GEOMETRIA (gr. γεωμετρία)
1. Le origini. - Geometria significa etimologicamente "misura della terra", e rimane ancora traccia di questo significato nella denominazione di "geometri" data ai periti agrimensori. Appunto da un problema di catasto Erodoto fa nascere la geometria in Egitto sotto il regno di Sesostri (Ramêśśeśe II, circa 1300 a. C.). Racconta (II, 109) che si era divisa la superficie del suolo in tanti appezzamenti rettangolari sottoposti a un tributo annuale, ma l'inondazione del Nilo avendo coperto una parte delle proprietà, si dovette procedere a una nuova misura delle superficie. Così, dice, è nata la geometria, che passò poi in Grecia. E Proclo riprende la tradizione. Questa tradizione contiene un nucleo di verità storica, cioè che la geometria fu coltivata dagli Egiziani e dai Babilonesi fino da un'epoca antichissima, che precede forse di duemila anni gl'inizî della scienza greca. Gli studiosi hanno scoperto importanti papiri (il papiro Rhind, e recentemente il papiro di Mosca) che contengono la risoluzione di problemi geometrici: aree di figure piane, diversi casi del teorema di Pitagora, e finanche il volume del tronco di tetraedro e della sfera; risultati che sembrano offerti come nozioni empiriche, ma che potrebbero indicare un anteriore sviluppo razionale della scienza.
2. Evoluzione della geometria greca. - Ora, secondo il riferimento di Proclo nel commento a Euclide, la geometria egiziana sarebbe stata portata in Grecia da Talete di Mileto (circa 600 a. C.). Il quale, a giudicare dai risultati che gli vengono attribuiti come scoperte, avrebbe conosciuto e messo in opera alcuni metodi di geometria pratica, come la valutazione delle distanze per mezzo della triangolazione (data una base AB e gli angoli che i raggi visuali AC e BC fanno con AB, si calcolano AC e BC). Ma i più grandi progressi della geometria greca sono dovuti alla scuola pitagorica.
Pitagora stesso avrebbe scoperto che la somma degli angoli d'un triangolo è eguale a due retti, e stabilita in generale la relazione che lega i quadrati dell'ipotenusa e dei cateti del triangolo rettangolo: il cosiddetto "teorema di Pitagora". Anzi lo Zeuthen suppone che, appunto in vista di ciò, egli abbia costruito il primo esempio di quelle catene di deduzioni che caratterizzano lo sviluppo della geometria come scienza razionale. Col metodo deduttivo la geometria pitagorica conseguì brillanti risultati, che per estensione coprono quasi intero il campo della geometria elementare classica: in particolare la costruzione dell'esagono e del pentagono regolari, le proprietà delle figure simili e le trasformazioni che dànno, sotto forma geometrica, la soluzione delle equazioni di 2° grado.
Verso il 450 a. C. comincia ad apparire una prima esposizione sistematica degli elementi di geometria per opera di Ippocrate di Chio. Un frammento di uno scritto sulle lunule appartenente a questo, ci è stato conservato da Simplicio, e reca ancora testimonianza diretta del grado assai elevato raggiunto a quell'epoca dalla scienza. Tuttavia l'edificio pitagorico non era costruito sulla base d'una concezione razionale degli enti geometrici; si ha motivo di ritenere che, partendo da una concezione empirica delle figure elementari - il punto pensato a somiglianza di un granellino di sabbia, la linea come filo sottile e d'altra parte come serie di punti, ecc. - quei matematici presupponessero che due linee o grandezze ammettano sempre una comune misura. Soltanto la scoperta che la diagonale e il lato del quadrato sono incommensurabili dovette provocare una revisione d'idee, segnando una crisi della scienza. Questa crisi ha d'altronde un significato più generale, investendo in pari tempo la fisica, e si esprime nell'opera della scuola d'Elea con Parmenide e Zenone. I famosi logoi di Zenone dànno forma matematica precisa ai paradossi, cui si urta la concezione monadica della geometria accolta dai Pitagorici, secondo la quale dovrebbe esistere un punto esteso ovvero un minimo di estensione, che costituirebbe in qualche modo un infinitesimo attuale. Come tipo di codesti argomenti basti ricordare "l'Achille" (cfr. giuoco: Giuochi matematici; zenone). Dalla stessa critica nascono i principî dell'analisi infinitesimale: si dovette scoprire allora la somma della progressione geometrica d'infiniti termini; e forse a questo risultato, in ogni modo certo a un processo infinito, si collega la scoperta successiva fatta da Democrito del volume della piramide.
Le testimonianze serbano ancora memoria di un periodo di lavoro alquanto oscuro, in cui le discussioni e i paradossi dell'infinito - urto di mentalità opposte di empiristi e razionalisti - s'intrecciano a risultati positivi, per esempio in ordine alla classificazione degl'incommensurabili e al teorema (di Teeteto) sulla decomponibilità univoca dei numeri in fattori primi, che vi si collega.
Per dare fondamenti rigorosi alla geometria occorreva in specie stabilire una teoria generale dei rapporti, comprendente il caso incommensurabile, e porre criterî di confronto e d'equivalenza delle aree e dei volumi non decomponibili in un numero finito di parti eguali. Questo compito sembra essere stato assolto nella prima metà del sec. IV a. C. da Eudosso di Cnido; al quale si suole attribuire la teoria delle proporzioni esposta nel libro V di Euclide e il cosiddetto metodo d'esaustione: procedimento per assurdo in cui si deduce l'eguaglianza di due grandezze dall'impossibilità che esista una differenza, e mercé cui si dimostra, per esempio, la proporzionalità dei cerchi ai quadrati dei raggi (v. integrale, calcolo).
3. Gli elementi di Euclide: principî. - Verso il 300 a. C., al termine di un secolo di critica, in cui l'esigenza del rigore logico si era sviluppata fino a un punto che non fu più superato fino a tempi recentissimi, comparve nella scuola alessandrina l'opera che costituisce il trattato classico della geometria antica: gli Elementi d'Euclide (v. euclide). Questi elementi offrono un'esposizione organica, logicamente ordinata, che comprende le parti fondamentali della geometria e dell'aritmetica, cioè quelle nozioni matematiche che stanno a base di ogni superiore sviluppo. L'opera è divisa in tredici libri: i primi quattro libri e il VI concernono la geometria piana, mentre il V, che riceve applicazione nel VI, contiene la teoria generale delle grandezze e dei loro rapporti; i tre libri VII, VIII, IX, sono dedicati all'aritmetica, il X alla classificazione degl'incommensurabili e i seguenti XI, XII e XIII alla geometria solida. Al trattato sono stati aggiunti altri due libri, il primo dei quali apparterrebbe a Ipsicle (circa 150 a. C.). Il sistema euclideo, rigorosamente deduttivo, dipende da alcuni principî che sono formulati: nelle spiegazioni dei termini o definizioni, nei postulati (ciò che si chiede di ammettere) e nelle nozioni comuni.
I "termini", almeno per quanto si riferisce ai concetti primi (punto, linea retta, ecc.), non si possono ritenere come vere definizioni nel senso strettamente logico della parola (v. definizione); ma sono in parte descrizioni che richiamano la genesi psicologica delle idee, in parte formule dichiarative della posizione assunta dal geometra di fronte a un preeedente conflitto storico: p. es. la def. I, 1 "il punto è ciò che non ha parti" e la I, 2 "le linee sono lunghezze senza larghezza" dichiarano in maniera negativa il senso ideale degli enti geometrici, quale risulta affermato dai matematici in seguito alla polemica eleatico-pitagorica. Della prima definizione dice appunto Proclo nel suo commento che è conforme al criterio di Parmenide, per cui le definizioni negative convengono ai principî Le prime proprietà e relazioni degli enti geometrici, insufficientemente espresse nei "termini", sono enunciate da Euclide nei "postulati" e nelle "nozioni comuni". I postulati affermano in generale la possibilità di certe costruzioni elementari, e quindi l'esistenza (o l'unicità) di enti soddisfacenti a certe condizioni fondamentali: così i primi tre, della retta per due punti e del cerchio di dato centro e raggio. Il post. 4 (tutti gli angoli retti sono eguali fra loro) - secondo l'interpretazione dello Zeuthen in rapporto alla prop. I, 14 - porterebbe l'unicità del prolungamento della retta, mentre l'unicità del segmento congiungente due punti appare tacitamente ammessa nella prop. I, 4 e si trova enunciata esplicitamente in alcune redazioni o edizioni successive del testo. Il postulato 5, che occupa un posto speciale nella critica posteriore, dice che "due rette del piano, le quali tagliate da una terza formino angoli da una stessa parte la cui somma sia minore di due retti, prolungate da questa parte s'incontrano", e porta l'unicità della parallela per un punto a una retta data, permettendo d'invertire i teoremi sull'eguaglianza degli angoli alterni, interni o esterni, formati da due parallele con una trasversale. Ne deriva quindi il teorema sulla somma degli angoli d'un triangolo, ecc.
Le "nozioni comuni" sono quei principî di significato scientifico generale, che Aristotele definiva col termine pitagorico di "assiomi"; e vi è qualche indizio per ritenere che il nome dato loro da Euclide provenga da un'anteriore trattazione di Democrito, che fu autore d'un libro di Elementi perduto per noi, in cui pure si ravvisa qualche somiglianza con l'ordine euclideo. Queste nozioni si riferiscono all'eguaglianza e diseguaglianza delle cose (grandezze): cose eguali a una terza sono eguali fra loro, somme e differenze di cose eguali sono eguali, cose (figure) che si sovrappongono sono eguali, il tutto è maggiore della parte.
Qui deve essere rilevato che Euclide considera l'eguaglianza delle figure sempre in grandezza; così per lui due triangoli o due figure piane sono eguali quando hanno la stessa superficie, e analogamente per i solidi. La relazione di eguaglianza geometrica in grandezza e forma, che oggi si designa più precisamente come "congruenza", non viene definita esplicitamente negli Elementi: due figure congruenti sono designate come "simili ed eguali". E avuto riguardo alla def. VI, 1 (le figure rettilinee sono simili quando hanno gli angoli eguali e i lati proporzionali) e alla III, 1 (due cerchi si dicono eguali se hanno egual raggio) si può dire che, nel concetto euclideo, la congruenza si ridurrebbe all'eguaglianza dei segmenti e degli angoli che definiscono la figura; riuscendo così caratterizzata dai postulati che all'uopo ha dichiarati esplicitamente l'analisi di D. Hilbert (1899). Di una definizione generale delle figure eguali o congruenti come sovrapponibili col movimento non vi è traccia in Euclide, il quale anzi si astiene di solito dall'uso del movimento, ricorrendovi solo una volta (prop. I, 4), quasi di nascosto, per riconoscere l'eguaglianza dei triangoli con due lati e l'angolo compreso eguali.
Si avverta infine che l'ultima delle nozioni comuni, "il tutto è maggiore della parte", nella mente d'Euclide serve da un lato a esprimere le proprietà lineari della retta, onde si può parlare d'un ordine naturale dei suoi punti; mentre d'altro lato sta a fondamento della teoria dell'eguaglianza delle superficie, ove si adopera in specie per invertire i teoremi sull'eguaglianza dei parallelogrammi e triangoli di egual base e altezza, ecc. Si deve pur dire che, nonostante la cura del rigore, i principî di Euclide sono, in qualche parte, manchevoli: che i termini, come già si è detto, non sono vere definizioni, e che il sistema si basa, non solo sui principî esplicitamente dichiarati, ma anche sopra altre premesse inespresse, che l'analisi moderna ha messe in rilievo. Il difetto più notevole concerne appunto gli assiomi che caratterizzano l'ordine naturale dei punti della retta, cioè le sue proprietà lineari, e la partizione del piano per mezzo della retta (proprietà superficiali del piano).
4. Contenuto degli Elementi. - Sulla base dei principî anzidetti, di qualche assioma tacitamente ammesso come evidente e dei principî che vengono aggiunti nei libri successivi, procede lo sviluppo delle deduzioni di Euclide. Il libro I contiene le relazioni di eguaglianza e di diseguaglianza dei triangoli, i teoremi sulle parallele, sulla somma degli angoli di un poligono, sull'eguaglianza delle superficie dei parallelogrammi o dei triangoli di egual base e altezza, e, quasi come conclusione, il teorema di Pitagora. Il libro II insegna l'algebra geometrica, cioè l'insieme delle relazioni d'eguaglianza fra le superficie dei rettangoli, che traducono sotto forma geometrica la maggior parte della teoria delle equazioni di secondo grado, la quale è poi completata nel libro VI, prop. 28-29. Nel libro III si trova la teoria del cerchio: intersezioni e contatti, angoli iscritti, ecc.; nel IV la costruzione dei poligoni regolari iscritti o circoscritti al cerchio: triangolo, quadrato, pentagono, esagono e pentadecagono; nel V la teoria generale delle grandezze e i loro rapporti, cioè - sotto forma geometrica - il calcolo sui numeri irrazionali; nel VI le proporzioni geometriche, i triangoli simili, ecc. I tre libri seguenti (VII, VIII, IX) sono consacrati all'aritmetica: proporzioni fra numeri interi, massimo comun divisore, decomposizione dei numeri in fattori primi, ecc. Il libro X contiene, sotto forma geometrica, un'accurata classificazione degl'incommensurabili che risultano da radicali quadratici sovrapposti. Ed è importante rilevare che appunto dallo studio di questa teoria hanno ricevuto impulso nel sec. XVI gli algebristi italiani, risolutori dell'equazione cubica, siccome hanno messo in luce recentememe E. Bortolotti e G. Vacca. I libri XI e XII svolgono i principî della geometria dello spazio, e in particolare i rapporti di volume dei prismi e delle piramidi, dei cilindri e dei coni, e la proporzionalità della sfera al cubo del suo diametro. A completare queste teorie manca solo ciò che vi ha aggiunto Archimede: i metodi per calcolare con successive approssimazioni il rapporto π della circonferenza al diametro, e la determinazione del volume e della superficie della sfera. Il libro XIII di Euclide ci dà infine la costruzione dei cinque poliedri regolari convessi.
5. Commenti e critica. - Gli elementi di Euclide trovano commentatori e critici fino dall'antichità. Osservazioni di Archimede, di Apollonio, d'Erone, di Gemino, ecc., sono giunte a noi attraverso scrittori greci e arabi (Proclo, Teone Smirneo, Anarizio). Il trattato euclideo, lasciato da parte per la sua difficoltà durante il Medioevo, viene ripreso, edito e commentato fino dagli albori del Rinascimento. Il primo commento di Campano sembra risalire al 1280 ed è stato stampato a Venezia nel 1482. Seguono i commenti di Zamberti (1516), Tartaglia (1543), Péletier (1557), Candalla (1566), Commandino (1572), Clavio (1574), Cataldi (1613-25), Barrow (1655), e la serie si prolunga con commentatori e critici di tutti i paesi fino ai nostri giorni. Ricordiamo soltanto, fra i più recenti, I. Todhunter, M. Simon, Th. Heath (1909), F. Enriques (1925 segg.). Si può dire che, salvo le revisioni critiche e i rifacimenti didattici, il testo euclideo rimane anche per i moderni come trattato classico della geometria piana elementare. Complementi e perfezionamenti più notevoli sono stati introdotti nella geometria solida da A.-C. Clairaut, A. Cauchy, A.-M. Legendre, R. Baltzer, ecc. Dal punto di vista logico, la critica dei principî ha superato la posizione di Euclide (v. assioma; definizione). In particolare la critica relativa al post. V ha dato luogo a uno sviluppo di alto interesse scientifico e filosofico: la geometria non euclidea, di cui più oltre.
6. Complementi moderni. - Per quel che concerne l'organismo della geometria euclidea vogliamo notare due ordini di perfezionamenti o di complementi portati dalla scienza moderna, cioè: il nuovo assetto dato alla teoria dell'equivalenza dei poligoni e gli sviluppi recenti della teoria delle proporzioni nel senso degli antichi.
La critica (con J.-M.-C. Duhamel) distingue esplicitamente due sensi diversi dell'eguaglianza delle figure: eguaglianza in grandezza e forma (congruenza) e eguaglianza in grandezza (di superficie, o solidi), a cui si dà il nome di equivalenza. Secondo Euclide l'equivalenza, anche per i poligoni rettilinei, è un concetto primitivo, che viene caratterizzato da un certo numero di criterî diversi, quali sono gli assiomi che affermano l'eguaglianza di somme o differenze di superficie eguali. Invece è stato notato dal Gerwien (in Journal del Crelle, X, 1833) che poligoni equivalenti sono sempre decomponibili in un numero finito di parti (poligonali) congruenti. Si può quindi sviluppare tutta la teoria dell'equivalenza delle figure piane poligonali partendo da questa semplice definizione: "equivalenti sono due poligoni decomponibili in poligoni eguali (congruenti)". Questo sviluppo, che a prima vista urta contro difficoltà d'ordine critico, ha ricevuto ormai un assetto perfettamente logico. (Vedi l'art. di U. Amaldi, Sull'equivalenza, nelle Questioni citate nella bibliografia). Conviene aggiungere che la teoria così costruita non si estende alle figure piane curvilinee. Qui anzi un teorema di M. Rethy (Math. Annalen, XXXVIII, 1891) porge la condizione necessaria e sufficiente perché due superficie eguali siano decomponibili in un numero finito di parti congruenti. Nemmeno la teoria costruita nel piano per i poligoni si estende ai poliedri. Infatti, per riconoscere l'eguaglianza dei solidi delle piramidi di base e altezza eguali, si adoperano, fin dalle antiche trattazioni classiche, infiniti procedimenti; e un teorema di M. Dehn (1900) prova che non è possibile, in generale, decomporre due piramidi equivalenti in un numero finito di parti congruenti.
Per quel che concerne i nuovi sviluppi recati alla teoria delle proporzioni nel senso degli antichi, giova ricordare che in Grecia, dopo la crisi della geometria pitagorica susseguente alla scoperta degl'incommensurabili, vi fu la tendenza a sostituire sistematicamente la considerazione delle proporzioni con altre teorie indipendenti dalla nozione di rapporto o di misura. Ora in questo senso appunto procedono gli sviluppi moderni - di Rajola Pescarini, R. Hoppe, H. Grassmann, D. Hilbert, F. Schur, B. Levi, ecc. - dove si mostra come l'intera teoria delle proporzioni fra segmenti possa ricondursi sia alla nozione dell'equivalenza dei rettangoli, sia a una relazione di posizione definita mediante il parallelismo (teorema dei triangoli omotetici). In questo ordine d'idee viene profondamente analizzato e chiarito il significato di alcune proposizioni come quella dei triangoli omotetici e il teorema di Pappo-Pascal sull'esagono iscritto in una coppia di rette, in rapporto alle proprietà (commutativa, ecc.) delle proporzioni. Si veda per ciò l'art. di G. Vailati, Sulla teoria delle proporzioni, nelle citate Questioni, I, 1.
7. Gl'inizî della geometria superiore nell'antichità. - La stessa considerazione delle figure elementari della geometria suggerisce nuovi problemi, la cui risoluzione richiede necessariamente metodi superiori. Tali sono i problemi famosi della duplicazione del cubo, della trisezione dell'angolo (v. compasso; cubo; trisezione), e, il più celebre di tutti, della quadratura del cerchio (v. cerchio). Narra un alessandrino, che si vuol far passare per Eratostene, in una lettera a Tolomeo Evergete, che nella tragedia di un antico poeta, Minosse chiede di raddoppiare il sepolcro che doveva accogliere Glauco e che era un cubo di 100 piedi di spigolo; perciò egli credeva doversi raddoppiare semplicemente lo spigolo. Più tardi i Delî, spinti dall'oracolo a raddoppiare l'ara di Apollo, s'incontrarono nella stessa difficoltà; onde al problema della duplicazione del cubo è rimasto il nome di "problema di Delo". Queste leggende testimoniano della celebrità presto acquisita da un problema, che si affaccia come analogo alla duplicazione del quadrato, ma non può essere risolto come questo col semplice uso della riga e del compasso.
Ippocrate di Chio riportò la difficoltà dallo spazio al piano riconducendo la duplicazione, o in generale la moltiplicazione, del cubo all'inserzione di due medie proporzionali fra due segmenti a e b. Il problema riesce in tal guisa soltanto trasformato. Riuscì poi a risolverlo Archita di Taranto mediante le intersezioni di tre superficie di rivoluzione: un cilindro, un cono retto e un toro (superficie generata dalla rotazione di un cerchio attorno a un asse che non passi per il centro). Anche per la trisezione dell'angolo, non riuscendosi a risolvere il problema con retta e circolo, si ricorse presto ad altre curve, e specie a quella che, per essere stata adoperata più tardi a quadrare il circolo, ha ricevuto il nome di quadratrice (v. dinostrato), della quale si vuole scopritore Ippia d'Elide, il sofista.
Più tardi gli stessi problemi della duplicazione del cubo e della trisezione dell'angolo condussero a certe curve di terzo e di quarto grado che sono la cissoide di Diocle (v. diocle) e la concoide di Nicomede (v. nicomede). Ma il progresso più importante che si collega a codesti problemi è l'impulso dato allo studio delle coniche (v.). La ricerca delle due medie proporzionali fu ricondotta appunto all'intersezione di due coniche da Menecmo, discepolo di Eudosso di Cnido. Quindi le coniche formarono oggetto di studio da parte di Aristeo, di Euclide e di Archimede, e trovarono il loro sistematore in Apollonio Pergeo (v.). In tal guisa si ritrovano già negli antichi gl'inizî della geometria superiore.
Da un'altra parte ancora la geometria elementare dava impulso a ricerche che tendono a superarla. Alludiamo al problema delle aree e dei volumi, che già nel caso della quadratura del cerchio mette il matematico di fronte a un'analisi infinitesimale. In questi problemi, dopo Euclide, si è spinto innanzi soprattutto Archimede, a cui si debbono, come abbiamo detto, la scoperta del volume e della superficie della sfera, e inoltre la quadratura della parabola, e in generale la soluzione di problemi, nei quali si può ravvisare l'inizio dei metodi onde è uscita la moderna analisi infinitesimale (vedi integrale, calcolo).
8. Contributi moderni ai problemi classici. - Sui problemi classici della duplicazione del cubo, della trisezione dell'angolo e della quadratura del cerchio, come pure su un altro problema connesso col secondo, cioè la costruzione dei poligoni regolari, le matematiche moderne hanno portato nuova luce.
In primo luogo si è riusciti a dimostrare rigorosamente che la duplicazione del cubo e la trisezione dell'angolo sono problemi dipendenti dalla risoluzione di un'equazione algebrica cubica, la quale non può in generale risolversi mediante estrazione di radici quadrate, onde risulta la conseguenza che quei problemi non possono risolversi col semplice uso della riga e del compasso. Si ha insomma la conferma logica di una impossibilità che già fin dai geometri antichi era stata presentita. Questo risultato discende per noi dalla geometria analitica di Descartes e dalla teoria delle equazioni algebriche (v. compasso).
Anche il problema della costruzione dei poligoni regolari ha ricevuto nei tempi moderni una soluzione esauriente (v. cerchio). Già gli Arabi (al -Bīrūnī, Abū l-Giūd al principio del sec. XI) insegnano a ricondurre la costruzione dell'ennagono regolare a un'equazione di terzo grado. Tale ordine di questioni è ripreso da L. Pacioli, L. Ferrari, G. Cardano, R. Bombelli e poi da Keplero. In specie Ferrari riconduce a un'equazione di 3° grado l'equazione dell'ettagono; e di codesta equazione si occupa a lungo Keplero (Harmonices mundi, I, prop. 45).
La teoria generale dei poligoni regolari costruibili con riga e compasso è stata sviluppata da C. F. Gauss, che riduce il problema di costruire il poligono di n lati alla soluzione dell'equazione binomia xn = 1. La questione si riconduce al caso di n primo; e si dimostra precisamente che sono costruibili con riga e compasso soltanto i poligoni di un numero primo di lati della forma n = 2r + 1. Dopo i poligoni regolari di 3 e 5 lati, s'incontra così il poligono costruibile di 17 lati, e poi quello di 257.
Quanto alla quadratura del cerchio, i progressi portati dalla critica moderna consistono non soltanto negli sviluppi infiniti che in varî modi si ottengono per il numero π, ma anche nella dimostrazione rigorosa che la quadratura anzidetta (o, il che equivale, la costruzione della semicirconferenza rettificata, di lunghezza π) non può essere ottenuta con la riga e col compasso e nemmeno con l'intersezione di curve algebriche, perché π non è radice di alcuna equazione algebrica a coefficienti razionali. Questo teorema che, proseguendo le ricerche di C. Hermite, è stato stabilito da F. Lindemann nel 1882, chiude definitivamente l'era dei tentativi infruttuosi per riuscire alla quadratura del cerchio.
9. Geometria non euclidea. - Abbiamo accennato alla critica dei geometri intorno al post. V d'Euclide, il cosiddetto postulato delle parallele. Già negli autori greci (p. es. in Gemino) e poi negli arabi, si vede fatto il tentativo di eliminare il postulato, sostituendo alla definizione euclidea delle rette parallele (rette d'un piano che prolungate non s'incontrano) un'altra definizione: rette d'un piano fra loro equidistanti. E fra i moderni questo tentativo viene ripreso da P. A. Cataldi e da Vitale Giordano da Bitonto. Ma si tratta di un tentativo illusorio. È vero che dall'assumere due rette equidistanti del piano si possono trarre le stesse conseguenze che derivano dal postulato euclideo; ma quella assunzione nasconde in effetto un postulato, cioè che la linea, luogo dei punti equidistanti da una retta e da una parte di essa, sia anch'essa una retta. Come bene ha spiegato G. Saccheri, vi è qui la fallacia della definizione complessa, poiché di nessuna figura che risponda a condizioni complesse è lecito affermare che esista: l'esistenza costituisce appunto quell'ipotesi che si pretendeva di avere eliminata. Fra i critici del postulato delle parallele si deve annoverare il geometra inglese J. Wallis, il quale ha rilevato che il postulato euclideo (in aggiunta agli altri principî che lo precedono) costituisce la condizione necessaria perché esistano figure simili e disuguali, cosicché potrebbe sostituirsi con l'ipotesi che esistano, per es., triangoli simili non eguali fra loro.
Più tardi (nel sec. XVIII) la questione ha fatto notevoli progressi per la critica del Saccheri e di J.-H. Lambert. Il primo ha riconosciuto che il postulato euclideo equivale all'ipotesi che esista un quadrilatero con quattro angoli retti (ovvero anche un triangolo in cui la somma degli angoli è uguale a due retti). Se si costruisce un quadrilatero con tre angoli retti, il quarto angolo potrà risultare a priori retto, acuto o ottuso. Nella prima ipotesi c'è il sistema euclideo. La terza ipotesi conduce facilmente a un assurdo, contraddicendo alla nozione che abbiamo della retta come linea aperta di lunghezza infinita. Infine la seconda ipotesi, che l'autore si sforza, sofisticamente, di riconoscere assurda, conduce in realtà a un sistema geometrico logicamente possibile, che appunto i successori di Saccheri riconosceranno col nome di geometria non euclidea. Pertanto il risultato più importante di tali ricerche si può compendiare nel teorema di Saccheri-Legendre che la somma degli angoli d'un triangolo è sempre eguale a due retti (geometria euclidea) ovvero sempre minore (o anche sempre maggiore, se si lascia cadere il postulato della retta linea aperta, infinita).
Le ricerche sopra menzionate preludono alla costruzione della geometria non euclidea che è stata realizzata circa un secolo fa da C. F. Gauss, N. I. Lobačevskij e J. Bólyai. Se si assumono i principî (definizioni, assiomi e postulati) che costituiscono le premesse delle prime 27 proposizioni euclidee (teoria dell'uguaglianza dei triangoli) e si lascia cadere il post. V d'Euclide, di cui viene fatto uso soltanto nella prop. 28, si presentano tre ipotesi: 1. o le rette di un piano sono sempre secanti; 2. o tra le rette di un piano che passano per un punto esterno a una retta data vi sono infinite rette secanti e infinite rette non secanti, e quindi due rette limiti di separazione fra le une e le altre, a cui si può dare propriamente il nome di parallele; 3. o infine tutte le rette uscenti da un punto segano un'altra retta data, a eccezione di una sola che è la parallela (e quest'ipotesi ricade in quella di Euclide).
L'ipotesi 1. è in effetto contraddittoria con la nozione della retta come linea aperta; e infatti Euclide riesce a dimostrare l'esistenza di una parallela, senza far uso del suo postulato V. Per tale motivo Lobačevskij e Bólyai lasciano cadere la detta ipotesi come impossibile. Invece essi sviluppano le conseguenze dell'ipotesi 2. dimostrando che essa dà luogo a un sistema logicamente possibile in cui la somma degli angoli di un triangolo è sempre minore di due retti. Lo sviluppo della trigonometria non euclidea, e poi le interpretazioni della geometria non euclidea, di cui diremo più avanti, valgono a dimostrare che codesto sistema non potrà mai condurre a un assurdo logico, e pertanto che è vano il tentativo di dedurre il postulato delle parallele dagli altri principî della geometria euclidea. In altre parole si riconosce così l'indipendenza logica del detto postulato dalle anteriori premesse.
La geometria non euclidea ha ricevuto un nuovo grande impulso dalla critica di Bernardo Riemann (1826-1866), il quale ha sviluppato una teoria affatto generale degli spazî o varietà a più dimensioni a curvatura variabile, in cui è data in qualche modo una metrica (teorema di Pitagora assunto come vero nell'infinitesimo). Da questa teoria risulta che la geometria euclidea del piano può essere interpretata come geometria sopra una superficie di curvatura costante negativa, l'interpretazione essendo valida in piccolo, cioè per regioni limitate del piano: una linea retta di questa regione trova riscontro in una geodetica della superficie. Questa interpretazione è stata brillantemente illustrata in un classico saggio di E. Beltrami (in Giorn. di Mat., VI, 1868) e D. Hilbert ha dimostrato più tardi (in Trans. Amer. Math. Society, II, 1901) che non si può dare una simile interpretazione in grande, cioè non esistono superficie a curvatura costante negativa prive di singolarità, sopra cui valga nella sua interezza il sistema geometrico di Lobačevskij.
La critica di Riemann porta un'altra conseguenza, cioè che accanto al sistema di Lobačevskij-Bólyai è anche possibile un altro sistema di geometria dove le rette del piano sono sempre secanti, cioè non esistono parallele. Solo che, conservando in genere gli altri principî della geometria euclidea, conviene modificare l'ipotesi che la retta sia una linea aperta e concepirla come linea chiusa, e pertanto illimitata, ma di lunghezza finita.
Questi due sistemi non euclidei hanno poi trovato un'interpretazione rispetto alla geometria proiettiva nella metrica di A. Cayley rispetto a una quadrica. Si ha il sistema di Lobačevskij assumendo come quadrica assoluta una quadrica a punti ellittici; e invece il sistema di Riemann assumendo una quadrica immaginaria, definita da una polarità reale. Il caso euclideo risponde alla scelta di una quadrica che degenera come inviluppo in una conica immaginaria. Intorno a queste interpretazioni hanno recato luce in modo particolare le ricerche di F. Klein (cfr. n. 32 b).
10. Il problema dello spazio. - La costruzione della geometria non euclidea assume un alto significato scientifico e filosofico in ordine al problema dello spazio. Mentre la dottrina di E. Kant considera lo spazio (ordine della sensibilità esterna) come una forma a priori dell'intuizione, e ritiene perciò che gli assiomi siano verità necessarie, presupposti di ogni interpretazione possibile dell'esperienza, Gauss e Lobačevskij sono condotti a vedere negli assiomi e postulati un contenuto di fatto, cioè una verità sperimentale. Per essi, in particolare, la questione se lo spazio fisico sia euclideo o non euclideo non può essere decisa a priori. Lo spazio possibile dipende nell'ipotesi non euclidea da un parametro k (o da 1/k = curvatura); e solo per k = ∞ si riduce al caso euclideo. Quindi la risposta sulla validità o meno del postulato d'Euclide deve venire da un'accurata misura della somma degli angoli d'un triangolo, ove tale somma si riscontri, anche per un solo triangolo, minore di due retti, varrà la geometria di Lobačevskij; invece la verifica che essa sia eguale a due retti, non potendo mai farsi in maniera rigvrosa, non varrà mai a giustificare il postulato d'Euclide se non in maniera approssimativa. Gauss esamina per ciò il triangolo geodetico (i cui lati sono, all'incirca, km. 69, 86, 197) Broken, Hohehagen. Inselberg, e Lobǎcevskji) ferma la sua attenzione sulle parallassi delle stelle e ne trae la conclusione che il parametro k vale k > 170.000 volte il diametro dell'orbita terrestre; misure più accurate delle stesse parallassi portano il detto numero oltre il milione, sicché lo spazio risulta sensibilmente euclideo nell'ordine di approssimazione in cui la curvatura 1/k può assumersi come zero. La questione sul significato fisico della geometria è stata dibattuta, in varî sensi, da B. Riemann, H. I. Helmholtz, W. K. Clifford, F. Klein, H. Poincaré, F. Enriques, ecc. La risposta dipende dal senso che si voglia attribuire agli enti geometrici in rapporto agli oggetti dell'esperienza fisica. Infine si arriva alla conclusione che la geometria non può essere considerata in maniera astratta, ma deve ritenersi come parte della fisica; e per conseguenza la soluzione del problema dello spazio deve cercarsi nel dominio della meccanica. Appunto a questo spirito è informata la teoria della relatività generale di A. Einstein, che interpreta la dinamica come geometria di uno spazio generale in cui è definita una metrica con curvatura variabile (cfr. relatività).
11. Altre ricerche di assiomatica: geometria non archimedea. - Il postulato d'Euclide delle parallele non è il solo a cui si sia attaccata la critica dei geometri moderni. Una volta accolto il concetto che i postulati siano, dal punto di vista logico, le premesse arbitrarie di un sistema ipotetico-deduttivo, e che dal punto di vista fisico debbano valutarsi in rapporto all'esperienza, ne emerge che anche altri principî della geometria possono esser posti in discussione, sia dal punto di vista della costruzione astratta, sia in ordine alle esigenze sperimentali. Da quest'ultimo punto di vista basterà citare le speculazioni intorno alla connessione dello spazio (forme di Clifford-Klein). L'idea che ispira questi sviluppi e che l'esperienza necessariamente limitata che possiamo avere delle proprietà spaziali può essere estesa in diversi modi quando si passa da una regione allo spazio nella sua totalità. Per es. una superficie che goda di certe proprietà nell'intorno di ogni suo punto può avere tuttavia connessioni diverse. Valga l'esempio del cilindro in confronto al piano: in piccolo, la superficie cilindrica e la superficie piana hanno la stessa geometria, ma le due geometrie differiscono per l'ambiente preso nella sua totalità. Fra le ricerche critiche che hanno dato luogo in questi ultimi tempi a sviluppi assai notevoli, vogliamo almeno menzionare quelle da cui è uscita la cosiddetta geometria non archimedea. Col nome di postulato di Archimede si suol designare un principio, che pur figura nella def. V, 4 d'Euclide e che risale verosimilmente a Eudosso: date due grandezze, esiste sempre un multiplo dell'una maggiore dell'altra. Applicato ai segmenti, questo postulato esprime la condizione perché l'insieme dei punti della retta sia contenuto in un continuo, nel senso di J. W. R. Dedekind. Esso nega in sostanza l'esistenza d'un infinito o d'un infinitesimo attuale delle lunghezze.
Ora, la questione se sia possibile l'infinito o l'infinitesimo attuale non ha cessato di essere discussa dai tempi antichi fino ai nostri giorni. In particolare i geometri hanno dibattuto lungamente la questione se l'angolo di contingenza, formato da due linee tangenti, debba ritenersi come nullo ovvero come infinitamente piccolo rispetto all'angolo rettilineo (v. angolo). Discussioni di tal genere s'incontrano in Campano, Péletier, Candalla, Cardano, Clavio, Galileo fino a Newton, col risultato di chiarire il concetto della curvatura d'una linea. La questione è stata ripresa alla fine del secolo scorso da G. Veronese, il quale è riuscito a costruire un sistema di geometria perfettamente coerente, in cui anzi è valida la geometria proiettiva ordinaria, per cui non è soddisfatto il postulato di Archimede. La costruzione è stata poi chiarita dal punto di vista aritmetico mercé i monosenî di T. Levi-Civita. Più tardi D. Hilbert ha dato un largo sviluppo alla geometria non archimedea, indagando i rapporti di mutua dipendenza delle proposizioni fondamentali entro questo sistema. E queste ricerche sono state proseguite dalla sua scuola, e specialmente da M. Dehn.
Cfr. L. Th. Heath, The thirteen books of Euclid's elements, 2ª ed., Cambridge 1926; Gli elementi d'Euclide e la critica antica e moderna, col concorso di diversi collaboratori, ed. da F. Enriques, Bologna, I (i-iv), 1925; II (v-ix), 1930. - Per la storia della geometria antica: H. G. Zeuthen, Histoire des mathématiques dans l'antiquité et le moyen âge, Parigi 1902; G. Loria, Le scienze esatte nell'antica Grecia, Milano 1914; L. Th. Heath, A History of Greek mathematics, Oxford 1921. - Per le questioni sui principî della geometria: Questioni riguardanti le matematiche elementari, raccolte e coordinate da F. Enriques, I, II, 3ª ed., Bologna 1924-25; F. Enriques, Prinzipien der Geometrie, in Encyckl. der math. Wiss., III AB i, Lipsia 1907; G. Veronese, Fondamenti di geometria, Padova 1891; D. Hilbert, Grundlagen der Geometrie, 7ª ed., Lipsia 1931. - Sulla geometria non euclidea: R. Bonola, La geometria non euclidea, Bologna 1906; id., Sulla teoria delle parallele e sulle geometrie non euclidee, nelle già cit. Questioni raccolte da F. Enriques, II, i, Bologna 1925. - Sul problema dello spazio: H. Helmholtz, Über die Axiome der Geometrie, Brunswick 1876; idem, Über die thatsächlichen Grundlagen der Geometrie, in Wissenschaft. Abhandlungen, II, Lipsia 1883; id., Über die Thatsachen, die der Geometrie zu Grande liegen, ibid.; id., Über den Ursprung und Sinn der geometrischen Sätze, ibid.; W. K. Clifford, The common sense of the exact sciences, Londra 1883, trad. ital., Milano 1886; H. Poincaré, La science et l'hypothèse, Parigi 1902; F. Enriques, Problemi della scienza, 2ª ed., Bologna 1926.
Nuovi metodi e nuovi indirizzi fino a circa la metà del Secolo XIX.
12. Metodo sintetico e metodo analitico. - Nella geometria dell'antichità, alla quale il Medioevo non portò contributi d'idee essenzialmente nuove, il processo deduttivo che dalle premesse fondamentali (postulati) conduce alle proprietà delle varie figure, si svolge mediante considerazioni riguardanti direttamente queste stesse figure, le quali nel corso dei ragionamenti non vengono mai perdute di vista. Il calcolo viene adoperato solo per esprimere relazioni tra i numeri che misurano certe grandezze, e ricavare queste relazioni l'una dall'altra. È il metodo geometrico puro, o sintetico. A esso fa riscontro il metodo analitico (v. analitica, geometria; coordinate), nel quale i punti di una retta, di un piano, dello spazio, o più generalmente gli enti geometrici (rette, piani, cerchi, sfere,...) di un sistema continuo qualsiasi, s'individuano per mezzo di certi numeri, detti coordinate, in corrispondenza biunivoca e continua col sistema degli enti medesimi; e le proprietà delle figure di punti (linee, superficie,...) o di rette, cerchi,... di cui si tratta si traducono ad es. nel fatto che le coordinate dei punti, rette... di queste figure soddisfano una o più equazioni assegnate. La deduzione successiva di queste proprietà, ossia delle equazioni che le traducono analiticamente, le une dalle altre, e la determinazione d'una figura, cioè delle sue coordinate o della sua equazione, in base a condizioni assegnate, si effettuano con procedimenti di calcolo. Il metodo analitico, o geometria analitica, consiste pertanto nello studio sistematico della geometria per mezzo del calcolo, ossia dell'analisi (v. analisi). Una stessa questione geometrica si può trattare sia con l'uno sia con l'altro metodo, e gli sviluppi di calcolo della trattazione analitica sono spesso la traduzione delle considerazioni geometriche, che occorrono nella trattazione sintetica. Entrambi i metodi hanno il loro vantaggio. Il metodo analitico ha un algoritmo spesso comodo e facile; in alcune questioni, per es. nella teoria delle curve e superficie algebriche e nella geometria differenziale, si è dimostrato preferibile per la maggior semplicità con cui se ne possono introdurre i concetti principali. Ravvicinando inoltre, sotto uno stesso tipo di equazioni, enti geometrici differenti, consente anche alla geometria tutta la generalità e l'astrazione dell'analisi. Esso conduce però talvolta a perder d'occhio il vero oggetto della geometria: le figure e le costruzioni; il Cremona scrisse che è "studiare la geometria per isbieco, nelle applicazioni del calcolo". Viceversa il metodo sintetico, ragionando sulla figura, presenta qualche volta il pericolo di limitare la trattazione al caso singolo che si esamina, o a un numero ristretto di casi. Tuttavia anch'esso, ravvivato e sveltito con vedute più generali, atte a evitare minute distinzioni di casi, ha avuto parte importantissima nello sviluppo della geometria moderna; specialmente nella prima metà del sec. XIX con la costruzione della geometria proiettiva (nn. 18, 19). Oggi la questione del metodo ha perduto ogni importanza. Ciò che interessa, sono i risultati nuovi, qualunque sia il metodo con cui siano conseguiti; ma è sempre utile se i due metodi possono scambievolmente completarsi e illuminarsi.
13. Il metodo sintetico nel sec. XVII. - Nella prima metà del sec. XVII troviamo già in G. Desargues (1593-1662) e B. Pascal (1623-1662) i primi germi di nozioni e metodi più generali, principalmente l'uso delle proiezioni (v. descrittiva, geometria: n. 2) che dovevano costituire due secoli dopo la base della geometria proiettiva. Desargues per primo considera le diverse specie di coniche (ellisse, parabola, iperbole) come varietà di un'unica curva (v. coniche): concetto rispondente a un maggiore spirito di generalità, e al bisogno di raggruppare più verità in una; e alle coniche trasporta per proiezione proprietà del cerchio. In base alla nozione di punto di fuga, già usata in prospettiva, considera un sistema di rette complanari parallele come analogo al sistema delle rette passanti per uno stesso punto, che può ottenersene per proiezione. E per un quadrangolo piano inscritto in una conica, studia la relazione fra i sei punti intersezione dei lati e della conica con una stessa retta, oggi nota sotto il nome d'involuzione (n. 25). Di Pascal è particolarmente noto il teorema dell'Esagrammo mistico: "In ogni esagono semplice inscritto in una conica le coppie di lati opposti s'incontrano in punti allineati"; relazione caratteristica fra sei punti di una conica, dedotta per proiezione dal caso del cerchio. Lo spirito di questi metodi continua in Ph. de La Hire (1640-1718); nell'Enumeratio linearum tertii ordinis di Newton (1643-1727), nella quale è dimostrato che le 72 specie di queste curve (ma l'enumerazione non è completa) possono tutte ottenersi come proiezioni di una delle cinque parabole campaniformi o divergenti (v. cubiche); come anche nel Traité de perspective di J.-H. Lambert (1728-1777).
14. Origini del metodo analitico. - Il metodo analitico ha principio anch'esso nella prima metà del sec. XVII, a opera principalmente di R. Descartes (v.) e di P. Fermat (1601-1665). Descartes nella sua Géométrie (1637; preceduto in ciò da R. Bombelli; v. algebra: nn. 6, 20, 23) sostituisce sistematicamente a un segmento la sua misura, ed eseguisce geometricamente sopra i segmenti le operazioni algebriche sui numeri che li misurano; concepisce una linea piana come generata secondo una certa legge, in opposizione alla concezione greca, puramente contemplativa, della curva pensata ab initio in tutta la sua estensione, e ne riferisce il punto generico P a una retta, sia pure scelta in relazione al problema di cui si tratta, mediante la lunghezza AM = x su quella retta e lo spostamento MP = y in direzione costante; imposta analiticamente i problemi geometrici, e cerca di ricondurne la soluzione alla determinazione di uno o più segmenti incogniti, esprimendo con equazioni le relazioni fra questi segmenti e segmenti noti, e riducendo così il problema alla risoluzione di questo sistema di equazioni. Pur in forma imperfetta, era così gettato il ponte tra la geometria greca e l'analisi, permettendo loro di giovarsi reciprocamente: vera pietra miliare nella storia del pensiero scientifico. Il concetto dell'equazione di una linea piana, e in particolare lo studio delle coniche come luoghi rappresentati da equazioni di 2° grado, si trova pure in Fermat, nella memoria Ad locos planos et solidos isagoge, pubblicata nel 1679, ma compilata prima della Géométrie di Descartes.
15. Il metodo analitico fino a tutto il sec. XVIII. - Il periodo di circa 150 anni che corre da Descartes alla fine del sec. XVIII è caratterizzato da un rigoglioso sviluppo del metodo analitico, per la maggior attrattiva che esercitavano i nuovi procedimenti, e la maggior facilità con cui permettevano di risolvere problemi generali già affacciatisi nella scienza. Verso la fine del sec. XVII, dal connubio dell'algebra con la nozione di limite, sorgeva il calcolo infinitesimale, già venuto maturando nei procedimenti di B. Cavalieri (1598-1647) e di E. Torricelli (1608-47), definitivamente acquisito con Newton e Leibniz (1646-1716), e notevolmente ampliato nel sec. XVIII a opera principalmente di Eulero (1707-83) e Lagrange (1737-1813). Così la geometria analitica poté usare e interpretare geometricamente tutti i procedimenti dell'analisi, sia algebrica sia infinitesimale. Sotto certe condizioni, sempre soddisfatte nei casi più comuni, ogni funzione di una variabile è rappresentata geometricamente da una linea piana (v. curve; la derivazione della funzione in un punto equivale geometricamente alla costruzione della tangente alla linea in questo punto (v. differenziale, calcolo); l'integrazione in un certo intervallo, alla determinazione dell'area compresa fra quella linea, una retta base (asse x) e le due ordinate estreme (v. integrale, calcolo).
A prescindere dallo studio di linee singole, i risultati geometrici essenziali ottenuti col metodo analitico nel sec. XVIII concernono:
1. L'inizio della teoria generale delle curve piane algebriche (v. curve: in particolare nn. 5, 6) e più tardi delle superficie. a) La proprietà fondamentale che due curve piane algebriche degli ordini m, n s'incontrano generalmente in m•n punti (teorema connesso col problema algebrico della eliminazione di una delle due variabili x, y fra le equazioni delle due curve; v. algebra: nn. 44, 46) fu già intraveduta da MacLaurin (1698-1746), dimostrata da Eulero e G. Cramer (1704-52), e in modo più completo (ma non ancora esauriente) da E. Bézout (1766), di cui il teorema porta il nome. b) Per il paradosso di Cramer, v. curve: n. 6. c) Il concetto di diametro di una conica venne esteso, in forma meno semplice, a curve di ordine più elevato; già da Newton (curve di 30 ordine), mentre in Cramer s'incontrano diamètres curvilignes (linee polari dei punti all'infinito), primo germe della teoria della polarità rispetto a una Cn qualsiasi. Si veda: C. MacLaurin, Geometria organica, sive descriptio linearum curvarum universalis (1720) e De linearum curvarum proprietatibus generalibus tractatus (1748); L. Eulero, Introductio in analysin infinitorum, in particolare vol. II (1748); G. Cramer, Introduction à l'analise des lignes courbes algébriques (1750). Il concetto di rappresentare una superficie con un'equazione f (x, y, z) = 0 fra tre coordinate si trova forse già in Giov. Bernouilli (1698), e certo in Antoine Parent (1666-1716), Essais et recherches de mathématique et physique, 1700; fu più ampiamente sviluppato da A.-C. Clairaut (1713-1765), Recherches sur les courbes à double courbure, 1731 (equazione del piano, equazione omogenea di un cono col vertice nell'origine, superficie rotonde), e Eulero, op. cit.
2. Le applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale, e particolarmente lo studio delle proprietà differenziali delle curve piane e sghembe (v. curve: nn. 2, 4) e delle superficie, cioè di quelle proprietà in cui interviene soltanto un loro punto generico col suo intorno, cioè con una piccola zona di linea o superficie ad esso circostante; p. es. ciò che riguarda la tangente e il piano osculatore a una curva, il piano tangente a una superficie. a) I concetti della curvatura (v.) di una linea piana, del centro e raggio di curvatura, del cerchio osculatore, si trovano in Wallis, Huygens, Newton, Leibniz. b) Lo studio delle linee sghembe si trova in Clairaut, op. cit., che le rappresenta con due proiezioni ortogonali su piani coordinati, e le chiama "a doppia curvatura" in quanto partecipano alle curvature, fra loro indipendenti, di queste due proiezioni. c) Lo studio delle linee di minima distanza o linee geodetiche sopra una superficie (posizione assunta da un filo teso fra due punti di una superficie e vincolato a giacere sopra questa) s'inizia con Giov. Bernouilli (1687), che enuncia la proprietà caratteristica del piano osculatore, di essere perpendicolare al piano tangente alla superficie nel punto stesso; viene proseguito da Clairaut ed Eulero, e costituisce un primo esempio di problema del calcolo delle variazioni. d) Eulero (Recherches sur la courbure des surfaces, in Mem. Acc. Berlino, 16; presentata nel 1760, pubblicata nel 1767) considera i raggi di curvatura delle ∞1 sezioni normali di una superficie in un punto generico, e trova che per due di esse, in piani perpendicolari, questi raggi R1, R2 (raggi di curvatura principali) sono rispettivamente massimo e minimo. Ulteriori risultati in Meusnier (Memoria con lo stesso titolo, in Mem. Sav. Etr., 10, Parigi 1785), che considera pure le "superficie di area minima" (ad es., l'elicoide retto a direttrice rettilinea) caratterizzate da R1 + R2 = 0 (problema già posto da Lagrange, 1761, come problema di calcolo delle variazioni).
16. - Monge. La geometria descrittiva. - Alla fine del sec. XVIII e al principio del XIX l'attività scientifica in Francia si concentra intorno all'École Polytechnique (fondata nel 1795). Una delle figure più rappresentative di questo periodo, nel campo della scienza sia pura sia applicata, è G. Monge (1746-1818); e grazie a lui, anche come organizzatore e maestro, alla geometria è riconosciuto nell'insegnamento una parte importante, come principale forza propulsiva. Vivacissima è in Monge l'intuizione geometrica; anche negli sviluppi di calcolo egli tende alla chiara visione mentale delle figure e dei loro rapporti geometrici. Nei suoi Feuilles d'analyse appliquée à la géométrie (1795), ristampati come Application de l'analyse à la géométrie (1807, ultima edizione 1850), oltre una sintesi dei progressi della geometria analitica dello spazio nel sec. XVIII, troviamo concetti nuovi e importanti; gl'inviluppi di superficie, che consentono di ottenere da superficie note altre più complesse, per es. le superficie tubulari, inviluppi di sfere di raggio costante coi centri su una linea arbitraria; le linee di curvatura di una superficie, lungo le quali le normali di questa in punti consecutivi sono incidenti; una preliminare visione geometrica di un problema ritenuto fino allora di puro calcolo, cioè dell'integrazione di un'equazione differenziale o alle derivate parziali.
Con Monge riprendono inoltre vigorosamente i metodi sintetici, riattaccandosi da principio più alla tecnica che alla scienza pura. I problemi di macchine, taglio di pietre e legnami, fortificazione, gnomonica, che interessano le arti, le industrie, l'ingegneria militare, richiedono generalmente soluzioni grafiche, preferibili in questi casi ai procedimenti di calcolo. Monge raccolse in una teoria scientifica le regole che si erano formate e perfezionate per la risoluzione di quei problemi tecnici, e ne nacque la geometria descrittiva (v. descrittiva, geometria), la quale insegna a rappresentare le figure dello spazio (a 3 dimensioni) mediante figure piane (a 2 dimensioni) ossia mediante disegni, a ricavare da questi disegni gli elementi di forma e grandezza e tutte le proprietà delle dette figure spaziali, e a trasformare in costruzioni piane le operazioni geometriche (tracciamento di piani e di altre superficie, loro intersezioni,...) che non si possono eseguire materialmente nello spazio. Lo spirito di generalità che informa l'opera di Monge si manifesta anche in ragionamenti che, pur prestando il lato a qualche obiezione, ebbero tuttavia grande successo; per es., nello studio delle proprietà di due rette sghembe mutuamente polari rispetto a una superficie di 2° ordine (per es., a una sfera), riconoscendo che questo studio riesce più semplice quando la superficie è effettivamente incontrata da una delle due rette, e tali intersezioni sono allora i punti di contatto dei piani tangenti passanti per l'altra, Monge considera l'esistenza o meno di quelle intersezioni come accidentale, contingente (termine usato in seguito da M. Chasles), in un certo senso indifferente rispetto alle proprietà essenziali e permanenti della superficie e delle rette in parola, e ritiene (a differenza dai geometri antichi) che una dimostrazione, data valendosi di quelle intersezioni nel caso che esse esistano, sia sufficiente ad assicurare la validità del risultato anche se quelle manchino (cioè siano immaginarie). Probabilmente l'origine di questi procedimenti sta nel senso di generalità e sicurezza che l'analisi algebrica e le sue applicazioni alla geometria avevano radicato nei matematici (v. continuità: Continuità geometrica: principio di Poncelet).
17. Continuazione dell'indirizzo differenziale. Gauss. - Nel campo differenziale, a Monge seguono C. Dupin (Développements de géométrie, 1813), A. Cauchy (Leåons sur l'application du calcul infinitesimal à la géométrie, 1826-1828), C. F. Gauss (Disquisitiones generales circa superficies curvas, 1827). Gauss considera le superficie come veli sottilissimi, flessibili ma inestendibili, che si possono curvare e deformare a piacere, ma senza dilatarle né lacerarle. In queste deformazioni le figure tracciate sulla superficie assumono forme spaziali diverse, ma le lunghezze d'arco, l'angolo sotto cui due linee s'incontrano, l'area di una figura sulla superficie rimangono invariate; le proprietà inerenti a questi elementi, e che sono perciò indipendenti dalle deformazioni della superficie, costituiscono la geometria intrinseca di questa.
Rappresentata la superficie con le equazioni x = x (u, v), y = y (u, v). z = z (u, v), dove u, v sono parametri indipendenti (coordinate curvilinee; v. coordinate: n. 25), l'arco elementare ds compreso fra due punti infinitamente vicini (u, v) e (u + du, v + dv), o elemento lineare della superficie, è dato da ds2 = Edu2 + 2 Fdudv + Gdv2, dove E, F, G sono funzioni delle sole u, v. Poiché la lunghezza di un arco finito si ricava per integrazione da quella dei suoi elementi infinitesimi, e così l'area di una figura, e poiché anche l'angolo di due linee, ossia di due direzioni (du, dv), (δu, δv) uscenti da un punto sulla superficie si esprime facilmente mediante le E, F, G e questi incrementi, così tutta la geometria intrinseca della superficie dipende dalle sole funzioni E, F, G, ossia dalla formula dell'elemento lineare. Due superficie sulle quali il ds abbia, rispetto a parametri opportuni, la stessa espressione in funzione di u, v, hanno la stessa geometria intrinseca (e viceversa); esse possono, limitatamente a certe regioni, applicarsi l'una sull'altra, come per es. un piano sopra un cilindro; e si dicono isometriche. La cosiddetta curvatura totale della superficie in un suo punto (v. curvatura) si può anche esprimere in funzione delle sole E, F, G e loro derivate, ed è perciò elemento importante della geometria intrinseca della superficie. Affinché due superficie siano applicabili, limitatamente a regioni opportune, è necessario che tra queste regioni si possa stabilire una corrispondenza biunivoca tale che le due superficie, in punti omologhi, abbiano la medesima curvatura totale. Questa condizione non è però sufficiente; di tale problema inverso, su cui non possiamo trattenerci, si occuparono F. Minding (1839) e altri geometri. Oggetto di speciali ricerche furono le superficie a curvatura costante, nulla (superficie sviluppabili, applicabili sul piano), positiva (superficie applicabili sulla sfera di raggio R, se la curvatura è 1/R2), o negativa (superficie pseudosferiche). Oltre la prima forma differenziale ds2 = Edu2 + 2 Fdudv + Gdv2, vi è sulla superficie una seconda forma differenziale quadratica che, eguagliata a zero, definisce per ogni punto le due tangenti principali. Dalle due forme predette (tra i cui coefficienti intercedono alcune relazioni, date più tardi da G. Mainardi [1800-1879] e D. Codazzi [1824-1873]) la superficie è definita a meno di un movimento nello spazio. L'uso delle coordinate curvilinee venne esteso da G. Lamé allo spazio (Leåons sur les coordonnées curvilignes et leurs diverses applications, 1859), dove esse si rivelarono strumento naturale e utilissimo nello studio d'importanti questioni di fisica matematica (superficie equipotenziali, isoterme, sistemi isostatici).
18. Poncelet. Prima costruzione della geometria proiettiva. - L'indirizzo sintetico moderno inaugurato da Monge in geometria fu continuato dai suoi allievi L.-N.-M. Carnot (1753-1823), C.-J. Brianchon (1783-1864), che ha dato il teorema duale nel piano di quello di Pascal, J.-D. Gergonne (1771-1859), il cui nome è legato alle sue Annales, primo periodico di matematica, e J.-V. Poncelet (1788-1867), autore del Traité des proprietes projectives des figures (1822), primo trattato di geometria proiettiva.
In quest'opera: a) viene fatto largo uso della proiezione, come metodo generale per dedurre da proprietà di alcune figure quelle di altre più complesse. Si presenta così la distinzione fra proprietà proiettive delle figure (per figure piane, quelle che si conservano inalterate per proiezioni; p. es. la proprietà di più punti di essere allineati, l'ordine in cui questi si susseguono, il birapporto (v. coordinate: n. 21) di 4 punti allineati) e proprietà non proiettive (la maggior parte delle relazioni metriche; rapporto di due segmenti, rette perpendicolari,....). Oggetto della geometria proiettiva è lo studio delle proprietà proiettive delle figure. Dal fatto che più rette di un piano fra loro parallele possono proiettarsi su un altro piano in rette passanti per un medesimo punto, Poncelet è condotto ad attribuire a rette parallele un comune punto all'infinito (direzione, punto improprio; v. coordinate: n. 5), equivalente ai punti ordinarî, e a considerare i varî punti all'infinito di un piano, che possono proiettarsi sopra un altro piano nei punti di una retta, come costituenti anche una retta; similmente la totalità dei punti all'infinito dello spazio come un piano. L'omologia piana e spaziale (nn. 26, 29) forniscono i primi esempî di corrispondenze proiettive. b) Nella teoria della polarità rispetto a una conica (v. coniche) Poncelet ravvisa un principio generale per dedurre dalle proprietà proiettive di una figura piana quelle di un'altra figura nella cui definizione siano scambiate le parole punto e retta; e analogamente nello spazio per la polarità rispetto a una quadrica (v. quadriche), scambiando le parole punto e piano. Si tratta, in sostanza, del principio di dualità (v. dualità), benché non ancora impostato nella sua forma più generale, come in Gergonne e Möbius. c) Infine Poncelet riprende il concetto delle "relazioni contingenti" di Monge, e lo enuncia come principio di continuità (v. continuità): "Se una figura può ricavarsi da un'altra per variazione continua, ed è altrettanto generale quanto la prima (ossia, nel campo analitico, ne differisce solo per diseguaglianze), una proprietà riconosciuta vera per la prima figura vale anche per la seconda". Di questo principio, a lui intuitivamente chiaro, Poncelet fa ripetute applicazioni, che possono sembrare ardite, ma sono sempre esatte. Considera una retta esterna a un cerchio come secante ideale di questo; parla delle loro intersezioni immaginarie; e riconosce in queste "expressions fondées sur des rapports exacts et rigoureux, quoique parfois purement figurés" l'unico mezzo con cui la geometria sintetica può conseguire la stessa generalità dell'analisi.
19. Möbius, Steiner, Staudt, Chasles. - Il centro principale geometrico si trasferisce poi in Germania, dove il Journal für die reine und angewandte Mathematik, fondato da Crelle (1826), raccoglie intorno a sé le giovani energie matematiche.
a) In Möbius (Der barycentrische Calcül, 1827), oltre all'uso di coordinate più generali, primo esempio di coordinate omogenee (v. coordinate: n. 20), troviamo il concetto generale di corrispondenza biunivoca tra due piani o due spazî (v. corrispondenza); una prima classificazione di queste corrispondenze, distinguendo eguaglianze, similitudini, affinità, omografie (queste ultime, tra due piani, equivalenti a un riferimento per proiezioni e sezioni); la ricerca, per ogni tipo di corrispondenza, delle proprietà ed espressioni analitiche invarianti (distanze, rapporti di segmenti, birapporti). L'omografia tra due piani è individuata quando ne sono date 4 coppie di punti omologhi in posizione generale (per due spazî, 5 coppie), potendosi allora costruire con operazioni lineari, in numero finito o come caso limite, di ogni punto ulteriore del primo piano l'omologo nel secondo. Nelle corrispondenze di reciprocità fra punti e rette (per spazî, fra punti e piani) Möbius ravvisa la base geometrica della legge di dualità (v. dualità).
b) Jacob Steiner nella sua Systematische Entwickelung der Abhängigkeit geometrischer Gestalten von einander (1832) introduce in geometria, come principio ordinatore, il concetto della generazione successiva, partendo dalle figure più semplici, di altre gradualmente più complesse. Le figure più semplici sono la retta punteggiata, il fascio di rette (insieme delle rette di un piano passanti per un punto fisso), il fascio di piani (insieme dei piani passanti per una retta fissa), dette forme di prima specie, ossia a una coordinata; e così le forme di seconda specie, o a due coordinate: piano punteggiato, sistema dei punti di un piano fisso; stella di rette, sistema delle rette passanti per un punto fisso, ecc. Proiettando una punteggiata da un punto non appartenente a essa si ha un fascio di rette; similmente da un fascio di rette si ha per proiezione un fascio di piani; da un piano punteggiato, una stella di rette. Due figure così riferite tra loro si dicono prospettive. Quando per es. una punteggiata è prospettiva a un fascio di rette, questo a una nuova punteggiata, e così più volte di seguito, tra la prima punteggiata e l'ultima risulta stabilita anche una corrispondenza biunivoca senza eccezioni (e analogamente per due fasci); le due figure si dicono allora riferite per proiezioni e sezioni, o in corrispondenza proiettiva o fra loro proiettive (la definizione di Steiner è diversa, ma equivalente a questa). Riconosciuto che i punti di un cerchio sono proiettati da due qualunque fra essi A, B secondo coppie di rette che si corrispondono in una particolare proiettività (eguaglianza) tra i fasci A e B, Steiner, considerando le coniche come proiezioni del cerchio, ne deduce che i punti di una qualsiasi conica sono anch'essi proiettati da due qualunque fra essi secondo fasci di rette proiettivi; e, similmente, le infinite tangenti di una conica segano, sopra due qualunque fra esse, coppie di punti che si corrispondono in una proiettività fra queste due punteggiate: cioè la generazione proiettiva delle coniche, luoghi e inviluppi (v. coniche: n. 7). Il programma di Steiner fu svolto ulteriormente da F. Seydewitz (quadriche, cubiche sghembe; v. quadriche; cubiche), H. Schröter, T. Reye, F. Schur. Ma procedendo a linee e superficie algebriche di ordine più elevato, si vide che questa generazione diveniva meno agile e utile, e non conduceva sempre alle linee e superficie più generali: l'idea di Steiner, certo importantissima per la geometria proiettiva, non ebbe perciò più ampia applicazione.
c) G. C. Cr. v. Staudt (Geometrie der Lage, 1847, trad. italiana di M. Pieri, Geometria di posizione, 1888; Beiträge zur Geometrie der Lage, 1856-60) liberò la geometria proiettiva da ogni nozione metrica, per la sua stessa natura ad essa estranea, e particolarmente: 1. Rilevò che le corrispondenze proiettive tra punteggiate, fasci di rette, fasci di piani, sono caratterizzate dall'essere biunivoche e dalla proprietà di mutare gruppi armonici (v. armonico: Gruppo armonico) in gruppi armonici; questi ultimi potendosi pure definire graficamente mediante quadrangoli e quadrilateri piani completi. 2. Introdusse direttamente la polarità piana come particolare reciprocità tra due piani sovrapposti, arrivando così alla definizione di conica (v. coniche: n. 8) in pari tempo come luogo dei punti, se ve ne sono, che appartengono alla loro polare, e come inviluppo delle rette che contengono il proprio polo (tangenti alla conica), incluso il caso di una conica a equazione reale ma priva di punti reali (come per es. quella di equazione x2 + y2 = −1); e analogamente per quadriche nello spazio. 3. Nei Beiträge indicò la via, anche grafica, benché non perfetta in qualche particolare, per far corrispondere a ogni sistema di quaderne (Würfe) fra loro proiettive un numero determinato, quello stesso che a mezzo di considerazioni metriche risultava il loro birapporto (v. coordinate: n. 21), riuscendo così a introdurre per via grafica anche le coordinate proiettive. 4. Introdusse per via geometrica gli elementi immaginarî, costruzione logicamente perfetta, ma complessa.
d) M. Chasles si ricollega a Poncelet per il largo uso degli elementi immaginarî, in particolare del cerchio assoluto (v. assoluto: L'assoluto nella matematica e nella fisica), che gli consente di comprendere risultati molteplici e geniali in pochi concetti generali, preparando, fra l'altro, la subordinazione delle proprietà metriche delle figure alle proprietà proiettive, nel senso poi precisato da F. Klein (n. 38, b). Con le sue opere (Aperåu historique sur l'origine et le développement des méthodes en geometrie, 1837, seguito da un Mémoire de géométrie sur deux principes généraux de la science, la dualité et l'homographie, scritto nel 1829; Traité de géométrie superieure, trattato di geometria proiettiva, Parigi 1852; Traité des sections coniques, ivi 1865) contribuì anche a diffondere in Francia, Italia e Inghilterra i risultati di Möbius e Steiner (mentre l'opera di Staudt non sembra aver fermata la sua attenzione).
20. Contemporaneo sviluppo della geometria analitica algebrica. - In questo stesso periodo, ad opera pure di Möbius e soprattutto di J. Plücker (1801-68), procede anche la geometria analitica: a) dopo le coordinate baricentriche di Möbius, da Plücker vengono usate coordinate proiettive (v. coordinate: n. 23), non definite come birapporti, ma già del tipo più generale; b) l'uso delle coordinate di retta nel piano dà la giustificazione analitica della legge di dualità (v. dualità), permette di considerare le linee piane, oltre che come luoghi di punti, anche come inviluppi di tangenti, ed è un primo esempio di rappresentazione, a mezzo di coordinate, di elementi geometrici diversi da punti; concetto che ebbe poi larga applicazione (v. coordinate: n. 29); c) con opportuna notazione abbreviata (già usata da Gergonne ed E. Bobillier) si rendono suggestivi ed eleganti procedimenti analitici intesi a combinare fra loro più equazioni e dedurne altre; d) prende forma definitiva la teoria generale delle curve piane algebriche; in particolare fra alcuni caratteri di queste curve (ordine, classe, numero dei punti doppî, cuspidi, tangenti doppie, flessi) sono stabilite telazioni, note sotto il nome di formule di Plücker (v. curve: nn. 3, 6).
Poiché le omografie sono rappresentate analiticamente da sostituzioni lineari delle coordinate proiettive omogenee, la trattazione analitica della geometria proiettiva s'identifica con la ricerca delle espressioni formate con coefficienti di equazioni algebriche, e aventi carattere invariante rispetto alle dette sostituzioni. Fu questo l'indirizzo di O. Hesse (1811-74), S. Aronhold, A. Clebsch (1833-72), e in buona parte della scuola inglese che comprende A. Cayley (1821-95), J.-J. Sylvester (1814-97) e G. Salmon (1819-1904). V. algebra: n. 60 seg., in particolare i nn. 63, 68, 70, dove è rilevato l'impulso che questa nuova algebra ha ricevuto dalla geometria proiettiva, quale nuova geometria. A G. Salmon sono dovuti i trattati di geometria analitica: A treatise on conic sections, 1848; Treatise on the higher plane curves, 1852, Lessons introductory, to the modern higher algebra, 1859; A treatise on the analytic geometry of three dimensions, 1862, i quali, rielaborati in edizioni tedesche da W. Fiedler, ebbero larghissima diffusione.
21. Cremona. - In Italia fu Luigi Cremona (v.) il primo cultore della geometria proiettiva, da lui studiata principalmente sulle opere di Chasles e di Steiner. Alla geometria proiettiva appartengono i suoi lavori sulle linee sghembe e superficie algebriche dei primi ordini. Collegando l'intuizione geometrica ad alcuni teoremi fondamentali di algebra, egli ricostruì in veste geometrica la teoria generale delle curve piane algebriche, e più tardi delle superficie, contribuendo a rendere queste teorie intuitive, e a stabilire un proficuo contatto fra le ricerche analitiche e la geometria sintetica (Introduzione a una teora geometrica delle curve piane, 1862; Preliminari di una teoria geometrica della superficie, 1866: Opere Matem., voll. I e II, 1914-15). E con l'introduzione (dopo il 1870) della geometria proiettiva nell'insegnamento del primo biennio universitario, diede opera efficace a preparare all'Italia la schiera dei valenti geometri della generazione successiva (v. anche n. 34).
22. Sistemazione della geometria proiettiva. - Tra le costruzioni della geometria proiettiva sintetica, si è principalmente affermata quella puramente grafica di Staudt (n. 19 c) perfezionata in alcuni particolari: per es., da F. Klein, H. G. Zeuthen, J. Lüroth, G. Darboux (in Math. Ann., XVII, 1880) per il cosiddetto teorema fondamentale (n. 24); da C. Segre, per la teoria sintetica delle coppie di elementi immaginarî coniugati (in Memorie R. Acc. Torino, s. 2ª, XXXVIII, 1886). Per quanto concerne l'enumerazione precisa e completa dei postulati, vanno ricordati M. Pasch (Vorlesungen über neuere Geometrie, Lipsia 1882, 2ª ed. 1926); alcune ricerche della scuola di C. Segre (F. Amodeo, G. Fano, 1891), anche per spazî a più dimensioni; e particolarmente F. Enriques, che nei primi anni del suo insegnamento a Bologna (dal 1894) diede a quei postulati forma definitiva, conservando loro carattere esclusivamente grafico, sottoponendoli ad accurato esame critico, e formulandoli in modo opportuno anche dal punto di vista didattico.
Cfr. F. Enriques, Lezioni di geometria proiettiva, Bologna 1898, 4ª ed. 1920, rist. 1926, nonché trad. tedesca di H. Fleischer, 1903, 2ª ed. 1915, e francese, 1930; F. Severi, Geometria proiettiva, Firenze 1922, 2ª ed. 1925, E. Bertini, Complementi di geometria proiettiva, Bologna 1928.
Geometria proiettiva.
23. Fondamenti. Gruppi armonici. - La geometria proiettiva muove dai concetti fondamentali di punto, retta, piano, come elementi costitutivi delle figure, e da alcune relazioni molto semplici fra essi (postulati). Questi elementi si suppongono indifferentemente proprî e improprî (salvo fare su di essi opportune ipotesi, quando delle proprietà dimostrate si vogliano fare applicazioni metriche; queste saranno qui indicate in carattere più minuto). Essa si vale delle leggi di dualità nel piano e nello spazio (v. dualità); e può costruirsi come sistema logico-deduttivo, fondato sui seguenti postulati: 1. Postulati di appartenenza: due punti distinti individuano una retta, alla quale essi appartengono; un punto e una retta che non si appartengono individuano un piano, al quale essi appartengono; e i loro duali nello spazio; 2. Postulati dell'ordine e suo carattere proiettivo, i quali esprimono proprietà dell'ordine naturale secondo cui l'intuizione ci presenta disposti i punti di una retta (nonché le rette e i piani di un fascio), come pure il fatto che quest'ordine si conserva per proiezioni e sezioni; 3. Postulato della continuità, generalmente nella forma di R. Dedekind (v. continuità).
La geometria proiettiva ha come operazioni fondamentali la proiezione di una figura di punti e rette da un punto, e di una figura di soli punti da una retta, e le operazioni duali di sezione con un piano o con un retta. Ha come oggetto lo studio delle figure e proprietà delle figure che si conservano nelle trasformazioni omografiche (n. 19, a); per figure piane, queste trasformazioni sono quelle stesse che si ottengono per proiezioni e sezioni.
Un teorema fondamentale, detto dei triangoli omologici o prospettivi, dovuto a G. Desargues, considera la figura formata da due triangoli ABC, A′B′C′ (fig. 1), nello stesso piano o anche in piani diversi, in posizione tale che le tre rette AA′, BB′, CC′, passino per un medesimo punto, e le tre coppie di lati AB, A′B′; AC, A′C′; BC, B′C′ s'incontrino in punti di una stessa retta (la quale, se i due triangoli stanno in piani diversi, è l'intersezione dei loro piani). Il teorema afferma che, delle due proprietà anzidette di questi triangoli, una qualunque è conseguenza dell'altra.
Vi è pure un analogo teorema dei quadrangoli omologici. Questo serve di base per la definizione del gruppo armonico di punti sopra una retta (v. armonico: Gruppo armonico); i gruppi armonici di rette e di piani di un fascio si definiscono come proiezioni del precedente, o anche per dualità. Le quaderne armoniche sono quelle stesse che hanno birapporto −1 (v. coordinate: n. 21).
24. Proiettività tra forme di prima specie. - Due punteggiate, o fasci di rette o di piani, si dicono proiettivi (n. 19, b, c) quando sono ottenuti l'uno dall'altro con un numero finito di proiezioni e sezioni. La proiettività conserva tutti i birapporti, e in particolare i gruppi armonici. Viceversa, per una corrispondenza biunivoca comunque data fra le dette figure, la proprietà di conservare i gruppi armonici è già sufficiente per affermare che essa è una proiettività. Per es., tra due punteggiate r, r′ riferite come sezioni di uno stesso fascio di rette si ha una proiettività, per la quale il punto rr′ = U corrisponde a sé stesso, cioè è unito (fig. 2). Viceversa, due punteggiate r, r′ di uno stesso piano, proiettive e non sovrapposte, per le quali il punto rr′ sia unito, sono sezioni di uno stesso fascio di rette. Esse si dicono allora prospettive. Dualmente per i fasci di rette di uno stesso piano proiezioni di una medesima punteggiata.
Teorema fondamentale. - Tra due punteggiate esiste una e una sola corrispondenza proiettiva, la quale a tre punti distinti, comunque assegnati sulla prima, fa corrispondere ordinatamente tre punti pure distinti e arbitrarî sulla seconda. Analogamente per 2 qualunque forme di 1ª specie. Nasce quindi il problema della costruzione di una proiettività; cioè, quando una proiettività è individuata mediante 3 coppie di elementi omologhi, realizzare con costruzioni l'effettivo passaggio dall'una all'altra figura per proiezioni e sezioni, in guisa che si corrispondano le coppie di elementi dati; costruendo inoltre per ogni ulteriore elemento di una delle due l'elemento omologo dell'altra. Ad es., per due punteggiate non sovrapposte r, r′ in uno stesso piano si dimostra che, indicate con AA′, BB′ due qualunque loro coppie di punti omologhi, le intersezioni delle coppie di rette AB′, A′B (rette associate) appartengono tutte a una medesima retta, chiamata asse di proiettività (o di collineazione) delle due punteggiate. Se si conoscono pertanto tre coppie di punti omologhi AA′, BB′, CC′ (fig. 3), due qualunque fra le tre coppie di rette associate AB′, A′B; BC′, B′C; AC′, A′C determinano con le loro intersezioni punti dell'asse di collineazione u, e perciò quest'asse: proiettando allora un ulteriore punto D di r dal punto A′, e prendendo l'intersezione di DA′ con u, quest'ultimo punto verrà proiettato da A sulla r′ nel punto D′, omologo di D. Dualmente per fasci di rette in un piano.
Due punteggiate, o fasci di rette o di piani, proiettivi possono essere sovrapposti (cioè una stessa forma pensata due volte). In tal caso, se la proiettività non è identica (cioè se due elementi omologhi generici sono distinti) vi sono al più due elementi uniti. Secondo che ve ne sono due, uno, o nessuno, la proiettività si dirà iperbolica, parabolica, o ellittica. In ogni proiettivitȧ iperbolica la quaderna formata dai due elementi uniti e da una coppia qualsiasi di elementi omologhi distinti ha birapporto costante (caratteristica o invariante assoluto della proiettività).
Adottando sulle due forme coordinate proiettive o loro casi particolari, per es. ascisse se si tratta di due punteggiate, le coordinate x, x′ di due elementi omologhi soddisfano a un'equazione di 1° grado rispetto a ciascuna di queste due variabili (o bilinenre), a coefficienti costanti, del tipo αxx′ + βx + γx′ + δ = 0 (con αδ − βγ ≠ 0), da cui
In due punteggiate proprie proiettive si chiamano punti limiti o punti di fuga i punti, generalmente proprî, ciascuno dei quali ha per corrispondente sull'altra punteggiata il punto all'infinito. Se tali punti J, I′ sono proprî, si ha JA•I′A′ = cost.; questo prodotto costante si dice potenza della proiettività. Se i punti all'infinito delle due punteggiate si corrispondono, segmenti corrispondenti hanno rapporto costante; le punteggiate si dicono allora simili. Se questo rapporto costante è eguale all'unità, le punteggiate si dicono eguali o congruenti. Due punteggiate sovrapposte direttamente eguali (cioè i cui segmenti omologhi sono eguali di lunghezza e senso) si possono ottenere l'una dall'altra mediante una traslazione sulla comune retta sostegno; se inversamente eguali (segmenti omologhi di senso opposto) mediante una rotazione di 180° di una di esse intorno a un suo punto proprio O.
25. Involuzioni. - In due punteggiate sovrapposte inversamente eguali (v. sopra) due punti omologhi qualunque A, A′, simmetrici rispetto ad O, si corrispondono in doppio modo; a ciascuno di essi in una delle punteggiate corrisponde l'altro sulla punteggiata residua. Analogamente, in un fascio proprio di rette, assegnando come omologhi due raggi perpendicolari qualunque a, a′, si ha una particolare proiettività (eguaglianza diretta), nella quale i raggi a, a′ si corrispondono in doppio modo. Sono questi due esempî di involuzioni. Si dice involuzione ogni proiettività non identica tra punteggiate o fasci sovrapposti, nella quale due elementi omologhi qualunque si corrispondono in doppio modo. In altri termini l'involuzione è una proiettività non identica che coincide con la sua inversa. Due elementi corrispondenti nell'involuzione si dicono anche coniugati, e formano una coppia dell'involuzione. Il concetto di involuzione ha carattere proiettivo. Se in una proiettività tra forme di 1ª specie sovrapposte vi è una coppia di elementi omologhi distinti che si corrispondono in doppio modo, la proiettività è una involuzione. Un'involuzione è individuata da due coppie di elementi coniugati (ciascuna costituita da elementi comunque distinti o coincidenti). Un'involuzione è ellittica (priva di punti uniti) o iperbolica (con due elementi uniti, o doppî) secondo che due qualunque sue coppie di elementi coniugati si separano o non si separano. Un'involuzione iperbolica si compone delle infinite coppie armoniche ai due elementi doppî.
Teorema di Desargues. - Le tre coppie di lati opposti di un quadrangolo piano completo sono incontrate da una retta del piano non passante per alcun vertice del quadrangolo secondo tre coppie di punti appartenenti a una stessa involuzione (v. anche coniche: n. 13). Questo teorema fornisce la più semplice costruzione dell'involuzione sopra una punteggiata r, individuata mediante le coppie AA′, BB′. Volendo di un punto qualsiasi C della r il coniugato C′, si conduca per C una retta arbitraria, e presi su questa due nuovi punti H, L, si congiungano H ed L uno, per es. H, con A, l'altro con A′; H con B, L con B′ (fig. 4); la retta congiungente i due punti M = AH•B′L e K = A′L•BH passerà per il punto C′cercato. Dualmente per le involuzioni nei fasci.
In un'involuzione sopra una punteggiata propria il punto coniugato del punto all'infinito, se proprio, si dice punto centrale. Indicandolo con O, e con A, A′ punti coniugati, si ha OA•OA′ = cost.; tale costante è positiva o negativa secondo che A e A′ stanno dalla stessa banda di O, oppure da bande opposte. Nel caso dell'involuzione, nell'equazione delle proiettività data al n. prec. si ha β = γ; l'equazione è perciò simmetrica rispetto alle variabili x, x′ (αxx′ + β (x + x′) + δ = 0).
26. Piani omografici. Omologia. - Si dicono omografici due piani riferiti fra loro in modo che a ogni punto o retta dell'uno corrisponda un punto o una retta dell'altro, e a un punto e una retta che si appartengono un punto e una retta che anche si appartengono. Ne sono esempî due piani riferiti per proiezioni e sezioni, o anche un piano che si pensi comunque spostato nello spazio come figura rigida, intendendo omologhi l'antica e la nuova posizione di ogni singolo punto o retta. Si può individuare un'omografia tra due piani dando di 4 punti dell'uno, di cui 3 qualunque non allineati, i corrispondenti nell'altro, anch'essi a 3 a 3 non allineati; oppure, dualmente, dando 4 coppie di rette omologhe, tali che, in ciascuno dei due piani, 3 qualunque delle 4 rette non appartengano a un fascio.
Si dicono prospettivi due piani non sovrapposti riferiti come sezioni di una medesima stella: in questo caso la retta intersezione dei due piani è per l'omografia luogo di punti uniti, e viceversa.
Un'omografia tra piani sovrapposti o ha soltanto un numero finito, non superiore a tre, sia di punti uniti sia di rette unite (e se ne ha tre, sono i vertici e i lati di un triangolo); oppure ha un'intera retta luogo di punti uniti, e un fascio di rette unite. In quest'ultimo caso l'omografia si dice omologia piana; la retta u di punti uniti è il suo asse, il centro U del fascio di rette unite è il centro della omologia (fig. 5). Per es., due piani sovrapposti, proiezioni di un terzo piano da due centri distinti, sono omologici. In ogni omologia piana due punti corrispondenti distinti sono allineati col centro di omologia; due rette corrispondenti distinte s'incontrano sull'asse. La quaderna formata da due punti corrispondenti distinti, dal centro, e dall'intersezione della loro congiungente con l'asse ha birapporto costante (caratteristica o invariante assoluto dell'omologia). In un piano esiste una e una sola omologia avente un dato centro e un dato asse, e nella quale inoltre si corrispondono o due punti assegnati distinti, allineati col centro, oppure due rette assegnate e distinte, incontrantisi sull'asse.
Assunte in due piani omografici coordinate proiettive omogenee di punto x1, x2, x3; x1′, x2′, x3′, e di retta u1, u3, u3; u1′, u2′, u3′ (v. coordinate: n. 23), le coordinate di punto e di retta nell'un piano sono funzioni lineari omogenee, a coeffieienti costanti e di determinante non nullo, delle coordinate omonime nell'altro piano. Si hanno così quattro sostituzioni lineari omogenee del tipo seguente:
dove gli Aik sono i complementi algebrici degli aik entro A = ∣aik∣ ≠ 0, e ρ, σ, τ, ω sono fattori di proporzionalità. Uno qualunque di questi quattro sistemi di equazioni determina completamente gli altri.
In due piani proprî omografici od omologici si chiama retta limite la retta di ciascuno di essi che ha per corrispondente nell'altro la retta impropria. Nell'omologia le rette limiti sono parallele all'asse.
Si dicono affini (v. affinità: Matematica) due piani omografici tali che alla retta all'infinito dell'uno corrisponda la retta all'infinito dell'altro: p. es. due piani ottenuti l'uno dall'altro per proiezione parallela. A rette parallele corrispondono rette parallele; a un parallelogrammo, un parallelogrammo; aree corrispondenti sono proporzionali. In coordinate cartesiane non omogenee, tra le coordinate x, y; x′, y′, di due punti omologhi passano relazioni del tipo
dove le aik sono costanti, tali che a11a22−a12a21≠0. Se a11a22−a12a21=1, aree corrispondenti sono eguali, e la trasformazione si dice equiaffine.
Due piani affini si dicono più particolarmente simili se angoli corrispondenti sono eguali; segmenti omologhi sono allora proporzionali, e due figure corrispondenti sono simili nel senso della geometria elementare. Esempio, un'omologia piana con l'asse improprio; se il centro è proprio, figure corrispondenti sono simili e similmente poste, ossia omotetiche; e omotetia è questa particolare similitudine. Due piani simili si dicono eguali o congruenti quando il rapporto costante di due segmenti omologhi è eguale all'unità. Ne è esempio l'omologia piana con asse e centro entrambi improprî; i due piani sovrapposti si possono ottenere l'uno dall'altro con una traslazione, e si dicono equipollenti (o congruenti per traslazione). Due piani sovrapposti direttamente eguali (cioè con gli angoli omologhi di egual senso) si possono far coincedere elemento per elemento per mezzo di una rotazione intorno a un punto, oppure per mezzo di una traslazione: risultato importante per la cinematica, perché applicabile a ogni spostamento rigido di un piano sopra sé stesso, in particolare a ogni movimento infinitesimo (v. centro; cinematica: n. 28).
27. Polarità piana. - Si dicono reciproci o correlativi due piani riferiti fra loro in modo che a ogni punto dell'uno corrisponda una retta dell'altro, a una retta del primo un punto del secondo, e ad un punto e una retta del primo che si appartengono, una retta e un punto pur essi appartenentisi. La reciprocità o correlazione fra due piani può rappresentarsi con equazioni analoghe alle (1) del numero precedente, scambiando in uno dei due piani le coordinate di punto e di retta (per es. le x′ e le u′).
Una reciprocità tra piani sovrapposti si chiama polarità piana quando due elementi omologhi (punto e retta) si corrispondono sempre in doppio modo (ossia al punto, come elemento sia del primo sia del secondo piano, corrisponde sempre nell'altro la stessa retta); la retta si dice allora polare di quel punto, e il punto polo della retta. Una reciprocità fra piani sovrapposti è una polarità, ogni qualvolta esiste un triangolo tale che ai suoi vertici, come punti di uno stesso dei due piani, corrispondano nell'altro piano i lati di questo triangolo rispettivamente opposti (triangolo autopolare, o autoconiugato). In ogni polarità vi sono infiniti triangoli autopolari. Esiste una e una sola polarità avente un dato triangolo autopolare, e che a un punto dato non appartenente a nessun lato di questo triangolo fa corrispondere una retta data, non passante per nessun vertice.
In una polarità piana possono esservi punti autoconiugati e rette autoconiugate, cioè punti appartenenti alla propria polare, e viceversa; o anche non esservene. Se vi è un punto autoconiugato, ve ne sono infiniti, e così pure infinite rette autoconiugate; e sono i punti e le tangenti di una conica (v. coniche: n. 8). La polarità si dice allora non uniforme. Se non vi sono elementi autoconiugati, la polarità si dice uniforme, perché priva di elementi comunque eccezionali. La ricerca analitica dei punti autoconiugati conduce allora a un'equazione di secondo grado priva di soluzioni reali (come per es. l'equazione x2 + y2 = −1); si dice perciò che questa polarità definisce una conica immaginaria (ted. nulltheilig "priva di rami", sottinteso "reali").
28. Coniche. - Capisaldi della teoria proiettiva delle coniche sono: a) la teoria della polarità (n. prec.); b) la generazione proiettiva, come luogo (mediante fasci proiettivi) e come inviluppo (mediante punteggiate proiettive); c) i teoremi di Pascal, Brianchon, Desargues. Dalla generazione proiettiva, e così pure dai teoremi di Pascal e Brianchon, discende la costruzione lineare delle coniche per punti e per tangenti. In un'omografia tra due piani, a una conica dell'uno corrisponde una conica dell'altro; le due coniche così riferite si dicono anche proiettive o omografiche. Da due punti comunque presi su queste coniche, queste vengono proiettate secondo fasci di rette proiettivi; e viceversa una proiettività comunque data tra due fasci di rette aventi i centri rispettivamente sulle due coniche determina una proiettività fra queste, e una conseguente omografia tra i due piani. Si può individuare un'omografia tra due piani dando due coniche corrispondenti e di tre punti A, B, C della prima i corrispondenti A′, B′, C′ sulla seconda. Due coniche omografiche sovrapposte conducono a un'omografia nel piano sostegno, che muta in sé questa conica, spostandone proiettivamente su di essa i singoli punti. Indicate con AA′ e BB′ due coppie qualunque di punti omologhi della detta conica, tutte le coppie di rette del tipo AB′, A′B s'incontrano in punti di una retta fissa, detta asse della proiettività, e che incontra la conica sostegno negli eventuali punti uniti. Si ha così una costruzione dei punti uniti di una proiettività, e in particolare di un'involuzione sopra una conica; e così pure in ogni forma di prima specie, potendo da questa ridursi con proiezioni e sezioni a un fascio proprio di rette, e da questo a una conica, o in particolare anche a un cerchio arbitrario nel piano del fascio e passante per il suo centro. Per le proprietà affini e metriche delle coniche (proprietà centrali, diametrali, focali) v. coniche.
29. Geometria proiettiva dello spazio. - L'omografia tra due piani si estende facilmente al caso di due spazî, che possono pensarsi distinti o anche sovrapposti. Fra le omografie tra spazî sovrapposti vi è l'omologia spaziale o solida, che gode di proprietà analoghe all'omologia piana; esss si trova applicata come prospettiva di rilievo nelle sculture in altorilievo. Altro caso particolare notevole è l'omografia biassiale a direttrici reali: sono allora uniti tutti i punti di due rette sghembe r, s, e tutti i piani di ambo i fasci di assi r, s e tutte le rette incidenti alle r, s; le coppie di punti omologhi sono distribuite su queste ultime rette, e ciascuna di esse forma coi punti d'incontro della loro congiungente con le r, s una quaderna di birapporto costante. Dualmente per tutte le coppie di piani omologhi.
Si estendono anche facilmente i concetti di spazî affini, simili, eguali. Due spazî sovrapposti direttamente eguali (nei quali cioè due triedri corrispondenti siano di egual verso) possono farsi coincidere elemento per elemento per mezzo di un movimento elicoidale intorno a un certo asse; movimento che può risultare limitato a una rotazione, o a una traslazione. Questa proprietà, importante per la cinematica, è applicabile fra altro a ogni movimento infinitesimo (v. cinematica: nn. 26, 28).
Si estende pure allo spazio la teoria della polarità, che dà luogo a due casi diversi. Analoga alla polarità piana è la polarità ordinaria, la quale conduce alla definizione di quadrica (v. quadriche), luogo dei punti autoconiugati, cioè appartenenti ai rispettivi piani polari, e inviluppo di questi stessi piani. La quadrica può essere immaginaria, oppure con punti reali, e in quest'ultimo caso non rigata, cioè non contenente rette reali, oppure rigata. S'incontra inoltre un caso essenzialmente nuovo: la polarità nulla, o sistema nullo, nel quale ogni punto appartiene al proprio piano polare, ed è perciò autoconiugato.
Nella sostituzione lineare che esprime le coordinate omogenee di un piano in funzione di quelle del suo polo, il determinante è simmetrico nel caso della polarità ordinaria (come per la polarità piana), emisimmetrico (v. determinanti) nel caso della polarità nulla. In ogni polarità nulla le rette che passano per un punto qualunque dello spazio e stanno nel relativo piano polare formano un complesso lineare di rette (v. coordinate: n. 23; e anche cubiche: Cubica gobba).
La polarità nulla e il complesso lineare di rette s'incontrano in statica e cinematica; furono considerati da G. Giorgini (1828), e poi ripetutamente da Möbius e Chasles. Un sistema qualsiasi di forze applicate a un corpo rigido può ridursi in infiniti modi a due sole forze, le cui linee di azione sono rette corrispondenti in una stessa polarità nulla, oppure all'insieme di una forza e di una coppia, la linea d'azione della forza e la giacitura del piano della coppia essendo corrispondenti in quella stessa polarità. In ogni movimento infinitesimo dello spazio le rette che passano per un punto qualunque e stanno nel piano perpendicolare alla direzione del movimento di questo punto formano un complesso lineare; sicché per ogni retta del complesso è nulla la proiezione ortogonale su di essa dello spostamento infinitesimo di un suo punto qualunque.
La generazione proiettiva delle coniche si estende alle quadriche; con fasci di piani proiettivi per le quadriche rigate, inclusi i coni: con stelle reciproche, per quadriche non rigate e rigate. Si estende pure alla cubica gobba (v. cubiche) in due modi diversi. In coordinate proiettive omogenee, la cubica di equazioni parametriche x0 =1, x1 = t, x2 = t2, x3 = t3 può anche rappresentarsi eguagliando a zero la matrice (ossia tutti i determinanti di 2° ordine della matrice)
essa è generata dai tre fasci di piani proiettivi
come luogo delle intersezioni delle terne di piani omologhi (corrispondenti a uno stesso valore di k), e dalle due stelle omografiche
come luogo delle intersezioni di quelle coppie di raggi omologhi che effettivamente s'incontrano.
30. Estensione a spazî a più dimensioni. - Questa estensione, già predisposta dal concetto generale di spazio a più dimensioni (vedi dimensioni; iperspazio) e particolarmente da qualche lavoro di F. Klein e W. K. Clifford, si è sviluppata principalmente nel decennio 1880-90 per opera di G. Veronese e C. Segre, continuando nella scuola che fa capo a quest'ultimo.
Cfr. C. Segre, Mehrdimensionale Räume, in Encykl. der math. Wiss., III, C 7, Lipsia 1912; E. Bertini, Introduzione alla geometria proiettiva degli iperspazi, Pisa 1907, 2ª ed., Messina 1923; G. Veronese, Fondamenti di geometria a più dimensioni e a più specie di unità rettilinee, Padova 1891.
Gl'indirizzi geometrici moderni in relazione ai gruppi di trasformazioni.
31. Geometria elementare e geometria proiettiva. Gruppo fondamentale di una geometria. - La distinzione fra geometria elementare e geometria proiettiva ha fornito, per il periodo dal 1820 fino intorno al 1860, una prima classificazione della geometria, la quale si è poi ulterioremente sviluppata, secondo idee dovute essenzialmente a F. Klein. Le proprietà geometriche di una figura, ad es. le proprietà del quadrato di avere gli angoli retti, i lati uguali, le diagonali anche eguali e perpendicolari (a differenza delle proprietà che si possono chiamare topografiche e di orientamento) sono indipendenti dalla posizione di quella figura nello spazio, e più precisamente si conservano quando questa figura: 1. si sposta comunque nello spazio; 2. si sostituisce con la figura simmetrica rispetto a un piano (che non è generalmente ottenibile dalla prima con un movimento, cioè ad essa sovrapponibile, come non lo sono fra loro i guanti delle due mani); 3. si sostituisce con una figura simile (cioè riprodotta in diversa scala; avente le lunghezze proporzionali a quelle della prima, e gli angoli rispettivamente eguali). Una proprietà geometrica è dunque qualcosa che permane se la figura di cui si tratta viene fatta variare in certi modi; è indipendente, a carattere invariante rispetto a queste modificazioni o trasformazioni della figura, e perciò anche rispetto a quelle che si ottengono applicando due o più delle prime una di seguito all'altra, cioè facendone il prodotto (e che sono ancora similitudini, o loro casi particolari). Questo sistema chiuso di operazioni, tale che il prodotto di due o più fra esse sia ancora un'operazione del medesimo sistema, si dice gruppo di trasformazioni (v. gruppo), ed è questo uno dei concetti più generali e importanti della matematica moderna. Le proprietà geometriche delle figure, studiate dalla geometria elementare, sono dunque caratterizzate dell'essere invarianti rispetto al gruppo delle similitudini, che Klein, per questa sua funzione fondamentale in geometria, ha chiamato gruppo principale. Le proprietà proiettive delle figure si conservano invarianti non solo rispetto alle trasformazioni del gruppo principale, ma anche rispetto alle omografie, le quali formano pure un gruppo, più ampio del gruppo principale: il gruppo proiettivo. La geometria proiettiva studia quelle figure e quelle loro proprietà che hanno carattere invariante rispetto all'intero gruppo proiettivo. Tali, ad es., la proprietà di più punti di essere allineati, il birapporto di quattro punti allineati, le relazioni di polarità rispetto a una conica, ecc. Più generalmente, secondo la concezione moderna della geometria e della sua classificazione, ogni proprietà geometrica di una figura e la stessa sua definizione debbono avere carattere invariante rispetto a un insieme di possibili variazioni o trasformazioni di questa figura, formanti un gruppo. Di queste trasformazioni geometriche e loro gruppi si possono escogitare esempî svariatissimi, investigando per ognuno di questi gruppi quali figure e quali loro proprietà abbiano carattere invariante; questo studio è oggetto di una speciale branca di geometria, caratterizzata da quel gruppo come fondamentale. Ma per ragioni di semplicità e fecondità l'interesse maggiore si concentra sopra alcuni gruppi determinati, come qui appresso indicheremo.
Anche H. Poincaré scrisse: "La géométrie est avant tout l'étude analytique d'un groupe". E appunto questo principio di classificazione fornito dalla nozione di gruppo tolse alla geometria elementare euclidea la posizione privilegiata avuta sino al sec. XIX (v. anche n. seg., b, per le geometrie non euclidee).
In questo modo di concepire la geometria le figure perdono quel carattere di rigidità che è loro generalmente attribuito, e che è inerente ai soli movimenti. Una figura geometrica è anzi qualcosa di essenzialmente variabile, flessibile, deformabile; e, volta per volta, nelle diverse branche di geometria, se ne considerano variazioni determinate, e quelle proprietà che permangono in seguito a queste variazioni. Le diverse figure ottenibili l'una dall'altra con queste variazioni sono, per la geometria corrispondente, figure equivalenti, cioè come una sola figura: così per es. in geometria elementare tutti i quadrati, tutti i cerchi; in geometria proiettiva, tutti i triangoli, tutti i quadrangoli piani, tutte le coniche.
Bibl.: F. Klein, Vergleichende Betrachtungen über neuere geometrische Forschungen, Erlangen 1872 (noto sotto il nome "Programma di Erlangen"); ristampato con aggiunte in Math. Ann., XLIII (1893), p. 63 segg.; trad. ital. di G. Fano, in Ann. di mat., s. 2ª, XVII (1889-90), p. 307 segg.; id., Enleitung in die höhere Geom., Lez. litogr., Gottinga 1892-93, in part. vol. II; G. Fano, Kontinuierliche geometrische Gruppen. Die Gruppentheorie als geometrisches Eintheilungsprinzip, in Encykl. der math. Wiss., III, A, B, 4 b, Lipsia 1907; L. Godeaux, La géométrie, Liegi 1931.
32. - Geometrie relative a sottogruppi del gruppo proiettivo. - Esempî più importanti: a) il gruppo delle affinità (v. affinità: Matematica), ossia - nel piano - il gruppo delle omografie che mutano in sé la retta all'infinito (nello spazio, il piano all'infinito). Per la geometria affine hanno carattere invariante la relazione di parallelismo, e quindi il concetto di parallelogrammo; è di sua pertinenza la distinzione fra punti propri e improprî, la distinzione delle coniche in ellissi, parabole, iperboli, nonché lo studio delle loro proprietà centrali e diametrali (sono invece equivalenti tutte le ellissi, inclusi i cerchi). Nella geometria affine del piano è costante il rapporto di due aree assegnate quali si vogliano (nello spazio, di due volumi). La geometria affine non è stata per molto tempo distinta dalla geometria elementare, o metrica, considerandosi anche il parallelismo come una relazione metrica; ne viene distinta solo nei trattati più recenti.
La geometria analitica delle coordinate cartesiane comunque oblique è appunto geometria affine; perché in due piani qualunque le coppie degli assi coordinati omonimi e i punti di coordinate (1, 1) si corrispondono in una stessa affinità, e due punti qualunque corrispondenti in questa affinità hanno eguali coordinate; sicché la trattazione analitica in base a queste coordinate ha carattere intrinseco.
Limitando il gruppo fondamentale a quelle sole affinità che conservano invariate le aree (nello spazio, i volumi) si ha la geometria equiaffine, importante nel campo differenziale (n. 41, b).
b) il gruppo delle omografie piane che mutano in sé una determinata conica irriducibile (fondamentale). Per ogni coppia di punti del piano è allora invariante il birapporto che essi formano coi due punti, reali o no, intersezioni della loro congiungente con la conica stessa, e, per ogni coppia di rette, il birapporto loro e delle due tangenti alla conica che appartengono al loro fascio; quindi anche ogni funzione univoca dell'uno e dell'altro birapporto. Chiamando distanza dei due punti, e rispettivamente angolo delle due rette, il logaritmo di questo birapporto (individuato eventualmente in modo opportuno nella relativa progressione aritmetica di ragione 2πi) e moltiplicato (volendo) per una costante arbitraria prefissata, si ha una geometria metrica che, se la conica fondamentale (o conica assoluto; v. assoluto: L'assoluto nella matemafica e nella fisica) è priva di punti reali, coincide con la geometria elementare non euclidea ellittica (o di Riemann); se invece la conica stessa ha punti reali, e limitatamente alla ragione di piano interna a questa conica, coincide con la geometria elementare non euclidea iperbolica, o di Gauss, Lobačevskij, Bólyai (n. 9). I punti della conica fondamentale sono i punti all'infinito di questa geometria. Nella geometria elementare euclidea la conica fondamentale è sostituita dalla coppia dei punti ciclici (n. 38, b) come inviluppo; epperò geometria elementare euclidea e non euclidea è sempre geometria studiata in relazione a un determinato (benché diverso) gruppo fondamentale. Analogamente nello spazio, con una quadrica fondamentale (priva di punti reali, oppure a punti reali non rigata).
Cfr. il già cit. "Programma di Erlangen" di F. Klein, e le Memorie di lui: Über die sogenannte nicht-euklidische Geometrie, in Math. Ann., IV (1871); VI (1873); tutti raccolti, con lavori successivi, nel vol. I delle sue Gesamm. mathemat. Werke, Berlino 1921, p. 241 seg.
c) Una particolare interpretazione fisica ha ricevuto il gruppo delle omografie dello spazio a 4 dimensioni S4, che mutano in sé una quadrica a punti reali non rigata di un S3; S3 che può pensarsi come spazio all'infinito dell'S4 complessivo. In questo spazio la detta quadrica (all'infinito) può pensarsi rappresentata dall'equazione x2 + y2 + z2 − c2t2 = 0, analoga alla x2 + y2 + z2 = 0 del cerchio assoluto euclideo. Si ha così il gruppo di Lorentz delle sostituzioni lineari intere delle quattro variabili x, y, z, t che mutano in sé la detta quadrica all'infinito, senza nemmeno alterare per un fattore numerico il 1° membro della sua equazione. Rispetto a esse hanno carattere invariante anche le equazioni fondamentali della elettrodinamica secondo Maxwell; la geometria corrispondente è la teoria della relatività speciale di A. Einstein (1905).
33. Geometria dei raggi reciproci. - Dato in un piano un cerchio di centro O, associamo a ogni punto P distinto da O il punto P′ della retta OP situato rispetto ad O dalla stessa parte di P, e tale che i segmenti OP, OP′ abbiano il raggio di quel cerchio come medio proporzionale. A ogni figura di punti P interni al cerchio corrisponde una figura di punti P′ esterni, e viceversa; e ciascuna delle due può chiamarsi immagine o simmetrica dell'altra rispetto al cerchio. Ciò perché, diventando il cerchio in modo opportuno sempre più grande e meno incurvato, esso si converte al limite in una retta, e due punti quali P e P′ diventano simmetrici rispetto a questa retta. Le corrispondenze del tipo indicato si chiamano trasformazioni per raggi vettori reciproci, o inversioni rispetto al cerchio, e O ne è il centro; esse mutano punti di un cerchio qualsiasi in punti di un cerchio, o in particolare di una retta se il primo cerchio passa per O. Qualora il continuo dei punti proprî si chiuda convenzionalmente con un unico punto improprio, da considerarsi come corrispondente del centro O in ogni inversione e come appartenente a ogni retta, le dette trasformazioni risultano biunivoche in tutto il piano, senza eccezioni. Con le inversioni rispetto ai cerchi di un piano e loro prodotti si compone un nuovo gruppo, le cui operazioni mutano ancora cerchi in cerchi o rette, e comprendono altresì tutte le similitudini; per esse è invariante l'angolo sotto cui s'incontrano due cerchi, e più generalmente due linee qualunque. Queste trasformazioni si dicono conformi, perché figure corrispondenti sono equiangole e perciò simili (di egual forma) nelle loro parti infinitesime. Da Möbius, che per primo le ha studiate (dal 1853; v. Ges. Werke, II, 1886), tali trasformazioni furono chiamate affinità circolari (ted. Kreisverwandtschaften).
Le affiRnità circolari possono conservare il senso di ogni singolo angolo, oppure invertirlo (come avviene nelle inversioni). Nel primo caso, in coordinate cartesiane ortogonali, sono rappresentate analiticamente dalle sostituzioni lineari di una variabile complessa z = x + yi, del tipo
con coefficienti α, β, γ, δ) complessi e tali che αδ − βγ ≠ 0. Se si inverte il senso degli angoli, alla z va sostituita la variabile complessa coniugata z = x − yi. Analogamente, nello spazio, sostituendo ai cerchi e rette rispettivamente sfere e piani (non si estende però la rappresentazione analitica accennata). Questa geometria, mutando sfere in sfere, può considerarsi come una geometria delle sfere (secondo F. Klein, Niedere Kugelgeometrie). Vi è anche una geometria superiore delle sfere, o Höhere Kugelgeometrie, o di S. Lie, sulla quale non possiamo entrare in particolari, e che è altresì una geometria di trasformazioni di contatto.
L'inversione rispetto a una sfera ha ricevuto applicazione in fisica nella teoria delle immagini elettriche di W. Thomson.
34. Geometria delle trasformazioni birazionali. - Si chiamano trasformazioni birazionali, o cremoniane (v. memorie varie di L. Cremona, dal 1863 in poi; ristampate in Opere Matematiche, II, III, Milano 1915-17) fra due piani, distinti o sovrapposti, le trasformazioni in pari tempo algebriche (cioè rappresentabili con equazioni algebriche) e biunivoche. In coordinate proiettive omogenee di punti, sono rappresentate da equazioni
dove ρ è un fattore di proporzionalità, e f1, f2, f3 sono polinomî omogenei di uno stesso grado n nelle coordinate x1, x2, x3, fra loro linearmente indipendenti, e che possiamo supporre privi di fattori comuni. Alle rette del piano (x1′ : x2′ : x3′) corrispondono nell'altro le curve piane Cn della rete omaloidica:
le quali devono avere a due a due una sola intersezione variabile, sicché le ulteriori loro intersezioni, in numero di n2 − 1, devono tutte essere assorbite dai punti-base del sistema (1). Nel caso più semplice n = 1 si ricade nelle omografie (n. 26). Per n = 2 (trasformazioni quadratiche), il sistema (1) si compone delle coniche passanti per tre punti fissi, eventualmente non tutti distinti; ne sono esempî le inversioni (n. prec.), nelle quali alle rette corrispondono cerchi passanti per il centro d'inversione O, cioè coniche per O e per i due punti ciclici, immaginarî-coniugati. Più generalmente, una rete omaloidica (1) si compone delle Cn aventi comuni α1 punti semplici, α2 punti doppî,... e αn-1 punti (n−1)pli, dove tali numeri soddisfano alle due equazioni, già date da Cremona:
la prima delle quali esprime che i punti basi assorbono tutte le intersezioni di due delle dette Cn, meno una; la seconda, che le dette Cn hanno il numero di punti multipli necessario a renderle razionali; occorre inoltre (e basta) che le Cn così determinate risultino irriducibili. Per n ≥ 3, vi è sempre qualche punto base di multiplicità > 1. Ogni trasformazione birazionale del piano è il prodotto di un numero finito di trasformazioni quadratiche: proprietà dovuta a W. K. Clifford, M. Nöther, J. Rosanes (1871), ma la cui dimostrazione completa richiese ulteriori complementi di Nöther e più tardi di G. Castelnuovo (1901).
La teoria delle trasformazioni cremoniane si estende allo spazio; alla rete di curve (1) va sostituito un sistema lineare ∞3 di superficie tali che tre generiche fra esse abbiano una sola intersezione variabile (es., il sistema delle quadriche passanti per una conica e per un punto fisso non appartenente a questa; e il sistema delle superficie di 3° ordine passanti per una curva di 6° ordine e genere 3). Le studiarono in pari tempo (1870-71) Cremona stesso, movendo dalla rappresentazione piana di superficie razionali, Nöther e A. Cayley; Cremona più degli altri giunse a concepirle in tutta la loro generalità, e indicò come si potevano ricavare tutte (forse più concettualmente che praticamente) dalla rappresentazione piana delle superficie razionali. La loro teoria è però assai meno progredita che nel piano; né si conosce alcun teorema sulle eventuali loro operazioni generatrici.
Entro un piano fisso, o nello spazio, le trasformazioni cremoniane formano un gruppo, non dipendente da un numero finito di parametri, né definibile a mezzo di equazioni differenziali. F. Enriques nel piano, e Enriques e Fano nello spazio, hanno determinato i gruppi continui (parziali) di trasformazioni cremoniane dipendenti da un numero finito di parametri, tutti equivalenti (nel senso del n. 38, a) a gruppi proiettivi trasformanti in sé una superficie o varietà algebrica a tre dimensioni.
Le trasformazioni birazionali del piano e dello spazio hanno aperto nella geometria moderna un nuovo brillante periodo, che fa degno seguito alla creazione della geometria proiettiva. Giustamente fu detto che Cremona nella geometria algebrica "chiude una epoca per aprirne una nuova". L'uso di trasformazioni quadratiche condusse alla dilatazione dell'intorno di 1° ordine di un punto singolare di una curva piana algebrica (Nöther), nonché gradualmente degl'intorni successivi, e a stabilire con precisione il concetto della composizione di un punto singolare, con altre singolarità qualunque a esso infinitamente vicine, e dei rami della curva passanti per quel punto. E. Bertini si valse delle trasformazioni cremoniane per classificare le involuzioni di coppie di punti del piano. Ma la maggior fecondità del nuovo indirizzo si manifestò quando, con applicazione più larga dello stesso concetto, e dando in pari tempo veste geometrica alle ricerche di Riemann sulle funzioni algebriche di una variabile e loro integrali, che risalivano al 1854-57, ma in forma puramente analitica e non facilmente accessibile, si considerarono - a partire da una memoria di A. Brill e M. Nöther (Math. Ann., VII, 1873) - trasformazioni che operano birazionalmente, cioè in modo algebrico e biunivoco, sui punti di una determinata linea, piana, sghemba o iperspaziale, e così di una superficie o di una varietà a più dimensioni, senza vincolarle a operare biunivocamente anche sugli altri punti del piano o dello spazio ambiente; e proprietà invarianti rispetto a queste trasformazioni. Si tratta essenzialmente dello studio delle serie lineari (e anche non lineari) di gruppi di punti sopra una curva algebrica; del genere, dei moduli, delle corrispondenze sulle curve algebriche; e analogamente dei sistemi lineari e non lineari di curve nonché delle involuzioni sopra una superficie algebrica, e degl'invarianti (generi, plurigeneri,...) che se ne deducono; delle corrispondenze fra superficie, ecc. Per questo rinviamo alle voci curve; iperspazio; superficie; segnalando che in questo campo, dal 1885 circa in poi, si è particolarmente affermata e distinta la scuola geometrica italiana con C. Segre, G. Castelnuovo, F. Enriques, F. Severi e i loro discepoli.
35. Analysis Situs. - Ricordiamo ancora il gruppo di tutte le trasformazioni biunivoche e continue senza eccezioni di una data figura (curva, superficie...); vale a dire delle trasformazioni di questa che possono pensarsi come deformazioni continue, incluse ad es. dilatazioni non uniformi, ma senza rotture o lacerazioni o duplicazioni. La geometria corrispondente ha ricevuto il nome di Analysis Situs (v.) o topologia; sono caratteri topologici delle figure la dimensione, i contorni, i varî ordini di connessione, la bilateralità o unilateralità.
36. Geometria algebrica (v. algebrico: Geometria algebrica). - Si chiama così lo studio delle proprietà delle curve e superficie algebriche, e più generalmente delle varietà algebriche di uno spazio a un numero quasiasi r di dimensioni (insieme delle soluzioni comuni a quante si vogliano equazioni algebriche fra r variabili). Questo studio comprende proprietà che rientrano, nel senso del programma di F. Klein (n. 31), in parecchie geometrie; particolarmente proprietà proiettive (per la trattazione analitica di queste, v. anche algebra: nn. 60-72), e proprietà invarianti per trasformazioni birazionali, campo largamente coltivato in questi ultimi decennî, come è dettn al n. 34. Vi si collegano pure importanti ricerche di Analysis Situs; p. es. lo studio dei rami di curve e falde di superficie algebriche reali, e alcuni argomenti accennati nella voce analysis situs (Osservazioni e notizie eomplementari). Così i punti immaginarî di una curva piana algebrica f (x, y) = 0, cioè corrispondenti a valori immaginarî delle coordinate x = x1 + ix2, y = y1 + iy2, quando anche in f (x, y) si stacchi la parte reale da quella immaginaria, ponendo
con A, B funzioni reali, si possono rappresentare mediante i punti reali dello spazio a 4 dimensioni (x1, x2, y1, y2) costituenti la superficie A = B = 0; e proprietà dl Analysis Situs di questa superficie (Riemanniana della curva f = 0) servono nello studio e a fissare caratteri di detta curva. Analogamente per varietà a più dimensioni.
Oltre ai trattati di G. Salmon (v. sopra: n. 20), limitati alla parte proiettiva, v. A. Clebsch e F. Lindemann, Vorlesungen über Geometrie, voll. 2, 1875-91. Inoltre: F. Enriques e O. Chisini, Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle funzioni algebriche, voll. 3, Bologna 1915-23; id., Courbes et fonctions algébriques d'une variable (trad. M. Legaut, Parigi 1926); F. Severi, Vorlesungen über algebraische Geometrie, trad. di E. Löffler, Lipsia-Berlino 1921; id., Trattato di geometria algebrica, I, 1, Bologna 1926; id., Conferenze di geometria algebrica (con particolare riguardo alla parte topologica), raccolte da B. Segre, litogr., Roma 1930; F. Enriques, Lezioni sulla teoria delle superficie algebriche raccolte da F. Campedelli, litogr., Padova 1932; Selected topics in algebrica geometry (articoli di varî autori, n. 63 del Bulletin of the National Research Council, Washington 1928); Encykl. der math. Wiss., III C, Lipsia 1903-31. - Comprendono anche argomenti di geometria algebrica: E. Picard e G. Simart, Théorie des fonctions algéhr. de deux variables indép., voll. 2, Parigi 1897-906; F. Lefschetz, L'Analysis Situs et la géométrie algébrique, Parigi 1924; E. Picard, Quelques applications anal. de la théorie des curbes et des surfaces algébriques, Parigi 1931.
37. Geometria numerativa. - Nella geometria algebrica interessa talvolta conoscere il numero degli elementi (punti, rette, cerchi, curve,...) di un sistema algebrico ∞r assegnato che soddisfanno a r date condizioni semplici (senza che occorra costruirli). Si tratta, in sostanza, di determinare il numero, supposto finito, delle soluzioni di un sistema assegnato di equazioni algebriche fra più variabili; numero che, quando si riescano a eliminare tutte le variabili meno una, è eguale al numero delle radici e quindi (computate le relative multiplicità, nonché le eventuali radici immaginarie) al grado dell'unica equazione risultante. Per la risoluzione di problemi così fatti si sono escogitati metodi particolari, il cui insieme costituisce la geometria numerativa (ted. abzählende Geometrie). Principio essenziale di questi metodi è che, al variare con continuità delle condizioni imposte, e quindi dei coefficienti delle equazioni di cui sopra, il numero richiesto delle soluzioni, in quanto rimanga finito, deve conservarsi invariato (Principio della conservazione del numero, la cui applicazione pratica richiede tuttavia opportune cautele; v. continuità). Alla geometria numerativa appartengono ad es. le questioni che si risolvono per mezzo del principio di corrispondenza nelle forme di 1ª specie (per maggiori particolari, v. corrispondenza).
Bibl.: H. Schubert, Kalkül der abzähl. Geom., Lipsia 1879; H.G. Zeuthen, Abzähl. Methoden, in Encykl. d. math. Wiss., III C 3 (1905). Di procedimenti numerativi hanno fatto largo uso Plücker, Chasles, Salmon, Cremona, ecc.
38. Geometrie a gruppi isomorfi, o contenuti l'uno nell'altro. - a) Il principio di dualità nel piano, affermando che a ogni figura di punti di un piano si può contrapporre una figura di rette, e ad ogni proprietà grafica della prima un'analoga proprietà grafica della seconda, dice sostanzialmente che la geometria proiettiva del piano punteggiato e la geometria proiettiva del piano rigato coincidono, mutatis mutandis, poiché ogni concetto, ogni enunciato dell'una si traduce in un corrispondente concetto o enunciato dell'altra. Ciò perché le omografie, operazioni fondamentali della geometria proiettiva, operano in modo analogo sui punti e sulle rette del piano; operano p. es. sulle coordinate proiettive omogenee di punto e di retta con formule dello stesso tipo (n. 26).
Lo stesso fatto si presenta più generalmente per due geometrie, i cui gruppi fondamentali siano isomorfi o simili, possano cioè mettersi in corrispondenza biunivoca tale, che al prodotto di due operazioni S, T dell'uno corrisponda sempre il prodotto delle operazioni omologhe S′, T′ dell'altro. I due gruppi possono allora considerarsi come immagini diverse di un medesimo gruppo astratto, avente la loro comune composizione (cioè le stesse regole di moltiplicazione delle varie operazioni); e perciò coincidono anche le corrispondenti geometrie, salvo puri cambiamenti di parole. Altri esempî: rappresentata una conica parametricamente, in coordinate omogenee, sotto la forma x0 = 1, x1 = t, x2 = t2, le sostituzioni lineari del parametro t:
con αδ − βγ ≠ 0 operano proiettivamente sia sulla punteggiata, su cui t si può pensare come coordinata proiettiva, sia su questa conica e nel piano di essa. Perciò la geometria proiettiva di una punteggiata coincide con la geometria proiettiva del piano nel quale s'imponga come fissa una conica (n. 32, b); le coppie di punti della punteggiata hanno per immagini le coppie di punti della conica, e quindi le rette che congiungono queste coppie; le involuzioni sulla punteggiata hanno per immagini i fasci di rette nel piano, ecc. Analogamente per i gruppi di n punti sulla punteggiata, e la geometria proiettiva di un Sn con una Cn razionale normale fissa (v. dualita: n. 2).
b) Nel piano, le operazioni del gruppo principale, ossia le similitudini, si possono caratterizzare come le omografie che mutano rette perpendicolari in rette perpendicolari (quindi anche rette parallele in rette parallele), ossia che mutano in sé l'involuzione delle coppie di direzioni ortogonali sulla retta all'infinito, detta involuzione assoluta (v. assoluto: L'assoluto nella matematica e nella fisica), quindi la coppia dei punti ciclici (immaginarî) di questa retta all'infinito, definita in coordinate cartesiane ortogonali omogenee x, y, z di origine arbitraria dalle equazioni x2 + y2 = z = 0. Perciò una proprietà metrica di una figura F, p. es. la proprietà del quadrato di aver perpendicolari tanto i lati quanto le diagonali, si può enunciare dicendo che nel quadrato due lati adiacenti, e così le diagonali, incontrano la retta all'infinito in punti coniugati nell'involuzione assoluta. Così enunciata, questa proprietà diventa una proprietà proiettiva della figura complessiva formata dalla figura data (il quadrato) e dall'involuzione assoluta del piano. Analogamente nello spazio, sostituendo all'involuzione assoluta del piano la polarità assoluta (o ortogonale) nel piano all'infinito. Così ancora, potendosi le affinità del piano caratterizzare come le omografie che mutano in sé la retta all'infinito, una proprietà affine di una figura (p. es.: nel parallelogrammo i lati opposti sono paralleli) appare come una proprietà proiettiva della figura formata dal parallelogrammo e dalla retta all'infinito (le intersezioni dei lati opposti del parallelogrammo appartengono alla retta all'infinito). In generale, quando il gruppo fondamentale di una geometria è contenuto in quello di un'altra, e si può caratterizzare come la totalitȧ delle operazioni di questo secondo gruppo che mutano in sé una certa figura Φ (involuzione assoluta, retta all'infinito), la prima geometria si può pensare come contenuta nella seconda, considerando le proprietà della prima spettanti a una figura F come proprietà della figura composta F + Φ in relazione alla seconda. Anche questo concetto, emerso principalmente dalla scuola di Chasles per quanto concerne la geometria elementare e la geometria proiettiva, è stato esteso a gruppi quali si vogliano da F. Klein (op. cit.).
39. I varî indirizzi nel campo differenziale. Indirizzo metrico. - La suddivisione della geometria in varie branche, secondo il concetto di F. Klein (n. 31) si è estesa in quest'ultimo trentennio alle proprietà differenziali. E come la geometria elementare (metrica) è stata l'unica studiata fino all'inizio del sec. XIX, così la geometria differenziale del sec. XIX appartiene anch'essa nella sua quasi totalità all'indirizzo metrico, secondo la via segnata (nn. 16, 17) da Monge e Gauss (linee e superficie, con estensione, per es., a complessi e congruenze di rette).
Trattati principali: L. Bianchi, Lezioni di geometria differenziale, Pisa 1886, 3ª ed., in 2 voll., 1922-23; G. Darboux, Leåons sur la théorie générale des surfaces, 4 voll., 1888-96. - Al Bianchi si devono progressi importantissimi in quasi tutti i campi della geometria differenziale metrica. Il Darboux, e con lui la scuola francese, fa uso in molte questioni del cosiddetto triedro mobile, formato per una curva dalla tangente, normale principale e binormale uscenti da uno stesso suo punto, e per una superficie dalla normale e da due tangenti perpendicolari. Per la trattazione intrinseca della geometria differenziale metrica, cioè in modo indipendente dal sistema di coordinate, facendo uso solo di quantità invarianti rispetto al gruppo dei movimenti (curvature e raggi relativi, lunghezza d'arco) v. anche E. Cesàro, Lezioni di geometria intrinseca, Napoli 1896. Fra i trattati più recenti, W. Blaschke, Vorlesungen über Differentialgeometrie, I, 1921 (per l'indirizzo metrico); 3ª ed. 1930.
La geometria differenziale, o infinitesimale, come applicazione del calcolo differenziale alla geometria, era stata da F. Klein (Höhere Geometrie, II, Lipsia 1893) contrapposta alla geometria dello spazio completo (ted. Geometrie des Gesammtraumes), meglio geometria delle figure considerate nella loro integrità, della quale la parte maggiore è costituita dalla geometria algebrica (n. 36), che però non la esaurisce, perché anche enti non algebrici possono studiarsi nella loro integrità. Su questa distinzione è da osservare che alcune questioni (es.: numero dei vertici di un'ovale, ossia dei punti di massima o minima curvatura di una linea piana chiusa, ovunque convessa; proprietà della sfera di non essere deformabile) hanno carattere differenziale, pur riguardando figure nella loro integrità; escono quindi dalle applicazioni geometriche del puro calcolo differenziale. Si usa per esse il nome gmmetria differenziale in grande (ted. Differentialgeometrie im Grossen; ingl. Differential Geometry in the large).
40. Indirizzo metrico nel caso di n dimensioni. Spazî di Riemann. - In analogia alla geometria intrinseca di una superficie (n. 17), B. Riemann ha costruito (1854) la geometria metrica di una varietà a n dimensioni, movendo dall'espressione dell'elemento lineare (distanza di due punti infinitamente vicini) assunta per ipotesi eguale alla radice quadrata di una forma differenziale quadratica nelle n coordinate x1, x2, . . ., xn. Ciò è conforme alla tendenza di Riemann, manifestata pure in altri campi, di definire enti matematici mediante il loro comportamento nell'infinitamente piccolo. I coefficienti della detta forma differenziale sono funzioni delle x, ma nell'intorno di ogni singolo punto possono essere ritenuti costanti; perciò, se la forma è definita e positiva, essa è riducibile, nell'intorno di ogni punto, con una trasformazione di coordinate, a una somma di n quadrati; lo spazio di Riemann è allora euclideo nelle sue parti infinitesime. Sopra ogni linea, rappresentata per es. parametricamente, restano così definite le lunghezze d'arco; e possono pure definirsi nello spazio le linee geodetiche, gli angoli in ogni singolo punto. Considerate le geodetiche uscenti da un punto arbitrario secondo direzioni contenute in un piano, e la superficie luogo di queste geodetiche, col relativo elemento lineare in due variabili, la curvatura totale di questa superficie in quel punto, nel senso del n. 17 (v. curvatura), si definisce come curvatura della varietà in quel punto e secondo l'orientazione o giacitura di quel fascio di geodetiche. Da Riemann vennero già messi in rilievo gli spazî a curvatura costante, cioè indipendente sia dal punto che dalla giacitura di cui sopra, siccome quelli che consentono la "libera mobilità delle figure", per semplice flessione o deformazione. Gli spazî piani si possono caratterizzare come spazî a curvatura costante nulla; il loro elemento lineare, in coordinate opportune, assume la forma
(per spazî euclidei, con termini tutti positivi), analoga alla
dello spazio ordinario.
Questo indirizzo ha avuto sviluppi ulteriori importantissimi.
Già E. Beltrami (1868) ha approfondito lo studio degli spazi a curvatura costante, riconoscendo ch'essi possono anche caratterizzarsi come regioni di spazî proiettivi, in cui le geodetiche costituiscono le linee rette. E. B. Christoffel e R. Lipschitz hanno affrontato la questione dell'equivalenza di due forme quadratiche differenziali a n variabili, quali sono quelle che esprimono il quadrato dell'elemento lineare rispetto a due diversi sistemi di coordinate legati da una trasformazione affatto generale
Il calcolo differenziale assoluto di G. Ricci Curbastro (v. assoluto: L'assoluto nella matematica e nella fisica; differenziale assoluto, calcolo) ha fornito il naturale procedimento di calcolo per cui le proprietà di uno spazio di Riemann e delle figure contenutevi vengono determinate in modo intrinseco, dipendente soltanto dalla determinazione metrica, e non dal sistema di coordinate. Ne sono elemento essenziale i tensori, generalizzazione dei vettori (v. ad es., T. Levi-Civita, Lezioni di calcolo differenziale assoluto, raccolte da E. Persico, Roma 1925); per es. il tensore di curvatura o di Riemann-Christoffel, dal quale si deducono la curvatura di Riemann anzidetta, la curvatura scalare e altre espressioni invariantive.
La teoria di Einstein della relatività generale, considerando lo spazio-tempo (cronotopo) a 4 dimensioni come uno spazio di Riemann, la cui curvatura è determinata dalla presenza di materia nei singoli punti e nei singoli istanti, ha dato allo studio di questi spazî un impulso ulteriore. In particolare, come nuovo concetto essenziale, dovuto a T. Levi-Civita, ne è venuta una legge, inerente alla metrica dello spazio, la quale consente di orientare, rispetto all'intorno di un punto P comunque assegnato, l'intorno di ogni altro punto P′ infinitamente vicino al primo (intorni, fino a questo momento, fra loro disgregati); e ciò assegnando, per ogni direzione α uscente da P, una determinata direzione α′ uscente da P′ da considerarsi come parallela alla prima. Premesso che una varietà qualsiasi Vn può considerarsi come contenuta in uno spazio euclideo SN a un numero abbastanza elevato N di dimensioni, la direzione α′ si costruisce, conducendo per P′ la direzione parallela ad α entro SN, e proiettandola poi ortogonalmente sullo spazio Sn, tangente a Vn in P′. Questa definizione (che il Levi-Civita presenta sotto altra forma) ha carattere intrinseco rispetto alla Vn; essa conduce anche a definire per ogni vettore tangenziale di Vn uscente da P un vettore equipollente uscente da P′. Così una direzione (o un vettore) può trasportarsi per parallelismo, di punto in punto, lungo un'intera linea. Il parallelismo non è però integrale; vale a dire due direzioni uscenti da punti P, Q a distanza finita, le quali risultano parallele per spostamento da P a Q lungo una certa linea, non sono più parallele, in generale, se lo spostamento si fa lungo un'altra linea PQ. Se il parallelismo è indipendente dalla linea PQ lungo la quale si effettua lo spostamento, esso si dice parallelismo assoluto, o teleparallelismo (ted. Fernparallelismus); e questa proprietà caratterizza gli spazî euclidei. Le linee geodetiche sono autoparallele, ossia le direzioni di ogni geodetica in due suoi punti arbitrarî P, Q sono sempre parallele per spostamento lungo la geodetica stessa; ed è questa una loro proprietà caratteristica.
41. Geometria proiettiva, affine, topologica, nel campo differenziale. - Questi indirizzi più recenti, per molte questioni, si sono modellati sull'indirizzo metrico, cercando di generalizzarne i concetti principali.
a) Alla geometria proiettiva differenziale appartengono già alcuni concetti sorti durante il sec. XIX senza distinguersi dalla geometria differenziale metrica: tangenti coniugate di una superficie, tangenti principali (coniugate di sé stesse), linee asintotiche (linee le cui tangenti sono tutte tangenti principali); il teorema di Chasles sui piani tangenti a una rigata nei punti di una generatrice; i risultati di G. H. Halphen (dal 1878) sugl'invariati differenziali delle curve piane e sghembe.
Un primo indirizzo sistematico di ricerche muove dalla considerazione di equazioni differenziali lineari soddisfatte dalle coordinate di un punto, di una retta, ecc. variabile entro la figura da studiarsi (linea, superficie, rigata,...). Per una linea piana non retta né conica, dopo normalizzate opportunamente le coordinate omogenee di punto e di retta, si può introdurre un arco proiettivo u, tale che le coordinate di un punto e di una tangente di questa linea e di tutte quelle a essa omografiche, come funzioni di u, siano rispettivamente soluzioni indipendenti di due equazioni differenziali lineari omogenee di 3° ordine, mutuamente aggiunte. Si hanno pure una normale proiettiva e una curvatura proiettiva. legate proiettivamente alla curva; questa è completamente definita, a meno di trasformazioni omografiche, dall'espressione della sua curvatura proiettiva in funzione dell'arco proiettivo. Queste considerazioni si estendono, in massima, a linee sghembe, con particolari semplificazioni per le linee contenute in un complesso lineare. Per una superficie non piana né sviluppabile le coordinate di un punto e di un piano tangente, opportunamente normalizzate, soddisfano rispettivamente a due sistemi di due equazioni lineari alle derivate parziali di 2° ordine. In analogia alle sfere (concetto metrico) tangenti a una superficie in un punto O, vi sono ∞3 quadriche (concetto proiettivo) aventi in O con la superficie proposta un contatto di 2° ordine, e che l'incontrano perciò secondo curve per cui O è punto triplo. Nel sistema delle terne di tangenti a queste curve in O sono contenute tre rette triple, corrispondenti a tre fasci di quadriche che segano curve con tangente unica in O. Sono le tre tangenti di Darboux della superficie in quel punto; tangenti di Segre sono le coniugate armoniche di queste rispetto alle tangenti principali; linee di Darboux e di Segre sono le linee che hanno per tangente in ogni punto una delle precedenti. Quadriche di Darboux sono quelle (∞1, fra le stesse ∞3 anzidette) che incontrano la superficie secondo linee aventi come terna delle tangenti in O le tre tangenti di Darboux.
Il primo trattato di geometria proiettiva differenziale, con riguardo esclusivo alle curve e alle rigate, è di E. J. Wilczynski (Projective differential geometry of curves and ruled surfaces, 1906: quadriche osculatrici di una rigata, complessi lineari osculatori, punti (flecnodi) nei quali la rigata ammette una tangente quadripunta, ecc.). - A risultati sulle superficie e varietà a più dimensioni, sulle congruenze di rette, ecc., pervennero, dal 1907 in poi, C. Segre e la sua scuola, curando particolarmente la visione geometrica delle figure.
Un altro indirizzo, inaugurato da G. Fubini (1916), ha condotto a estendere al campo proiettivo il concetto di Gauss (n. 17) di definire una superficie per mezzo di forme differenziali su di essa, sostituendo all'applicabilità ordinaria (metrica) una "applicabilità proiettiva". Per una superficie non sviluppabile esistono due forme differenziali dei parametri u, v, una quadratica F2, l'altra cubica F3, le quali, eguagliate a zero, rappresentano rispettivamente le due tangenti principali e le tre tangenti di Darboux, e il cui rapporto F3/F2, detto elemento lineare proiettivo, è invariante rispetto a tutte le trasformazioni omografiche della superficie. Viceversa, due superficie S, S′ aventi il medesimo elemento lineare proiettivo non sono generalmente omografiche, ma sono proiettivamente applicabili (o anche una è "defornnata proiettiva" dell'altra), intendendo con ciò che fra esse intercede una corrispondenza biunivoca tale che per ogni coppia di punti omologhi A, A′ è individuata un'omografia (variabile, in generale, con questa coppia di punti) la quale muta A in A′ e ogni curva C di S passante per A in una curva passante per A′ e avente ivi con la curva C′, omologa a C, un contatto di 2° ordine (o anche, condizione equivalente, nella quale si corrispono gl'intorni di 2° ordine dei punti omologhi A, A′ sulle due superficie). Le forme F2, F3, insieme con un'ulteriore forma differenziale quadratica, bastano a determinare la superficie a meno di omografie. Si può anche definire per ogni punto della superficie la "normale proiettiva", e generalizzare le varie curvature.
Cfr. G. Fubini e E. Čech, Geometria proiettiva differenziale, 2 voll., Bologna 1926-1927; id., Introduction à la géometrie projective différentielle des surfaces, Parigi 1931, con ampia bibliografia dovuta al Čech.
b) La geometria affine differenziale è di origine ancora più recente, e tratta di proprietà invarianti rispetto al gruppo equiaffine (n. 32, a).
La prima comunicazione sulla affine Flächentleoric fu di G. Piek, a Praga (1916); v. inoltre Blaschke, op. cit., II, 1923.
Rappresentata una linea piana con le equazioni parametriche x = x (t), y = y (t), si assume come arco affine l'integrale s = ʃ (x′y″)⅓ dt contato a partire da una certa origine. Unico invariante è la curvatura affine k = (xs″ ys‴); l'espressione di questa in funzione dell'arco affine definisce la curva, a meno di trasformazioni equiaffini. Le coniche sono caratterizzate da k = cost. (k = 0, parabola; k 〈 0, ellisse; k > 0 iperbole), come anche dall'ammettere un gruppo continuo ∞1 di omografie equiaffini (cosicché, nella geometria affine, sono le analoghe dei cerchi e delle rette nella geometria metrica).
Per le superficie si può definire un elemento di area affine, espresso da un integrale doppio e invariante rispetto a omografie equiaffini. Esso conduce a considerare le analoghe delle superficie di area minima (ted. Affinminimalflächen, già considerate da J. Weingarten).
c) Nel campo dell'Analysis Situs differenziale, o geometria topologica differenziale, si hanno alcune ricerche recenti di W. Blaschke e della sua scuola (Amburgo): più esattamente, queste si possono chiamare ricerche di "topologia di una regione limitata", ed entrano nel campo differenziale qualora si ammetta che le funzioni che vi compaiono siano derivabili. Nel piano si considerano ad es. sistemi di una o più famiglie di curve, tali che, nella regione limitata che si considera, per ogni punto passi una e una sola curva di ciascuna famiglia; e si domanda se l'insieme di queste famiglie di curve possa trasformarsi topologicamente in un insieme di un egual numero di sistemi di rette parallele. Analogamente per famiglie di superficie, o sistemi di linee nello spazio.
42. Altri esempî di gruppi e relative geometrie.
a) Nel piano, il gruppo di tutte le trasformazioni conformi, che cioè conservano invariati gli angoli, o in altri termini sono simili limitatamente a regioni infinitesime (nello spazio, sono tali le sole trasformazioni indicate al n. 33; ma nel piano ve n'è un gruppo molto più ampio). Sono le trasformazioni puntuali u = u (x, y), v = v (x, y), in cui le funzioni u, v soddisfano alle equazioni a derivate parziali:
dove, se i due piani x, y e u, v sono sovrapposti e i sensi di rotazione xy, uv coincidono, i due segni corrispondono rispettivamente alle due ipotesi che angoli corrispondenti abbiano anche egual verso, o versi opposti. La variabile complessa u + iv è allora funzione della variabile x + iy, nel senso della teoria delle funzioni di variabile complessa (v. funzione); la geometria delle trasfomiazioni piane conformi coincide perciò con quest'ultima teoria.
b) Il gruppo delle trasformazioni puntuali del piano che non alterano le aree (nello spazio, i volumi). Esso è detto anche gruppo di Möbius (v. affinità: Matematica). Questo gruppo conduce alla geometria dei fluidi incompressibili.
c) Rappresentando con coordinate rette, oppure piani, o cerchi, o sfere (v. n. 20, nonché coordinate: n. 29), e applicando a questi enti trasformazioni che li mutino l'uno nell'altro (indipendentemente dal fatto se mutino o no anche punti in punti), si possono costruire geometrie delle rette (Plücker), dei cerchi, delle sfere (n. 33). Particolarmente interessante si è rivelata la considerazione, nel piano, dell'elemento lineare, insieme di un punto (x, y) e di una direzione y′ = dy/dx = p uscente da esso, che può pensarsi complessivamente come un tratto brevissimo di retta Y − y = p (X − x) nell'intomo di quel punto; e quindi di trasformazioni e geometrie di elementi lineari: fra esse segnaliamo le trasformazioni di contatto di S. Lie (v. equazioni; gruppo; trasformazione), suscettibili pure di estensione allo spazio.
Cfr. S. Lie, Theorie der Transformationsgruppen, II, Lipsia 1890; id., Geometrie der Berührungtransformationen, Lipsia 1896; H. Liebmann, Berührungstransformationen, in Encykl. d. Math. Wiss., III D 7, Lipsia 1914.
43. Generalizzazioni degli spazî di Riemann. Spazî a connessione affine e proiettiva. - La nozione di spazio di Riemann, dopo la sua utilizzazione da parte di A. Einstein nella teoria della relatività generale (1915), ha dato luogo a importanti generalizzazioni, avviando un movimento fecondo tuttora in corso di sviluppo. Vi hanno dato impulso anche considerazioni inerenti alla fisica: come Einstein, identificando lo spazio-tempo della relatività generale con uno spazio di Riemann a 4 dimensioni, è riuscito a geometrizzare la gravitazione, così si pensa che uno spazio più generale di quelli di Riemann possa avere una maggiore capacità di rappresentazione fisica, in modo da potervi forse includere anche l'elettromagnetismo, e pervenire a una teoria unitaria del campo, cioè a una geometria che renda conto, per mezzo delle sole proprietà del continuo spazio - temporale e senza l'intervento di alcuna nozione di forza, delle azioni gravitazionali ed elettromagnetiche a un tempo; riducendosi inoltre, in assenza di elettricità, almeno con grande approssimazione, alla teoria einsteniana della gravitazione. Dal lato fisico, non sembra che queste ricerche abbiano ancora condotto a risultati del tutto soddisfacenti (né la cercata interpretazione geometrica si estende per ora alla recente meccanica quantistica); ma nel campo matematico si sono costruite delle nuove geometrie più generali, rispetto alle quali la geometria (metrica) di Riemann ha una posizione analoga a quella della geometria euclidea rispetto alle geometrie dei gruppi fondamentali considerati da F. Klein nel suo Programma (n. 31). Esse corrispondono anche a un'estensione del concetto base del detto Programma, in quanto gli spazî di Riemann possono considerarsi come spazî metrici euclidei nelle loro parti infinitesime, e i nuovi spazî più generali, pure nelle loro parti infinitesime, come spazî affini, proiettivi, ecc.
H. Weyl (1918) ha mostrato che in una Vn, anche senza preventiva determinazione metrica, gl'intorni di due punti infinitamente vicini (x) e (x + dx) possono reciprocamente orientarsi o connettersi per parallelismo. Basta all'uopo che, essendo (ξ) e (ξ + dξ) due vettori paralleli uscenti da quei punti, siano dati gl'incrementi dξi delle componenti del secondo come espressioni lineari nelle ξr, a coefficienti differenziali del tipo
dove le Γrsi, componenti della connessione affine, dipendono soltanto dalle x; la connessione è simmetrica, in quanto Γrsi = Γsri. In questi spazî a connessione affine risultano così determinate una legge di trasporto delle direzioni per parallelismo, dipendente in generale dalla linea lungo cui il trasporto si effettua, e delle linee autoparallele, alle quali viene conservato il nome di geodetiche; la loro geometria è una specie di geometria affine autonoma, senza spazio euclideo ambiente. A questi spazî si estendono la nozione di curvatura, di tensori, ecc. A essi può anche attribuirsi una (più particolare) connessione metrica. Nella metrica di Riemann, Weyl rileva ancora un'inconseguenza, in relazione al suo carattere di geometria differenziale; la possibilità cioè, in base alla formula dell'elemento lineare, di confrontare anche lunghezze a distanza finita l'una dall'altra; in altri termini l'invarianza del campione di lunghezza. La connessione metrica di Weyl è invece limitata a una legge di trasporto delle lunghezze da un punto ai soli suoi infinitamente vicini: due lunghezze elementari l e l + dl uscenti dai punti (x) e (x + dx) si dicono congruenti quando dl = − lΣϕidxi, dove le ϕ sono funzioni del luogo. Alla forma quadratica esprimente il ds2 si aggiunge così, come ulteriore forma fondamentale, la forma lineare Σϕidxi; e il vettore (covariante) ϕi viene usato da Weyl nella sua teoria unitaria come potenziale elettromagnetico.
Altre generalizzazioni sono dovute a J. A. Schouten, A. S. Eddington, e alla scuola di Princeton (projective geometry of paths di Eisenhart, Veblen e loro collaboratori).
Dal 1923 la nozione di spazio a connessione affine è stata ripresa e generalizzata in numerosi lavori da E. Cartan, il quale designa con questo nome ogni Vn che nell'intomo del 1° ordine di un suo punto generico si possa considerare come uno spazio affine, e per la quale inoltre, per ogni coppia di punti infinitamente vicini P, P1, sia data una legge di raccordo fra i loro intorni, in forma di rappresentazione affine dell'intorno di P1 sullo spazio tangente a Vn in P (e precisamente sull'intorno di un punto di questo spazio infinitamente vicino a P). Per questi spazî più generali il Cartan ha introdotto, accanto alla curvatura, un nuovo carattere, la torsione, collegantesi anch'essa a un importante tensore, e che per gli spazî di Riemann e Weyl è nulla, in dipendenza della simmetria della loro connessione. Invece gli spazî comunque distorti, ma a curvatura nulla, sono dotati (come gli spazî euclidei) di parallelismo assoluto. Come ulteriore estensione di questi spazî a connessione affine il Cartan ha studiato gli spazî a connessione proiettiva (con rappresentazione proiettiva dell'intorno di P1 sullo spazio tangente in P), e quelli a connessione conforme; e, più oltre ancora, realizzando la più vasta sintesi che in questo indirizzo sia stata finora raggiunta, ha posto le basi della teoria degli spazî non olonomi a gruppo fondamentale G qualsiasi, che, rispetto agli spazî del Klein od olonomi, relativi al medesimo gruppo, stanno come gli spazî riemanniani rispetto a quelli euclidei.