli affreschi in Palazzo Trinci a Foligno. Il taccuino, conservato in collezione privata, raccoglie una serie di appunti e schizzi sul palazzo di mano di un erudito settecentesco, Ludovico Coltellini.
Dalle note dello studioso veniamo a conoscenza dell’esistenza di due atti di quietanza, oggi perduti, rogati dal notaio di Foligno Giovanni Germani a favore di Gentile da Fabriano. Il ricordo settecentesco di Coltellini sembrerebbe parlare a favore di un’attribuzione a Gentile delle pitture di Palazzo Trinci, una soluzione che è però contraddetta dalla qualità dei dipinti, in passato attribuiti a Lello da Velletri (attivo nel 1430) e Pellegrino di Giovanni. Gli echi gentiliani che si ravvisano negli affreschi possono comprendersi in riferimento a questi artisti, così come la menzione di Gentile nei documenti di pagamento deve intendersi non come prova di un intervento diretto del maestro quanto di un suo coinvolgimento in veste di supervisore del cantiere, secondo un’organizzazione propria della bottega medievale che non disdegna di affidare ad altri l’esecuzione in tutto o in parte del lavoro. Tra l’altro in questi stessi anni Gentile risiede a Venezia, e non è improbabile che il suo apporto all’impresa sia da misurarsi solo nella predisposizione di disegni e modelli.
Gentile giunge a Firenze nell’ottobre 1419, per incontrare papa Martino V allora residente in città presso il convento domenicano di Santa Maria Novella. È uno tra i soggiorni più lunghi del maestro, con una breve parentesi fabrianese, documentata tra il 23 marzo e il 6 aprile 1420, entro la quale si colloca lo stendardo a doppia faccia con le Stimmate di San Francesco della Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo e l’Incoronazione della Vergine del John Paul Getty Museum di Los Angeles. Al seguito di Gentile si contano ben otto persone, come si evince dal salvacondotto che il maestro ottiene per il suo viaggio da Pandolfo III Malatesta. Lo accompagnano alla volta di Firenze, Michele Pannonio e uno Jacopo da Venezia, probabilmente Jacopo Bellini.
Palla Strozzi, esponente di spicco della borghesia fiorentina, lo sceglie subito per la pala da destinarsi alla cappella di famiglia nella chiesa di Santa Trinita. Il dipinto, oggi conservato agli Uffizi, immagina il ricco e variopinto corteo dei Magi che si snoda in un paesaggio di castelli e boschetti fino alla grotta di Betlemme, dove un vivace e piccolo Gesù in braccio alla madre si sporge a benedire con la sua manina il più anziano dei re, inginocchiato ai suoi piedi. È una parata solenne e festosa, introdotta dai tre Magi, abbigliati con una ricercatezza davvero inusitata. E Gentile ancora una volta si diverte a giocare con l’oro e con i colori, accompagnando il racconto con osservazioni dal vero: un falco, una scimmia, una battuta di caccia. Nei pilastri che chiudono all’esterno la pala si vedono serti di fiori e foglie, dipinti con perizia da botanico. Nella predella dove sono accostate la Natività, la Fuga in Egitto e la Presentazione al tempio, quest’ultima sostituita da una copia poiché l’originale si trova al Louvre, il maestro si cimenta con sperimentazioni come in quel sorprendente notturno, appena squarciato dalla luce che promana dall’angelo che sorprende i pastori nella notte della Natività.
Il polittico per la famiglia Quaratesi, anch’esso agli Uffizi, ad eccezione della tavola centrale con la Madonna con il Bambino nelle collezioni reali inglesi, era completato da una predella con Storie di san Nicola, ora dispersa in vari musei. Un tempo sull’altar maggiore di San Niccolò oltrarno, il polittico recava sulla cornice perduta la data 1425. Nell’impaginazione più solenne e composta dei santi si misura la distanza dal polittico di Valleromita e l’avvenuta maturazione di Gentile sulle novità proposte in area fiorentina in un decennio che vede operare, accanto al Ghiberti (1381-1455), Masolino da Panicale e il giovane Masaccio. Un altro polittico per la chiesa di San Niccolò oltrarno, recuperato dopo un intelligente restauro, presenta una scelta iconografica piuttosto particolare, che affianca alla centrale Deesis la Resurrezione di Lazzaro, i santi Cosma e Damiano, Ludovico d’Angiò e Bernardo con una probabile destinazione ad una cappella funeraria, forse originariamente nell’oratorio fiorentino di San Salvatore in Monte.
Due brevi viaggi a Siena sono documentati nell’estate del 1424 e 1425. L’affresco che Gentile realizza in quell’occasione in piazza del Campo è purtroppo perduto.
A Roma Gentile giunge dopo una breve sosta a Orvieto, il tempo di realizzare l’affresco con la Madonna con il Bambino che ancora oggi possiamo vedere nella cattedrale.
Nella città dei papi lo attende però un incarico ben più impegnativo. Si tratta di un ciclo di affreschi per la navata della chiesa di San Giovanni in Laterano, un’impresa che purtroppo non riesce a portare a termine e che rimane allo stato di abbozzo. Gentile infatti muore tra i mesi di agosto e settembre 1427. I dipinti, di cui sopravvivono solo alcuni frammenti decorativi e la testa del profeta Davide (Museo Cristiano della Biblioteca Vaticana), già compromessi alla metà del Quattrocento, vengono cancellati nel Seicento dai rifacimenti in stucco del Borromini, che ci ha lasciato tuttavia in un disegno, oggi a Berlino, un rilievo dettagliato sul quale è possibile leggere la composizione di Gentile. Il pittore trova sepoltura presso la chiesa romana di Santa Maria Nuova. Un disegno seicentesco nelle collezioni della Royal Library a Windsor riproduce la lastra tombale di Gentile, vestito di una lunga tunica abbottonata, con lo stemma del suo casato.