Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso dell’Ottocento vengono create nuove geometrie, in cui non vale il postulato euclideo delle parallele. Artefici di questa vera e propria rivoluzione nella nostra concezione dello spazio sono Lobacevskij, Bolyai e Riemann. Le loro idee si affermano negli ultimi decenni del secolo, dopo la costruzione di modelli euclidei che legittimano le nuove geometrie.
Negli Elementi Euclide definisce parallele “rette nello stesso piano che, prolungate indefinitamente da una parte e dall’altra, non si incontrano da nessuna parte” e dimostra (libro I, prop. 27 e 28) che due tali rette, tagliate da una trasversale, formano angoli alterni interni uguali e angoli corrispondenti uguali.
Per dimostrare poi le inverse di queste due proposizioni, Euclide ricorre per la prima volta all’uso del cosiddetto “postulato delle parallele”: “Se una retta, cadendo sopra due altre, forma angoli interni da una stessa parte la cui somma sia minore di due angoli retti, allora le due rette, indefinitamente prolungate, si incontreranno dalla parte in cui gli angoli sono minori di due retti”. Si tratta di un enunciato che non ha certo il carattere di evidenza immediata degli altri postulati euclidei, che stabiliscono fatti intuitivi come l’uguaglianza fra loro di angoli retti o la possibilità di costruzioni elementari, come “tracciare una retta da un punto qualunque a un punto qualunque ”o “costruire un cerchio di dato centro e di dato raggio”. Ecco perché, fin dall’antichità classica, come ci testimonia Proclo nel suo Commento al I libro di Euclide, i matematici cercano invano di dimostrare quel postulato sulla base di un enunciato di natura più evidente. Quei tentativi continuano anche in epoca moderna, fino a tutto il Settecento.
Comune a essi è l’assunzione di un postulato che si rivela equivalente a quello euclideo.
Il tentativo più coerente di dimostrare il quinto postulato è effettuato da Gerolamo Saccheri nell’Euclides ab omni naevo vindicatus (1733). Assumendo i primi quattro postulati euclidei e le prime 28 proposizioni degli Elementi – che sono indipendenti dal postulato delle parallele – Saccheri non riesce tuttavia a dimostrare il postulato euclideo, come erroneamente ritiene. Egli ottiene invece un buon numero di teoremi che lo fanno annoverare, suo malgrado, tra i precursori delle geometrie non euclidee di Lobacevskij. Il suo sforzo è ben presto dimenticato e d’Alembert può scrivere nell’Encyclopédie che “la definizione e le proprietà della retta, così come delle parallele sono lo scoglio e per così dire lo scandalo degli elementi della geometria”.
Altrettanto vani sono i tentativi di Johann Heinrich Lambert, che si serve di ragionamenti analoghi a quelli di Saccheri, e di Adrien-Marie Legendre che, all’oscuro dell’opera di Saccheri, cerca di dimostrare per assurdo che la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a due angoli retti.
Le prime idee di una geometria in cui non valga il postulato delle parallele sono formulate all’inizio dell’Ottocento da Carl Friedrich Gauss.
Invece di pubblicarle, Gauss preferisce affidare le proprie riflessioni a lettere ad amici, pregandoli di mantenere il massimo riserbo per evitare le “strida dei beoti”, come scrive una volta, ossia le proteste se non il ridicolo in cui teme di cadere presso i seguaci di Kant.
Certo, una tale geometria si oppone radicalmente alla nostra intuizione dello spazio; ma, scrive Gauss, “mi sembra che, se prescindiamo dalla sapienza verbale dei metafisici, vuota di ogni significato, sappiamo molto poco o addirittura nulla dell’essenza dello spazio”. Con Ferdinand Karl Schweikart e con Franz Taurinus, entrambi giuristi e matematici dilettanti, Gauss discute di una geometria “astrale”, in cui i triangoli “hanno la particolarità che la somma dei loro tre angoli non è uguale a due angoli retti”. Su esortazione di Gauss, nel 1825 Taurinus dà alle stampe una Teoria delle parallele con, in appendice, formule della nuova geometria che egli chiama “logaritmico-sferica”. Due anni più tardi Gauss pubblica le Disquisizioni generali sulle superfici curve, la grande memoria che segna la nascita della moderna geometria differenziale. Qui Gauss introduce l’espressione di una linea geodetica (cioè la linea di minor percorso tra due punti dati della superficie) e quella della curvatura da un punto di vista intrinseco, senza cioè fare riferimento allo spazio in cui è immersa la superficie. Tra l’altro, Gauss dimostra la relazione che intercorre tra la curvatura e la somma degli angoli di un triangolo geodetico sulla superficie, un teorema che lascia intravedere quanto profondi fossero i risultati delle sue ricerche sui principi della geometria.
Nel 1832 Gauss riceve un volume di un suo antico compagno di studi, Farkas Bolyai, che contiene un’appendice del figlio Janos. In quell’Appendix scientiam spatii absolute veram exhibens il giovane Bolyai sviluppa una geometria indipendente dal postulato delle parallele e ottiene formule di trigonometria piana non euclidea che applica al calcolo delle aree.
Sia Gauss sia Bolyai ignorano tuttavia che da tempo idee analoghe hanno visto la luce a Kazan, in Russia, per opera di Nicolaj Ivanovic Lobacevskij (1793-1856). Annunciato da una breve esposizione del 1826, Lobacevskij pubblica nel 1829 un saggio Sui principi della geometria, al quale fa seguire La geometria immaginaria (1835) e Nuovi principi della geometria, con una teoria completa delle parallele (1835-1838). Ai fini pratici, scrive Lobacevskij nei Nuovi principi, non c’è dubbio che la geometria euclidea sia in accordo coi dati dell’esperienza; ma contrariamente a Kant, che nella Critica della ragion pura aveva affermato “la certezza apodittica di tutti i principi della geometria”, per Lobacevskij i concetti geometrici non sono che “costruzioni artificiali della nostra mente, tratte dalle proprietà del movimento”, che è la sola cosa di cui abbiamo cognizione in natura. Non c’è dunque alcuna contraddizione nel supporre che “talune forze della natura seguano una geometria, altre una loro particolare geometria”. Nei Nuovi principi Lobacevskij sviluppa la geometria assoluta, indipendente dal quinto postulato e tratta poi la congruenza dei triangoli, tenendo distinte le due ipotesi che la somma degli angoli sia minore o uguale a due angoli retti. A questo punto Lobacevskij enuncia la proposizione fondamentale: “le linee che escono da un punto o intersecano una data retta nel medesimo piano, oppure non si incontrano mai con essa, per quanto vengano prolungate”. Tra queste ultime figurano le parallele, che costituiscono per così dire il passaggio tra le rette secanti la data retta e quelle divergenti.
Lobacevskij introduce poi l’angolo di parallelismo p(p) relativo a un segmento p di perpendicolare come “l’inclinazione di una linea rispetto alla perpendicolare a un’altra, parallela alla prima”.
Se p(p) è retto si ha l’ordinaria geometria, se è minore di un angolo retto si ha la geometria immaginaria. In quest’ultimo caso, egli ottiene le stesse relazioni e identità trigonometriche trovate indipendentemente prima da Taurinus e poi da Bolyai.
Anche se un suo volume di Ricerche geometriche sulla teoria delle parallele esce in traduzione tedesca nel 1840, i lavori di Lobacevskij (e di Bolyai), pur apprezzati da Gauss, passano quasi inosservati e finiscono ben presto per essere dimenticati.
Nella sua lezione di abilitazione Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria (1854), rimasta a lungo inedita, Riemann presenta alcune idee destinate a trasformare profondamente la natura stessa della geometria. Egli introduce il concetto di varietà a più dimensioni e di metrica su una varietà, distinguendo tra i rapporti d’estensione e quelli metrici.
A tale distinzione corrisponde un’analoga distinzione tra l’illimitato e l’infinito. Ispirandosi alle ricerche di Gauss sulle superfici, Riemann definisce poi il concetto di geodetica e di curvatura per le varietà. “Che lo spazio sia una varietà tridimensionale illimitata” è un’ipotesi confortata dall’esperienza, dice Riemann, ma “non ne segue affatto che lo spazio sia anche infinito”; anzi, lo spazio sarebbe necessariamente finito se la sua curvatura avesse un valore positivo, per quanto piccolo. Si affaccia così la possibilità, sistematicamente esplorata da Felix Klein a partire dal 1871, di una nuova geometria non euclidea, diversa da quella di Bolyai e Lobacevskij.
Nella geometria di Riemann vengono meno non solo il quinto postulato (non esiste nessuna parallela per un punto esterno a una retta data), ma anche l’infinità della retta.
Dopo il 1860, in seguito alla pubblicazione dell’epistolario di Gauss e della lezione di Riemann, cominciano a diffondersi le nuove idee geometriche. Un contributo decisivo alla loro affermazione viene da Eugenio Beltrami che in un articolo del 1868 mostra come gli enunciati della geometria di Lobacevskij si possano interpretare in un modello euclideo. Analoghi modelli sono poi esibiti da Klein e Poincaré. Le nuove geometrie catturano la fantasia e l’immaginazione di un vasto pubblico e alimentano discussioni e polemiche di ogni sorta. Solo con la fine del secolo le geometrie non euclidee entrano a far parte stabilmente del patrimonio della matematica.