gentile
Il vocabolo è largamente rappresentato in tutte le opere di D.; tra le occorrenze, ne vanno segnalate una trentina in cui l'aggettivo è al superlativo, tutte di genere femminile, delle quali nessuna nella Commedia.
Nella lingua latina la testimonianza più antica del termine è quella contenuta nelle leggi delle XII tavole: " Si agnatus nec exit, gentilis familiam nancitor ". Negli autori del periodo classico questo aggettivo non era di uso frequente e aveva di solito un significato tecnico, relativo al diritto privato (cfr. Cicerone, che cita Scevola, in Top. VI 29 " gentiles sunt qui inter se eodem nomine sunt, qui ab ingenuis oriundi sunt, quorum maiorum nemo servitutem servivit, qui capite non sunt deminuti "). In senso traslato l'aggettivo era attribuito anche ai servi che assumevano il nomen dei loro padroni, in quanto entravano a far parte di una gens, sostantivo dal quale deriva l'aggettivo gentilis. ‛ Gentili ' erano anche chiamati i barbari dai Romani, i non Giudei dai Giudei, i non cristiani dai cristiani (v. voce precedente).
Nel Duecento il vocabolo divenne di uso frequente nella lirica soprattutto amorosa, fino a costituire l'attributo essenziale della donna amata determinandone la superiorità sulle altre donne.
In D. la definizione della condizione di g. e delle virtù che costituiscono l'essenza e insieme la manifestazione dell' ‛ esser g ', della ‛ gentilezza ', è formulata soprattutto nel trattato IV del Convivio, a commento della canzone Le dolci rime, ove il poeta procede a una vera e propria identificazione del concetto di ‛ gentilezza ' con quello di ‛ nobiltà ' (gentilezza o ver nobilitade, che per una cosa intendo, IV XIV 8). Quest'ultimo - tenuto conto della definizione di ‛ nobiltà ' che D. stesso formula (nobilitade è perfezione di propria natura in ciascuna cosa, XVI 4) e dell'etimologia di ‛ nobile ' da lui accettata (viene da " non vile "; onde " nobile " è quasi " non vile ", § 6) - si determina in base a situazioni e circostanze particolari. Quindi g. implica, di volta in volta, ‛ benignità ', ‛ umiltà ', ‛ salute ', ‛ grazia ', ‛ bellezza ', ‛ bontà ', ‛ pietà ', ‛ simpatia '.
Talvolta l'accento insiste sulle qualità fisiche, talvolta su quelle spirituali e segnatamente etiche; ma più spesso i due aspetti - fisico e spirituale - sono insieme fusi, come capita in prevalenza quando l'aggettivo si riferisce a donna. Così in Vn XIX 9 31 (qual vuol gentil donna parere) g. vale " colma di tutte le virtù ", in senso soggettivo e oggettivo, per dire che la donna le possiede e le genera in chi l'ammira. Perciò nella stessa Vita Nuova (XXIII 27 74 tu dei omai esser cosa gentile, e XXIII 9), è detto che persino la morte è divenuta cosa gentile: dopo che ha visitato la donna del poeta si è quasi " ingentilita ", " nobilitata ", come se ne avesse assorbito le virtù. Allo stesso modo g. è il pensiero, quando ragiona di gentile donna (e dico gentile [il pensiero] in quanto ragionava di gentile donna, Vn XXXVIII 4 e 8 1).
Che g. indichi un complesso di atteggiamenti e di modi interiori che possono rivelarsi all'esterno, cioè manifestarsi agli occhi altrui, è detto in Vn XXVI 3 ella si mostrava sì gentile e sì piena di tutti li piaceri, e 13 12 Ed è ne li atti suoi tanto gentile, dove Beatrice è definita gentile in quanto agli atti esterni, e perciò chi la guarda vede onne salute, ogni bene; così pure in Vn VIII 1 e XXVI 5 1. Analogo significato conserva l'aggettivo quando è riferito a donna in senso allegorico, come in Cv III Amor che ne la mente 39 (ripreso in VII 8 e XIV 9: qual donna gentil questo non crede), dove il poeta stesso spiega che donna gentile è la nobile anima d'ingegno e libera ne la sua propia potestate, che è la ragione; e ancora in Amor che ne la mente 49 (Gentile è in donna ciò che in lei si trova, ripreso in VII 14 e XIV 12), dov'è detto che tutte le virtù che si rivelano nella filosofia determinano nella donna la gentilezza e costituiscono come un esempio nel quale mirando possono [sè] far parere gentili, quello seguitando (VII 14). Così pure in Rime XVI 12.
Sempre unito o riferito a donna e madonna - in senso letterale o allegorico - l'aggettivo compare nei seguenti passi: Rime XLIX 14, L 9 e 55, LIX 4 e 10, LXVI 1, LXVII 73, LXIX 1, LXX 5, LXXXV 2, XC 31, CII 56, Rime dubbie XV 12, XVI 6, XVIII 8, XXVI 1 (dama); Vn III 1, V 1 e 3, VI 1, VIII 5 8, IX 1 e 3, XVIII 1, XIX 1, XXI 4 14, XXII 9 5, XXIII 11, XXIV 3 e 6, XXVI 5 1 (e cfr. § 4), XXXI 9 9, XXXII 6 10, XXXIV 7 2 e 8 2, XXXV 2 e 3, XXXVIII 1, XLI 1 e 13 12; Cv II II 1 (qui e nel luogo successivo con specifico riferimento al personaggio simbolico della Donna gentile, v.), XII 6, III I 9 e 13, II 9, VII 11, XIV 9. Sostantivato in Rime LXXXIII 62 e Rime dubbie III 15 2.
In If II 94 Donna è gentil nel ciel che si compiange, g. è riferito probabilmente alla Vergine nel senso di " nobile ".
Con lo stesso valore di " nobile ", l'aggettivo si trova adoperato in unione con altri sostantivi che meglio ne determinano il significato.
a) Con ‛ cuore ' è registrato in Rime XLVIII 17, LXI 10, LXXXIII 107; Vn III 10 1, dove g. è spiegato da D. stesso nobile; VIII 5 5 Perché villana morte in gentil core, col contrasto tra villana attribuito a morte e gentil attribuito a core; XX 3 1 (già citato al § 2), XXXI 9 11, XXXII 5 2; If V 100 Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, che riecheggia il verso famoso guinizzelliano, citato in Cv IV XX 7 (Al cor gentil rempaira sempre Amore).
b) Col sostantivo cosa in senso indeterminato forma una locuzione unica che il contesto del discorso determina e precisa. In Vn XXXI 10 28 gentil cosa è Beatrice, portatrice di tanta benignitate (v. 20) e umilitate (v. 21) da suscitare in Dio il desiderio di avere in cielo una creatura che possiede tanta salute, cioè che è " così perfetta ". In Cv III Amor che ne la mente 20 cosa gentil è ancora Beatrice; e infine in III VI 1, XII 11 e 14 cosa gentile è la " filosofia ".
c) Nei casi in cui g. si accompagna o si riferisce a nome di persona di genere maschile, conserva il solito significato di " nobile ", ma con una più marcata accentuazione dei valori sociali. Così nella canzone Le dolci rime (Cv IV) D. stabilisce che l'opposto di g. è villano (v. 70, ripreso in XV 4). Cercando poi i segni che il gentil om tene (v. 80), indica il valore / per lo qual veramente omo è gentile (v. 13) in un complesso di segni, cioè di manifestazioni che riguardano l'intelligenza, la volontà, la sfera morale e intellettuale, l'impegno civile, la nominanza e la gloria sociale; e respinge l'opinione di quanti ritengono che g. sia chi appartenga a schiatta da lungo tempo ricca (v. 30) o chi sia nato da cotal valente, pur essendo lui stesso uomo da niente (v. 35, ripreso in VII 2). Respinta è pure l'opinione per la quale vil uom non possa diventare g. (Le dolci rime 61, ripreso in X 2, XIV 1 e 3), perché se è vero che il ‛ valore ' per lo quale uomo è gentile veracemente (II 11) consiste in una potenza di natura, o vero bontade da quella data, è pur vero che per tradurre in atto quella potenza occorre l'impegno intellettuale e morale del singolo, che ne determina la responsabilità e i meriti (cfr. IV III 8, VII 2 e 5, XIV 3 [4 volte] e 14, XV 2 [2 volte] e, riferito a tutta la stirpe, in Le dolci rime 63).
Ancora in If VII 3 quel savio gentil è spiegato " nobile " (Porena, Sapegno e altri), con qualche riferimento alla gloria; in Pg XIV 102 verga gentil di picciola gramigna, g. ha il significato di " nobile " in opposizione a picciola che vale " umile ": e tutto il verso vale " nobile ramo cresciuto su un umile tronco " (Sapegno); mentre infine in Pg VIII 53 giudice Nin gentil, g. è spiegato dal Lana " nobile e gentile de costumi e de virtude ". Ancora tale il valore in If XXVI 60, Pg VIII 22.
d) Anche in unione con i sostantivi ‛ anima ' o ‛ spirito ' l'aggettivo conserva il significato che in D. è fondamentale di " nobile ", arricchendosi del valore di ‛ bontà ', ‛ cortesia ', ‛ perfezione ' in senso lato: così in Rime LXXX 10, Rime dubbie XIV 4, Vn VIII 6 13, XXXI 11 30, Pg VI 79 e XXXIII 130. E più marcatamente in senso etico in Cv III Amor che ne la mente 64 (ripreso e commentato in VIII 16), dove spirito gentile è diritto appetito, per lo quale e del quale nasce origine di buono pensiero, cioè " tendenza morale buona nella parte appetitiva umana, e propriamente nella volontà " (Busnelli-Vandelli). Analogo valore in Rime XC 46, dove Amore è signor di sì gentil natura in quanto nobiltà e bontà derivano da lui; e infine in XCI 49, dove gentil desio è il desiderio di ben operare nato dal desiderio amoroso.
Sulla stessa linea - ancor più in aderenza con i temi della poetica amorosa stilnovistica - appare l'aggettivo in Vn XXI 6 Fae gentile tutto ciò che vede, dove D. stesso spiega che ‛ fare g. ' significa inducere Amore in potenzia là ove non è; in Vn XXI 2 2 (per che si fa gentil ciò ch'ella mira), il Barbi - parafrasando D. (XXI 6) - spiega che ‛ farsi g. ' è il " divenire potenzialmente disposto ad amare ". Ovvio quindi l'uso di g. in Rime LXXXVI 12 (Risponde il fonte del gentil parlare) e Cv II Voi che 'ntendendo 42.
e) Infine stato gentile, in Vn XIX 6 11, costituisce locuzione unica per indicare il sostantivo astratto " gentilezza ", cioè " nobiltà " (Barbi).
I significati fin qui indicati coesistono sublimati in una significazione quasi sacrale in Cv Il Voi che 'ntendendo 5 gentili creature che voi sete (ripreso in VI 5), dove g. è attribuito agli angeli motori del terzo cielo. Casi particolari sono quelli di Rime LVI 5, dove l'aggettivo accompagna il sostantivo fiore per sottolinearne bellezza e delicatezza; di Vn XII 15 43, dove la qualifica è attribuita per vezzo artistico alla ballata; e XXXVIII 9, dove gentil parte sono li occhi de la donna mostratasi pietosa.
Cfr. ancora Vn VIII 1 gentile aspetto (anche in Pg III 107), XXXIII 8 26 intelletto... / gentile, XXXVI 4 4 (occhi), Rime LXV 2 (lume), LXXI 12 (atto), LXXX 15 (segnor), Rime dubbie X 8 (disio), Cv III VI 4 (gente), Pg XVIII 82 (ombra gentil, Virgilio). Sostantivato in Rime dubbie VII 2 que' gentili ond'è nata quella / ch'Amor ne la memoria ti suggella, e in Pg VI 110 Vien, crudel, vieni e vedi la pressura / d'i tuoi gentili, dove indica " conti, marchesi et altri gentili omini e signori d'Italia " (Buti).
Il termine appare un buon numero di volte usato al grado superlativo di genere femminile, con 28 presenze nella Vita Nuova e due nel Convivio: 15 volte come aggettivo in unione coi nomi comuni donna e madonna e col nome proprio Beatrice. Il significato che presenta in questi casi è quello solito di " nobile ", " virtuosa in sommo grado ". Una particolarità sintattica è l'uso del complemento partitivo dopo il superlativo assoluto con valore di superlativo relativo, in Cv III VI 1 (che questa sia... gentilissima di tutte le cose). Gli altri luoghi in cui appare gentilissima sono: Vn III 1, IV 1, V 1, 2 e 3, VI 1, VIII 2, IX 3, X 2, XI 3, XII 6, XIV 1, 4, 5 e 7, XVIII 2 e 9, XXI 1, XXII 3, XXIII 3 e 15, XXVI 1, XXVIII 1, XXXVIII 6, XXXIX 2 e 3, XL 1, Cv II XV 1.
Il termine è presente infine nel Fiore, 8 volte in funzione di aggettivo vero e proprio (LXX 5, LXXVI 1, XCI 10, CXIII 9, CXVIII 8, CXXXVIII 2, CXLIV 9, CXCV 3) e due volte di aggettivo sostantivato (CCV 4 e CCXXVIII 2). Il significato è quello - più frequentemente registrato nelle altre opere di D. - di " nobile " (XCI 10, CXIII 9, CXVIII 8); talora con più marcato riferimento alle qualità fisiche (LXXVI1, CXLIV 9, CCV 4, CCXXVIII 2), o con ironica allusione e personaggi che di g. sembrano avere ben poco (cfr. LXXV 5 gentil compagnone; CXXXVIII 2 e CXCV 3 gentil madonna).