Geografia
Aspetti teorici, metodologici e operativi
Nell'ultimo decennio del 20° sec. si è allentata la tensione epistemologica e, per riflesso, ideologica che aveva caratterizzato il dibattito geografico a partire dagli anni Settanta, nel contesto disciplinare italiano e internazionale. Ruolo non secondario, in ciò, ha avuto la rivoluzione geopolitica che, a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta, ha visto l'implosione del sistema regionale ed economico di influenza sovietica, avvalorando, da un lato, le proiezioni teoriche in materia di entropia dei sistemi chiusi (v. oltre, e v. anche regione, regionalismo e regionalizzazione) e ridimensionando, dall'altro, la contrapposizione frontale tra g. neopositivista e g. marxista o radicale. Le posizioni di quest'ultima sono state in parte raccolte dalla corrente definita come postmodernismo. In generale, la disciplina ha rivalutato la propria unità, avvalorata da posizioni di pensiero inclini a rivisitarne l'evoluzione e a sottolinearne i caratteri di prassi.
In tale direzione ha spinto anche il processo di globalizzazione, sostenuto dallo sviluppo delle reti, soprattutto immateriali, e degli strumenti connessi. In particolare i GIS (Geographical Information Systems) hanno accresciuto la domanda di informazione georeferenziata, ossia riferita ai luoghi e trasferibile in banche dati di formato vettoriale. Il fatto che, almeno in un primo momento, proprio i geografi ne siano rimasti quasi paradossalmente estranei ha confermato l'esigenza di abbandonare posizioni autoreferenziali, che tendevano a estraniare la disciplina dagli interessi del mondo reale.
L'idea, peraltro, che i nuovi sistemi di comunicazione potessero annullare le distanze geografiche si è rivelata ben presto illusoria, restituendo importanti valenze alla g. descrittiva; mentre le sempre più frequenti anomalie climatiche, unite a calamità di inusitata violenza (per es., il maremoto che ha colpito l'Asia meridionale nel dicembre 2004), pongono in evidenza la necessità di una visione complessiva dei fenomeni fisici e antropici che una specializzazione disciplinare troppo spinta rischierebbe di vanificare. La g. dei contrasti e dei rischi naturali costituisce, pertanto, un campo di ricerca sempre più rilevante, nella misura in cui l'uso intensivo dello spazio rende maggiormente pesanti le conseguenze, anche economiche, di tali eventi. Altrettanto accade nell'ambito dell'organizzazione/pianificazione dello spazio geografico, dove la capacità di sintesi e la posizione di incrocio della g. trovano apprezzamento da parte degli enti territoriali che, anche in Italia (come da tempo accade in Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Russia), affidano sempre più di frequente a geografi il coordinamento dei gruppi di lavoro per la pianificazione di area vasta, nella quale l'ampio spettro delle competenze geografiche gioca un ruolo strategico.
Dunque, non si pone in discussione l'individualità scientifica della g., proprio alla luce di quel percorso che, passando per una sempre più vasta interdisciplinarità e fino alla transdisciplinarità dei grandi problemi contemporanei, l'ha portata a consolidare una posizione di intersezione fra gli insiemi delle scienze naturali, delle scienze sociali e delle scienze logico-matematiche. Si ripropone, semmai, il problema della specificità di contenuti e metodi, che tuttavia il principio di sintesi geografica appare in grado di sostenere; e vale, a conferma, riproporne la classica definizione ripresa da un caposaldo della letteratura geografica italiana: "le scienze geografiche studiano i fenomeni empirici - distribuiti sulla superficie terrestre e interconnessi - negli insiemi spaziali da loro posti in essere" (U. Toschi, Geografia economica, 1967, p. 8). Essa coniuga, da un lato, l'osservazione diretta (metodo induttivo) delle interrelazioni fra ambiente naturale e società umane, dall'altro, l'analisi e definizione, a partire da teorie generali e modelli (metodo deduttivo), degli insiemi identificabili nello spazio regionale. La constatazione che la g. deve privilegiare il profilo fattuale rispetto a quello teorico non induce, pertanto, ad abbandonare la costruzione di modelli derivanti dalla generalizzazione delle osservazioni empiriche. La descrizione conoscitiva e la classificazione dei fenomeni, infatti, comportano schemi di riferimento attraverso i quali l'approccio descrittivo sale di rango e coinvolge relazioni sempre più articolate. La formalizzazione di queste ultime continua a fare ricorso alle metodologie quantitative, divenute tuttavia maggiormente consapevoli della necessità di verifiche sul campo.
Oggetto di rivalutazione è anche il principio di causalità, il quale, lungi dal configurarsi come mero determinismo, porta ad analizzare catene coinvolgenti fenomeni fisici e antropici in processi di complessità crescente e nella diversificazione tra aree: base, a sua volta, di un auspicabile e in parte già attuale recupero della g. comparata. Sviluppando il concetto di processo, si perviene - come detto - all'analisi sistemica, che rappresenta la saldatura teorica con il contesto interdisciplinare e di cui la fenomenologia geografica è campo di applicazione per eccellenza.
Per contro, appare eccessiva l'enfasi attribuita alla svolta culturale in g., che occupa una parte cospicua della letteratura disciplinare nell'ultimo decennio del 20° sec., prefigurando degli orizzonti di rinnovamento speculari all'abbandono dello scientismo positivista e funzionalista. Per la verità, concetti come luogo, simbolo, cultura appartengono alla g. umana classica, dove già ai primi del Novecento trovavano piena espressione nel genere di vita e nella regione umanizzata di matrice possibilista. È altrettanto ovvio che tali concetti vadano reinterpretati alla luce del cambiamento geopolitico ed economico di fine secolo: per fare un solo esempio, l'intensificazione delle correnti migratorie comporta nuovi e spesso critici rapporti interetnici, religiosi, ma anche relazionali e produttivi, coinvolgendo sistemi urbani e rurali, centrali e periferici, globali e locali.
L'approccio culturale offre strumenti utili a tale reinterpretazione: tutte le forme di costruzione sociopolitica derivano dalla socializzazione di percezioni individuali che lo sviluppo economico ha fatto convergere nell'uso delle risorse e nella gerarchizzazione dei luoghi, alla ricerca di una mediazione che è mirata, da un lato, alla sopravvivenza delle popolazioni e, dall'altro lato, alla risoluzione dei conflitti. La modernità, intesa come paradigma urbano-industriale nell'ottica funzionalista, ha comportato l'omologazione dei generi di vita e il consolidamento di rapporti territoriali asimmetrici. All'inizio del 21° sec., l'ormai avvenuta presa di coscienza dei limiti di tale modello di sviluppo porta a concetti di sostenibilità che trovano nella g. culturale un forte punto di attacco per la valorizzazione dei localismi, nell'ottica di una più equilibrata utilizzazione del territorio. Quando, però, si arriva a negare l'oggettività dei luoghi, indulgendo a interpretazioni simboliche del tutto soggettive e presumendo che ne possa derivare la liberazione dai meccanismi di produzione del potere, si rievocano posizioni obsolete di radicalismo ideologico con le quali la g. si è già confrontata in passato (v. sopra), senza pervenire a risultati effettivi: dunque, non si propone alcuna innovazione teorica.
Appare questo il limite fondamentale del postmodernismo geografico, oggetto anch'esso - secondo la corrente che vi si richiama - di una svolta che segnerebbe il nuovo approdo della geografia. Il rapporto spazio/tempo viene sostanzialmente ribaltato: la dimensione temporale dei processi che hanno generato trame, strutture e reti di fenomeni, centrati in vario modo sui luoghi, tende a essere sottovalutata rispetto alla dimensione simbolica, e sincronica, dei luoghi stessi. Lo spazio finirebbe così per prevalere sul tempo, e ciò darebbe maggiore risalto alla funzione della g., sottraendola a una sorta di dipendenza dalla storia. Stridente è il contrasto con posizioni mature di geografi che hanno attraversato l'intero percorso della evoluzione teorica della g. nella seconda metà del 20° sec.: fra gli altri, P. Claval, nell'ambito di un gruppo di studio dell'IGU (v. oltre), sottolinea come la dimensione simbolica della vita umana sia integrata nei processi sociali come pure nelle realtà spaziali, estendendosi dalle eredità culturali del passato al contesto geografico del presente e proiettandosi, di conseguenza, nelle scelte per il futuro. Altro limite dell'approccio postmoderno è l'impossibilità di organizzare il territorio nella misura in cui quest'ultimo può essere oggetto di un disegno ma non di un piano, il quale presupporrebbe una connessione razionale fra i significati simbolici. Si finisce, dunque, per rievocare i limiti di quella regione umanizzata proposta dalla g. del primo Novecento, tanto armoniosa, unica, irripetibile e - dunque - immodificabile da dover essere abbandonata non solo dalla ricerca, ma dalla stessa realtà geografica, causandone il ribaltamento nell'isotropia funzionalista e la conseguente, altrettanto eccessiva, perdita di identità.
Fra i temi riemergenti nella ricerca geografica dell'ultimo decennio del secolo scorso è anche il paesaggio, le cui trasformazioni esprimono appieno il carattere complesso e interdipendente dei fenomeni geografici, rappresentando non soltanto la stratificazione ma in special modo l'organizzazione degli elementi territoriali e identificando pertanto, lungo una traiettoria processuale, lo stato puntuale del sistema regionale a un tempo dato.
Torna a proporsi, dunque, l'unità della g. al di fuori di schemi e di correnti che finirebbero con il riprodurre i dualismi presenti nel passato (determinismo/possibilismo, g. ortodossa/nuova g., approccio descrittivo/interpretativo) senza possederne i fondamenti epistemologici. L'apparato concettuale rivendicato dalla g. culturale e, in generale, dal postmodernismo non solo non può definirsi originale, ma ancor meno può imporre la cancellazione dei paradigmi geografici stratificatisi nel tempo. Dunque, posizioni razionaliste e relativiste devono convivere e confrontarsi sui problemi reali del rapporto fra ambiente e società umane, il classico campo della scienza geografica: "si può ben ragionare di rappresentazioni soggettive conservando un basamento di impianto positivista" (Cerreti 2003, p. 992).
In questi termini, la base teorica e pragmatica della g. si attaglia in pieno alla domanda di conoscenza che, più o meno consapevolmente, pervade l'intera società. Semmai, l'errore è stato abbandonarla, quasi rinnegandone la scientificità; o, per converso, limitare all'eccesso i riferimenti teorici, nella preoccupazione che essi potessero condizionare la libertà di osservazione del geografo. In quest'ultimo senso può intendersi quella sorta di isolazionismo che la g. - ancora una volta, non solo italiana - ha avvertito, ed essa stessa alimentato, nei confronti di un quadro interdisciplinare sempre più diviso e addirittura dispersivo: nel tentativo di affermare la propria indipendenza, i geografi hanno forse trascurato di mantenere una visione della scienza come corpo unico, finendo con il frammentare la propria disciplina in componenti pseudospecialistiche che sono aggregate di volta in volta, con pericolosi atteggiamenti di subordinazione, a campi disciplinari estranei.
Per tutti questi motivi, la domanda di conoscenza geografica poteva apparire latente nel momento in cui posizioni quantomeno discutibili adombravano, nel sistema scolastico italiano, la surrogazione della g. da parte di una 'sommatoria' fra scienze della terra, sociologia ed economia (posizioni controbattute in Perché insegnare la geografia in una rinnovata scuola moderna e interdisciplinare: anno 1998, a cura del Centro studi del TCI, 1998); al contrario, tale domanda ha trovato continui riscontri nel campo della divulgazione geografica, le cui opere non hanno mai cessato di riscuotere successo presso il grande pubblico. A ulteriore conferma, nella riforma dell'ordinamento universitario (2001) la classe di laurea in Scienze geografiche ha mantenuto piena autonomia, consentendo di formare geografi professionali in una decina di atenei.
In conclusione, tornano attuali parole scritte alla vigilia della crisi di fine secolo scorso: "la geografia ha forse oggi capito i suoi confini e superato la sua crisi di crescenza, proponendosi come disciplina che si differenzia al variare dei suoi specifici e concreti oggetti territoriali ma si mantiene unitaria nel porre, a scale diverse, identici sfondi all'interno dei quali essi sono considerati". E ancora: "tra le varie discipline, la geografia è forse quella che identifica più abitualmente il proprio linguaggio scientifico con il parlare comune. Per un geografo, mare è mare, monte è monte: non ci sono fraintendimenti. È quindi una disciplina molto leggibile, con un linguaggio a volte pericolosamente semplice. A fronte di discipline mascherate da codici di comunicazione per addetti ai lavori, sembra talvolta una sorella povera. Ma uno dei suoi punti di forza sta proprio nella semplicità ed appropriatezza del linguaggio e nella conseguente possibilità di controllo che essa offre" (G. Corna Pellegrini, Perché la geografia oggi, in Aspetti e problemi della geografia, 1987, 1° vol., p. 5).
Le organizzazioni geografiche e la ricerca
Nuovi organismi geografici internazionali sono stati costituiti dalla fine del 20° sec.: nel 1996, a Bruxelles, la European Society for Geography (EUGEO); nel 2000, a Roma, presso la Società geografica italiana, cioé la Home of Geography (HG), come sede permanente e archivio dellGeographical Union (IGU). Quest'ultima ha organizzato congressi a L'Aia (1996), Seoul (2000) e Glasgow (2004, dove è stato eletto per la prima volta alla presidenza dell'IGU un italiano, A. Vallega), e conferenze regionali a Praga (1994), L'Avana (1995) e Lisbona (1998).
Nel 2005 l'IGU ha annoverato ben 34 commissioni scientifiche, su tematiche comprendenti - fra le altre - geomorfologia, biogeografia, climatologia, evoluzione dell'ambiente, terre aride e fredde, sistemi costieri e montani, sostenibilità delle risorse idriche, g. del mare, analisi del paesaggio, g. culturale, mobilità umana, dinamica degli spazi economici, sviluppo locale, globalizzazione, g. urbana, g. politica, g. applicata, didattica della geografia. Inoltre è stato avviato un programma di ricerca quadriennale sullo sviluppo umano del Mediterraneo, a rimarcare lo spostamento di quel baricentro degli interessi disciplinari che, in precedenza, ricadeva soprattutto nell'area anglofona. A sua volta, la Società geografica italiana produce (dal 2003) un rapporto annuale, le cui prime tre uscite sono state dedicate all'analisi del fenomeno migratorio, alle infrastrutture di trasporto e, appunto, al ruolo dell'Italia nel Mediterraneo.
bibliografia
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A. Vallega, Geografia culturale: luoghi, spazi, simboli, Torino 2003.
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