GEOGRAFIA.
– Avanzamenti teorici. Ambiti e filoni di studi. Postmodernismo e geografia. Cybergeography e cyberspazio. Geografia di genere (gender geography). Geografia visuale. Geografia emozionale. Geostoria. Bibliografia
Le discipline geografiche hanno conosciuto negli ultimi decenni, e sempre più intensamente, un distacco pressoché completo tra lo studio degli aspetti naturalistici, ormai appannaggio di settori di ricerca altamente specializzati, e lo studio degli aspetti antropici. Si tratta di due grandi ambiti (ampiamente segmentati anche al loro interno) che utilizzano metodi completamente differenti e che si pongono obiettivi conoscitivi altrettanto divaricati, benché da più parti si lamenti il risultato negativo di una perdita di visione unitaria nello studio del sistema Terra, che non dovrebbe essere considerato se non in maniera unitaria. Le discipline che compongono il versante antropico della g. si vanno collocando in maniera vieppiù decisa tra le scienze umane e sociali, con ampie intersezioni con la riflessione epistemologica, sociologica, economica, storiografica, linguistica, storico-letteraria, estetica, psicologica e via dicendo, per non considerare le implicazioni operative che hanno portato la g. a contribuire alla gestione e alla pianificazione territoriale, urbanistica e politico-economica. Caratteristico degli ultimi anni è lo sviluppo impetuoso, benché talvolta effimero, di specifici ambiti di studio, come la g. visuale o la g. emozionale, seguiti massicciamente dalla comunità geografica internazionale.
Avanzamenti teorici di Marco Maggioli. – Il processo di globalizzazione ha conferito una rinnovata centralità alla dimensione territoriale dell’agire sociale e all’analisi dei fattori di territorializzazione delle stesse pratiche sociali. La ricerca geografica ha posto, nel corso degli ultimi quindici anni almeno, una sempre maggiore attenzione verso lo ‘spazio dei flussi’ e dunque verso l’osservazione e l’analisi critica di sistemi reticolari e dei connessi fenomeni di mobilità che attraversano la società e che si traducono in processi di tipo transcalare: dai movimenti di persone, merci e informazioni, alla circolazione di modelli di sviluppo e pratiche di governo. Sono questi forse tra i motivi principali che hanno permesso alla g. umana di collocarsi al centro dei molteplici cambiamenti paradigmatici che hanno interessato le scienze sociali negli ultimi trent’anni: dalla svolta culturale a quella umanistica, da quella linguistica a quella iconografica si sono effettuate riflessioni costanti e trasversali ai diversi campi di ricerca sui concetti di territorio e territorialità. Tra le numerose questioni affrontate, alcune possono essere considerate centrali. La prima riguarda il grado di integrazione nella g. umana delle ‘svolte’ nate in altri contesti disciplinari, la seconda attiene all’individuazione degli ambiti della g. umana che, più di altri, sono stati coinvolti nei processi di cambiamento paradigmatico, la terza ha a che fare con la consapevolezza epistemologica di un’ontologia peculiare che l’essere umano sulla Terra fonda in ragione di un agire territoriale stimolato da bisogni, tecniche, sentimenti, visioni, istituzioni.
Nel corso di questi anni molte idee nate nei contesti della teoria sociale e della filosofia contemporanea sono dunque approdate in ambito geografico, così come diverse elaborazioni concettuali nate in senso alla g. sono state riprese in ambiti disciplinari diversi. Questo intreccio di saperi e di pratiche della ricerca ha attivato e alimentato feconde linee di ricerca e nuovi campi teorici circa il ruolo delle pratiche spaziali, conferendo centralità nuova ai rapporti soggetto/ attore/individuo. L’importanza del soggetto quale parte fondante degli studi geografici ha permesso, in effetti, avanzamenti teorici rilevanti nella g. sociale e in quella economica, come testimoniano indagini e proposte teoriche attorno allo sviluppo locale, agli attori territorializzati, alla g. della vita quotidiana, ai processi di governance. Nella stessa direzione possono essere interpretati gli impulsi generati dalla svolta linguistica, da quella iconografica, culturale, biografica, narrativa, interpretativa che notevoli ripercussioni hanno avuto nella g. tramite l’attivarsi di riflessioni teoriche sulla g. visuale, sul rapporto tra territorio e memoria, sull’etica dell’agire territoriale, sulle relazioni tra legalità e legittimità, sull’ordine giurisdizionale dei territori, sul controllo simbolico, materiale e organizzativo. La tradizionale g. storica sembra aver assunto la necessità di costruire una narrazione geografica all’intersezione tra individuo, luogo e società, non solo come costruttori e protagonisti dell’agire storico, ma anche quali ‘soggetti’ attivi e imprescindibili delle continue trasformazioni del territorio, del paesaggio e del luogo. La g. urbana, dal canto suo, ha operato un processo di ricostruzione degli approcci metodologici con l’intento di fornire risposte alla complessità delle trasformazioni urbane contemporanee e alla rinnovata centralità della città e della vita urbana. Una g. urbana del soggetto abitante è quella proposta da alcune linee di ricerca recenti, che mettono in evidenza l’importanza in termini di conflittualità sociale, di pratiche dal basso, di movimenti politici e sociali. Uno degli apporti più rilevanti di questo approccio risiede nell’idea che al centro della riflessione debbano esserci le esperienze spaziali delle diverse soggettività sociali, con l’integrazione nel discorso del concetto di ‘abitare’ di matrice heideggeriana. In sostanza, si è sviluppata una proposta teorico-metodologica che vede il soggetto, la soggettività, i linguaggi, le immagini, i segni, le conflittualità, la costruzione di pratiche dal basso come parte integrante del contesto urbano.
Non si possono tralasciare, infine, gli avanzamenti teorico-metodologici, specificatamente di matrice geografica, avvenuti negli studi su ambiente e paesaggio, nel quadro delle più ampie teorizzazione sui diritti fondamentali e i beni comuni. In questa direzione, l’ambiente esprime la geograficità di una natura che non può essere ridotta alle sole funzionalità ecologiche; essa rappresenta l’insieme delle pratiche, delle visioni, delle aspettative, dei diritti e degli obblighi che le società umane assumono nei confronti della natura. Il paesaggio, dal canto suo, si rivela consapevolezza di un’armonia che regge l’organizzazione del territorio, conquista culturale delle popolazioni insediate e di quelle che lo fruiscono: un bene di certo non monetizzabile o commerciabile.
Ambiti e filoni di studi di Matteo Marconi. – Postmodernismo e geografia. – Il filone della g. postmoderna nasce dall’incontro tra il postmodernismo statunitense e il poststrutturalismo francese, che si rifà a Michel Foucault, Roland Barthes, Jacques Derrida e Jean-François Lyotard. Tra i geografi postmoderni si ricordano Edward Soja, Brian Harley, ClaudioMinca, Michael Dear e Gearóid Ó Tuathail. Il postmoderno, più che essere un paradigma, riunisce una molteplicità di posizioni critiche caratterizzate dalla sfiducia nel pensiero moderno, che costringe il libero fluire della vita all’interno di presunte categorie universali. Per la g. post moderna non è più possibile spiegare la realtà con un unico paradigma; perciò essa si propone di decostruire le rappresentazioni dominanti, metterne in luce i non detti e dare spazio alla pluralità del reale. Il postmoderno attacca ogni pretesa di oggettività, verità e neutralità del processo conoscitivo, ne riconosce la natura parziale e soggettiva, che si impone come oggettiva solo per mantenere la propria posizione egemonica. Nell’ambito delle scienze sociali questa impostazione ha comportato la rivalutazione della dimensione spaziale, quindi della g., come analisi delle relazioni contingenti tra gli enti che occupano uno stesso luogo e che generano una situazione irripetibile grazie alle interazioni reciproche. I geografi di tradizione marxista, come Richard Peet e David Harvey, hanno contestato al postmodernismo la mancanza di progettualità politica, esito inevitabile della critica radicale di ogni sapere come forma di potere che include ed esclude allo stesso tempo. Claudio Minca, tra gli altri, ha risposto alle critiche, sottolineando come il principale obiettivo del postmodernismo sia la consapevolezza che ogni relazione comporta potere, ma non che sia impossibile eliminarlo. Il progetto è realizzabile a partire dal-l’esplicitazione della nostra posizione e di quella dei nostri interlocutori, in altre parole chiarendo il modo in cui il potere è spazialmente e socialmente determinato.
Cybergeography e cyberspazio. – La cybergeography studia le reti spaziali costruite dalle comunicazioni digitali, innanzitutto Internet, che creano quello che viene definitocyberspazio. I flussi elettronici e telematici che caratterizzano il mondo contemporaneo portano i geografi a interessarsi delle g. dei nuovi territori elettronici. Secondo uno dei pionieri della cybergeography, Martin Dodge, esistono diverse geografie del cyberspazio, che si occupano dell’impatto delle tecnologie digitali sullo spazio reale, ma anche dello studio delle infrastrutture fisiche, dei flussi di traffico, dei caratteri demografici delle comunità che nascono nel cyberspazio, fino alla percezione degli spazi digitali. Per es., è possibile studiare la rete cartografando la diversa connettività a livello globale, il traffico di dati e le sue diverse tipologie di uso. Il tentativo di cartografare i nuovi cyberspazi con cybermappe ci aiuta a comprendere i nuovi paesaggi informatici e a navigare al loro interno. I flussi elettronici evidenziano che esiste uno spazio alternativo a quello fisico, invisibile, che tende a ricomporre in unità frammenti di spazio fisico, secondo logiche differenti. La rivoluzione informatica ha permesso la nascita di nuove articolazioni spaziali delle relazioni di potere, in cui i luoghi si connettono tra loro senza avere necessariamente contiguità fisica. Si passa così dagli Stati nazione alle città globali, ossia a una rete di città appartenenti a Stati diversi, ma unite da funzioni simili. L’interazione sociale si smaterializza e si separa da ogni ubicazione fissa, al pari del consumo e della produzione. La cybergeografia porta a guardare lo spazio con occhi diversi da quelli della tradizione cartesiana, in quanto il cyberspazio è privo di un centro e di una forma fisica. I paesaggi virtuali influenzano e obbligano a vivere in modo diverso quelli fisici, in una coalescenza di visibile e invisibile che comporta una profonda revisione di ogni elemento della vita umana, dal sociale, al politico, all’economico.
Geografia di genere (gender geography) di Isabelle Dumont. – La g. di genere è un filone di studi che propone un diverso approccio teorico e metodologico, legato alla nozione di genere come categoria sociale e come espressione di relazioni di potere, posto alla base di ogni costruzione e gestione dello spazio. Gli studi di genere in g. hanno preso origine da interrogativi assai concreti: perché alcuni mestieri sono prettamente svolti da donne? Perché i ruoli di responsabilità sono soprattutto ricoperti da uomini? Perché gli utenti dei mezzi pubblici sono in maggioranza donne? Perché alcuni spazi pubblici di notte diventano appannaggio esclusivo degli uomini?
L’idea era di mettere in evidenza, come scriveva Simone de Beauvoir in apertura di Le deuxième sexe (1949), che «non si nasce donna [o uomo]: lo si diventa» e che le differenze tra uomini e donne sono il risultato di una costruzione sociale. Alla fine degli anni Sessanta del 20° sec. il concetto di genere si fa strada nel campo della psicoanalisi e della sociologia, soprattutto negli Stati Uniti, ove le femministe rivendicano la presenza delle ‘donne’ come soggetto e oggetto di ricerca scientifica, che fino allora si declinava esclusivamente al maschile neutro. L’odierna accezione di gender è stata poi puntualizzata da una sociologa anglosassone, Ann Oakley (Sex, gender and society, 1972) e, alla fine del secolo scorso, gli studi di genere in Europa hanno attaccato l’ideologia naturalista della differenza tra sessi, in base alla quale alla sfera maschile è in qualche modo assegnato un valore superiore rispetto a quella femminile.
Oggi sono ormai tutte le scienze umane e sociali a occuparsi di problematiche di genere, non più necessariamente legate alla sola dimensione femminile, poiché l’orizzonte di ricerca si è allargato alla costruzione sociale delle differenze di comportamento e di relazione legate al sesso e all’identità sessuale. Fin dalle prime fasi di socializzazione di bambine e bambini, tale costruzione delle differenze si evidenzia in tutte le declinazioni spaziali (usi, percezioni, rappresentazioni, fruizioni differenziate, discriminanti o addirittura esclusive di certi tipi di luoghi) dell’insieme delle attività sociali (lavoro professionale e domestico, spostamento, formazione, tempo libero ecc.). Il genere non è dunque più inteso come un attributo duale, bensì come un nuovo paradigma, un sistema dinamico che può fungere da chiave per individuare, entro lo spazio di relazione, le relazioni di potere, così come le classi, le etnie, l’età e così via.
Geografia visuale di Isabelle Dumont. – Varie sono le sfumature assunte dalla g. visuale, ma due sono le principali accezioni del termine. Da una parte, si parla di g. visuale quando si fa particolare uso dei supporti visivi nell’ambito della ricerca geografica, della descrizione e interpretazione, ma soprattutto nella divulgazione delle informazioni (i supporti visivi in questione comprendono immagini fisse, quali disegni, fotografie o qualsiasi elaborato grafico, così come immagini in movimento, quali quelle da film, da serie televisive, da spot pubblicitari). Dall’altra, la g. visuale è per alcuni una sorta di nuovo filone della g., che integra completamente la dimensione visuale, in tutte le sue espressioni, nella costruzione dei suoi oggetti di ricerca. Documenti visuali hanno da sempre affiancato gli studi geografici, caratterizzati da una perenne oscillazione tra scrittura e rappresentazione grafica del mondo. Le primissime immagini geografiche sono state le carte, ma non va dimenticata la pittura (rappresentazioni di paesaggi rurali, urbani, industriali, litorali, reali o inventati). Nel corso del 18° sec. si è diffuso l’utilizzo delle immagini in rilievo sulle carte (uso del tratteggio ombreggiato) e nel 19° sec. si sono affermate prima l’incisione e in seguito la fotografia, passando dalla cartografia tematica a colori a quella in tre dimensioni, per giungere alla fine del 20° sec. all’immagine animata, interattiva o puramente virtuale. Ai giorni nostri i geografi, a prescindere dal livello di adesione alla g. visuale, si devono confrontare con l’aumento esponenziale dell’uso che la società fa delle immagini e con la varietà dei loro supporti e provenienze. Tale profusione di stimoli visivi ha offerto nuove opportunità scientifiche per osservare, interagire e, soprattutto, per comprendere la realtà.
Secondo l’impostazione metodologica scelta da chi pratica la g. visuale, si ricorre regolarmente ai supporti audiovisivi come importante strumento di analisi geografica, in particolare nelle ricerche sulla costruzione territoriale e la relativa organizzazione sociale. In altri casi si studia invece quanto la sfera visuale stessa partecipi alla costruzione della realtà geografica, ovvero si studia la dimensione per-formativa delle immagini (per es., come un film o un manifesto pubblicitario inducono in determinati territori una frequentazione turistica, che comporta poi un cambiamento e una riorganizzazione di quegli stessi luoghi).
Geografia emozionale di Silvia Lilli. – Orientamento che studia territori e paesaggi sulla base non degli elementi fisici o sociali oggettivi, ma della percezione soggettiva ed emotiva che di essi hanno gli individui e le collettività che ne fruiscono stabilmente (residenti) o temporaneamente (viaggiatori). L’interesse è posto sulle emozioni che possono essere definite geografiche, che cioè sorgono più o meno direttamente in dipendenza da motivazioni territoriali, o geograficamente rilevanti, provocando interventi preventivi o attuativi sul territorio. Un territorio emotivo è lo spazio geografico che ha generato e rimane in grado di suscitare emozioni consistenti, e ciò in virtù di due componenti: quella naturale, cioè gli elementi fisici, biologici, astronomici più caratteristici del luogo, e quella umana, con il suo corredo storico-culturale e artistico. La g. emozionale, che si suole far risalire all’Atlante delle emozioni (2002) di Giuliana Bruno, prende le mosse dal mutamento di prospettiva indotto dalla g. della percezione sulla spinta dell’epistemologia filosofico-psicologica, che ha spostato l’attenzione sulla soggettività dell’esperienza e della conoscenza quale componente di pari importanza rispetto alla tradizionale scienza positivista e razionalista. La g. emozionale intende caratterizzarsi come disciplina a partire dal presupposto che il ‘sentire’ sprigionato dai luoghi rappresenti un aspetto caratterizzante del territorio, da comprendere e studiare onde restituire un’immagine di esso il più possibile completa. E questo poiché le emozioni, oltrepassando l’individuo, vanno a sedimentarsi nella coscienza collettiva, divengono patrimonio culturale e fattori di identità, assumendo un ruolo profondamente sociale, dato che sono in grado, agendo sugli individui, di agire anche sui luoghi. Dai presupposti della g. emozionale scaturiscono esperienze innovative di cartografia, come il biomapping, modello cartografico di descrizione dei luoghi basato sulle reazioni emotive da essi suscitate.
Geostoria di Michele Castelnovi. – Filone di studi che esamina i temi e i problemi della g. in prospettiva storica e che, nelle sue manifestazioni più convinte, tende a sviluppare modelli di analisi in grado di assumere e restituire insieme elementi spaziali e temporali.
Tradizionalmente approfonditi, e recentemente inno-vati, sono gli studi di storia della cartografia e del pensiero geografico, di g. storica, e di storia delle esplorazioni, con le conseguenti relazioni di viaggio: con indagini che mirano a ricostruire le radici del presente con finalità pratiche, sia nell’esame della comunicazione del sapere, sia nell’analizzare la gestione del territorio avvenuta in passato, sia nel rintracciare le origini di tradizioni culturali e materiali del mondo attuale. In tutto questo, sembrano ormai superate le tradizionali polemiche di matrice nazionalistica attorno a improbabili ‘primati’ di specifiche scuole cartografiche o di singole persone impegnate nelle scoperte: il punto di svolta può essere indicato nelle celebrazioni del 500° anno dalla scoperta dell’America.
Le nuove tecniche di riproduzione digitale dell’immagine hanno permesso una vera e propria rinascita dell’interesse verso le carte geografiche realizzate in passato, considerate non soltanto come meri strumenti, ma anche come apparato simbolico di una percezione complessiva: l’interesse del pubblico è confermato dal successo delle grandi mostre degli ultimi anni, e da libri che sono diventati veri e propri best seller. La possibilità di riprodurre mappe tematiche con nuovi strumenti digitali ha permesso anche in questo ambito che i documenti fossero a disposizione di una platea di utenti sempre più ampia. Negli ultimi dieci anni è poi aumentata enormemente la quantità di database e di scansioni della cartografia storica accessibili, facilitando il reperimento di fonti idonee alla ricostruzione delle identità geografiche locali a vari livelli di transcalarità: dal rione o quartiere infracomunale, alle aree di produzione tipica, anche in ambito agroalimentare, fino alle proposte delle cosiddette regioni alternative.
Recentemente, la geostoria ha acquistato nuova rilevanza anche nelle vertenze geopolitiche attuali. Per es., i diplomatici cinesi tendono ad attribuire molta importanza ai documenti cartografici del passato e alle eredità delle esplorazioni: così, nelle controversie sul possesso delle isole nel Mar Giallo Meridionale, le parti spesso invocano come ‘prova’ l’attribuzione di possesso riferita dalla cartografia antica; per altro verso, i diplomatici cinesi ritengono molto importante presentare la Cina odierna come erede delle esplorazioni medievali dell’ammiraglio Zheng He, secondo un’interpretazione storiografica che vorrebbe differenziare il ruolo cinese rispetto alle scoperte e alle colonizzazioni occidentali, in quanto queste ultime sarebbero state effettuate dalle potenze imperialiste europee solo per aggressiva avidità. Questo tipo di ricostruzione geostorica è funzionale alla propaganda del cosiddetto Beijing consensus (v. Cina).
Bibliografia: C. Minca, Postmodern geography: theory and praxis, London 2001; M. Dodge, R. Kitchin, Atlas of cybergeography, London 2002; F. Farinelli, Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo, Torino 2003; G. Bruno, Atlante di geografia emozionale. In viaggio tra arte, architettura e cinema, Milano 2006; G. Rose, Visual methodologies: an introduction to the interpretation of visual materials, London 2007; D. Cosgrove, Geography and vision. Seeing, imagining, and representing the world, London 2008; G. Iacoli, La percezione narrativa dello spazio, Roma 2008; R. Borghi, A. Rondinone, Geografia di genere, Milano 2009; E. Dell’Agnese, Paesaggi ed eroi. Cinema, nazione egeopolitica, Torino 2009; E. Bignante, Geografia e ricerca visuale, Strumenti e metodi, Roma 2011; G. Di Méo, Les murs invisibles. Femmes, genre et géographie sociale, Paris 2011.