SANGRO, Gentile
di. – Figlio cadetto di Matteo (signore di Anversa e di altri feudi abruzzesi) e di Candola di Barbarano, nacque presumibilmente poco prima del 1340. Non si conosce il luogo di nascita.
Dopo la morte del padre, nella prima metà del 1347, fu affidato insieme con i fratelli Giovanni, Rinaldo, Nicola e Ugo, alla tutela del miles Gentile di Gordiano, degli zii paterni Giovanni e Tommasa, vedova di Giovanni di Sully e suocera di Napoleone Orsini conte di Manoppello, e della madre. Un altro zio paterno, Francesco, fu vescovo di Valva dal 1343 al 1348.
Di Sangro fu avviato alla carriera ecclesiastica e agli studi giuridici: l’11 marzo 1369 compare, con il titolo di magister, come notaio papale, ovvero funzionario minore della cancelleria pontificia, e arcidiacono della chiesa di Reyna, nella diocesi di Siviglia; il 6 agosto dello stesso anno, a Bologna superò l’esame privato in diritto canonico, presentato da Fernando Alvarez de Albornoz, vescovo eletto di Lisbona, e da Giovanni da Legnano, uno dei principali canonisti dell’epoca.
Nei tormentati mesi centrali del 1378 restò fedele a Urbano VI e, in occasione della prima promozione cardinalizia fatta da papa Prignano il 18 settembre del 1378, pochi giorni prima dell’elezione dell’antipapa Clemente VII, fu nominato cardinale diacono del titolo di S. Adriano. Il 15 dicembre successivo fu chiamato dal papa, insieme con altri tre cardinali, a far parte della commissione incaricata di indagare sulla vita e sui miracoli di Brigida di Svezia e nel corso del 1379 raccolse ed esaminò le testimonianze per avviare il processo di canonizzazione della mistica svedese.
Il 1° giugno 1381 fu presente al giuramento di fedeltà alla Chiesa prestato nella basilica di S. Pietro da Carlo di Durazzo e sottoscrisse come testimone gli impegni assunti dal principe; quindi, come legato pontificio, lo accompagnò nell’impresa che portò alla conquista del Regno, con il compito di ridurre all’obbedienza i prelati meridionali schieratisi – con la regina Giovanna I d’Angiò – dalla parte di Clemente VII. Il 16 luglio 1381 entrò in Napoli con il nuovo re e si prodigò per far arrestare e deporre gli ecclesiastici di obbedienza avignonese e per far confiscare i loro beni che furono ridistribuiti ai sostenitori di Urbano VI e di Carlo III di Durazzo; le epurazioni raggiunsero il culmine nel settembre del 1381, quando di Sangro, alla presenza del re e di un gran numero di baroni e di ecclesiastici napoletani, fece bruciare nella chiesa di S. Chiara le insegne cardinalizie di Giacomo d’Itri e Leonardo di Giffoni, rimasti al fianco della regina per sostenere le ragioni di Clemente VII, e li costrinse a riconoscere Urbano VI come papa legittimo.
Il 25 novembre dello stesso anno, durante una solenne cerimonia celebrata nella chiesa napoletana dell’Incoronata, pose la corona sul capo della regina Margherita di Durazzo. Nel gennaio successivo fece trasferire nel castello di Anversa degli Abruzzi, feudo della sua famiglia, gli esponenti più in vista dell’obbedienza avignonese precedentemente arrestati: i citati cardinali Giacomo d’Itri e Leonardo di Giffoni, il vescovo di Chieti Tommaso Brancaccio e Stefano Migliarisi, che era stato reggente della Magna Curia della Vicaria negli ultimi anni di regno di Giovanna I; quindi, il 13 febbraio 1382, lasciò Napoli per raggiungere Benevento.
La città, affidata da Urbano VI al governo del nipote Francesco Prignano, era stata occupata da Guglielmo di Lagonessa, con il quale il nuovo rettore aveva concluso un accordo che non fu ratificato dal pontefice. Quest’ultimo incaricò il cardinale di Sangro di occuparsi della vicenda e di costringere Lagonessa a sciogliere il nipote dagli obblighi derivanti da un giuramento che, secondo il papa, era stato estorto.
Nel marzo successivo, Urbano VI ordinò a Gentile di collaborare con i cardinali Bartolomeo Mezzavacca, Nicola Moschino e Ludovico Donati, inviati a Napoli per chiedere al re il rispetto degli accordi e, in particolare, di procedere con la concessione dei feudi promessi a Francesco Prignano. L’insuccesso della missione, probabilmente, spinse il papa a richiamare presso la curia il cardinale di Sangro; in una lettera pontificia del 15 agosto 1382 egli non compare più come legato apostolico.
Nel corso del 1383, i tentativi di ingerenza di Urbano VI nel governo del Regno e la mancata assegnazione del principato di Capua e di altri feudi importanti al nipote del pontefice determinarono una improvvisa rottura dei rapporti con Carlo III di Durazzo. Il papa, portatosi a Napoli con la vana speranza di prendere in pugno la situazione, nel giugno del 1384 si ritirò a Nocera, uno dei pochi feudi che erano stati effettivamente concessi al nipote Francesco.
Di Sangro, si spostò al seguito del papa, ma si avvicinò sempre più alle posizioni del re, che tra la fine del 1382 e i primi mesi dell’anno successivo aveva concesso al fratello del cardinale, Nicola, il feudo di Torremaggiore, che resterà a lungo tra i possedimenti feudali della famiglia, e altri feudi sparsi tra Abruzzo, Molise e Puglia; inoltre Carlo III, accogliendo una richiesta del cardinale, aveva trasformato in burgensatici i beni feudali che lo stesso Nicola possedeva in Aquila.
La rottura appariva ormai insanabile: Carlo III assicurò il pieno sostegno al cardinale dissidente Mezzavacca che ordì un complotto nel quale furono coinvolti diversi altri cardinali, compreso Gentile di Sangro, con l’obiettivo di esautorare Urbano VI per manifesta incapacità mentale e negligenza nel governo della Chiesa e affiancargli un consiglio di tutela; non è escluso che i congiurati – che avevano predisposto la cattura del papa e la sua consegna nelle mani di Villanuccio di Brunforte, capitano del re – mirassero anche all’eliminazione fisica del pontefice. Il complotto fu rivelato dal cardinale Tommaso Orsini di Manoppello e l’11 gennaio 1385, per ordine del papa, Francesco Prignano arrestò sei cardinali accusati di aver preso parte alla congiura: Adam Easton, Donati, Bartolomeo da Cogorno, Giovanni da Amelia, Marino del Giudice e Gentile di Sangro furono privati delle cariche e dei beni e incarcerati in condizioni disumane.
Le accuse trovarono una prima conferma nella confessione, estorta con la tortura, del vescovo aquilano Clemente da Secinaro, arrestato insieme con i cardinali e interrogato per primo. Secondo il racconto di Dietrich von Nyem (Theodericus de Nyem, De scismate..., a cura di G. Erler, 1890, p. 83), presente ai fatti narrati, Gentile fu rinchiuso in una cella angusta, tanto piccola da consentirgli a mala pena di stendere le gambe. Lo stesso autore, che mostra stima e simpatia per il cardinale, ma non gli risparmia critiche per il suo comportamento contro i seguaci dell’antipapa, lo descrive come uomo corpulento, avanti negli anni e di alta statura (p. 93). Al pari degli altri accusati, il cardinale di Sangro fu torturato per ottenere una piena confessione, che fu resa nel giro di pochi giorni e diffusa il 14 febbraio con un testo scritto fatto preparare da Urbano VI.
Il papa, che il 15 gennaio 1385 aveva deposto Carlo III ed era stato assediato dall’esercito del re, l’8 luglio lasciò Nocera e il 23 settembre, dopo un viaggio non privo di pericoli, raggiunse Genova, portando con sé i sei cardinali prigionieri, che furono rinchiusi nella commenda di S. Giovanni di Pré, appartenente ai cavalieri giovanniti, scelta come residenza genovese dal pontefice. Nonostante le insistenti e ripetute richieste, avanzate anche dal doge Antoniotto Adorno, Urbano non volle liberare i cardinali prigionieri e, cedendo alle preghiere di Riccardo II d’Inghilterra e dei benedettini, acconsentì solo alla liberazione del cardinale inglese Easton, marginalmente coinvolto, a quel che sembra, nella congiura.
Nel giugno del 1386 fu sventato un tentativo di liberare i prigionieri con un colpo di mano apparentemente collegato con un nuovo complotto ordito dai cardinali Pileo da Prata e Galeotto da Pietramala, che si erano momentaneamente riavvicinati a Urbano VI.
Di Sangro fu probabilmente ucciso, insieme con gli altri cardinali prigionieri, dai sicari del papa sul finire del 1386, pochi giorni prima della partenza del pontefice per Lucca, avvenuta il 16 dicembre.
Secondo alcune voci, i corpi dei cinque cardinali assassinati per ordine del pontefice sarebbero stati sepolti nelle stalle della residenza dei giovanniti; secondo altre, i cardinali sarebbero partiti insieme con il pontefice e sarebbero stati poi gettati in mare chiusi in sacchi; tradizioni ancora più macabre e meno credibili raccontano che i corpi dei cinque cardinali furono essiccati e trasportati come cimeli al seguito del pontefice nei suoi successivi spostamenti.
Uomo di grande intelligenza e di singolare eloquenza ed erudizione, di Sangro è ricordato come autore di scritti molto apprezzati che non ci sono, però, pervenuti: una difesa delle ragioni di Urbano VI elaborata a ridosso dell’insorgere dello scisma (Defensorium pro Urbano adversus Clementem), un discorso per l’insediamento di Carlo III di Durazzo (Orationem gratulatoriam ad Carolum Regem in eiusdem inaugurationem dictam), un resoconto della legazione napoletana (Acta legationis suae).
Fonti e Bibl.: Archivio segreto Vaticano, Reg. Vat. 310, cc. 162r, 163r, 164v, 195r, 202r, 263r, 263v; Svenskt diplomatarium, XI (1379), 4, a cura di C. Gejrot - I. Hedström - P. Ståhl, Stockholm 2014, pp. 751, 753, 902 s., 914 s.; Cronicon Siculum incerti authoris ab anno 340 ad annum 1396, a cura di G. De Blasiis, Napoli 1887, pp. 40 s., 43 s., 54 s.,123-125; Theodericus de Nyem, De scismate libri tres, a cura di G. Erler, Lipsiae 1890, pp. 51 s., 79, 83, 92; Gobelinus Persons, Cosmidromius, a cura di M. Jansen, Münster 1900, p. 97; Chartularium Studii Bononiensis, V, Bologna 1919, p. 86; I Diurnali del duca di Monteleone, a cura di M. Manfredi, in RIS2, XXI, 5, Bologna 1960, pp. 26, 30; Urbain V, Lettres communes, a cura di M. Hayez - A.M. Hayez, VIII, Roma 1982, p. 154.
F. Campanile, L’historia dell’illustrissima famiglia di Sangro, Napoli 1615, pp. 28-30; Hierarchia catholica Medii Aevi, a cura di C. Eubel, I, Münster 1913, pp. 23, 48; V. Balzano, Documenti per la storia di Castel di Sangro, in Bullettino della Deputazione abruzzese di storia patria, XXV (1934), pp. 103, 105, 111; S. Fodale, La politica napoletana di Urbano VI, Caltanisetta-Roma 1973, pp. 63-65, 67, 69, 115, 120-122, 147; L. Tacchella, Il pontificato di Urbano VI a Genova (1385-1386) e l’eccidio dei cardinali, Genova 1976, pp. 20, 29, 31 s., 34-37, 39, 65, 101, 103, 123.