GENUFLESSIONE (dal lat. genu-flexio "piegamento del ginocchio")
Abbassare la propria persona, piegando un ginocchio o ambedue, davanti a un'altra persona o cosa in segno di rispetto, è costumanza della più remota antichità. I monumenti di Babilonia e Assiria rappresentano prigionieri genuflessi avanti a vincitori monarchi di quelle regioni; anche re vassalli - ad es. il re Iehu d'Israele - sono rappresentati genuflessi davanti a loro. Un bassorilievo di Paro, rappresentante un gruppo di personaggi che adorano Cibele, ha fra essi soltanto una donna inginocchiata: gli altri sono in piedi. L'uso infatti della genuflessione in atti di culto era in genere evitato sia presso i pagani, sia presso gli Ebrei e gli antichi cristiani: ordinariamente si pregava in piedi. Per l'Antico Testamento si hanno rarissimi accenni alla genuflessione in occasione di preghiera (I[III] Re, VIII, 54; II Cron., XXIX, 30); d'altra parte facevano genuflessione davanti a Gesù sia chi domandava favori da lui (Matteo, XVII, 14; Marco, I, 40), sia i soldati che lo beffeggiavano durante la sua passione (Matteo, XXVII, 29). I monumenti delle catacombe rappresentano invariabilmente in piedi le persone oranti; tuttavia consta che anche i primitivi pregavano talvolta genuflessi (Eusebio, Hist. eccl., II, 23; Tertulliano, Ad Scapul., 4). Nella chiesa latina la genuflessione entrò sempre più nell'uso privato e liturgico dai tempi del monachismo in poi; la chiesa greca mantiene la preghiera in piedi.