Croce, Gentile e casa Laterza
È nota ormai la storia della lunga, trentennale amicizia tra Croce e Gentile. Negli ultimi decenni del Novecento venne data alle stampe la densa corrispondenza di Gentile con Croce (Lettere a Benedetto Croce, a cura di S. Giannantoni, 5 voll., 1972-1990), mentre Gennaro Sasso pubblicò le lettere di Croce a Gentile (Lettere a Giovanni Gentile, 1896-1924, a cura di A. Croce, 1981), con una introduzione – breve ma suggestiva – nella quale mostrava come differenze profonde di pensiero e di carattere, quasi predestinate a uno scontro duro e definitivo, fossero convissute per oltre due decenni nel segno di reciproche dichiarazioni di stima e calda amicizia. L’introduzione di Antonella Pompilio al carteggio tra Croce e Giovanni Laterza (Carteggio, 4 voll., 5 tt., 2004-2009) completava l’insieme degli strumenti utili a ricostruire non solo la figura del grande intellettuale, che attraverso la direzione di collane e il sostanziale controllo culturale di una casa editrice, orientava il mondo intellettuale nazionale e inalveava al suo interno gran parte del ceto intellettuale meridionale, ma anche una storia che travalica il rapporto tra autore ed editore per diventare molto presto quella di un rapporto di amicizia e di affetto tra due personalità, di non eguale formazione culturale, ma entrambe forti e convinte dell’importanza del proprio compito e di una missione, e perciò portate a coinvolgere nella relazioni affettive, oltre che se stessi, anche i propri amici e familiari.
Di quel sodalizio entrò ben presto a far parte Gentile, di nove anni più giovane di Croce, ma soltanto di due rispetto a Laterza. E anche con lui, amico e collaboratore di Croce, l’editore barese strinse presto intima amicizia. Croce, tuttavia, restava il punto di riferimento e, soprattutto nei primi anni di quell’incontro, era il filosofo napoletano a riferire a Laterza di Gentile, a raccomandarne le pubblicazioni, e soprattutto a ricordare all’editore di spedire al più giovane docente – ancora agli inizi di una carriera universitaria contrastata dai vecchi accademici e alle prese con una famiglia che diventava numerosa – le 400 lire pattuite per il suo contributo alla redazione della «Critica». Nelle pagine di quella rivista, in una sorta di «splendido isolamento» (de Giovanni 1993, p. 210), Croce e Gentile denunziavano limiti e crisi della cultura italiana tardo ottocentesca, e lavoravano alla «rinascita dell’idealismo», innanzi tutto per rinnovare il contesto intellettuale nazionale, pur in una costante interlocuzione con la filosofia tedesca e francese. Al più giovane Gentile sarebbe spettato «preparare elenchi, bilanci, etc.» (Croce a Laterza, giugno 1906 [il giorno non è precisato], Carteggio, cit., 1° vol., 2004, p. 197) e a lui Laterza avrebbe dovuto rivolgersi «per le cose amministrative» (31 luglio 1906, p. 407). Insieme leggono e valutano i volumi da stampare, prima di passarli in tipografia. L’impegno è intenso, le proposte di stampa si succedono con grande frequenza, al punto che Gentile, anche per la morte di una sorella, affronta una forma di esaurimento nervoso, mentre Croce deve raddoppiare la fatica di autore e curatore editoriale.
Non furono semplici, in effetti, quei primi anni del Novecento. Croce – come afferma a Laterza con toni burberi e irritati in una lettera lunga e puntigliosa del 31 ottobre 1906 – desidera «veder tutto dei volumi che portano in fronte il mio nome» (p. 259), compresa la qualità della carta e la forma delle copertine, e critica i difetti della tipografia Laterza, gli errori continui degli operai, ancora incapaci di reggere la qualità di un lavoro editoriale e il confronto con la più antica tipografia Vecchi di Trani, a cui lo stesso Laterza sarà costretto a rivolgersi per far fronte agli impegni assunti. I rimbrotti di Croce accompagnano l’avvio della collana Classici della filosofia moderna, sotto la direzione sua e di Gentile, prima ondata di libri da stampare insieme, di autori come Giordano Bruno, Johann Friedrich Herbart, Friedrich Wilhelm Joseph Schelling: una collezione che darà certamente lustro alla nascente casa editrice, ma un lavoro tanto importante che non potrà farsi «negli intervalli, come se si trattasse di pubblicare qualche opuscolo; ma dovete appunto curarne l’organizzazione stabile e continuativa» (gennaio 1906 [il giorno non è precisato], p. 160). Poi c’è la traduzione dell’hegeliana Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse (1817, 18303), accompagnata dal volume crociano Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel, libro che
ha per iscopo di far capire agli italiani la necessità di studiare Hegel e il modo di studiarlo. Uscendo un mese, o un mese e mezzo, prima dell’Enciclopedia, preparerà il terreno e susciterà il desiderio dell’opera dell’Hegel, che io ho tradotto (25 ag. 1906; Carteggio, cit., 1° vol., 2004, p. 214).
E Laterza esegue, riconoscente per la validità dei consigli dell’amico autorevole, che lo convincono, come scrive a Croce, a «mantenere quell’impronta di serietà tipografica che certo non dispiace» (20 febbr. 1905, p. 115). E però tanto impegno lo preoccupa anche, e non poco, perché, come scrive a Croce,
la nostra condizione non è delle più floride, dovendo lavorare per vivere alla giornata come l’operaio; il pubblicare è ancora un lusso che vien fuori da ogni sorta di sacrificio, ragion per cui le nostre pubblicazioni dovranno esser scelte con cura e se non daranno lucro abbondante si potranno almeno regger da sé; ma se per caso dovessimo metter dei passi falsi saremmo presto resi impossibili a continuare (11 marzo 1905, pp. 116-17).
E ancora l’anno successivo:
la mia condizione non è tale da dovermi dedicare completamente al lavoro editoriale, perché questo lavoro ancora non mi rende da farmi vivere e perciò bisogna che io dedichi gran parte della mia attività al resto dell’azienda (19 genn. 1906, p. 159).
Croce però aveva ragione a insistere nell’impostazione dell’azienda come editrice di cose «gravi», perché i libri cominciano a vendersi, e anche Gentile, acquistando crescente rilievo nazionale, contribuisce alla sua crescita; i rapporti di quest’ultimo con Laterza si intensificano, e i tre si incontrano a casa Croce e insieme discutono dei nuovi libri da stampare.
Appena tornato a casa [scrive Laterza a Croce il 19 aprile 1907, dopo un soggiorno a Napoli] mi affretto ad esprimerle la bella impressione che ho riportata per l’accoglienza cordiale ricevuta in casa sua e del prof. Gentile. Sono, poi, altamente soddisfatto perché mediante il loro buon incremento, questa casa editrice acquista stima maggiore, per cui sento il dovere di rendermene sempre più degno, non solo nei nostri rapporti diretti, ma in tutto quanto concerne l’opera di questa casa (p. 320).
Anche se continua ad «aver bisogno di avere anche un po’ di libri di smercio sicuro per metter la Casa in condizione di continuare sempre più arditamente le nobili imprese» (4 febbr. 1909, p. 499), le difficoltà gli sembrano ormai superabili, e anzi le possibilità di crescita sono ormai strettamente collegate al ruolo nazionale dei due innovatori della cultura italiana; cosicché è ora lui a sollecitare ulteriori iniziative. «Non sarebbe il caso di cominciare la collezione storica coi suoi volumi, che ha pronti, frammisti ad altri che si potranno accaparrare?» (7 marzo 1908, p. 401), chiede a Croce, provocandone nell’immediato un rimbrotto un po’ brusco, perché i suoi lavori filosofici non sono ancora conclusi. La collezione per quegli anni non si farà; quando Croce avrà però superato un nero periodo di «tristezza», che le notizie giuntegli da Messina – dove suoi amici e conoscenti erano scomparsi sotto le macerie del terremoto – rendono più cupa, sarà possibile avviare la nuova collana Scrittori d’Italia, affidata prima ad Achille Pellizzari e poi a Fausto Nicolini, e i cui volumi saranno stampati con una nuova «bellissima macchina tedesca che costa dodicimila lire» (9 luglio 1910, p. 703).
Anche i rapporti con Gentile si sono intensificati; Laterza ne è diventato sempre più amico, ben contento alla fine di risultare il punto terminale di confronti e discussioni di politiche editoriali approfondite preliminarmente negli incontri tra i due filosofi. Potranno certo cominciare ad apparire più nette le iniziali differenziazioni teoriche, come le diverse valutazioni dell’errore, su cui Croce e Gentile si scambiano lettere ormai da un paio d’anni, ma sulle scelte degli autori e sulle proposte editoriali la convergenza è completa, la reciproca dichiarazione di fiducia e di stima è continua, dal sostegno alla pubblicazione della vasta Storia della filosofia di Guido De Ruggiero (il cui primo volume uscirà nel 1918, il tredicesimo e ultimo nel 1948) alla scelta di affidare la direzione della nuova collana Testi filosofici per i licei ad Armando Carlini e a Renato Serra.
A Gentile è poi lasciata completa libertà di ideare e promuovere la stampa di libri scolastici, per i quali Croce, come scrive all’editore, si considera del tutto inadatto (14 giugno 1912; Carteggio, cit., 2° vol., 2005, p. 179), ma alla quale Laterza pensa anche per recuperare più facilmente introiti, che libri gravi, ma più difficili, producono in minor misura. Gentile accetterà volentieri di promuovere una collana scolastica, proponendo un commento alla Divina Commedia, affidata a Nicola Zingarelli, un manuale di storia della letteratura italiana e un’antologia italiana, oltre a un suo contributo, un Sommario di una pedagogia come scienza filosofica in tre volumi, di cui prevede per il 1913-14 l’edizione del primo volume, «il più duro e forse il meno fortunato nelle scuole», come scrive a Laterza il 18 giugno 1912 (Bari, Archivio di Stato di Bari, Archivio Laterza [da ora in poi ASB-AL]); l’opera uscirà tutta negli anni previsti, ma in due volumi, e sarà destinata a incontrare scarso favore fra gli insegnanti. Glielo ricorderà anche Croce, ma ormai Gentile appare sempre più convinto della necessità di promuovere un’operazione culturale che vedesse in lui una possibile guida, anche un po’ più autonoma dal vecchio amico Benedetto.
Ha inizio in effetti un periodo particolare nei rapporti tra Croce e Gentile e nelle loro relazioni con Laterza. Da un lato, Gentile comincia a «postillare puntigliosamente i libri dell’amico, quasi a marcare le distanze del proprio pensiero» (Turi 1995, p. 210). Caldeggia contemporaneamente la riorganizzazione del palermitano «Annuario della Biblioteca filosofica», da lui diretto, presso la casa editrice barese. Riorganizzata sul modello della francese «Revue de métaphysique et de morale», la rivista aveva accolto la proposta della Biblioteca filosofica di Firenze di un’associazione con il proprio «Bollettino filosofico», per dar vita a un nuovo periodico. Scrive Gentile a Laterza il 10 agosto 1913:
Così per il 1914 io vorrei farne qualche cosa di buono, ossia un periodico atto a raccogliere tutti i buoni scritti di filosofia che non possono entrare nella Critica, forniti di un buon bollettino bibliografico, che manca in tutte le riviste filosofiche italiane [...]. E ho pensato che lei forse potrebbe diventare davvero, e non più di nome, l’editore del periodico, prendendosi per la spesa un contributo dalla due Biblioteche, che Lei stesso potrebbe indicare in modo da non dover correre nessun rischio, date le probabilità di riuscita della rivista. La quale dovrebbe in tutto l’anno pubblicare un volume della mole della Critica, in quattro fascicoli trimestrali (ASB-AL).
Non è facile, considerando il sotterraneo clima di tensione che stava lentamente creandosi fra i due amici, sottrarsi alla suggestione di considerare l’operazione proposta a Laterza quasi come una ricerca di un nuovo strumento di intervento e organizzazione della cultura filosofica distinto dalla prevaricante rivista crociana, e magari in concorrenza con essa. E tuttavia tensione e potenziale contrapposizione filosofica non sembrano dover intralciare e minare il rapporto di stima e di lunga amicizia. Dall’altro lato, infatti, Gentile è emotivamente coinvolto dalla prostrazione di Benedetto per la morte della compagna Angelina Zampanelli, e il 29 settembre 1913 ne scrive a Laterza, che aveva invitato entrambi a Bari: «Ha sentito della povera donna Nella? Ne sono proprio desolato, e non vedo come possa fare il nostro Benedetto a rassegnarsi, egli che aveva riposto in lei ogni sua più cara felicità» (ASB-AL); e scrive ancora due giorni dopo, il 31 ottobre:
Il povero Benedetto non vuole sentire di venuta sua a Bari, dove egli mi dice, sperava di venire in ottobre con donna Angelina. E mi pare che tutto quello che gli ricorda troppo vivamente la sua morte, lo turba eccessivamente (ASB-AL).
Nulla, nella corrispondenza successiva, traspare degli effetti del primo serio dissenso pubblico tra i due filosofi, dopo l’articolo di Croce Intorno all’idealismo attuale («La Voce», 13 novembre 1913, pp. 1195-97); e in effetti il contrasto teorico non incide ancora sui rapporti personali. Appaiono veramente sincere le considerazioni che Gentile rivolge all’amico all’indomani della pubblicazione dell’articolo, e lo stesso Croce, scrivendogli il 22 novembre, mostra dispiacere e meraviglia per il clamore suscitato da un dissenso «che c’è sempre stato tra noi due, e non solo non aveva impedito, ma era stato condizione di sana collaborazione, di amicizia sostanziale, di serietà» (Lettere a Giovanni Gentile, cit., p. 452). Secondo Croce, i dubbi di Gentile sulla possibilità di continuare la collaborazione alla «Critica» senza trasformarsi «in uno dei collaboratori avventizi e straordinari come gli altri» non hanno fondamento: il nodo, infatti, al momento, non è in sé «l’idealismo “attuale”, come certo ora non l’odio, perché ora è un semplice punto di dissenso teorico», ma è piuttosto l’impulso organizzativo dell’amico, che attorno al suo attualismo mette in moto energie crescenti di suoi «scolari», da Ernesto Codignola a Giuseppe Lombardo-Radice, allo stesso Adolfo Omodeo, «che con poca finezza venivano ad accentuare la contrapposizione fra due amici, che per loro conto non volevano accentuarla e la lasciavano soltanto intendere a chi era in grado di intendere» (p. 452). Croce non giudica pertanto un pericoloso attacco lo strumento di organizzazione palermitana promossa da Gentile, in una implicita sotterranea concorrenza alla «Critica»:
Che colpa ne ho io se la sola persona d’ingegno della Biblioteca Filosofica sei tu, e se sono tratto a identificare quella istituzione con te? [Francesco] Orestano, [Cosmo] Guastella, ecc. per me non esistono. Fazio [Vito Fazio-Allmayer], [Adolfo] Omodeo, ecc. sono echi. Del resto lascio a te di dare soddisfazione all’amor proprio dei filosofi di costà (p. 452).
Confronto da mantenere fra loro due, dunque, senza scuole e propositi di proselitismo, solo così l’amicizia rimarrà salda e «La Critica» non rischierà di diventare il luogo in cui «svolgere i principii dell’idealismo attuale», ma quello in cui «ci siamo svolti noi due, che è meglio» (p. 452). Patti chiari e amicizia lunga, sembra infine il senso delle parole di Croce.
L’amicizia resta comunque salda, e Laterza può continuare a intrattenere rapporti di grande familiarità con entrambi, nella implicita comune accettazione che, nelle cose della casa editrice, primo punto ineludibile di riferimento rimane Croce. E lui non solo rivendica il controllo preliminare sui testi da stampare, ricordando all’editore, il 22 gennaio 1914, «che ci sono cose che non si debbono fare se non di accordo con me» (Carteggio, cit., 2° vol., 2005, p. 362), ma rimbrotta con affetto e autorevolezza Laterza, il quale gli aveva parlato delle serie difficoltà finanziarie in cui era venuto a trovarsi in quei mesi, per gli effetti anche in Italia della crisi economica e politica che i primi venti di guerra cominciavano a produrre. Lo rimprovera per decisioni imprudenti dettate dal desiderio di far sempre più importante la casa editrice, ma che – in un mercato non di massa e che tendeva a restringersi, per le limitazioni imposte anche dalla crisi politica ed economica – rischiavano di inferire colpi sempre più pericolosi alla tenuta dell’azienda. E il 25 agosto insiste sul tema:
voi non solo avete dei difetti, come li abbiamo tutti, e più gravi in voi che avete la responsabilità di un’ azienda; ma ve ne fate un vanto, un orgoglio, una spacconeria, e credete di dar prova di volontà col dar prova di ostinatezza. Se io potessi esservi accanto e sottomettervi per qualche anno a un’amichevole tutela, vi farei fare grandi risparmi e vi mostrerei come si può agire con prudenza e preparandosi anche alle avversità senza troppo soffrirne. Ma io non posso; sono lontano, sono occupato in altro; e debbo soltanto darvi consigli generali, e spendere parole, che restano parole (p. 417).
Laterza, però, rispondendogli il 28 agosto, non manifesta nessun rimpianto per le decisioni fino allora prese, non solo perché prevale in lui un sentimento di riconoscenza per chi ha dato all’azienda un lustro nazionale, ma soprattutto perché ha bisogno che «continui la Sua protezione morale di cui non posso far senza» (p. 418).
Arrivò infine la partecipazione italiana alla guerra. Ne avevano accennato tutti e tre nelle proprie corrispondenze; Laterza, sostenendo che la politica non è il suo ‘forte’, si allinea al giudizio di Croce, ma né questi né Gentile discutono con lui per lettera di questioni politiche e militari. Certo chiedono subito notizie, con partecipe sollecitudine, sulla città e soprattutto sulla famiglia Laterza, quando i giornali, sin dai primi mesi di guerra, riferiscono di incursioni di aerei austriaci su Bari e la costa adriatica meridionale, divenute un fronte militare, seppure periferico, dopo la rapida caduta della Serbia (ottobre-dicembre 1915). Alle risposte rassicuranti di Laterza fa allora riscontro una più calma ripresa dell’attività editoriale, che tuttavia non può non fare i conti con un mutato contesto politico e intellettuale. Perciò a Laterza, che torna di nuovo a proporre di metter mano a una collezione storica – stampando come primo volume Gli Unni e Attila di Arturo Solari (che verrà invece stampato, nel 1916, dall’editore Spoerri di Pisa) –, il 7 ottobre 1915 Croce risponde avanzando dubbi sul fatto che i tempi siano maturi, e si dichiara disposto a pensarci, ma vuole impegnarsi solo a guerra finita, perché
ora le condizioni sono cangiate, e poiché quella biblioteca deve avere lo scopo di creare la cultura storica che manca agli italiani in relazione alla vita politica e sociale e intellettuale, bisogna la adatti alle nuove condizioni (p. 494).
Scrivendo a Laterza il 24 luglio 1917, lo informa del fatto che sta avviando la stesura di
una quantità di cose nuove che fra tre o quattro anni potranno formare volumi assai importanti [...]. Io ora sto meditando e componendo i miei migliori lavori di critica e storia letteraria, di fronte ai quali la Letteratura della nuova Italia parrà opera giovanile! (p. 651).
L’andamento della guerra certo continua a preoccuparlo, e la disfatta italiana di Caporetto – scrive a Laterza il 30 ottobre 1917 Adele Rossi, da tre anni moglie di Croce – lo coglie «così triste, stanco e sfiduciato» (p. 681) da preoccupare seriamente Adele; eppure Croce continua a lavorare, sia predisponendo un progetto articolato di edizione di tutte le sue opere, sia rivolgendo la propria attenzione alla stampa di volumi delle collane da lui dirette, sia, soprattutto, guardando alla pubblicazione di volumi non italiani, capaci di contribuire alla comprensione dei problemi di ridefinizione degli ordinamenti politici interni e internazionali. Tra il settembre e l’ottobre del 1918 chiede a Laterza di procurargli tre libri dello storico britannico Ramsay Muir, Nationalism ed internationalism (1916), The expansion of Europe (1917) e National self-government (1918); il 18 ottobre gli propone la traduzione di The expansion, e soprattutto caldeggia la traduzione e la stampa di un libro di Max Weber, Wahlrecht und Demokratie in Deutschland (1917):
Intanto ho letto che Max Weber, che conosco di persona, uno degli scrittori più intelligenti e fini della Germania, il consigliere e la guida del nuovo cancelliere Massimiliano di Baden [il principe Maximilian von Baden, cancelliere dal 3 ottobre], ha pubblicato un libro di 300 pagine sulla democrazia in Germania. [...] Pubblicare subito questo sarebbe un bel colpo (Carteggio, cit., 2° vol., 2005, p. 750).
E il 12 novembre – mentre afferma di non ritenere più opportuno tradurre un libro Friedrich Meinecke (il carteggio non offre altre indicazioni; si allude probabilmente a Weltbürgertum und Nationalstaat: Studien zur Genesis des deutschen Nationalstaates, 1908), da lui pur consigliato un anno prima, perché «ora non sarebbe più attuale» (p. 756), in un mondo cambiato dalla guerra – ritorna con insistenza sull’argomento del libro di Weber:
Vi mando il libro di Weber, che credo di essere il primo ad aver letto in Italia. È importantissimo, e bisognerebbe metterlo fuori subito [...]. Il Ruta potrebbe tradurlo benissimo; ma dovrebbe tradurlo in un mese (p. 756).
Il libro sarà effettivamente pubblicato da Laterza nel 1919, con il titolo Parlamento e governo nel nuovo ordinamento della Germania.
Quello di un mondo cambiato e quindi «da costruire» dopo la fine della guerra, è per Croce un impegno morale tradotto in un impegno intellettuale, e quest’ultimo tende ormai a orientarsi in forma diversa dal modo in cui egli aveva costruito fino ad allora la propria presenza nella casa editrice: non più in prevalenza la costruzione di una nuova identità intellettuale italiana da diffondere in Europa, ma un avvio di attenzione al mondo europeo per ricomporre un’identità nazionale, che la guerra anche in Italia aveva fortemente indebolito (Un mondo da costruire, «Il Giornale d’Italia», 20 novembre 1917).
Gentile appare invece più intento a proseguire il lavoro di edizione dei classici di filosofia, e soprattutto a riaffermare, attraverso una riconsiderazione della cultura filosofica italiana, le ragioni di una identità e di una scelta politica in direzione della partecipazione al conflitto contro gli imperi centrali. Sarà appunto questo il tema di Il carattere storico della filosofia italiana – la prolusione, tenuta il 10 gennaio 1918, al corso di storia della filosofia dell’Università di Roma, dove era stato chiamato nell’ottobre del 1917 –, che Laterza, su sua richiesta, gli pubblica in un opuscolo particolarmente elegante. Con le stesse motivazioni, il 26 marzo Gentile gli aveva proposto di stampare in un piccolo volume le sue lezioni universitarie; il volumetto, peraltro – scrive Gentile – non sarebbe stato destinato solo agli allievi, ma avrebbe potuto avere una diffusione più ampia nel mondo colto italiano e avrebbe costituito «la prima parte di una Logica, che sarà completata l’anno venturo in una seconda e ultima parte» (ASB-AL).
L’attenzione di Gentile è infatti rivolta in maniera prevalente alla costruzione di un progetto di pedagogia politico – culturale indirizzata alla gioventù italiana, la cui formazione richiedeva una adeguata riorganizzazione di programmi e strumenti di studio. Per questo egli, in una lettera dell’8 marzo, ha cura di avvertire l’editore barese
che nei nuovi programmi, che ora vengono innanzi al Consiglio Superiore, quelli di filosofia fanno obbligo, in ogni classe, della lettura di questi testi di filosofi classici. Sicché un po’ più in qua converrà completare la collezioncina, comprendendovi tutti gli autori prescritti (ASB-AL).
Sembra così determinarsi presso la casa editrice barese quasi una distinzione di ruoli, fra Croce intento a ideare un percorso di diffusione di autori europei, testimoni di una nuova fase della storia, e Gentile attento alla valenza di una riformulazione delle politiche di pubblica istruzione e alla formazione di una nuova generazione secondo i canoni del suo attualismo. Sembra quasi una condizione ideale per Laterza, che pensa in tal modo di affrontare le difficoltà del dopoguerra lavorando su due piani; su questa base, anzi, i rapporti di lavoro favoriscono l’approfondimento ulteriore dei rapporti di amicizia. E mentre la signora Adele ringrazia orgogliosa e contenta Laterza per aver ideato una collezione di libri per ragazzi intitolata a sua figlia, la piccola Elena (La biblioteca di Elena, che verrà inaugurata nel 1917 ma che comprenderà appena tre libri e verrà chiusa nel 1928), Gentile si adopererà per seguire negli studi universitari a Roma la giovane Maria Laterza, che diverrà una presenza frequente nella sua famiglia, godendo dell’affetto della signora Erminia e della stretta amicizia della figlia Teresina, a sua volta ospite frequente della famiglia Laterza a Bari.
A Gentile, continuamente alle prese con difficoltà economiche perché doveva mandare avanti una famiglia con sei figli, Laterza continuerà a inviare anticipi più o meno sostanziosi, consentendogli anche, grazie a un congruo aiuto, di entrare in una cooperativa edilizia romana e di risolvere finalmente il suo annoso problema di un domicilio stabile e sufficientemente grande. Sembrerà dunque, quel primissimo dopoguerra, fervido di iniziative culturali e per certi versi politiche. Croce continuerà ad attendere alla edizione di tutte le sue opere e soprattutto a lavorare alla costruzione della «vagheggiata collezione storica», proponendo come primo volume la traduzione della Geschichte des europäischen Staatensystems von 1492-1559 (1919) di Eduard Fueter (che uscirà invece, nel 1932, presso La Nuova Italia di Firenze) e di seguito, come scrive a Laterza il 12 febbraio 1920, i «volumi di storia migliori che finora abbiamo messi nella Bibl. di Cultura [la collana Biblioteca di cultura moderna]» (Carteggio, cit., 2° vol., 2005, p. 863).
Anche Gentile, ormai riconosciuto tra i protagonisti della vicenda culturale e politica nazionale, comincerà a pensare di far capo a casa Laterza per la promozione di libri di filosofia di autori che facessero a lui riferimento. Nello stesso tempo, ritiene ormai opportuno sistemare anche lui tutti i propri scritti in un insieme editoriale compiuto, attento tuttavia a non contrapporsi alle edizioni delle opere crociane. A partire dalla pubblicazione della sua Teoria generale dello spirito come atto puro, e, come scrive a Laterza il 24 settembre 1919, per
altri volumi che seguiranno si farà una edizione a parte in 8°, fuori delle sue solite collezioni. Non desidero lusso, e credo che per molte ragioni non converrebbe far nulla di simile alla collezione del Croce. Ma, pensando di raccogliere in questa serie il meglio della mia produzione, desidererei bensì un po’ di decoro (ASB-AL).
Anche se ancora in forma non clamorosa, l’autonomia da Croce comincia a essere perseguita con maggiore determinazione. Affidare a Laterza la stampa di un nuova rivista di filosofia da lui diretta gli appare un primo avvio significativo. Così infatti scrive all’editore il 26 febbraio 1919:
Io poi da tempo vengo rivolgendo nell’animo un’idea mia da sottoporle. In Italia c’è posto ora per una rivista filosofica. È morente, e pure destinata a morire, se non questo un altro anno, quella edita dal Formiggini [l’editore modenese Arturo Angelo Formiggini]; ed è morta d’inanizione durante la guerra quella del De Sarlo [il filosofo Francesco De Sarlo]. La Critica diventa organo sempre più personale del nostro Benedetto, malgrado la mia collaborazione, che lì non può essere strettamente filosofica, ma di cultura, di storia, letteratura. Invece ci sono molti giovani, valenti e capaci di nutrire con scritti sostanziosi una rivista, che promuova, diriga e disciplini il movimento filosofico. Una rivista non più voluminosa della Critica, e più modestamente stampata [...]. Vi scriverebbe certamente anche Benedetto, oltre di me, e molti lettori ordinari della Critica vi sarebbero attratti. Vogliamo farla insieme? (ASB-AL; cfr. Turi 1995, p. 272).
È l’avvio del «Giornale critico della filosofia italiana»; dubbi di Croce e ragioni contabili indurranno Laterza a lasciar cadere la proposta, che troverà ospitalità presso l’editore Principato di Messina; il significato quanto meno di ricerca di una più marcata distinzione è tuttavia evidente. Nel reciproco rispetto il sodalizio continua però a resistere, e per giunta sembra aperto a ulteriori prospettive di crescita, che le differenziazioni filosofiche non paiono poter scalfire. La nomina di Croce a ministro della Pubblica Istruzione, il 15 giugno 1920, è così salutata con affettuosa deferenza da Laterza, e a Gentile questa sembra poter essere l’occasione per un serio e profondo intervento riformatore. Scrive infatti a Laterza il 18 giugno:
Abbiamo dunque Benedetto al Governo! La più difficile opera a cui egli si sia accinto ma son sicuro che compirà anche questa splendidamente, nonostante tutte le sorde ostilità di accademici, massoni e farabutti di tutte le risme. Combatteremo insieme a lui con tutte le nostre forze la maggiore battaglia (ASB-AL; cfr. Turi 1995, pp. 293-94).
Anche l’impegno di Gentile ne risente, «perché – scrive a Laterza il 12 maggio – Benedetto mi ha messo nelle mani faccende gravi e urgenti che mi portano via tutto il tempo», e perciò deve rallentare la cura della Kritik der reinen Vernunft (1781) di Immanuel Kant; ma nella citata lettera del 18 giugno richiama ancora una volta l’editore a prestare attenzione alle edizioni scolastiche di filosofia:
Si stanno riformando i programmi di ginnasi e licei, e se la cosa arriva in porto (se cioè non cade il Ministero) la collana dei piccoli testi di filosofia diretta da Carlini avrà un grande slancio; e bisognerà affrettarsi a mandar fuori altri volumi. Perché saranno i soli libri di testo adoperabili nelle scuole pubbliche e private (ASB-AL).
Alla sollecitudine verso l’editore si accompagna poi sempre l’attenzione verso l’amico ormai intimo, al quale, il 9 giugno 1921, confida il dolore per la morte del padre e che rassicura sulla propria opera di affettuoso tutore degli studi di Maria, alla quale rimprovera paternamente le troppe assenze alle lezioni, nonostante alcune precedenti difficoltà nell’esame di disegno, che avevano rischiato di farle perdere l’anno. Quando diverrà a sua volta ministro della Pubblica Istruzione, il 31 ottobre 1922, Gentile si prodigherà ancora, sia per facilitare a Maria la ricerca di una supplenza a Roma, sia per aiutare Laterza, colpito da una onerosissima tassa per sovraprofitti di guerra di oltre un milione di lire, che metteva a grave rischio la tenuta stessa dell’azienda. Grazie al suo intervento, il ministro delle Finanze Alberto De Stefani si sarebbe impegnato a commissionare alla Laterza lavori che avrebbero consentito di alleggerire il pagamento della tassa, e per giunta l’amico ministro è in grado di riferire a Laterza il 28 febbraio 1924 «che tanto Mussolini quanto De Stefani si sono compenetrati della necessità di salvare la ditta» (ASB-AL). Pochi mesi dopo, il 24 giugno, Gentile si sarebbe dimesso, proponendo al suo posto, concorde Croce, Alessandro Casati. E ne scrive a Laterza il 30 giugno:
Esco dal Ministero con molta soddisfazione perché ho potuto designare io stesso il successore, che mi è assoluta garanzia della sorte delle mie riforme. Quando le giungerà la presente, i giornali ne avranno pubblicato il nome, e avrà visto anche lei che io posso tornare tranquillamente a’ miei studi senza nessuna preoccupazione per l’opera da me compiuta in venti mesi di ardente lavoro unicamente ispirato ai più alti ideali morali e politici del nostro paese. Sono stato io stesso a chiedere che mi si lasciasse andare per dividere dal mio nome, fatto segno a troppi rancori, risentimenti e polemiche, una causa che io credo potrà d’ora innanzi con un numero sempre maggiore di consensi (ASB-AL).
Trascorrerà quell’estate a Rosburgo (sul litorale abruzzese), come al solito, «con tutta la famiglia stabilmente – scrive a Laterza il 4 agosto –, pur facendo qualche corsa di quando in quando a Roma [...] proprio felice di questa riacquistata libertà» (ASB-AL). Ormai lontano dal ministero, riprenderà in mano le bozze per la ristampa della sua traduzione (1924), eseguita nel 1910 insieme con Lombardo-Radice della Kritik der reinen Vernunft di Kant, e il progetto di riedizione dei Dialoghi metafisici (1925) e dei Dialoghi morali (1927) di Bruno, (già editi rispettivamente nel 1907 e nel 1908); soprattutto, comincerà a rivolgere maggiore attenzione alla coerenza dei volumetti filosofici per gli studenti con i criteri ispiratori della sua riforma, preoccupato di vedere – scrive a Laterza il 20 agosto – che nella «furia di improvvisazione da cui sono stati presi editori e autori si stanno pubblicando troppi libri sbagliati» (ASB-AL). Ma il sentimento di liberazione per essere lontano da Roma durerà ben poco, e si rivelerà già alla fine dell’estate un alibi autoconsolatorio: l’esigenza di una partecipazione alla vita politica, risultato della sua stessa interpretazione della funzione della filosofia, lo indurrà a prender parte attiva nella cosiddetta Commissione dei quindici, istituita da Benito Mussolini per ridefinire i rapporti tra i diversi poteri dello Stato e il ruolo dei corpi intermedi, e di cui il 4 settembre era stato nominato presidente (Turi 1995, pp. 341-45).
L’amicizia con Laterza intanto continua, e anzi si intensifica – Gentile giunge nel 1926 a definirsi nella corrispondenza «compare» dell’editore, un termine che nella tradizione meridionale giunge a profilare una relazione quasi di parentela –, ma il rapporto con Croce si raggela, fino a rompersi. La scelta fascista di Gentile è per Croce non solo motivo di contrapposizione morale e politica, ma conferma delle ragioni del «dissidio mentale» maturato nel corso degli anni, esploso nel 1913 e attutito in seguito perché rimasto all’interno di un confronto solo filosofico, che consentiva di far ancora prevalere i sentimenti di stima e di amicizia. Per tali ragioni, il 24 settembre 1924 Croce scriverà per l’ultima volta a colui che gli era stato amico per tanti anni.
Di tutto questo non farà mai cenno a Laterza, e continuerà a curare la ripresa degli Scrittori d’Italia, a suggerire testi di Ernesto Buonaiuti, Luigi Salvatorelli, Arturo Carlo Jemolo, e a valutare la possibilità di far tradurre «il 1° volume (il solo 1° volume, che sta da sé) della Storia della Germania del Treitschke, sul periodo napoleonico [si allude al 1° vol., 1879, di Deutsche Geschichte im 19. Jahrhundert]. È un libro importante e piacevolissimo a leggere» (7 agosto 1926; Carteggio, cit., 3° vol., 2006, p. 321), oltre a The history of England: a study in political evolution (1912) di Albert Frederick Pollard, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus (1904-1905) di Weber, e The social and economic history of the Roman Empire (1926) di Michajl I. Rostovcev (Michael Rostovtzeff); il libro di Pollard sarà stampato dalla Laterza nel 1928, mentre quelli di Treitschke, Weber e Rostovcev non usciranno mai presso tale casa editrice.
Sintomo implicito delle sue scelte ormai nette è il giudizio su Carlini, legato da grande amicizia con Gentile, e al quale decide di non rispondere più «perché – scrive a Laterza il 21 giugno 1927 – non voglio aver carteggio con lui» (p. 369); ancor più pesante, in una lettera del 23 giugno, quello su Enrico Ruta, traduttore di Treitschke e Weber, ma che si è distinto per il suo «arlecchinismo» politico, passando di punto in bianco dall’opposizione alla entusiastica adesione al fascismo e, con vera maleducazione, tentando di scavalcarlo e di rivolgersi direttamente all’editore per la stampa di libri della collana Biblioteca di cultura moderna (p. 371).
A Laterza non rimane che mantenere saldo, ma in forma separata, il rapporto di amicizia con Croce e con Gentile. Al primo, per il compimento dei 54 anni, il 27 aprile 1927 sente il bisogno di scrivere che
si può dire che ho passato metà della mia vita seguendo i suoi autorevoli consigli. Le calamità di questi ultimi anni hanno fatto diminuire un po’ la nostra corrispondenza, ma si lavora ed è il miglior mezzo per superare la crisi (p. 357).
Anche a Gentile invia auguri (per gli onomastici e per il matrimonio della figlia Teresina, a cui viene caldamente invitato), e gli offre inoltre le copie del primo libro del figlio Federico, Pascal. Saggio d’interpretazione storica, appena stampato. Gentile, tuttavia, sembra quasi avere timore di ulteriori contraccolpi della rottura con Croce; contraccolpi da lui paventati già due anni prima, quando, in una lettera del 25 giugno 1925, aveva tenuto a sottolineare il primato dell’amicizia su altri valori e sentimenti:
Grazie degli auguri pel mio onomastico, nonché delle affettuose parole che erano nella sua penultima lettera, espressione d’un sentimento che io già intravedevo e di cui mi rendevo pienamente conto conoscendo la gentilezza del suo animo e quell’affezione che mi ha sempre dimostrato, e della quale non ho dubitato che per alcun motivo non dipendente da me potessi perderla. E quanto a me confido di non offrirgliene mai il motivo. Giacché se ho perduto in questi ultimi tempi amici, ai quali sentivo indissolubilmente legata la mia vita, credo di non aver nessuna colpa da rimproverarmi; nessuna colpa di cui abbia coscienza; posso sbagliare in tante cose; ma ho sempre ritenuto l’amicizia cosa sacra (ASB-AL).
Quel sodalizio a tre, infatti, non aveva interessato solo l’editore e i due autori, ma aveva coinvolto anche le famiglie, e non sarà semplice mantenere separati i legami affettivi con entrambe; per Laterza diventerà sempre più difficile rispondere a insistenti richieste di chiarimenti. Si veda quanto gli scrive Gentile il 16 novembre 1927:
Caro compare mi ha scritto oggi Teresina mia una lettera addolorata che naturalmente è stata per me e per Erminia causa di gran dispiacere. Aveva incontrata Pina [Giuseppina Laterza, una delle figlie dell’editore] sua che Teresina ha amata sempre, al pari delle altre sorelle, come una sua sorella; ed ha visto con pena che essendole andata incontro l’ha messa in imbarazzo, poiché Pina era a passeggio con Elena Croce. Momentaneo imbarazzo spiegabilissimo e del quale non avrebbe avuto motivo di rammarico, se poi Pina non fosse andata a trovarla a casa ed essendo stata invitata a pranzo da Teresina, non le avesse dichiarato che magari avrebbe detto in casa Croce che era stata in casa Maranelli. Dunque, in casa Croce gli amici nostri devono nascondere che vengono da Gentile? Teresina ha rinunziato al piacere che desiderava procurarsi, per non accettare una tal condizione piuttosto umiliante. E ha dimostrato a Pina il suo disappunto. Ora a me dispiace l’accaduto per lei e la sua famiglia, a cui con tutti i miei sono da tanti anni affezionato intimamente; ma mi dispiace anche per me, che vedo con sorpresa in questo fatto il sintomo di qualche cosa di nuovo nei nostri rapporti che io non sospettavo, e che mi rincrescerebbe troppo non potesse essere chiarito. Io ho sempre ritenuto finora che, malgrado la dolorosa rottura dei miei legami con Benedetto, i migliori nostri amici comuni non avessero motivo di cambiare menomamente la natura dei loro rapporti da una parte con lui, e dall’ altra con me, sicché io potessi e dovessi considerarli come amici di Benedetto oltre che miei, ed egli potesse e dovesse considerarli come miei oltre che suoi. Quindi nessun imbarazzo, e nulla da nascondere. È possibile che io mi sia ingannato? Non farei gran caso di un momento di incertezza e di smarrimento in una giovinetta come Pina. Ma mi dispiacerebbe assai che il suo atteggiamento potesse rispecchiare un suo modo di vedere. Al quale io le confesso che non potrei rassegnarmi. E perciò gliene scrivo parendomi così non soltanto di soddisfare un bisogno del mio animo, ma di compiere un dovere verso la nostra antica amicizia, e sicuro pertanto di non poterle fare, in nessun caso, dispiacere. Ma bisogna che tra amici come noi tutto sia chiarito e non si presti a dubbi che sarebbero troppo penosi (ASB-AL; cfr. Coli 1983, p. 47).
Gentile – incapace di cogliere la rottura profonda tra liberalismo e fascismo, e forse colto anche da sensazioni di isolamento per gli attacchi che provenivano da settori dello stesso partito fascista (cfr. Turi 2002, pp. 41-59, e Tarquini 2009, pp. 23-69) – si ostina perciò nel rifiutare la rottura di una lunga amicizia in ragione di una differenziazione politica, che non coglie in tutta la sua portata; ma proprio la gravità della rottura con Croce trascina con sé ormai l’obbligo di una scelta anche per Laterza. Imbarazzi e ambiguità si scioglieranno, come è noto, con la pubblicazione nel 1928 della crociana Storia d’Italia dal 1871 al 1915, dove l’attualismo era il nuovo irrazionalismo, con chiara allusione al risultato pratico, fascista, di quella impostazione filosofica. Gentile, scrivendo a Laterza il 27 gennaio 1928, afferma di aver letto a pagina 255
una frase equivoca, che è una vera insinuazione maligna e spregevole contro di me. Ella [Laterza] certamente stampando il volume, non se ne sarà accorto; né io mi meraviglio che Benedetto, accecato com’è dalla passione, non l’abbia avvertito di nulla. Ma io non credo di poter lasciar passare la cosa sotto silenzio, anche perché il fatto non è nuovo; e perché francamente, i nostri rapporti cominciano a diventare alquanto difficili, e temerei si guastassero affatto, se Ella non conviene della necessità di certi riguardi, che nessuna amicizia può far trascurare o calpestare. La prego di esaminare la questione con animo sgombro da ogni pregiudizio, obiettivamente (ASB-AL).
La richiesta di Laterza a Croce di un ripensamento è debole, e in una lettera del 30 gennaio Gentile la definisce «ingenua», mostrandosi consapevole delle conseguenze di ogni suo atto: «io che ho appreso, leggendo Omero a quali conseguenze possono portare le ire degli dei, sono rassegnato come un povero mortale» (ASB-AL). Laterza ora deve scegliere, e non può che scegliere Croce: Gentile ne prende atto.
Il Croce sarà padrone, se accetta tutte le conseguenze delle sue azioni, di scrivere quello che pensa. Ma lei non può stampare tutto quello che egli scrive senza assumere come editore una sua responsabilità. Infatti, m’immagino, Ella non pubblicherebbe mai parole ingiuriose contro il Croce. Né editore che si rispettasse credé mai di poter accogliere a occhi chiusi qualunque scritto, anche se contraria [sic] ai suoi sentimenti non trascurabile. [...] Beninteso che io non voglio crearle imbarazzi col Croce. Soltanto volevo dirle che io sarò costretto ad appartarmi.
Il sodalizio è ormai finito; nel 1930, con una lettera formale del 5 febbraio, indirizzata al «Sig. Commendatore Laterza», Gentile ringrazia per l’ultimo saldo per la cura della quarta edizione di un libro di Antonio Rosmini-Serbati, Il principio della morale (edizione ridotta, curata da Gentile nel 1914, dei Principi della scienza morale e storia comparativa e critica dei sistemi intorno al principio della morale, 1837). Il suo acquisto della casa editrice Sansoni, nel 1937, segnerà l’epilogo.
E. Garin, La casa editrice Laterza e mezzo secolo di cultura italiana, in Id., La cultura italiana tra ’800 e ’900, Bari 1962, pp. 159-77.
T. Gregory, Per i sessant’anni della casa Laterza, «Belfagor», 1962, 6, pp. 701-13.
D. Coli, Croce, Laterza e la cultura europea, Bologna 1983.
B. de Giovanni, Etica e religione in Giovanni Gentile, in Croce e Gentile fra tradizione nazionale e filosofia europea, Atti del Convegno di studi, Orvieto, 7-9 novembre 1991, a cura di M. Ciliberto, Roma 1993, pp. 209-42 (in partic. p. 210).
G. Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, Firenze 1995, pp. 202-354 (capp. 4°-7°).
G. Turi, Il mecenate, il filosofo e il gesuita. L’“Enciclopedia Italiana”, specchio della nazione, Bologna 2002, pp. 11-59.
A. Tarquini, Il Gentile dei fascisti. Gentiliani e antigentiliani nel regime, Bologna 2009, pp. 23-103.