Geopolitica
Fra gli anni Ottanta e Novanta del 20° sec. la produzione geopolitica è stata condizionata in modo determinante da due fattori. In primo luogo, l'eredità della ancora persistente condanna della g. classica della scuola tedesca, in particolar modo della Zeitschrift für Geopolitik di K. Hausofer; in secondo, ma non meno importante, l'uso indiscriminato del termine attraverso i media a partire dal 1991, con la conseguente progressiva adozione dello stesso in ogni ambito delle 'relazioni internazionali'. La fine della guerra fredda e il collasso dell'Unione Sovietica costituiscono in larga misura gli eventi-chiave in funzione dei quali la g. è tornata ad acquisire un ruolo determinante, anche in ambito accademico, a partire dalla fine degli anni Ottanta. In Italia le tradizionali resistenze dei geografi hanno favorito lo sviluppo degli studi di g. perlopiù al di fuori del tradizionale ambito degli studi geografici. È stato quindi il nuovo contesto degli studi in materia di 'relazioni internazionali' ad accogliere la g. come nuova quanto ancora incerta disciplina.
La mancanza di una univoca e universalmente accettabile definizione della g., infatti, ha sostanzialmente determinato l'impossibilità di una collocazione più precisa e stabile all'interno dell'alveo della geografia o, alternativamente, della scienza politica. è interessante notare come V.D. Mamadouh (1998), prendendo in esame in larga parte la produzione dei geografi, cerchi di tracciare l'evoluzione della g. dagli anni Settanta agli anni Novanta attraverso una classificazione di quattro 'scuole': g. neoclassica, g. sovversiva, non-g. e g. critica, ponendole in diretta relazione con la g. classica.
Nella g. neoclassica il valore strategico di specifici attributi del territorio gioca il ruolo dominante. È questo l'ambito in cui prende forma la geostrategia, con una forte caratterizzazione strategica e militare intimamente connessa alle necessità e alle impellenze degli studi in materia nel corso di gran parte della guerra fredda. È la decolonizzazione peraltro, con la creazione dell'asse dei Paesi non-allineati, a determinare il peso di una concezione neoclassica della geopolitica. Il territorio, le sue peculiarità nonché gli effetti che questi determinano sulla politica degli Stati divennero così il perno della geopolitica. La g. neoclassica si distingue dalla g. classica essenzialmente nel non riconoscere più lo Stato come un organismo vitale e nel considerare i confini come elemento stabile e immutabile. La politica estera dello Stato si articola attraverso azioni e strategie atte non più a espandere lo spazio, ma piuttosto a perseguire la protezione e l'incremento di una nuova quanto non meglio classificabile gamma di interessi: l'interesse strategico, quello nazionale, quello economico. e così via. La politica di potenza non viene meno, cambia lo strumento, trasformandosi in deterrenza. È nell'ambito della g. neoclassica che trova forma, accanto alla geostrategia, la geoeconomia. L'analisi dello sviluppo, la collocazione e lo sfruttamento delle risorse, le reti di trasporto e le dinamiche dell'economia mondiale - sebbene non ancora 'globalizzata' - divengono conseguentemente uno strumento accessorio della geopolitica.
La g. sovversiva è da porsi in relazione all'ascesa in Francia, negli anni Settanta, di una nuova corrente di geografi di forte ispirazione maoista. L'antimperialismo, il postcolonialismo e una più generale opposizione alla guerra fredda in quanto espressione del potere delle superpotenze, portò la gran parte dei geografi francesi ad auspicare una più incisiva attività della geografia politica, in contrapposizione alla geografia applicata. È in questo alveo che il geografo francese Y. Lacoste, uno dei più celebri autori della scuola francese, fondò nel 1976 la rivista Hérodote, che dal 1982 aggiunse il sottotitolo di Revue de géographie et de géopolitique. Secondo Lacoste il concetto di g. viene ad assumere la connotazione plurale di 'geopolitiche', in quanto vi sono tanti punti di vista quanti sono i protagonisti. Lo Stato viene così a perdere il monopolio sulla g., in funzione del ruolo di attori terzi, quali le società multinazionali e i gruppi economici in genere, gli enti locali o regionali, i gruppi etnici o religiosi ecc., ognuno dei quali ha interessi su aree o ambiti specifici particolari. Si determina quindi una rappresentazione della g. basata sui conflitti territoriali, e non già tra Stati, dove assume importanza fondamentale la dimensione interna ed esterna delle attività dello Stato. Sempre secondo lo studioso francese, i conflitti possono essere anche interni allo Stato, e relativi al suo diretto territorio, escludendo la necessità di una dimensione internazionale o interstatuale.
La non-g., secondo la classificazione proposta da Mamadouh, corrisponderebbe al rifiuto della g. classica da parte di molti geografi europei. Soprattutto tra gli anni Settanta e Ottanta, infatti, un gran numero di geografi criticava l'abuso di nozioni geografiche in seno alla g., chiedendo al tempo stesso un ritorno alla geografia classica o, in alternativa, alla geografia delle relazioni internazionali. Si trattava, in sostanza, del tentativo di ristabilire il primato della geografia politica assimilando la g., e soprattutto attraverso il riconoscimento del carattere scientifico esclusivamente alla prima. Questi stessi geografi, poi, identificarono la g. come un tentativo dello Stato - sebbene non meglio specificato - e soprattutto delle forze armate, di acquisire una disciplina per plasmarla a uso della strategia. La g., quindi, doveva tornare a occuparsi dello studio della distribuzione dello spazio tra gli Stati, soprattutto tra le due superpotenze o gli attori sopranazionali come le Nazioni Unite e la NATO. Non già una disciplina a sé stante ma, al contrario, una specifica metodologia delle relazioni internazionali. Anche in questo caso la pubblicazione di una rivista scientifica, la Political geography quarterly, rappresentò lo strumento prioritario di divulgazione a livello internazionale di tale corrente di pensiero.
La g. critica, infine, si sviluppò negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni Ottanta. Partendo dall'analisi della 'dialettica', e quindi anche attraverso l'analisi del modo in cui comunicano tra loro i grandi sistemi politici, essa si orientò progressivamente in direzione della valutazione complessiva delle grandi dinamiche spaziali, politiche e sociali. G.Ó Tuathail, uno dei più autorevoli autori nel campo, distingue tre dimensioni della g. critica: il disassemblamento delle tradizioni geopolitiche e della dialettica contemporanea, e l'esplorazione del significato dei concetti di spazio quali 'luogo' e 'politica'. Egli identifica successivamente le tre tipologie della g. popolare (essenzialmente connessa ai media), della g. pratica (la politica dello Stato) e della g. formale (la produzione scientifica dell'accademia e della ricerca in genere). A margine di tale partizione, sempre secondo Ó Tuathail, dovrebbe essere riconosciuta una 'g. dell'immaginazione', dove poter includere tutte le visioni o le aggregazioni spaziali e politiche slegate da reali elementi territoriali, etnici o ideologici. Traspare chiaramente in quest'ultima classificazione la peculiare visione di Ó Tuathail (1996) con riferimento alla concezione britannica dell'Irlanda del Nord.
Con la g. critica, quindi, la critica delle teorie universalistiche porta nuovamente alla ricerca del primato della geografia sulla geopolitica. Lo spazio lascia il posto al luogo. Si tratta di una distinzione rilevante nella quale l'identità, la cultura, il localismo ecc. acquisiscono un nuovo e più profondo significato rispetto al mero concetto di uomo. Come affermano D. Gregory e J. Urry (1985), i luoghi sono considerati ormai non già - e non solo - come un'arena dove si svolge la vita sociale, ma un mezzo attraverso il quale le relazioni sociali si producono e riproducono. Con la g. critica acquista peraltro particolare importanza lo studio dei nuovi campi, ossia dell'ecologia politica e dei conflitti per le risorse, dei conflitti territoriali e di confine, della globalizzazione e delle nuove relazioni internazionali, e infine dei conflitti regionali e dei nuovi movimenti sociali. Nuovi orizzonti, geografici la maggior parte delle volte, atti a suggellare una trasformazione e un'impronta orientata più alla dimensione sociale, e di conseguenza complessiva, piuttosto che meramente espressione del potere politico.
Ciò che ha determinato una profonda modificazione della g., quindi, oltre al venir meno dell'interesse per il determinismo storico e geografico e alle profonde modificazioni degli assetti politici del pianeta, è da attribuirsi sostanzialmente all'evoluzione dell'importanza che è stata progressivamente riconosciuta al ruolo dell'uomo e alla sua capacità, contrariamente a quanto postulato in passato, di influire sulla natura e sull'ambiente, interagendo con essi in modo autonomo e non subordinato. Non è più plausibile, quindi, considerare i popoli e le nazioni come degli attori in balia dell'ambiente entro il quale si trovano a dover sviluppare la loro azione e, soprattutto, come automi inanimati, soggetti passivi delle scelte politiche imposte dai rispettivi governi. Il ruolo umano, inteso soprattutto come fattore sociale, costituisce ormai la reale chiave interpretativa del pensiero geopolitico. Una chiave capace di per sé di fornire una vasta gamma interpretativa e di modelli comportamentali tali da poter essere combinati con i tradizionali fattori endogeni caratteristici degli studi geopolitici.
Sempre più quindi, come sostiene P. Claval, la g. fornisce l'insieme delle informazioni che chiariscono le decisioni prese da attori immersi nell'avvenimento e indica a chi si inserisce in una evoluzione politica complessa quali siano gli interessi, le ambizioni e le rappresentazioni in gioco. Per tale ragione la g. tende a distinguersi dalla scienza politica, che si concentra sugli equilibri di forza del settore politico e sulla loro capacità di modificare l'ambiente. L'attenzione verso gli aspetti prettamente umani nella scienza politica è attenuata, anche se pur sempre rilevante, rispetto alla g., che, di contro, su essi basa gran parte della propria struttura.
bibliografia
Social relations and spatial structures, ed. D. Gregory, J. Urry, London 1985, pp. 1-8.
Y. Lacoste, Géopolitique de la France, in Hérodote, 1986, 40.
G. Ó Tuathail, Problematising geopolitics: survey, statemanship and strategy, in Transactions of the Institute of British geographers, 1994, 19, pp. 269-72.
G. Ó Tuathail, Critical geopolitics: the politics of writing global space, Minneapolis 1996, pp. 12-28.
V.D. Mamadouh, Geopolitics in the nineties: one flag, many meanings, in GeoJournal, 1998, 46, pp. 237-53.
P. Reuber, Conflict studies and critical geopolitics-Theoretical concepts and recent research in political geography, in GeoJournal, 2000, 50, pp. 37-43.