geografia
Il termine g. non è utilizzato da D.; egli usa quello di cosmografia, attribuendo a tale disciplina la finalità di determinare la distribuzione delle regioni sulla superficie terrestre (Quaestio 53 et per cosmographos regiones terrae per omnes plagas ponentes).
Tuttavia i suoi interessi risultarono molto più vasti e ‛ geografici ', anche in senso moderno. Ciò può desumersi proprio da un'affermazione contenuta nel De vulg. Eloq. (I VI 3): revolventes et poetarum et aliorum scriptorum volumina, quibus mundus universaliter et membratim describitur, ratiocinantesque in nobis situationes varias mundi locorum et eorum habitudinem ad utrunque polum et circulum aequatorem. Queste parole tradiscono l'interesse dantesco per l'informazione geografica, sia generale che regionale, per l'ubicazione delle località e per gli aspetti del paesaggio fisico e antropico (habitudo, secondo il concetto di Alberto Magno De Natura locorum I 1). Solo marginalmente riguarda la g. - ed è invece di preminente esigenza biografica - l'accertamento della presenza fisica di D. nelle località che egli cita.
In effetti molta g. dantesca deriva da viaggi via terra e forse per mare. Può al riguardo ricordarsi (If XXVIII 89) la località di Focara sull'Adriatico, tristemente famosa ai marinai per la violenza del vento; la posizione di Noli (Pg IV 25), per la quale si legge nel Compasso de navegare (Portolano del secolo XIII; cfr. § 38): " Lo capo de Noli è alto a mmare e mozo, et è molto ballumenoso ". Vivida impressione è quella che si ricava dal mare della costa ligure, a picco (Pg III 49-50): Tra Lerice e Turbìa la più diserta, / la più rotta ruina è una scala. Ma si tratta d'indizi assai fragili. Comunque D. sicuramente ha conosciuto di persona località italiane che pure non ha occasione di ricordare nelle sue opere (ad esempio Sarzana e Castelnuovo). Che D. abbia visitato molte parti d'Italia ci autorizza a credere quanto egli stesso scrive in Cv I III 4-5 Poi che fu piacere de li cittadini de la bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, di gittarmi fuori del suo dolce seno... per le parti quasi tutte a le quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando, sono andato.
Quanto a possibili viaggi di D. all'estero, molte sono le perplessità; ma proprio un geografo, Paolo Revelli, ritiene credibile almeno un viaggio di D. in Francia.
D. supponeva la Terra sferica (globo di Pd XXII 134), e aveva esatta cognizione degli elementi astronomici di riferimento: poli, meridiani, equatore, ecc. La palla di Cv III V 10 era il suo globo terrestre di usuale consultazione, di cui si serviva per le dimostrazioni. Le terre emerse si estendono dalla foce del Gange a Cadice: località che, secondo gli astronomi, distano 180° in longitudine, vale a dire metà della circonferenza. Infatti nel tempo dell'equinozio, il Sole, che gli abitanti di Cadice vedono tramontare (nell'oceano) è simultaneamente veduto sorgere (dall'oceano) dagli abitanti della foce del Gange. La latitudine della terra emersa è invece di circa 67°; per questo la superficie terrestre assume una forma quasi di mezzaluna (Quaestio 54-58). La restante superficie terrestre è occupata dalle acque dell'oceano.
La presenza della terra emersa nella metà di un solo emisfero viene spiegata con la caduta di Lucifero nell'emisfero australe e con la fuga delle terre verso l'emisfero boreale (If XXXIV 121).
D. è pure informato sulle dimensioni del globo. Per le misure egli dipende da Alfragano, che cita (Cv II XIII 11), dicendo che il diametro della Terra è pari a 6500 miglia (cfr. pure Cv III V 9 e IV VII 7).
Degna di rilievo è l'ubicazione assoluta di Gerusalemme, che è di estrema importanza. Stabilita come longitudine zero o meridiano 0° il meridiano di Gerusalemme (equidistante dalla foce del Gange e da Cadice), rimane da fissarne la latitudine. Questa, se consideriamo Gerusalemme situata in luogo equidistante dal limite meridionale e dal limite settentrionale dell'ecumene, sarebbe di 33º circa, perché nel colmo di esso (If XXXIV 114). Se invece consideriamo Gerusalemme situata alla massima latitudine boreale di zenitalità dei raggi solari (Tropico del Cancro), la sua latitudine è di 23° 27' (Pg II 1-3). Questa notevole differenza di circa 10º di latitudine rappresenta un compromesso fra la tradizione cristiana (Ezech. 5, 5; Isid. Etym. XIV III 21) e la tradizione classico-scientifica di sigillo tolemaico (per Tolomeo, Gerusalemme è alla latitudine di 31° 40'). Suppongono che D. stesso - nonostante una punta polemica per la forma dell'ecumene circolare in Quaestio 57 Si vero [Terra] haberet orizontem circularem, haberet figuram circularem cum convexo; et sic longitudo et latitudo non differrent in distantia terminorum, sicut manifestum esse potest etiam mulieribus - non abbia potuto insistere sulla questione, che ha radici profonde. Esattamente agli antipodi di Gerusalemme è la montagna del Purgatorio, sorta in mezzo alle acque oceaniche dell'emisfero australe, perché, una volta caduto Lucifero, le terre han voluto fuggir lui (If XXXIV 125).
Le conoscenze geografiche regionali di D. sono estese e aggiornate, anche se è presente la g. regionale classica, che ha come confronti principali Virgilio, Ovidio, Lucano, Orosio. V'è tuttavia da notare che il più delle volte il toponimo classico interviene o per contemporaneità rispetto a un episodio storico o per fornire notizie su quei paesi dei quali il Medioevo aveva perduto nozione e informazione dirette. È già stato osservato da altri che D. rifiuta di utilizzare quel patrimonio di leggende e di mostruosità, che la g. classica aveva tramandato e che il Medioevo ha spesso fantasticamente arricchito.
Con questi precedenti possiamo affermare che D. utilizzi con sano criterio (forse neppure scevro da una certa diffidenza, se, avendo conosciuto il Milione di Marco Polo non lo ha pienamente utilizzato) la g. del suo tempo, parlando di Norvegia, di Portogallo, di Rascia, di Ungheria, di Navarra (Pd XIX 139 ss.), di Marocco (If XXVI 104), di terra di Soldano (If XXVII 90, Pd XI 101), ecc.
Un curioso particolare geografico dantesco consiste nell'attribuire la nazionalità usualmente riconosciuta nei secoli XIII-XIV, a personaggi vissuti anteriormente, e che appartengono a diversa stratificazione etnica. E così, mentre i genitori di Virgilio diventano lombardi (If I 68), Annibale è posto a capo degli Aràbi (Pd VI 49). E tutto induce a ritenere che Gesù sia un Siriaco (Cv IV V 9). I letterati hanno spiegato sottilmente gli anacronismi, che però per la g. rimangono tali.
La g. dell'Italia è ovviamente la più precisa e particolareggiata. D. possiede con chiarezza l'idea dei confini naturali (VE I VIII 8-9, XV 8, If XXXIII 80) dell'orografia, dell'idrografia e di talune estensioni regionali, che rivelano nella puntualizzazione areale l'uso di carte geografiche (Apulia, sed non tota, VE I X 7). Trascrivo una statistica relativa al numero di località per regioni geografiche citate da D.: Toscana 60, Emilia 31, Veneto 30, Lazio 15, Liguria e Umbria 11, Italia meridionale 10, Lombardia e Marche 9, Piemonte 8, Sicilia 6, Sardegna 4. Se una maggiore frequenza di citazioni indicasse una maggiore conoscenza geografica, potrebbe dirsi che D. è molto meno informato sull'Italia meridionale, sulla Sicilia e sulla Sardegna.
Permangono incertezze per talune identificazioni di toponimi, idronimi e oronimi (Clugnì, If XXIII 63; Tambernicchi, If XXXVI 28; Verde, Pg III 131), ma per le questioni particolari si rimanda alle singole voci. Controversie di maggior peso concernono le esatte spiegazioni areali di Alpi e Appennino, e di quel promuntorium illud Ytaliae (VE I III 8) identificato con Capo Promontore, Capo d'Otranto, e all'incirca con Capo dell'Armi. Genera una certa perplessità quel corno d'Ausonia di Pd VIII 61, mentre D. aveva avuto nozione da Lucano di cornua dua (Phars. II 396 ss.).
D., da buon osservatore e interessato studioso della natura, propone al suo lettore esempi, similitudini e chiarimenti tratti da fenomeni propri della g. fisica. Egli cerca di rendersi conto delle cause, ripudiando le tradizioni mitologiche (Pd VIII 70) e spesso esponendo con precisa cognizione l'evolversi del fenomeno, come ad esempio per l'erosione delle acque correnti (If XXXIV 131-132), il bilancio idrico atmosferico (Pg XIV 34-36), le frane (If XII 4-9), le maree (Pd XVI 82-83, Quaestio 15). Non si tratta soltanto di osservazioni singole e occasionali, come il lento cadere di neve in alpe santa vento (If XIV 30; cfr. Pg XVII 1-9), ma di acquisizione meditata di teorie naturali. Il caldo di Carentana e le conseguenti piene del Brenta (If XV 7-9) e la presenza di corsi d'acqua a valle, che dimostrano l'ubertà del suo cacume (Pd XX 21), sono incisive e personali notazioni fondate su una penetrazione scientifica dei fenomeni naturali. Inutile ricordare tutti i numerosi riferimenti meteorologici. L'uso della tecnica esemplificativa induce D. ad attingere a piene mani - ma sempre con sano criterio e misurata accortezza - nel gran libro della natura (ad es. If XIII 40-42, Pg XXXIII 67), nella mitologia, nell'epos. Nonostante la molteplicità delle provenienze, la notazione naturalistica è sempre chiara e pertinente.
La precisione del linguaggio dantesco si riflette anche nella terminologia tecnica geografica; basterà ricordare l'uso appropriato di rio, ruscello, torrente, fiumicello, fiume, fiumana. D. stesso del resto ci richiama al suo scrupolo filologico (Cv III V 3). Infine va rilevato che in D. il gusto poetico per il paesaggio unito a una coscienza geografica di esso si traduce in un linguaggio di un'espressività concisa e pregnante come ad es. in paese guasto (If XIV 94) e livido color de la petraia (Pg XIII 9).
Il paesaggio dantesco non è un passivo scenario ove soltanto schiatte si disfanno, ma un elemento attivo per la vita dell'umanità, ove le cittadi termine hanno (Pd XVI 76-78). Non soltanto un avvicendarsi di lingue da luogo a luogo e di generazione in generazione (VE I IX 7-11), ma anche di forze naturali o perennemente operanti. Ma nella natura gli uomini imprimono il sigillo della propria presenza e potenza. Essi erigono dighe perché 'l mar si fuggia, e costruiscono argini per difender lor ville e lor castelli (If XV 6-8); questo richiamo dantesco all'operosa vicenda umana di fronte alla natura testimonia fino a che punto per lui g. significasse punto d'incontro di civiltà umana e ambiente naturale.
Bibl.-P. Revelli, L'Italia nella D.C., Milano 1923; M. Casella, Questioni di geografia dantesca, in " Studi d. " XII (1927) 65-78; A. Loperfido, Il senso geografico nel poema di D., Firenze 1929; A. Sacchetto, Con D. attraverso le terre d'Italia, ibid. 1954; F. Cibele, Il paesaggio italico nella D.C., Vicenza 1957; O. Baldacci, I recenti contributi di studio sulla geografia dantesca, in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965) 213-225; ID., Alcuni problemi geografici di esegesi dantesca, in " Boll. Soc. Geogr. Ital. " s. 9, VII (1966) 563-578.