GENTILE da Montefiore (Gentilis de Monteflore)
Originario di Montefiore dell'Aso, nei pressi di Ascoli Piceno, dovette nascere poco dopo la metà del secolo XIII. Non è noto quando entrò nell'Ordine francescano, né dove abbia compiuto i suoi studi. Secondo alcuni studiò teologia a Parigi nell'ultimo decennio del duecento (Creytens, Ritzler); definito da Bartolomeo Pisano "excellens magister in theologia" (De conformitate, p. 338), G. fu penitenziere papale e lettore presso la Curia romana.
I suoi legami con le Marche non vennero comunque mai meno: stando al Wadding (Annales, V, p. 132), nel 1292 G. fece costruire, nella chiesa di S. Francesco di Fabriano, una cappella dedicata a S. Giovanni Battista.
Ormai cardinale, un documento del 10 febbraio 1308 lo ricorda come "potestas communis Montisflorum ad vitam" e autore degli statuti del Comune stesso. Nella stessa occasione G. è detto "potestas ad vitam" anche del vicino Comune di Ripatransone e, pur non comparendo esplicitamente come autore degli statuti, è lui che li approva "in camera palacii communis" (Arch. Segr. Vaticano, A.A., Arm. C 389, c. 4r).
Nel corso del pontificato di Bonifacio VIII fu eletto, il 2 marzo 1300 in terza promozione, cardinale con il titolo di S. Martino ai Monti. Nel luglio di quello stesso anno il pontefice affidò a G. e al domenicano Niccolò di Boccassio, cardinale vescovo di Ostia e Velletri, il compito di regolamentare la distanza tra i conventi dei frati predicatori e dei frati minori esistenti nelle città, ponendo così fine a un problema che costituiva un motivo continuo di lite tra i due ordini. La decisione presa dai due ecclesiastici, pubblicata ad Anagni il 28 luglio 1300, sarebbe stata ratificata alla fine del 1303 proprio da Niccolò, eletto quello stesso anno papa con il nome di Benedetto XI (22 ottobre).
Coinvolto anche nella politica beneficiale pontificia, G. emerge dai registri come prelato di prestigio, capace di efficaci pressioni in Curia. Il 25 luglio 1301 G. era ad Anagni, dove si trovava la corte papale, quando alla sua presenza venivano conferiti un decanato e un canonicato della cattedrale di Bratislava a suo nipote Gualtiero, figlio naturale di Rainaldo di Montefiore, nonostante il "defectum ordinum et aetatis" (Les registres de Boniface VIII, n. 4117). Nel 1302 ricopriva in Curia l'incarico di penitentiarius maior (ibid., n. 4664) mentre alla fine del 1303 partecipava, in due differenti occasioni, al conferimento della licentia docendi al francescano Alessandro Bonino da Alessandria (29 novembre) e a Giacomo dell'Orto degli eremitani di S. Agostino (17 genn. 1304, cfr. Creytens, pp. 28 s.).
Egli fu dunque fedele sostenitore di Bonifacio VIII e collaboratore di Benedetto XI, alla cui elezione papale partecipò. Alla morte di questo (7 luglio 1304) G. non sostenne, nel corso del conclave tenutosi a Perugia, la candidatura del cardinale Bertrand de Got, eletto papa con il nome di Clemente V (5 giugno 1305). Nel corso del suo viaggio verso Lione, dove Clemente V fece radunare i cardinali per essere incoronato (14 novembre), G. si fermò a Firenze e a Lucca, raggiungendo la Curia solo nel gennaio 1306.
Con una bolla di Clemente V datata Poitiers 8 ag. 1307, G. assunse le funzioni di legato apostolico in Ungheria, svolte a suo tempo da Niccolò di Boccassio; in qualità di legato, G. si vide riconoscere una giurisdizione che si estendeva anche sulla Polonia, la Croazia, la Serbia, la Galizia. Clemente V aveva deciso infatti di riprendere nei confronti dell'Ungheria la politica diplomatica già avviata dai suoi predecessori con l'intento di portare sul trono di Ungheria un principe della casa d'Angiò.
Alla morte di Ladislao IV (avvenuta il 10 luglio 1290), unico diretto discendente maschio della dinastia Árpád era rimasto Andrea, detto il Veneziano figlio di Stefano, a sua volta figlio di Andrea II (morto nel 1235) e di Beatrice d'Este. Andrea venne incoronato il 28 luglio 1290, ma il titolo di re d'Ungheria fu rivendicato anche dal duca di Baviera Ottone Wittelsbach e da Venceslao II re di Boemia, rispettivamente nipote e pronipote di Béla IV, primogenito di Andrea II. All'incoronazione di Andrea si opposero anche i regnanti di Napoli Carlo II d'Angiò con la moglie Maria Árpád (sorella del defunto Ladislao IV) che rivendicarono il trono per Carlo Roberto, o Caroberto, figlio del loro primogenito Carlo Martello (morto nel 1295). L'imperatore Rodolfo d'Asburgo inoltre, in base ai suoi diritti feudali sul trono magiaro, l'aveva formalmente concesso al figlio Alberto, duca d'Austria. Già Niccolò IV aveva però protestato nei confronti di tali pretese imperiali, rivendicando invece i diritti della Chiesa di Roma sulla successione ungherese. Nella primavera del 1300, quando era ancora vivo Andrea (III), che aveva il sostegno di tutto l'alto clero e della nobiltà, Giorgio Subich in nome dei baroni filoangioini invitò Caroberto a occupare il trono magiaro. Messosi dunque in viaggio, il principe giunse a Spalato nell'agosto 1300 e poi a Zagabria, dove nel 1301 arrivò la notizia della morte di Andrea. Affrettatosi quindi verso Esztergom, Caroberto fu lì incoronato dall'arcivescovo Gregorio Bicskei.
Nota B. Hóman (p. 101) che la cerimonia dell'incoronazione non si svolse secondo le norme ecclesiastiche e consuetudinarie che regolavano da secoli l'ordine e le formalità dell'incoronazione dei re ungheresi, in quanto non vi fu la generale adunata degli ordini e del popolo ma solo "l'assemblea armata di una fazione". Eccetto alcuni baroni dell'Ungheria meridionale e l'arcivescovo Gregorio che seguivano le fortune dell'Angioino, i Magiari sostenevano Venceslao, figlio di Venceslao II di Boemia, che fu eletto re il 26 ag. 1301; suoi principali sostenitori erano stati Giovanni arcivescovo di Colocza e tutti i partigiani di Andrea il Veneziano tra i quali il potente conte palatino di Trencsén, Máté Csák. Successivamente, la fazione filoangioina, riunitasi il 10 ott. 1307 nei pressi del fiume Rákos vicino a Pécs, giurò fedeltà a Caroberto riconoscendolo come re d'Ungheria. A tale progetto mancava però ancora il sostegno di importanti rappresentanti del Regno quali il voivoda di Transilvania Ladislao Apor, il bano Arrigo, il già ricordato Máté Csák e buona parte del clero ungherese che continuava a vedere in Caroberto un usurpatore.
Fu a questo punto che la diplomazia pontificia intervenne inviando come legato G. che, riprendendo il progetto di Niccolò di Boccassio, riuscì a essere il reale artefice del disegno papale e del passaggio dinastico. G. lasciò dunque la Curia il 19 ott. 1307 per recarsi in primo luogo a Napoli, dove si incontrò con Carlo II e con la regina Maria d'Ungheria. In seguito dovette risalire l'Italia centrale giungendo, il 15 dicembre, a Bologna (Ghirardacci); il 28 apr. 1308 s'imbarcò per la Dalmazia giungendo a Spalato circa un mese più tardi. Dopo essersi occupato di questioni ecclesiastiche locali, tre mesi dopo G. ripartì verso Zagabria, dove arrivò ai primi di settembre e dove lo attendeva Caroberto con la sua corte. Con il re G. partì per l'Ungheria, dove, almeno dal 14 novembre, fu ospite del convento dei domenicani di Pécs "ultra Danubium ex opposito… castri" (Fejér, n. 133). G. si occupò innanzitutto del clero, di cui solo una parte era stata riportata all'ubbidienza a Roma da Niccolò di Boccassio. Per completare l'opera del suo predecessore, egli ebbe dal pontefice l'autorizzazione di riservare a sé l'assegnazione dei benefici canonicali, specie quelli che davano proventi superiori ai 10 marchi d'argento; come legato inviò inoltre speciali commissari per controllare la vita spirituale dei monaci.
Oltre a riordinare e disciplinare il clero (come attestano i numerosi documenti editi negli Acta legationis), G. condusse la sua opera di persuasione tra i nobili del Regno. Poiché la ricordata assemblea del 10 ott. 1307 non aveva raggiunto l'unanimità dei consensi, G. convocò una nuova assemblea che egli definì concilio e a cui vennero chiamati, oltre alla nobiltà, anche gli esponenti dell'episcopato e del clero ungheresi. Uno degli avversari più potenti del re era il conte palatino Máté Csák, il cui potere si estendeva dai Carpazi all'Ungheria nordoccidentale e fino al Danubio (12 comitati e più di 40 castelli). Proprio per incontrare Máté Csák, alla fine di ottobre G. si era recato con il re a Buda da dove aveva inviato subito messi al conte palatino convocandolo nella città danubiana. Avendone però ricevuto risposta negativa, G. si recò personalmente a Kékes, vicino a Viségrád, dove il 10 novembre incontrò Csák. Qui riuscì a ottenere l'alleanza del conte che in quell'occasione si sottomise al legato e alla Chiesa di Roma, impegnandosi a sostenere il re Caroberto. G. trattò inoltre con il voivoda di Transilvania, Ladislao, che decise di partecipare al concilio. L'assemblea, o concilio generale, fu riunita dal 27 novembre al 3 dic. 1308 presso il convento dei domenicani di Pécs. Máté Csák e il voivoda Ladislao si fecero rappresentare da una delegazione, mentre gli altri notabili del Regno, laici ed ecclesiastici, intervennero personalmente. Presieduto dal legato che vi pronunciò un solenne sermone, il concilio approvò importanti provvedimenti per ristabilire l'ordine del Regno e la disciplina del clero, e furono stilati in un documento solenne numerosi capitoli che trattavano delle condizioni generali del paese e della legittimità dell'elezione di Caroberto in conformità con le antiche consuetudini del paese. Pene severe vennero stabilite contro coloro che si fossero rifiutati di riconoscerlo. Il concilio si concluse dunque con la conferma del re eletto Caroberto. L'avvenimento fu registrato in un pubblico documento, redatto da due notai al seguito di G., Giovanni da Pontecorvo e Guglielmo di Sanguinetto, e inviato a Roma (Acta legationis, pp. 115-119).
Quindi, insieme con il diritto dei signori ungheresi di eleggere il re, il concilio di Pécs riconobbe di fatto alla Sede pontificia il diritto di conferma dell'elezione e di consacrazione del re attraverso l'incoronazione; solo successivamente, però, a causa di ulteriori resistenze da parte del voivoda di Transilvania Ladislao, Caroberto poté, il 20 ag. 1310, essere incoronato re, per mano dell'arcivescovo di Esztergom e alla presenza di G. e di tutti gli ordini del Regno. Solo il conte palatino Máté Csák si oppose all'ascesa degli Angiò al trono di Ungheria e fu perciò scomunicato nel 1311. In risposta a tale iniziativa Csák marciò su Buda l'anno successivo, ma la sua armata venne distrutta nella battaglia di Rozgony, ponendo così fine ai suoi progetti egemonici. G. rimase in Ungheria ancora un anno dopo l'avvenuta incoronazione, lasciando l'Ungheria ai primi di settembre del 1311: oltre alla legittimazione dell'elezione di Caroberto, che assunse nell'occasione il titolo di Carlo I d'Angiò, G. aveva operato per la difesa della proprietà ecclesiastica e del clero, rinnovando le ordinanze stabilite a suo tempo dal suo predecessore. Le spese fatte da G. e dalla sua corte (composta di 25 dignitari) durante la missione diplomatica in Ungheria furono ingenti, come tramanda un frammentario documento redatto in volgare ed edito negli Acta legationis (pp. 416-464). Tali spese furono sostenute grazie ai proventi versati dal clero secolare e regolare della Dalmazia, dell'Ungheria, della Polonia, non senza contestazioni nei confronti dell'esosità delle esazioni, per un totale di circa 8000 marchi o 32.000 fiorini d'oro. Tornato G. in Italia, Clemente V ricorse di nuovo alla sua esperienza affidandogli il trasporto del tesoro pontificio rimasto in Italia e conservato ad Assisi presso il sacro convento, dopo la partenza della Curia per Avignone.
Nel corso del trasferimento del tesoro, G. morì a Lucca il 27 ott. 1312. La sua partecipazione al concilio di Vienne, dove avrebbe difeso la memoria di Bonifacio VIII (Wadding, Annales, VI, p. 224), è stata posta in dubbio dalla storiografia (Baluze, Müller). Il suo corpo fu in seguito traslato ad Assisi per essere sepolto nella cappella di S. Ludovico, fatta erigere dallo stesso G. insieme con quella di S. Martino, all'interno della basilica inferiore di S. Francesco. Un suo ritratto eseguito poco tempo dopo da Simone Martini è conservato nella parete d'ingresso di quest'ultima cappella.
Fonti e Bibl.: Bartholomaeus de Pisa, De conformitate vitae beati Francisci…, in Analecta franciscana, IV, Ad Claras Aquas 1906, pp. 338, 345, 512; C. Ghirardacci, Dell'historia di Bologna, parte prima, Bologna 1596, p. 508; L. Wadding, Scriptores Ordinis minorum, Romae 1650, p. 145; O. Raynaldus, Annales ecclesiastici ab anno 1198…, IV, Lucae 1749, pp. 449A-451A; Supplementum et castigatio ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci, a cura di G. Sbaraglia, I, Roma 1908, p. 320; L. Wadding, Annales minorum…, Quaracchi 1931, V, pp. 132, 447; VI, pp. 114-116, 220, 224; Codex diplomaticus Hungariae ecclesiasticus ac civilis, a cura di G. Fejér, VIII, 1, Buda 1852, nn. 131, 133; Vetera monumenta historica Hungariam sacram illustrantia, I, 1216-1352, a cura di A. Theiner, Roma 1859, pp. 415-417, 423-441, 449, 819, 829; Les registres de Benoît XI…, a cura di Ch. Grandjean, Paris 1883, s.v. Gentilis de Montefloris; Les registres de Boniface VIII…, a cura di G. Digard [e altri], Paris 1884-1934, s.v. Gentilis cardinalis S. Martini in Montibus; Regestum Clementis papae V… cura et studio monachorum Ordinis s. Benedicti, Romae 1885-88 (cfr. Tables des registres de Clément V, a cura di R. Lanhers - R. Fawtiers, Paris 1948, s.v. Gentilis de Montifloris); Acta legationis cardinalis Gentilis, a cura di L. Fejérpataky, in Monumenta Vaticana historiam regni Hungariae illustrantia, series I, II, Budapest 1885; Acta Aragonensia. Quellen zur deutschen, italienischen, französischen, spanischen, zur Kirchen und Kulturgeschichte aus der diplomatischen Korrespondenz Jaymes II. (1291-1327), a cura di H. Finke, III, Berlin-Leipzig 1922, pp. 128-130, 134-138; É. Baluze, Vitae paparum Avenionensium, a cura di G. Mollat, II, Paris 1928, pp. 41-43; B. Kleinschmidt, Die Basilika S. Francesco in Assisi, I, Berlin 1915, pp. 33 fig. 23, 121 s., tav. XXIII; E. Müller, Das Konzil von Vienne 1311-1312, Münster 1934, pp. 73, 187; E. Horn, La mission diplomatique d'un franciscain, in Études franciscaines, XXXVII (1925), pp. 405-418; B. Hóman, Gli Angioini di Napoli in Ungheria (1290-1403), Roma 1938, pp. 110-115; R. Creytens, Le "Studium Romanae Curiae" et le maître du Sacré Palais, in Archivum fratrum praedicatorum, XII (1942), pp. 28 s., 56-58; U. Betti, I cardinali dell'Ordine dei frati minori, Roma 1963; R. Ritzler, I cardinali e papi dei frati minori conventuali, in Miscellanea francescana, LXXI (1971), pp. 18-20; J. Gardner, A double tomb in Montefiore dell'Aso and cardinal G., in Acta historiae artium, XXV (1979), pp. 15-25; C. Eubel, Hierarchia catholica…, I, Monasterii 1913, p. 12; Rep. fontium hist. Medii Aevi, II, p. 109; Dict. d'histoire et de géogr. ecclésiastiques, XX, coll. 506 s.