geometria
geometria parte della matematica che studia le figure, lo spazio in cui sono inserite e le loro proprietà, relazioni e trasformazioni.
Secondo lo storico greco Erodoto (v secolo a.C.) l’origine della geometria (dal greco geometría, letteralmente: «misura della terra») si deve far risalire agli antichi egizi. Poiché il Nilo, centro e cuore dell’Egitto, straripava tra luglio e ottobre e invadeva con le sue acque gran parte del territorio, modificandone così la conformazione e l’estensione, ogni anno era necessario misurare nuovamente le superfici in modo che ogni abitante pagasse il giusto tributo. La geometria nasce indubbiamente come una scienza pratica ed è certo il ruolo avuto dagli egizi nelle origini di questa disciplina: la costruzione stessa delle piramidi, a base quadrata, dimostra come essi fossero in grado di progettare e costruire edifici con angoli retti e avessero quindi una conoscenza empirica del teorema di Pitagora. Tuttavia, conoscenze geometriche pratiche erano diffuse anche fra le popolazioni della Mesopotamia: i sumeri e gli assiri. Si trattava di conoscenze non sistematiche, utili per viaggiare, in mare o in terra, e per regolare i cicli dell’agricoltura. Per prevedere, per esempio, quando ci sarebbero state le piene del Nilo e preparare la seminazione, occorreva infatti avere un calendario affidabile e quindi studiare il moto del Sole. Così, per orientarsi nei viaggi per via di terra o di mare occorreva osservare il movimento delle stelle e loro particolari configurazioni: le costellazioni. Si dovettero quindi formare caste specializzate di scribi, sacerdoti, astrologi, figure diverse che studiavano il modo di raccordare ai cicli della natura e alle regolarità visibili nel tempo e nello spazio forme di organizzazione produttiva e sociale sempre più complesse. Nelle civiltà mesopotamiche e nell’antico Egitto tali conoscenze rivestivano grande importanza non soltanto per motivi pratici, ma anche per il loro legame con credenze di tipo magico o religioso. Non sembra per contro che tali civiltà avessero elaborato un quadro teorico generale nel quale inserire tali frammentarie conoscenze.
Nonostante il debito innegabile che essa ha nei confronti delle civiltà mediorientali, è nella cultura greca, a partire dal vii secolo a.C, che ha inizio il processo di sistemazione teorica della geometria, caratterizzato da una crescente astrazione: la geometria diventa una scienza. Primo artefice di tale trasformazione fu Talete di Mileto, di cui non è rimasto alcuno scritto, ma al quale gli antichi filosofi greci attribuiscono numerosi teoremi di geometria e risultati notevoli: previde una eclisse solare, scoprì un metodo per determinare l’altezza delle piramidi misurandone l’ombra a quell’ora del giorno in cui l’ombra di un qualunque corpo, agevolmente misurabile, è di lunghezza pari all’altezza del corpo che la proietta e, soprattutto, invitò a studiare le proprietà geometriche fondamentali in astratto. Il processo di progressiva separazione della geometria dai suoi contenuti concreti ed empirici per diventare scienza che studia i rapporti tra forme geometriche e numeri si definisce ancor meglio con Pitagora e la sua scuola per arrivare a compimento con la filosofia platonica.
Tra coloro che maggiormente contribuirono allo sviluppo della geometria classica vi furono Eudosso ed Euclide. Mentre il primo, astronomo oltre che geometra, sviluppò originali tecniche di rettificazione degli archi e di quadratura delle superfici, Euclide raccolse negli Elementi le conoscenze geometriche del tempo secondo un metodo che rimase per secoli modello insuperato per la costruzione di una scienza deduttiva. La geometria di Euclide è costruita a partire da un numero limitato di definizioni (ossia i termini, 23), postulati (5) e nozioni comuni (o assiomi, anch’essi in numero di 5). Mentre le prime riguardano gli enti geometrici primitivi come punto, retta, piano che sono astrazioni di entità materiali oggetto dell’esperienza quotidiana e ambientati nel piano o nello spazio abituale («il punto è ciò che non ha parti», «una linea è lunghezza senza larghezza») e i secondi sono enunciati relativi a questi enti («è postulato che tutti gli angoli retti sono uguali tra loro»), le nozioni comuni sono da Euclide ritenute enunciati di carattere generale, di tutta evidenza per chiunque, incontrovertibili e non soggetti a interpretazioni, come per esempio «cose uguali a una medesima sono uguali tra loro» oppure «il tutto è maggiore della parte». A partire da enunciati come questi, attraverso una catena di successive deduzioni, Euclide dimostra con rigore tutte le altre proposizioni, che diventano così teoremi. In tal modo fonda il metodo ipotetico-deduttivo, che da allora sarebbe divenuto il metodo principale per l’organizzazione delle conoscenze matematiche, e fornisce una sistemazione organica di quella che oggi può essere definita la geometria elementare, che tratta degli oggetti più immediatamente costruibili sia nel piano (punti, segmenti, rette, circonferenze, angoli) sia nello spazio (piramidi, coni, cilindri, poliedri; la geometria dello spazio tridimensionale è anche detta stereometria). Allo stesso tempo, Euclide non trascura le relazioni che si possono stabilire tra gli oggetti stessi: l’uguaglianza (intesa come possibilità di sovrapposizione delle figure attraverso un movimento rigido), l’equivalenza (intesa come uguaglianza di aree o di volumi al di là delle forme specifiche delle figure) o la similitudine (intesa come uguaglianza di forme al di là delle particolari dimensioni). Nell’impostazione di Euclide, la geometria appare un corpo di conoscenze astratte e interrelate, ma comunque fortemente legate a una realtà visibile e a procedure costruttive. Per Euclide, per esempio, non esiste distinzione tra segmento e retta; egli postula la possibilità di disegnare una linea retta, la cui estensione può essere espansa finché si vuole, ma di cui mai si postula l’infinità.
Sempre in epoca ellenistica (sec. iii a.C.) un altro contributo fondamentale allo sviluppo della geometria è dovuto ad Apollonio di Perge e al suo trattato Le coniche, in cui l’impostazione sistematica euclidea viene estesa ad altri oggetti geometrici, come ellissi, iperboli e parabole, definite come particolari coniche, cioè particolari sezioni di un piano con un cono.
Una concezione diversa della geometria si deve ad Archimede, per il quale essa non è la scienza della sola riga e compasso, ma è intesa nel senso più ampio di risoluzione astratta di problemi concreti tratti dalla fisica, dalla meccanica o dall’astronomia. Le sue opere non sono le voluminose sintesi dei matematici alessandrini, ma piuttosto delle ricerche monografiche, vere e proprie memorie scientifiche nel senso moderno. Applicando il metodo di esaustione di Eudosso, Archimede giunse a enunciare numerosi teoremi sulle aree e i volumi di figure geometriche e a fornire una notevole approssimazione del valore di π.
L’opera di Archimede segna la fine di una stagione straordinaria del pensiero matematico. Subito dopo si apre un periodo di lenta e progressiva decadenza. La scienza dei romani, infatti, non recherà alcun contributo significativo al patrimonio delle conoscenze della geometria greca, che ci è giunta attraverso le traduzioni degli studiosi arabi.
Nel medioevo, le conoscenze geometriche dell’epoca greca classica e di quella ellenistica furono parzialmente dimenticate quando non del tutto perdute. Lo studio della geometria classica riprese nel Quattrocento e Cinquecento favorito dalla riscoperta e dalla pubblicazione di testi della letteratura greca e latina. Numerose furono le edizioni delle opere di Euclide, Apollonio e Archimede. Ma per la matematica, la rinascita degli studi riguardò gli aspetti numerici e algebrici prima ancora che quelli geometrici: la vera novità dell’epoca era il sistema numerico posizionale indoarabo. Solo verso la fine del Cinquecento e nel corso del Seicento la geometria conobbe nuovi e importanti sviluppi, con l’introduzione della → geometria analitica a opera di P. de Fermat e Cartesio e le prime formulazioni della → geometria proiettiva a opera di G. Desargues e B. Pascal, che troverà una compiuta sistemazione nell’Ottocento nell’opera di C.J. Brianchon e J.-V. Poncelet. Per la geometria analitica, che si fonda sull’applicazione dell’algebra alla geometria, la risoluzione di un problema geometrico si traduce nella risoluzione di un problema algebrico: ciò consente di trattare sistematicamente relazioni geometriche tra figure del piano attraverso relazioni algebriche tra le coordinate associate ai punti. Il metodo delle coordinate cartesiane si rivelerà poi strumento indispensabile per il nascente calcolo differenziale e integrale.
Parallelamente, si deve a G. Monge l’introduzione delle equazioni per la trasformazione delle coordinate e il metodo della doppia proiezione ortogonale per la rappresentazione di un oggetto nello spazio: nacque così la → geometria descrittiva, sviluppatasi poi fino a diventare il ramo principale della geometria dell’Ottocento. Furono due allievi di Monge e L. Carnot, C.J. Brianchon e J.-V. Poncelet, a elaborare una formulazione compiuta della geometria proiettiva, la cui prima esposizione sistematica è costituita dal Trattato delle proprietà proiettive delle figure (1822) di Poncelet. Elemento teorico centrale di questa nuova forma di geometria è il principio di dualità, secondo il quale ogni teorema nel piano riguardante punti e rette corrisponde a un altro teorema in cui punti e rette sono tra loro scambiati (un primo esempio di teoremi duali in geometria piana è costituito dai teoremi di → Pascal e → Brianchon). Altri concetti caratteristici della nuova geometria sono quelli di elementi impropri (punti, rette, piani all’infinito considerati come elementi al pari di quelli al finito). A partire dai lavori di Poncelet la geometria proiettiva conobbe nel corso dell’Ottocento uno straordinario sviluppo. Poncelet riteneva che la geometria proiettiva costituisse uno sviluppo peculiare della geometria sintetica, cioè dello studio delle proprietà delle figure indipendentemente dall’applicazione dell’algebra, come era usuale nella geometria analitica.
Se i matematici del Settecento, in particolare Eulero, rivolsero per primi l’attenzione alle proprietà “locali” delle curve e delle superfici, applicando a tale studio le prime tecniche del calcolo differenziale, è nell’Ottocento che la → geometria differenziale si sviluppò autonomamente come branca disciplinare, con i lavori di C.F. Gauss e B. Riemann. Quest’ultimo, con la famosa dissertazione Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria (1854), formulò in termini generali le nuove concezioni della geometria indicando le vie che le ricerche fisico-matematiche avrebbero dovuto seguire negli anni a venire. Oggetto della geometria sono, secondo Riemann, le proprietà delle → varietà n-dimensionali. Riemann sviluppò l’idea di una geometria intrinseca delle varietà, in cui le proprietà geometriche possano essere espresse senza far ricorso alla geometria dello spazio ambiente, tema questo tipico della geometria differenziale. Allo stesso tempo, la nozione di superficie di Riemann, insieme con gli studi sulle curve algebriche, diede origine alla → geometria algebrica.
Tutte le specializzazioni geometriche affermatesi tra il xxvii secolo e gli inizi del xix, pur riguardando problemi diversi e avvalendosi di metodi di indagine nuovi, rimanevano però all’interno della classica impostazione euclidea, considerata la base solida sulla quale fondare le ricerche più approfondite. Tale impostazione entrò in crisi nel corso dell’Ottocento, dopo che, per vie indipendenti, il russo N. Lobačevskij e l’ungherese J. Bolyai mostrarono che era possibile costruire una geometria in cui non valesse l’assioma della parallela: nascevano così le cosiddette → geometrie non euclidee. L’impossibilità di ricorrere per la verifica all’evidenza empirica delle proposizioni geometriche giustificò l’esitazione di molti matematici di fronte alle nuove geometrie. Le resistenze e l’aperta ostilità cominciarono a venire meno solo quando si riuscì (con E. Beltrami e F. Klein per primi) a trovare un modello interpretativo euclideo degli enunciati della geometria iperbolica, ovvero quando si riuscì a dimostrare la coerenza logica delle geometrie non euclidee mediante la costruzione di modelli all’interno della stessa geometria euclidea e della geometria proiettiva.
Di fronte allo straordinario sviluppo delle teorie e al moltiplicarsi di esse, si affermò una crescente esigenza di ritrovare un assetto unitario della disciplina, capace di dar conto delle varie teorie e dei loro fondamenti. Questa consapevolezza critica è all’origine del cosiddetto programma di → Erlangen, formulato nel 1872 dal matematico tedesco F. Klein, che mise in luce l’identità sostanziale delle varie discipline geometriche dal punto di vista delle idee generali che stanno a loro fondamento. Da questo momento la geometria e il suo impianto ipotetico-deduttivo cominciarono a essere concepiti come un sistema nel quale si possono scegliere con una certa libertà i principi fondamentali: gli enti geometrici non sono più considerati come ispirati da realtà empiriche, ma come entità astratte caratterizzate da proprietà che sono di volta in volta postulate per essi e che si possono definire in maniera indipendente dall’intuizione comune.
In termini astratti, una geometria è così definita mediante un insieme S (spazio della geometria) e un gruppo di trasformazioni G di S (gruppo fondamentale della geometria). Un medesimo spazio può costituire l’ambiente di diverse geometrie a seconda della scelta del gruppo fondamentale, perché il tipo di trasformazioni che costituiscono il gruppo determina il tipo di figure (sottoinsiemi dello spazio) da considerarsi equivalenti. Per esempio, se S è un insieme di punti e il gruppo G è quello delle isometrie, si considerano tra loro equivalenti tutte le figure con uguali misure lineari e angolari: si ottiene così la → geometria elementare (e in particolare se i punti appartengono tutti allo stesso piano si ha la geometria piana, mentre se l’ambiente è l’ordinario spazio tridimensionale si ha la geometria solida). Si ha invece la → geometria simile se il gruppo è il gruppo delle similitudini: saranno in tale caso considerate equivalenti tutte le figure con uguale forma, anche se con dimensioni diverse. Se S è l’insieme delle terne ordinate di numeri reali (non tutti nulli), definite a meno di un fattore di proporzionalità, si ha invece la → geometria proiettiva piana se G è il gruppo delle proiettività; la → geometria affine piana se G è il gruppo delle affinità. Una geometria ha quindi per oggetto lo studio delle caratteristiche delle figure dello spazio a meno di una trasformazione del gruppo fondamentale: per esempio, la distinzione tra coniche degeneri e coniche non degeneri appartiene alla geometria proiettiva; quella in ellissi, iperboli e parabole alla geometria affine (nella quale invece ellisse e circonferenza sono lo stesso oggetto); le nozioni di asse e perpendicolare attengono invece alla geometria metrica elementare.
Alla fine dell’Ottocento i fondamenti della geometria vennero sottoposti a una radicale revisione critica da D. Hilbert, che nei Fondamenti della geometria (1899) propose il primo esempio di teoria assiomatizzata in senso moderno, inaugurando una tendenza che diventerà usuale nella matematica contemporanea.
Nel corso del Novecento, in sintonia con il processo di astrazione che ha caratterizzato tutta la matematica, la geometria ha considerato ambienti spaziali sempre più generali, quali spazi a n dimensioni (con n intero positivo qualunque) o addirittura a dimensione infinita, oppure con “punti” aventi come coordinate numeri complessi; oppure, ancora, spazi con caratteristiche speciali, che si rivelano utili in alcuni settori di indagine (spazi di Banach, di Hilbert, di Hausdorff, spazi normati, spazi metrici...). Alcune specializzazioni relativamente moderne della geometria si sono poi affermate come campi autonomi di studio e si intrecciano con altri settori della matematica, tra i quali in particolare l’analisi e l’algebra: l’→ algebra lineare (che studia ciò che è descrivibile con equazioni lineari definite in un determinato campo), la → geometria algebrica (che all’origine nasce come studio delle curve e delle superfici definite attraverso equazioni algebriche), le → geometrie finite (in cui sono esaminate relazioni spaziali in insiemi finiti), la → topologia (che studia relazioni di vicinanza, connessione e deformazione anche indipendentemente da nozioni di distanza), la → geometria frattale (che studia oggetti per i quali la dimensione non è più soltanto un numero naturale) sono soltanto alcuni degli esempi. Come conseguenza di tale processo di astrazione e generalizzazione, diviene più remoto il legame della geometria con l’abituale intuizione spaziale e con la visualizzazione diretta di proprietà e risultati; viceversa, settori diversi della matematica si appellano a qualche forma di intuizione geometrica connotando come spazi gli ambienti in cui si collocano i loro oggetti di studio (come, per esempio, lo spazio degli eventi in probabilità).