GEOGRAFIA
(XVI, p. 602; App. II, I, p. 1029; III, I, p. 723; IV, II, p. 30)
Al di là dell'esplorazione. - Conclusa ormai da tempo l'epoca delle ''esplorazioni'' e delle ''scoperte'' geografiche, e iniziate da due decenni le spedizioni al di là dell'atmosfera (quindi, per definizione, extra-geografiche), non per questo la g. rinuncia al viaggio e alla ricerca sul terreno come strumenti di lavoro scientifico.
Qualche esplorazione vera e propria continua in aree anecumeniche o comunque appartate, come le catene montuose più impervie, i deserti e soprattutto le terre polari. Ma non si tratta più, ormai, di individuare oggetti geografici sconosciuti, e neppure di verificarne l'esatta posizione o le caratteristiche: quest'ultimo compito è svolto egregiamente, da tempo, dalla nuova cartografia, che si avvale sempre più delle fotografie scattate dai satelliti artificiali, rielaborate oggi non solo automaticamente ma anche elettronicamente. Oltre che lavorare come fotografi, i satelliti, che orbitano ad altezze variabili fra i 1000 e i 35.000 km, vengono utilizzati come nuovo strumento di triangolazione. I progressi del telerilevamento includono la produzione di immagini nell'infrarosso e nelle microonde, utili fra l'altro per la valutazione delle risorse del territorio fotografato.
L'esplorazione è dunque oggi piuttosto un viaggio di ricerca, la cui peculiarità consiste nel fatto che si svolge in aree difficili per caratteristiche morfologiche e/o climatiche: com'è il caso, per es., della spedizione organizzata da A. Desio nel Karakorum nel 1988. Alle esplorazioni partecipano, come del resto anche in passato, non solo e non tanto geografi, quanto cultori di altre discipline, militari, sportivi. Queste avventure sono motivate, ancora una volta non diversamente che nel passato, da interessi economici, strategici, politici. Esemplare in questo senso l'esplorazione dell'Antartide, di gran lunga la maggiore fra le imprese del genere compiute negli anni Ottanta.
Già nella seconda metà degli anni Settanta le spedizioni in Antartide si erano intensificate, anche con iniziative italiane alle quali avevano partecipato i geografi fisici G. Cortemiglia, A. G. Segre e R. Terranova. Cresceva l'interesse per le risorse naturali del continente, e al vecchio trattato del 1959, stipulato in base a preoccupazioni prevalentemente strategiche e rivolto a evitare una possibile militarizzazione dell'Antartide, si aggiungevano nel 1980 una convenzione internazionale per la conservazione delle risorse marine antartiche e, nel 1988, un'altra convenzione per la regolamentazione dello sfruttamento delle risorse minerarie. Nel frattempo, allettati dalle une e dalle altre risorse, ben 25 paesi si erano aggiunti ai 12 primitivi firmatari del trattato, e fra questi l'Italia nel 1980.
I paesi che maggiormente si sono segnalati per l'attività esplorativa sono gli Stati Uniti e l'ex Unione Sovietica, che hanno installato in Antartide un certo numero di basi permanenti, abitate per tutto l'anno (per es. la base statunitense significativamente chiamata Amundsen-Scott, localizzata proprio al Polo Sud). Anche l'Italia dispone ormai, dal 1987, di una base permanente, costruita, previo accordo con il governo neozelandese, in una località costiera della Terra Victoria a 75 gradi di latitudine. A partire dalla metà degli anni Ottanta, grazie a un apposito provvedimento legislativo approvato nel 1985, le spedizioni italiane hanno assunto carattere di regolarità e di sistematicità, portando avanti un complesso programma di ricerche pluridisciplinari (oceanografia, climatologia, biologia, ecc.) spesso altamente specializzate. Vi hanno partecipato geografi fisici come M. Meneghel, G. Orombelli, C. Smiraglia, G. Zanon.
Le organizzazioni geografiche e la ricerca. - Indipendentemente dalla partecipazione più o meno intensa dei geografi alla residua attività esplorativa, l'organizzazione della ricerca geografica si è fatta più intensa e strutturata sul piano internazionale. Significativi passi in avanti sono stati compiuti ai congressi plenari organizzati dall'Unione Geografica Internazionale a Mosca (1976), Tokyo (1980), Parigi (1984), Sydney (1988) e Washington (1992), sotto la guida di una dirigenza che si fa sempre più anglosassone o almeno anglofona: i quattro presidenti dell'UGI succedutisi negli anni Ottanta sono un inglese, un nigeriano, un australiano, uno statunitense. La comunità scientifica internazionale dei geografi si è fatta più numerosa − un migliaio di dipartimenti o istituti scientifici, con circa 10.000 studiosi, sono censiti nell'Orbis geographicus 1988-1992, una fonte prudente, sicuramente in difetto − e soprattutto più organizzata, più integrata, più consapevole della necessità di una stretta cooperazione internazionale e di forti tensioni scientifiche come uniche vie per il progresso della disciplina. Di tali cooperazioni e tensioni si sono fatti strumento le Commissioni scientifiche e i Gruppi di lavoro dell'UGI, organismi specializzati che hanno organizzato e fatto notevolmente progredire la ricerca internazionale in settori come la geomorfologia, la g. urbana, la g. dei trasporti e del turismo, la storia del pensiero geografico, e di altre branche del sapere geografico.
Anche in Italia, su scala più modesta, la ricerca geografica si è fatta più intensa e più strutturata. Circa 500 geografi operano in una cinquantina di istituti e dipartimenti universitari, collegati fra loro − nonostante persistenti remore isolazionistiche − tramite l'Associazione dei geografi italiani, che ha anche organizzato con successo diversi gruppi di ricerca. Sempre valida l'azione delle tradizionali società geografiche, in particolare la romana Società geografica italiana. Sede tradizionale della ricerca è costituita dai congressi geografici italiani che si sono succeduti nel corso dell'ultimo quindicennio (Catania 1983, Torino 1986, Taormina 1989, Genova 1992).
Nel panorama della pubblicistica geografica, mentre la Bibliographie géographique internationale, cambiata struttura e organizzazione, continua a costituire un pur criticabile punto di riferimento informativo, nuovi periodici internazionali di forte spessore scientifico hanno visto la luce negli anni Settanta e Ottanta: da Geoforum a GeoJournal a Progress in Geography. Altre riviste hanno rinnovato la pubblicistica nazionale in Francia (L'Espace Géographique) e nei paesi anglosassoni (Geographical Analysis, Applied Geography, Urban Geography). In Italia non si nota niente di paragonabile, e se il Bollettino della Società geografica italiana e la Rivista Geografica Italiana restano all'altezza della loro dignitosa tradizione, l'innovazione è frenata in genere da remore istituzionali, accentuati particolarismi, vecchi e nuovi conformismi.
Metodi e indirizzi di ricerca. − Introduzione. − Una panoramica delle scuole di pensiero che si disputano attualmente il primato paradigmatico nella g. internazionale non può non partire dalla constatazione della loro grande varietà. Alla g. tradizionale d'ispirazione prevalentemente franco-tedesca, pur se divisa in varie correnti abbastanza diversificate, si è giustapposta, quando non contrapposta, prima una, poi più d'una ''nuova g.'', d'ispirazione soprattutto anglosassone. Ne è derivato un dibattito, talvolta scomposto e irritante, più spesso denso di contenuti scientifici, che ha agito in ultima analisi come potente stimolo di progresso per la disciplina nel suo insieme.
È vero che la marcata differenziazione epistemologica fra i diversi approcci alla ricerca geografica ha generato, specie in paesi rimasti più indietro nell'evoluzione scientifica, moti di rigetto e di severa critica sui reali contenuti geografici delle tendenze più nuove, o almeno sollecite preoccupazioni per il mantenimento di una tradizione disciplinare unitaria. Ma nell'insieme si può dire che sia prevalsa l'accettazione di un nuovo salutare pluralismo teorico, testimoniato sul piano pratico dal frequente passaggio di studiosi da un approccio all'altro, dalla fruttuosa adozione di metodi comuni, dal rinnovamento degli stessi indirizzi tradizionali sotto lo stimolo delle nuove acquisizioni.
Luoghi di nascita dell'innovazione, come si accennava, sono stati soprattutto i paesi di lingua inglese (Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada specialmente), cui si sono affiancati alcuni paesi europei più permeabili alla cultura anglosassone, come quelli della Scandinavia (Svezia soprattutto) e i Paesi Bassi. Più di recente sono riemersi in prima linea anche i paesi francofoni, la cui ottima cultura geografica tradizionale non ha rappresentato un ostacolo ma anzi uno stimolo alla sperimentazione di nuove strade e di nuove metodologie di ricerca. Invece la scuola geografica di lingua tedesca è in complesso rimasta più legata alla tradizione, ma perfezionandola − fra l'altro con una produzione cartografica di elevata qualità − e arricchendola specie con una nutrita serie di ricerche dirette nei paesi extra-europei meno conosciuti.
La geografia regionale-descrittiva. − Fra gli indirizzi tradizionali e consolidati della g. resta dominante anche negli anni Ottanta la scuola regionale-descrittiva, ispirata alle dottrine del possibilismo idiografico d'impronta francese. I paradigmi di una g. unitaria, descrittiva, corografica, che si esprimono attraverso la ricerca sul terreno, saldamente ancorata ai fatti, e l'affermazione del primato della g. umana su quella fisica, nonché della g. regionale su quella generale, stanno tuttora alla base della ricerca geografica in gran parte del mondo francofono e nei paesi da esso comunque influenzati, ma sono largamente diffusi ovunque, a cominciare dai paesi di lingua tedesca e senza escludere quelli di lingua inglese. Moltissimi geografi, dunque, ancora interpretano etimologicamente la disciplina e fanno della ''descrizione'' della Terra e delle sue regioni l'oggetto del loro lavoro scientifico: una descrizione che, se a volte può risultare divulgativa se non banale, di solito trae valore dalla paziente indagine sul campo o dalla costruzione di carte tematiche, dall'''esplorazione'' di luoghi poco conosciuti o dalla ''scoperta'' di nuovi aspetti dello spazio geografico.
Il risultato classico di questo tipo di studi, la ''monografia regionale'' dedicata alla descrizione approfondita ed esaustiva di un'unità regionale (per lo più di piccole dimensioni), continua a essere prodotto, anche se in misura minore che nel passato e soprattutto con riferimento a regioni agricole e/o poco sviluppate. Una novità è rappresentata dalla più frequente utilizzazione del lavoro di équipe, che permette a un tempo lo studio integrale della regione presa in considerazione e l'utilizzo delle specifiche competenze di più ricercatori. Alla base della persistenza di questo approccio di ricerca, che taluni consideravano esaurito negli anni Sessanta, sta forse l'indubbia utilità conoscitiva che i suoi risultati, inclusi quelli cartografici, hanno ai fini della pianificazione territoriale; in questo senso l'approccio descrittivo-regionale s'intreccia sempre più di frequente, oggi, con quello funzionalista.
Studi di questo tipo, poi, risultano particolarmente appropriati se incentrati sui paesi del Terzo Mondo, stante la carenza che in genere caratterizza l'informazione geografica di base su di essi: la tradizione francese della ''geografia tropicale'' è tuttora vivace, e ad essa si affianca oggi, come si accennava, l'impegno extra-europeo dei geografi tedeschi.
In Italia, si valuta che ancora quasi un terzo della produzione scritta dei geografi apparsa dopo il 1975 sia ascrivibile alla scuola di stampo descrittivistico. Monografie regionali continuano a essere dedicate a valli alpine e appenniniche, alle campagne emiliane, alle piane e ai rilievi della Campania. Non sono mancate descrizioni di territori più ampi, addirittura fino alla scala continentale: in esse si passa però, gradualmente, dalla ricerca vera e propria all'opera di sintesi anche di tipo compilativo, finalizzata alla divulgazione o alla didattica, che è peraltro anch'essa compito legittimo del geografo regionale-descrittivo. Sono stati pubblicati anche atlanti tematici regionali (Basilicata, Sardegna, Piemonte), ed è stata avviata la realizzazione di un atlante tematico nazionale.
Un numero sempre maggiore di geografi italiani s'impegna comunque in ricerche regionali anche all'estero, e in particolare in quei paesi sottosviluppati in cui l'approccio monografico o comunque descrittivo è, come si diceva, opportuno: gli anni Ottanta hanno visto una buona fioritura di ricerche regionali condotte da geografi italiani nell'Asia sud-orientale, nel Maghreb e nel Vicino Oriente, nell'Africa sub-sahariana, nell'America latina.
Ai canoni dell'approccio di cui stiamo parlando s'ispirano in Italia anche i principali manuali universitari di g. pubblicati nell'ultimo quindicennio. Va infine segnalato che dal gruppo di geografi torinesi è emerso, a metà degli anni Ottanta, un contributo originale anche a livello internazionale, con la proposta metodologica di una g. intesa come ''scoperta'', che rivaluta in sostanza l'approccio descrittivo offrendogli nuove prospettive.
La geografia come storia dell'umanizzazione della Terra. − Una variante della scuola di tipo descrittivistico, com'è noto, accentua il ruolo dell'interpretazione storica nello studio dei fatti geografici, vede l'ambiente fisico esclusivamente in funzione dei valori storicamente attribuitigli dall'uomo e fa della g. una storia dell'organizzazione umana degli spazi terrestri. Questa dottrina ha influenzato indirettamente gli sviluppi della g. storica, che è peraltro una partizione della materia e non un tipo di approccio. Al di là della g. storica, peraltro, non sembra di poter scorgere negli ultimi anni un ruolo autonomo di questa impostazione storicista nel ventaglio degli indirizzi della ricerca geografica. Si potrebbe piuttosto parlare di un'influenza dello spirito storicista in una parte degli studi di approccio regionale, o funzionalista, specialmente nei paesi latini; o anche di un ruolo di ponte svolto da questa corrente, con funzione di passaggio dal paradigma possibilista agli sviluppi marxisti e umanistici.
Anche in Italia lo storicismo, che fino ai primi anni Settanta sembrava prendere piede come scuola a sé, è rimasto poi appannaggio di studiosi assai validi ma isolati, pur influenzando largamente non soltanto gli studi di g. storica e affini, ma anche importanti contributi nel campo della g. urbana e sociale, alcuni dei quali sboccheranno poi nella critica radicale o apriranno la strada al discorso umanistico.
L'ambientalismo e la geografia fisica. − Se l'avanguardia del possibilismo ha prodotto lo storicismo, la sua ''retroguardia'' (senza che questo termine assuma alcun significato negativo) caratterizza quella che può essere definita la g. ''ambientalista'': una g. unitaria quanto quella regionale-descrittiva, ma, al contrario di questa, incline al primato della g. fisica su quella umana, della g. generale su quella regionale. Definibile come ''ecologia dell'uomo'', la g. ambientalista, apparentemente in crisi nei decenni precedenti, riprende vigore a partire dagli anni Settanta anche grazie ai movimenti di opinione pubblica che si richiamano all'ambiente e all'ecologia. Sul piano scientifico, il suo sviluppo è reso difficile dalla frattura accademica tra g. fisica e g. umana, esaltata dall'indirizzo storicista ma comunque presente, in misura più o meno considerevole, nella maggior parte delle scuole geografiche nazionali.
Si rende tuttavia necessario distinguere, almeno a partire dagli anni Settanta, tra g. ambientalista e g. fisica in senso stretto. La prima vede l'ambiente come ''il mondo dell'uomo'', per usare la terminologia di R. Hartshorne, che assicura o testimonia collegamenti con il possibilismo classico. La seconda si sviluppa gradualmente come un insieme di discipline specialistiche che hanno sì matrici geografiche, ma tendono a integrarsi sempre più con diverse e ben precise discipline naturalistiche (geologia, meteorologia, ecc.). Proprio la nuova consapevolezza sociale dell'esistenza di valori ambientali globali, tuttavia, gioca a favore della g. ambientalista nel suo primo significato: quello di una disciplina di sintesi che, su basi sostanzialmente umanistiche, si dedichi allo studio − non più ormai determinista, ma neppure tanto assurdamente antideterminista da negare il significato e il valore dell'ambiente naturale − dei rapporti fra questo ambiente e l'uomo.
Dal canto suo, la g. fisica in senso stretto progredisce autonomamente, negli anni Ottanta. Essa recepisce le nuove acquisizioni della geologia in fatto di tettonica a placche e di processi erosivi. Lo studio degli strati profondi dei ghiacciai e quello dei sedimenti oceanici contribuiscono notevolmente a un interessantissimo lavoro di ricostruzione della storia del clima. Progressi importanti si fanno nella conoscenza dei suoli, della copertura vegetale, delle acque correnti e sotterranee. Ma si tratta pur sempre di elementi naturali collegati fra loro, e se lo si dimentica intervengono a ricordarcelo le calamità naturali. Si avverte allora la necessità di una g. fisica globale e finalizzata alle esigenze umane. Emerge, in versione critica e certamente non determinista, la moderna analisi dei geosistemi o sistemi ambientali, proposta con marcato spirito innovatore da correnti della g. anglosassone e sovietica.
In Italia, le branche specializzate della g. fisica hanno avuto notevole impulso negli anni Ottanta. Le cattedre di g. fisica si sono moltiplicate e hanno spesso assunto una loro specifica personalità, distinguendosi in ugual misura da quelle di g. e da quelle di geologia. Importanti studi sono stati condotti sull'evoluzione dei bacini fluviali, sui ghiacciai (è stato accertato l'avvio di una nuova fase di avanzata dei ghiacciai italiani, dopo una fase di regresso quasi secolare), sui metodi della cartografia geomorfologica. Studi che prospettino problemi di utilizzazione armonica e razionale di risorse ambientali da parte dell'uomo, invece, sono rari. Si devono tuttavia registrare sforzi non indifferenti, da parte dei geografi fisici, di adeguamento alle nuove tematiche ambientaliste, sia nel settore geomorfologico (problemi delle coste e dell'erosione del suolo) che in quello climatologico (questioni di aridità e di utilizzazione delle acque), per tacere di studi più generali come quelli sui parchi e le riserve naturali, le aree verdi, la salvaguardia del paesaggio e dell'ambiente.
Il funzionalismo. − La quarta e più sfumata versione della g. tradizionale, quella definibile come ''funzionalista'', che intende la g. come una sorta di scienza (applicata, attiva, o volontaria) dell'organizzazione del territorio, continua a essere largamente seguita e professata. La novità degli ultimi lustri, dopo l'ispirazione regionale d'impronta francofona che aveva inizialmente caratterizzato questa scuola di pensiero, sta nella sua evoluzione nella direzione ''sistemica'', ispirata alla teoria dei sistemi generali. Da notare anche l'allargarsi della schiera dei geografi tradizionali che abbracciano l'elastico credo funzionalista, trasformando gradualmente il paradigma regionale da descrizione delle forme ad analisi delle funzioni; lo testimonia anche la crescente diffusione della rivista americana The Professional Geographer. È anche vero però che, data la labilità e la pragmaticità delle categorie concettuali funzionaliste, non è facile stabilire la precisa aderenza di questa o quella specifica ricerca a tale indirizzo.
È comunque incontestabile che scopi, metodi e linguaggi del funzionalismo risultano ormai maggioritari − nelle più svariate aree culturali della Terra − in ampi settori della g. quali la g. urbana (dove categorie funzionaliste come area di gravitazione, rete urbana, controurbanizzazione, ecc., trovano da tempo diffusa applicazione) e la g. economica. L'indirizzo funzionalista è inoltre largamente penetrato, dopo aver rivoluzionato lo stesso concetto di regione sul piano teorico, nel cuore dell'apparato paradigmatico descrittivo-regionale, ispirando ricerche regionali di taglio nuovo e dando vita a una fruttuosa serie di studi sulla ''regionalizzazione''.
Accettando e applicando i paradigmi sistemici, la g. funzionalista si collega necessariamente con le metodologie quantitative, mentre la stessa cartografia tematica, rinnovata, tende a divenire strumento di informazione e di programmazione territoriale. D'altronde, programmare vuol dire anche riferirsi alle diverse istanze che scaturiscono spontaneamente dalla società civile: ecco quindi nascere i primi collegamenti con la nuova g. umanistica.
In Italia, ben più di un terzo della produzione scritta dei geografi posteriore al 1975 è genericamente attribuibile a questo indirizzo, che risulta perciò oggi il più seguito in assoluto. Sono inquadrabili nel paradigma funzionalista molte delle ricerche volte a indagare sul piano spaziale temi relativamente nuovi per la g., come gli squilibri territoriali, la protezione civile, i beni culturali, il tempo libero e così via. Dal 1987 è in atto un tentativo di far riconoscere giuridicamente anche in Italia, con l'istituzione di uno specifico ordine professionale, l'applicabilità alla vita pratica dell'esperienza dei geografi.
La ''geografia quantitativa''. − Com'è noto, l'espressione ''nuova g.'' è stata adoperata per la prima volta verso il 1960 per designare l'apparato paradigmatico nato con la ''rivoluzione quantitativa'' (v. App. IV, ii, p. 31). ''Quantitativista'' e ''neogeografo'' sono stati a lungo sinonimi, nel gergo disciplinare. Sul finire degli anni Ottanta, retrospettivamente, la rivoluzione quantitativa appare sicuramente come un processo che ha scosso in profondità le fondamenta della disciplina, aprendo la strada a imprevedibili sviluppi, ma non come l'evento che ha prodotto ''la'' nuova geografia. Pervenuta ad acquisizioni importanti e irreversibili − l'impiego di metodi matematici avanzati e l'applicazione di modelli non vengono più seriamente contestati o respinti da nessun geografo −, la nuova dottrina ha fatto cadere, fortunatamente, la pretesa di chiudere il discorso con il passato e con il futuro, evitando di cristallizzarsi come nuova g. ''unica e vera''. Un effetto collaterale della rivoluzione quantitativa − nata nelle università angloamericane, nonostante i precursori tedeschi − è stato quello di accelerare il trasferimento del principale nucleo pensante della g. internazionale dall'area franco-tedesca a quella anglosassone. Il diffuso accoglimento dell'uso delle metodologie analitico-quantitative da parte di molte scuole continentali europee, sia dell'Ovest (salvo che in Francia e nei paesi da essa influenzati) come dell'Est, ha incrementato e generalizzato l'accettazione della lingua inglese quale lingua franca della geografia.
La g. quantitativa − o ''analisi spaziale'', come viene anche chiamata − ha mostrato negli ultimi tempi aperta compatibilità con le teorie e metodologie sistemiche, aprendo così la strada a una convergenza con i nuovi sviluppi che caratterizzano come si è visto correnti tradizionali quali quella funzionalista e − nel quadro di una ritrovata prospettiva unitaria ambiente-uomo − quella ambientalista.
In Italia la g. quantitativa non ha trovato molti cultori. Qualche funzionalista l'ha adottata, mentre le altre correnti della g. tradizionale hanno preferito in genere non farsi contaminare dalla logica statistico-matematica, quando non l'hanno respinta con atteggiamenti assai poco scientifici di sufficienza e di chiusura. In ogni caso, non si sono avuti contributi originali di geografi italiani all'indirizzo analitico-quantitativo, ma solo echi, verifiche e applicazioni di quanto è stato prodotto ed elaborato altrove.
Marxismo e geografia. − La rivoluzione quantitativa, contestando la g. tradizionale, ha aperto la strada ad altre, più decise contestazioni. Ne sono nate interpretazioni della g. che incidevano ancora più profondamente nel corpo consolidato della disciplina. Se i ''quantitativi'' presuppongono, non meno dei ''qualitativi'', che l'indagine geografica riguardi l'esistente oggettivo, verso il 1970 sono cominciate ad affiorare interpretazioni della g. che vanno al di là dell'uno o dell'altro di questi termini.
La g. radicale, che in alcuni paesi o ambienti diventa principalmente g. marxista, critica l'esistente e la sua ''descrizione'' (non importa se condotta con i metodi tradizionali o con la modellistica spaziale) e si propone invece di contribuire al suo cambiamento. La g. tradizionale − che include dunque, per i geografi radical-marxisti, anche la quantitativa − viene accusata di subordinazione al potere e alle classi dominanti; il sapere geografico, ritenuto di notevole importanza strategica nel quadro della lotta di classe, va elaborato e utilizzato dalle masse e per le masse. Anche questa corrente nasce e si sviluppa in buona parte nei paesi anglosassoni − che ''scoprono'' il marxismo con notevole ritardo − ma mette radici e si afferma contemporaneamente anche in Francia. I suoi esponenti sono relativamente poco numerosi ma molto attivi e capaci, e danno luogo a un intenso dibattito teorico e metodologico ''interno'' su riviste come Antipode negli Stati Uniti e Hérodote in Francia (non manca un dibattito ''esterno'' con i geografi tradizionali). La loro dottrina, va notato, è molto differente dal marxismo di maniera dei geografi sovietici e dell'Europa orientale, che sono in realtà legati sostanzialmente al funzionalismo, al quantitativismo e al sistemismo.
È forse ancora presto per dire se, anche in seguito alla crisi ideologica e politica che ha investito in via più generale il marxismo, la g. radical-marxista sarà in grado di delineare con compiutezza, al di là dell'ideologia e delle polemiche contingenti, autentici paradigmi scientifici, e se svilupperà più i motivi marxisti, coerenti con la filosofia marxiana, o quelli genericamente anarchico-radicali.
In Italia, se non mancano certamente geografi politicamente di idee marxiste, pochi sono quelli di essi che s'impegnano nell'elaborazione scientifica di questa nuova interpretazione della geografia. Tuttavia qualche opera notevole, ascrivibile a questo filone pur se collegata all'ispirazione storicista, è stata pubblicata, e una di esse, tradotta all'estero, può essere considerata oggi tra i classici della corrente. Vita effimera ha avuto un'associazione Geografia democratica, mentre una qualche continuità ha contrassegnato la rivista Erodoto.
La geografia umanistica. - L'ultima nata delle nuove g., la g. umanistica, accetta l'esistente soggettivo. Per essa non esiste o non conta uno spazio oggettivo: esiste e conta una molteplicità di spazi soggettivi, spazi vissuti, rappresentabili attraverso un'originale cartografia ''mentale'', responsabili del comportamento spaziale del comune mortale come della trasfigurazione letteraria o artistica da parte dello scrittore, del pittore e così via. Nella complessa e variegata elaborazione di questa scuola di pensiero trovano posto indirizzi abbastanza distinti fra di loro, come una g. della percezione e del comportamento, legata alla psicologia, e una g. esistenziale e umanistica in senso stretto. Per la prima, emersa sulla scena internazionale non molto dopo la rivoluzione quantitativa, si è parlato di ''rivoluzione comportamentale''; la seconda, che si afferma soprattutto dopo il 1975, critica i residui positivistici presenti nel comportamentismo, pur riprendendone in sostanza i temi. La g. anglosassone ha avuto naturalmente un ruolo essenziale anche nell'elaborazione e nell'affermazione di questi nuovi indirizzi di ricerca. Tuttavia per la g. della percezione sono importanti anche gli apporti tedeschi, mentre per la g. umanistica va segnalata una forte corrente francofona, che fa capo soprattutto alle università della Svizzera romanda. Anche per queste ultime tendenze, va rinviato il giudizio sulla loro capacità di esprimere paradigmi consolidati.
In Italia la g. umanistica non ha incontrato accoglienze particolarmente calorose. Tuttavia, motivi umanistici serpeggiano qua e là in scritti d'ispirazione storicista e anche funzionalista, per es. nel campo della g. elettorale o della g. del turismo. Un numero limitato di studiosi, prevalentemente di scuola milanese, ha comunque imboccato questa strada con serietà e con metodo, ottenendo risultati originali di un certo spessore.
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