Geografi e periplografi
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Commercio e navigazione sono alla base delle conoscenze sulla fisionomia della Terra nel mondo antico. Da esigenze pratiche sono scaturite le prime raffigurazioni dell’ecumene, a lungo pensata come una superficie piatta con tre continenti circondati dall’oceano come un grande fiume. Ai resoconti di viaggiatori di terra e di mare si affianca, nel tempo, la geografia scientifica che culmina con l’opera di Claudio Tolomeo, composta alla metà del II secolo.
Il termine “geografia”, di origine greca, diventa di uso comune in età ellenistica e indica il desiderio di organizzare in modo sistematico e razionale le conoscenze relative alla configurazione della Terra. Attività di ricerca in questo settore vennero compiute anche nei secoli precedenti l’ellenismo, ma è soprattutto in ambiente alessandrino che si cerca di organizzare il bagaglio di nozioni esistente in una trattazione organica e scientifica.
Per quanto concerne le epoche più remote la nostra conoscenza è strettamente legata ai reperti archeologici che, ritrovati in regioni assai distanti dal luogo di produzione, raccontano di antichissime spedizioni in terre lontane avvenute già in epoca minoica. I numerosi ritrovamenti riconducibili alla civiltà cretese rinvenuti in varie regioni del Mediterraneo attestano infatti che i Minoici raggiungono, via mare, località assai distanti dalla loro madrepatria: nel XV secolo a.C. le imbarcazioni cretesi già toccano i porti dell’Egeo, del Mar Nero e di Marmara, costeggiano Cipro, la Siria, l’Egitto e la parte meridionale della nostra penisola. Sulle orme dei Cretesi, i Fenici fondano una serie di avamposti sulla costa settentrionale africana spingendosi fino alla parte meridionale della Spagna. Sul versante opposto del Mediterraneo essi percorrono il Mar Rosso, forse raggiungendo anche l’Oceano Indiano. Si ritiene che la memoria di questi antichissimi viaggi di esplorazione sia rintracciabile nei poemi omerici e in particolare nell’Odissea, le cui informazioni di carattere geografico hanno dato luogo a vivaci controversie che ancora non hanno trovato una soluzione.
D’altro canto, è altamente probabile che proprio sul bagaglio di nozioni acquisito tramite le esperienze di navigatori cretesi, micenei e fenici sia stato organizzato il movimento coloniale che coinvolge gli abitanti della penisola ellenica tra VIII e VI secolo a.C. La fondazione di nuovi centri, a Oriente come a Occidente, è ormai un dato acquisito: la rete di città che ne scaturisce gioca un ruolo determinante nel creare i presupposti per stabilire una serie di relazioni da cui traggono immediato beneficio le forme di sapere scientifico e tecnico. I vivaci centri della Ionia diventano infatti luogo di incontro, confronto e trasmissione di nuove informazioni sulle regioni del Vicino e Medio Oriente, sulle zone centrali e settentrionali dell’Europa e su quelle interne dell’Africa, sull’Oceano Indiano e su quanti abitano a est del Mar Nero. Rispetto al confuso orizzonte dei testi omerici, il mondo conosciuto al principio del VI secolo a.C. è notevolmente più ampio.
È questo bagaglio di notizie di carattere pratico, legato ad ambiziose iniziative commerciali e coloniali a destare l’attenzione dei filosofi naturali della Ionia, ai quali dobbiamo i primi tentativi di sintetizzare queste informazioni in un sistema razionale. Secondo la tradizione risale ad Anassimandro la prima carta geografica del mondo conosciuto. Lo scopo che Anassimandro si è prefisso coglie in pieno il senso dello studio della geografia da parte dei Greci, interessati non alla rappresentazione di singole regioni per fini amministrativi, ma alla visualizzazione dell’ecumene per ragioni scientifiche. La rappresentazione della Terra da parte di Anassimandro risente ancora della tradizione maturata in ambito babilonese. Come i popoli che abitarono la Mesopotamia, infatti, anche il filosofo naturalista di Mileto raffigura la Terra come un disco piatto circondato dall’oceano; tre grandi continenti, Europa, Asia e Africa si trovano all’interno dello spazio occupato dalle acque, come terre emerse dal mare.
Sul finire del VI secolo a.C. la carta geografica di Anassimandro viene arricchita di nuove informazioni grazie all’opera di Ecateo di Mileto, lo storico che compone anche un perduto testo dal titolo Descrizione della Terra, in due libri. In quest’opera confluiscono le esperienze personali dell’autore, ai cui viaggi risalgono le descrizioni di settori della penisola iberica, dell’Italia, dell’Illiria.
È possibile che l’idea di scrivere un testo di geografia trovi giustificazione nella necessità di registrare le nuove conoscenze conseguenti alla formazione dell’impero persiano, la cui espansione verso Oriente ha rivelato territori e popoli prima sconosciuti. Con i regni dei sovrani persiani, Ciro, Dario e Cambise, la conoscenza di quelle regioni aumenta; tra l’altro, nel corso della spedizione di Dario in India, Scilace, un suo ammiraglio, avrebbe disceso l’Indo e navigato fino al Golfo Persico circumnavigando poi l’Arabia. È questa congerie di dati nuovi e relativi a mondi lontani che avrebbe spinto Ecateo a redigere una carta, realizzata presumibilmente sul finire del VI secolo a.C., nella quale compaiono regioni che non figuravano nel precedente lavoro di Anassimandro. È da sottolineare che l’opera di Ecateo mette anche a frutto le notizie confluite all’interno di un nuovo genere letterario, quello dei “peripli”, testi pensati per i naviganti, nei quali sono riportati elenchi di città con indicazione delle distanze in termini di giorni e notti di viaggio.
La nascita della geografia scientifica affonda dunque le sue radici nell’esperienza pratica di generazioni e generazioni di navigatori, coloni e commercianti che vanno mettendo insieme un cospicuo bagaglio di informazioni successivamente recepite e rielaborate dagli uomini di cultura. Sebbene ancora legati all’immagine di una terra piatta e abitata solo sulla sua faccia superiore, Anassimandro e Ecateo possono a buon diritto essere considerati i padri fondatori della geografia scientifica.
Con l’acquisizione della nozione della sfericità della Terra crolla la geografia dei filosofi naturalisti della Ionia. Sostenuta nella scuola dei pitagorici, questa dottrina è ormai consolidata al tempo di Platone e Aristotele. L’idea di una terra piatta viene abbandonata e si presentano nuovi problemi di geometria, principalmente la raffigurazione su un piano delle regioni poste sulla superficie sferica della Terra. Tra l’altro, l’orizzonte geografico continua ancora ad ampliarsi grazie al tradizionale sistema dei viaggi e dei peripli. Destinata ad ampia risonanza è, anche nel mondo greco, l’impresa compiuta dal cartaginese Annone, autore di un viaggio oltre lo stretto di Gibilterra e lungo la costa occidentale africana nel quale avrebbe raggiunto Senegal, Gambia e Golfo di Guinea. Le nuovissime informazioni da lui riportate su queste terre, sui loro abitanti e sulla fauna ci sono giunte in una sintesi in lingua greca. Ancora un Cartaginese, Imilcone, avrebbe compiuto in questo stesso periodo un viaggio fino alle coste della Bretagna.
Tuttavia, l’evento decisivo per ampliare le conoscenze sulle regioni a Oriente della costa mediterranea dell’Asia è conseguente alle spedizioni di Alessandro Magno: Egitto e Mesopotamia, Iran occidentale fino alla riva meridionale del Mar Caspio e Afghanistan sono le tappe principali dei suoi spostamenti cui partecipano numerosi studiosi. È noto che durante i suoi spostamenti Alessandro raccoglie una notevole quantità di informazioni su popoli, piante e animali fino ad allora sconosciuti. Vicende militari e spedizioni commerciali restano dunque i principali metodi per produrre nuove conoscenze in materia di geografia. Allo stesso periodo in cui si comincia ad avere un’idea più esatta della straordinaria estensione dell’Asia risale infatti un’altra notevole impresa di mare, destinata a portare nuove fondamentali informazioni anche sulla parte settentrionale dell’Europa.
Si data all’anno 335 a.C. l’incredibile viaggio di esplorazione compiuto dal marsigliese Pitea nell’estremo nord, presumibilmente alla ricerca di ambra e stagno. I frammenti superstiti dell’opera in cui Pitea racconta la sua spedizione, il Viaggio attorno all’Oceano, consentono di ricostruire per grandi linee i suoi spostamenti. Dalle coste della Bretagna Pitea raggiunge la Britannia, della quale egli sembra riconoscere i confini insulari. Informato dagli indigeni con cui è in costante contatto dell’esistenza di una terra ancora più settentrionale, si mette nuovamente in viaggio e raggiunge Thule, situata ai margini dell’Oceano Artico. Descritta come una regione di ghiaccio e fuoco, Thule è una parte della terra in cui il sole non tramonta, distante circa una settimana di viaggio dalla Britannia. Già nell’antichità era tutt’altro che chiaro a cosa corrispondesse questa terra toccata da Pitea: troppo lontana dai confini settentrionali dell’impero romano, identificazione e ubicazione di Thule restano avvolti da un’aura di mistero destinata a perdurare fino al Rinascimento. Virgilio la definirà “ultima Thule”, nel senso di “estrema” perché posta ai confini del mondo noto. Quando Claudio Tolomeo, dall’alto della sua autorità, nella Geografia descrive Thule come un’isola di cui fornisce latitudine e longitudine, i dubbi sembrano fugati. Così non sarà perché fino a tutto il Rinascimento questa terra resterà oggetto di accesi e fantasiosi dibattiti.
In linea generale, le informazioni derivanti dalle spedizioni a Oriente di Alessandro Magno e dai viaggi per mare compiuti a Occidente pongono l’esigenza di realizzare una nuova carta sulla quale sintetizzare le conoscenze venute alla luce nel corso del IV secolo a.C.
La prima opera della nostra tradizione a recare il titolo di Geografia è scritta da Eratostene di Cirene ad Alessandria verso la metà del III secolo a.C. Ricordato dagli antichi per la sua straordinaria cultura, Eratostene ha certamente tratto vantaggio, nel comporre quest’opera, dal ricoprire la carica di bibliotecario ad Alessandria. Nella fornitissima biblioteca messa insieme dai Tolemei, infatti, Eratostene avrà certamente rinvenuto e consultato i testi di riferimento sulla base dei quali comporre il suo trattato in tre libri, che, è andato perduto. Lo scopo che Eratostene si prefigge è quello di delineare i confini del mondo noto, visualizzandoli anche in forma grafica attraverso la stesura di una nuova carta. È da inquadrare in tal senso l’operazione, che Eratostene considera preliminarmente necessaria, di effettuare la misura della circonferenza terrestre. Sulla base della distanza angolare tra Siene e Alessandria, due città poste sul medesimo meridiano, Eratostene riesce a valutarla in 252 mila stadi, cioè 39.960 chilometri, un valore che ancora oggi suscita ammirazione per la precisione del dato.
La Terra di Eratostene è un blocco unico, circondato dall’Oceano, così come sembravano dimostrare i dati dei viaggi di Annone, Pitea e altri navigatori. Di particolare interesse è l’esame delle nozioni di geometria alla base della costituzione della carta di Eratostene, che come parallelo principale assume quello indicato da Dicearco di Messina, che aveva condotto una linea che dalle Colonne d’Ercole, attraverso Sardegna, Sicilia e Peloponneso, raggiungeva l’interno dell’Asia.
A questo Eratostene aggiunge altri paralleli e meridiani, realizzati sulla base della latitudine di località note. Sono proprio queste notizie a consentire di ricreare la fisionomia della carta nelle sue linee generali. In opposizione a Eratostene e alla sua teoria dell’unico ecumene, Cratete di Mallo, in Cilicia, alla metà del II secolo a.C. sostiene l’esistenza di bracci marini perpendicolari, tali da creare quattro regioni distinte sulla Terra. Continuatore dell’opera di Eratostene è Posidonio di Apamea, che si cimenta tra l’altro in una nuova misura della circonferenza terrestre ottenendo un valore decisamente inferiore al precedente, equivalente a 180 mila stadi e dunque lontano dal vero. Tra l’altro, è proprio questo valore che, ripreso e considerato valido da Claudio Tolomeo, costituirà la misura di riferimento per la circonferenza terrestre per tutto il Medioevo.
Autore di un perduto trattato Sull’Oceano, Posidonio compie studi sul fenomeno delle maree e compone anche un trattato, perduto, di meteorologia nel quale affronta questioni relative all’atmosfera e ai suoi fenomeni.
Per trovare un nuovo consistente ampliamento dei confini del mondo noto si dovrà attendere il dominio di Roma sul Mediterraneo e regioni limitrofe. Se con le imprese militari e le opere scritte da Giulio Cesare la Gallia può dirsi conosciuta, nella prima metà del I secolo una flotta guidata dal generale Agricola compie la circumnavigazione della Britannia; per quanto già note, sono percorse dalle legioni romane la penisola iberica e la Germania fino al fiume Elba e al confine con l’Olanda; le spedizioni militari in Pannonia e Dacia portano il bacino fluviale del Danubio nell’orbita del mondo noto ai Romani, mentre le guerre mitridatiche (88-63 a.C.) creano i presupposti per una migliore conoscenza dell’entroterra asiatico. Con le legioni portate fino al cuore dell’Africa, alle oasi del Sudan, il quadro delle conoscenze geografiche in epoca romana risulta notevolmente ampliato rispetto all’età alessandrina. Al movimento di informazioni conseguente agli spostamenti delle legioni non corrisponde però la stesura di opere letterarie. La mentalità dei Romani, predisposta a produrre materiali di immediata utilità, si manifesta nella stesura degli “Itinerari”, che descrivono le province dell’impero e le strade da percorrere con relative stazioni di sosta. Nate con evidente finalità pratica, queste opere non hanno veste scientifica.
Rimane dunque come monumento della scienza geografica dei Romani la straordinaria rappresentazione cartografica dell’impero, realizzata dal generale Marco Vipsanio Agrippa, incisa su marmo ed esposta al pubblico in un portico a Roma.
Resta da dire della Geografia di Strabone, un greco originario del Mar Nero che compone nella sua lingua, ma a uso dei Romani, quest’opera in cui sottolinea come lo scopo del trattato sia quello di descrivere le terre occupate da Roma. Pur priva della parte dedicata alla fisica terrestre, l’opera di Strabone è una pietra miliare nella storia della geografia. Al servizio dell’impero di Roma, la geografia universale di Strabone è pensata per offrire agli uomini di governo una generale conoscenza delle regioni e dei loro prodotti, delle razze umane, degli ostacoli della natura. I 17 libri della Geografia offrono una sintesi assai interessante delle opere dei suoi predecessori e testimoniano l’omaggio dello studioso all’innovativo progetto politico e di governo del giovane Ottaviano. Dedicata agli amministratori delle province mandati a governare terre di cui probabilmente ignorano tutto, l’opera costituisce il manifesto della geografia descrittiva nella quale si raccontano i popoli e le loro usanze, il clima e le risorse del suolo. Ecco perché in quest’opera di Strabone non compaiono le regioni a margine della Terra nota, perché “per le ragioni del governo non vi è alcun vantaggio nel conoscere questi paesi e i loro abitanti, soprattutto quando vivono in isole che non ci possono procurare problemi né dare profitti considerata la mancanza di relazioni” (Geografia, 2, 5, 8). Alla breve introduzione generale dove illustra le nozioni necessarie per lo studio della geografia, i mari e i continenti della Terra, Strabone aggiunge la descrizione di Europa, Asia e Africa.
Pronto a elogiare i Greci per la loro capacità di unire il bello all’utile, per esempio nella costruzione di abitazioni e templi, Strabone sottolinea però che sono stati i Romani a concentrarsi su aspetti fondamentali che gli Elleni hanno trascurato, per esempio la pavimentazione di strade, la realizzazione di fognature e sistemi idrici (Geografia 5, 3, 8). Opera straordinariamente ricca di informazioni, la Geografia di Strabone descrive un mondo dai confini ampliatisi a dismisura, vivendo all’interno del quale è utile conoscere caratteri generali e aspetti particolari.
Vale la pena ricordare che la prima descrizione latina del mondo abitato si trova in un poema astrologico, gli Astronomica di Manilio, opera composta tra i regni di Ottaviano Augusto e Tiberio. Spinto dal voler dimostrare l’influenza dei corpi celesti sulle regioni della terra, Manilio descrive l’ecumene come un’isola circondata dall’oceano, secondo l’immagine tradizionale con i tre grandi continenti dei quali preferisce privilegiare l’aspetto fantastico: animali feroci in Africa, metalli preziosi e profumi in Asia, sapienti in Europa per un mondo che, comunque, è sottoposto al dominio di Roma. Alla metà circa del I secolo risale il De chorografia di Pomponio Mela, incaricato dall’imperatore Claudio di scrivere quest’opera. Attraverso la finzione del periplo Mela descrive le coste dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa, compiendo un percorso esterno e uno interno attorno al Mediterraneo.
Resta infine la Tabula Peutingeriana, straordinario documento della tarda antichità che più efficacemente di ogni altra fonte permette di toccare con mano le conoscenze di geografia degli antichi. La Tabula Peutingeriana è solo a prima vista una carta che si limita a mostrare la rete stradale realizzata dai Romani in Italia e nelle regioni a essi sottomesse; in realtà, in sintonia con i precetti forniti da Strabone (Geografia, I, 16), che aveva definito la geografia una forma di conoscenza pratica e al servizio dell’uomo di governo, questa carta nasce con lo scopo di istruire quanti l’avrebbero consultata relativamente a questioni utili e concrete come la disposizione dei confini delle terre, i percorsi dei fiumi e le dimensioni dei laghi, le popolazioni che si potevano incontrare in territori vicini e lontani. L’oscuro autore di quest’opera ha messo a frutto un patrimonio di conoscenze e modelli da tempo acquisiti, specialmente rispetto alle due principali tendenze della geografia antica, quella descrittiva e quella matematica. In essa sono confluite la tradizione degli itineraria adnotata, che non solo recavano indicazione della presenza di stazioni di sosta, locande, porti e ponti, ma registravano anche le distanze tra le diverse località; vi è, inoltre, la memoria degli itineraria picta, di cui la Tabula Peutingeriana costituisce il massimo esempio ed è molto probabile, inoltre, che in essa vi sia una eco dell’Orbis Pictus di Agrippa, così come della geografia letteraria di Plinio e Pomponio Mela. E anche la disposizione delle terre e dei mari dovrà essere vista come un riflesso delle traduzioni latine del genere letterario dei peripli e probabilmente dell’Itinerarium Antonini, che pure era una raccolta di percorsi all’interno delle province dell’impero. Presumibilmente destinata ai funzionari imperiali che avevano necessità di effettuare spostamenti, la complessa cartografia della Tabula Peutingeriana non è pensabile al di fuori di una tradizione consolidata, nella quale scorgiamo i limiti e i progressi di una disciplina in continuo avanzamento. Se carta e testo sono due diverse forme di geografia nate in Grecia e destinate a rappresentare l’ecumene o una parte di esso in uno spazio geometrizzato e “narrato”, la Tabula Peutingeriana sintetizza entrambe queste tendenze.