Geografia
La conoscenza del ‘sistema Terra’
La geografia è una delle scienze più antiche, che risponde a domande fondamentali poste in tutte le epoche e presso tutti i popoli: perché le cose del mondo sono lì dove sono, perché non sono altrove, quali conseguenze ne derivano, quali possibilità abbiamo di modificare tali conseguenze. Il sapere geografico è stato a lungo uno degli aspetti della filosofia e, quando si è dato una cornice scientifica, ha prodotto decine di scienze specialistiche. Una conoscenza che ha come oggetto il ‘sistema Terra’, non può che essere straordinariamente complessa e ricca, varia e vitale, appagante e necessaria
Non è per nulla facile dare una definizione della parola geografia né dell’insieme di conoscenze e di attività che rientrano nella disciplina così chiamata. Dal punto di vista della parola, l’origine greca non ci aiuta poi molto: la parola è composta da gè «Terra» e -graphìa che vuole dire sia «disegno» sia «descrizione verbale». Geografia, quindi, può significare sia «disegno della Terra» sia «descrizione verbale della Terra»: due cose diverse. Comunque, più del significato etimologico della parola, conta il modo in cui la parola stessa è stata effettivamente impiegata nel corso del tempo, e quindi i significati che ha trasmesso. Per esempio, nessuno, da molti decenni, si accontenta più di una geografia che sia pura e semplice descrizione della Terra. In realtà, una descrizione corretta è molto importante, non se ne può fare a meno. Ma la geografia moderna vuole andare oltre. Si propone di arrivare a capire come funziona il mondo, come e perché certi fenomeni si manifestano in certi luoghi e non in altri, quali sono le conseguenze – differenti luogo per luogo – di quei fenomeni e via dicendo. Vuole, cioè, interpretare lo spazio terrestre con tutti i suoi contenuti. L’aspetto del disegno, del resto, non è affatto sparito: la cartografia, cioè il ‘disegno della Terra’ in senso proprio, continua a essere uno strumento tipico dell’analisi geografica, anche se oggi si riconoscono alla carta geografica molti più limiti che in passato. La carta geografica fa parte del linguaggio geografico in maniera inscindibile, perché anch’essa ha a che vedere, ovviamente, con lo spazio terrestre, di cui fornisce un’immagine grafica (e quindi ha a che vedere con i fenomeni che si manifestano nello spazio terrestre). Negli ultimi decenni si è cercato di riunire i due aspetti e di eliminare le possibili contraddizioni, parlando, sia per le descrizioni verbali sia per i disegni cartografici, di rappresentazioni geografiche.
Una rappresentazione è un’operazione di ‘ricreazione’ della realtà. Chi opera una rappresentazione ha preso coscienza della realtà (di alcuni suoi aspetti) e cerca di riproporla. È impossibile riuscire a riprodurre tale e quale la realtà, sia perché è impossibile conoscere la realtà in tutti i suoi aspetti sia perché nessuno dispone degli strumenti che consentirebbero di ‘produrre di nuovo’ l’esatto identico di una qualsiasi cosa. Una volta accettato questo limite fondamentale, dobbiamo certo cercare di migliorare sempre più la conoscenza profonda che abbiamo della realtà che ci circonda, ma dobbiamo anche abbandonare la pretesa di padroneggiarla tanto da riuscire a riprodurla.
Possiamo invece rappresentare la realtà geografica: cioè possiamo – ed è quello che facciamo in continuazione anche senza rendercene conto – ‘dire’ e ‘disegnare’ gli elementi disposti nello spazio terrestre e le loro relazioni (relazioni in termini di vicinanza o di lontananza, per esempio). Per far questo, utilizziamo una serie di mezzi e di strumenti: la parola, il disegno, le immagini fotografiche. In ognuno di questi casi, però, bisogna tenere presente che della realtà geografica abbiamo potuto prendere solo alcuni aspetti, e che di questi aspetti siamo capaci di rappresentare solo una parte. Ogni rappresentazione, cioè, deriva da una selezione – magari non volontaria – degli elementi e delle relazioni che in effetti la realtà geografica comprende.
Utilizzando gli strumenti di cui disponiamo e la selezione che della realtà geografica abbiamo fatto, possiamo ‘dire’ o ‘disegnare’ la Terra. Non è detto che ne venga fuori una rappresentazione bugiarda, ma sicuramente qualsiasi rappresentazione sarà parziale: buona, magari, ma non perfetta. Ovviamente, in questi termini, il problema si pone tale e quale per tutte le attività conoscitive (per tutte le scienze, quindi), e non solo per la geografia.
Descrivere la Terra è un’attività spontanea e universale: può essere raccontare un viaggio, parlare di una località che si conosce, dare un’indicazione stradale. In questo senso, chiunque fa o può fare geografia. Nella cultura occidentale, però, alla parola è stato assegnato lo specifico valore di attività di conoscenza. La geografia, cioè, è una descrizione intenzionale della Terra e mira a uno scopo preciso: la conoscenza.
La geografia è così diventata una scienza – o, come oggi si preferisce dire, una disciplina, o addirittura un’arte – con regole, metodi e principi, ripartizioni interne e rapporti con altre discipline, studiosi e insegnanti; in questo senso si parla, per esempio, di geografia italiana o di geografia rinascimentale (cioè la disciplina geografica praticata in Italia o durante il Rinascimento).
La parola ha anche altri significati: si parla di geografia per intendere la configurazione reale e la relativa rappresentazione di una certa regione (la geografia dell’Europa), per indicare il comportamento spaziale di certi fenomeni (la geografia dell’industria spagnola), per richiamare la pura e semplice distribuzione spaziale di fenomeni o eventi (la geografia delle università in Cina). La geografia come disciplina in generale non si caratterizza in base ai temi che studia: è descrizione e interpretazione di come funziona lo spazio terrestre e quasi qualsiasi oggetto e fenomeno ha una sua collocazione nello spazio terrestre; è perciò possibile un’analisi geografica di quasi qualsiasi oggetto o fenomeno, mentre le altre discipline, a parte filosofia e storia, hanno oggetti molto più circoscritti.
Quello che caratterizza l’analisi geografica, di conseguenza, è più che altro il metodo – per semplificare: il punto di vista. Quando si esamina una cosa dal punto di vista spaziale, considerandone per esempio la posizione e l’estensione, si fa qualcosa che può essere definito geografia.
Un punto di vista spaziale, cioè caratteristico dell’analisi geografica, fu assunto fin dall’antichità da molti pensatori, come per esempio dai filosofi della Grecia classica – ma ciò avvenne anche da prima – e continuò, per forza di cose, a essere al centro dello sviluppo della conoscenza. In alcune fasi storiche lo studio geografico ebbe un’espansione maggiore che in altre: in particolare, all’epoca dei grandi viaggi marittimi di scoperta (secoli 15°-18°) e poi nell’Ottocento, quando si svolse l’esplorazione sistematica della Terra – quella che accompagnò la colonizzazione europea del resto del mondo. In questi periodi, il bisogno di organizzare le informazioni sempre più numerose e variate sulla Terra diede un particolare impulso alla geografia. Sempre nell’Ottocento, inoltre, si precisò la geografia in quanto disciplina, contemporaneamente a quello che accadeva per le altre discipline scientifiche. La geografia ottocentesca tentò, soprattutto, di capire se le condizioni dell’ambiente naturale potessero spiegare fino in fondo l’organizzazione delle società, delle culture, delle economie umane e perfino dei modi di pensare (determinismo), cercando di stabilire delle leggi scientifiche.
Questa ipotesi fu poi molto criticata: si è riconosciuto, infatti, che la varietà di soluzioni adottate dagli uomini (per rispondere a necessità comuni come nutrirsi o abitare) rispetto alle condizioni dell’ambiente naturale (come il clima o la fertilità dei terreni) non è così elementare. I vari gruppi umani, nel tempo e nello spazio, hanno scelto in maniere molto diverse, anche se hanno sempre dovuto fare i conti con l’ambiente naturale. Come accade per tutte le discipline, le discussioni su come impostare le ricerche e su come valutare i risultati si svolsero soprattutto all’interno della comunità scientifica, che è l’ambito in cui si decide cosa studiare e come. La comunità scientifica che si occupa dell’uomo in rapporto allo spazio terrestre è la comunità dei geografi.
Occuparsi dell’uomo sulla Terra ha significato affrontare temi svariati; in questa maniera, si sono precisate molte branche della disciplina geografica. La distinzione principale è fra lo studio della Terra in funzione della vita dell’uomo e lo studio dell’uomo rispetto alle condizioni della Terra. Il primo di questi due modi di studiare il rapporto uomo-Terra è detto geografia fisica, il secondo geografia umana. Entrambe queste grandi aree disciplinari della geografia si occupano degli stessi oggetti e della stessa relazione – Terra e uomo – e tutta la geografia è in fondo una ‘scienza umana’. Ma, per approfondire i due termini della relazione, hanno affrontato questioni differenti, sviluppato metodi di indagine difformi, stretto alleanze con discipline diverse.
Uno degli aspetti più affascinanti della geografia è che si occupa di ogni cosa abbia un suo posto sulla Terra. Ma sarebbe impossibile per chiunque padroneggiare tutto: il sapere si è molto specializzato, affinando la conoscenza dei vari aspetti della realtà.
Di conseguenza, se si vuole studiare dal punto di vista geografico il modo in cui, per esempio, gli uomini praticano l’agricoltura – con tutte le conseguenze economiche, sociali, abitative e via dicendo – bisogna ricorrere a conoscenze specifiche: come quelle riguardanti la qualità dei suoli (pedologia), che dipendono dalla qualità delle rocce (geologia), e che si possono comprendere solo conoscendo la chimica e la fisica; ma servirà anche sapere come vivono le piante (biologia, botanica) o conoscere la disponibilità di acqua, che dipende dalle precipitazioni (meteorologia, fisica dell’atmosfera) e dalla circolazione di acque in superficie (idrogeologia, fisica dei fluidi); e servirà conoscere l’organizzazione degli uomini di quella regione (sociologia), il loro modo di pensare e di agire (etnologia, antropologia, linguistica), la loro storia, la loro economia; e, ancora, molte altre cose.
Al suo interno, poi, la geografia – come ogni disciplina – ha sviluppato una lunga serie di specializzazioni, di sottodiscipline: dato che può esistere una geografia per ogni tipo di fenomeno presente sulla Terra, infatti, e dato che per approfondire ognuno di questi fenomeni occorrono conoscenze specifiche, le ‘geografie’ si sono moltiplicate e differenziate, e non è proprio possibile elencarle tutte. Non solo, ma si producono in continuazione fenomeni nuovi oppure modi diversi di concepire fenomeni già conosciuti; se è possibile farne un’analisi geografica, si producono nuove specializzazioni, nuove ‘geografie’: come quella che studia il funzionamento e gli effetti delle reti informatiche (come Internet), e che vent’anni fa non poteva nemmeno essere immaginata.
Dal punto di vista della geografia fisica, per esempio, la geomorfologia si occupa di come la superficie della Terra ha ‘preso forma’ in montagne, pianure e via dicendo; la climatologia del modo in cui si producono i vari tipi di climi; l’oceanografia studia il funzionamento dei mari, la glaciologia dei ghiacciai, l’idrografia dei fiumi, la limnologia dei laghi; la biogeografia considera come le forme di vita si sono sviluppate nei vari ambienti, e si distingue almeno in fitogeografia (riguardo alle piante) e zoogeografia (per gli animali). Ma le specializzazioni sono molto più numerose. E numerosissime sono quelle della geografia umana: geografia della popolazione, geografia sociale, geografia culturale, geografia storica, geografia delle lingue, geografia medica sono solo alcune delle specializzazioni che riguardano i gruppi umani in quanto tali, nelle loro caratteristiche distintive e nella loro evoluzione; la geografia urbana studia le città, così importanti nel mondo attuale; la geografia economica (agraria, industriale, dello sviluppo, dei trasporti) analizza gli aspetti spaziali della produzione e del consumo di beni; la geografia politica il modo in cui il potere si esercita nello spazio e i suoi effetti.
Nonostante tutte queste specializzazioni, però, si può dire che la geografia al fondo è una sola, tanto che si parla spesso di geografia generale, quella che si occupa contemporaneamente di tutti i vari fenomeni terrestri a carattere spaziale.
Ovviamente, si tratta di uno studio molto complesso, però anche necessario: l’intera Terra costituisce un sistema, e in un sistema qualsiasi elemento o fenomeno e qualsiasi modificazione nelle relazioni tra fenomeni producono, direttamente o indirettamente, effetti sugli altri elementi e sulle altre relazioni. È estremamente importante cercare di capire cosa e come si modifica, e perché. Questo sarebbe – detto in termini diversi – quello che abbiamo già definito come lo scopo della geografia.
Esaminando l’evoluzione delle conoscenze geografiche (anche qui esistono specializzazioni: storia della geografia, storia delle esplorazioni, storia della cartografia), ci si rende conto che, nel corso del tempo, i geografi hanno sempre tentato di mettere a punto proprio delle ipotesi generali che permettessero di capire tutto l’insieme del funzionamento spaziale della Terra. E molti passi avanti sono stati fatti, nonostante le difficoltà. Per affrontare quelle difficoltà è possibile suddividere la superficie della Terra in regioni, cioè in aree che presentano caratteri abbastanza omogenei, e poi studiarle in tutti i loro aspetti: è questo uno dei modi usati dalla geografia regionale, che punta a un’analisi completa di spazi relativamente poco estesi.
I caratteri che distinguono una regione dalle altre sono in gran parte sensibili, sono cioè evidenti grazie ai sensi, a cominciare dalla vista. In parte però i caratteri sensibili sono stati prodotti, per esempio, dalla storia, che non è visibile affatto, o dalla cultura di chi vive in quella regione, che pure non è sensibile. L’insieme di questi caratteri sensibili e dei processi che li hanno prodotti costituisce il paesaggio, che da secoli è il centro dell’analisi geografica generale.
Capire che gli elementi del sistema Terra sono fra loro legati e funzionano in un certo modo; sapere dove e come si manifestano i fenomeni che tutti i giorni incidono sulla nostra esistenza; rendersi conto dei motivi che hanno portato la faccia della Terra ad avere l’aspetto che possiamo vedere; spiegarsi come e perché il benessere e la povertà, la guerra e la cooperazione, l’affollamento e il deserto, le metropoli e le campagne, le religioni e le lingue, la foresta e la tundra occupano la nostra Terra in un certo modo e non in un altro diverso; cercare una maniera per migliorare le nostre condizioni di esistenza senza distruggere gli equilibri del sistema che la rende possibile: a questi e a svariati altri risultati porta la conoscenza geografica.
L’utilità della geografia è anche strettamente pratica: non si riesce a produrre e commerciare, viaggiare ed emigrare, comunicare e informarsi in modo efficace, senza una buona consapevolezza geografica; ma anche l’amministrazione, la politica, la diplomazia, lo sviluppo economico, la comprensione tra popoli, la gestione dell’ambiente naturale, la pianificazione del territorio hanno un enorme bisogno di buone conoscenze geografiche. Molti degli errori commessi, in questi campi, derivano proprio dall’ignoranza o dalla sottovalutazione della geografia. Una disciplina così ricca e variata (come il mondo, del resto: che «è bello perché è vario») ci aiuta ad aprirci, a capire e accettare i comportamenti diversi dal nostro, a renderci conto della complessità dei problemi e della reale possibilità di affrontarli, a rifiutare le spiegazioni semplicistiche e rozze, ad avere una maggiore attenzione per il futuro e insieme a tenere conto del peso del passato, a cogliere le cause e gli effetti di tanti fenomeni, da quelli più minuti a quelli di portata mondiale, dal locale al globale.
Se la conoscenza alimenta l’intelligenza, conoscere il mondo, e capirlo, è un passo fondamentale sulla strada dell’intelligenza.