Geopolitica
Non esiste una definizione universalmente accettata di geopolitica, anche se, come dice lo stesso nome, si tratta di una disciplina che studia l'influsso che i fattori geografici hanno sulla politica degli Stati - in particolare sulla politica estera, ma non solo su quella - e quindi sulla storia delle varie entità politiche e dell'insieme dell'umanità.
Incerte sono le differenze fra la geopolitica e la geografia politica applicata da un lato e fra la geopolitica e la geostrategia dall'altro. Tali termini, infatti, vengono frequentemente impiegati come sinonimi di geopolitica.
Esistono una concezione 'allargata' e una concezione 'ristretta' di geopolitica (v. Strassoldo, 1985). Nell'accezione allargata la geopolitica è sinonimo di geografia politica applicata e studia i condizionamenti e le influenze esercitati dai fattori geografici sulla politica - soprattutto estera - degli Stati.
L'accezione ristretta si riferisce essenzialmente alla Scuola tedesca di Monaco di Baviera degli anni 19201945, che ha inteso la geopolitica come una vera e propria scienza che studia il condizionamento deterministico esercitato dai fattori geografici, in particolare da quelli spaziali, sulla politica. Questa concezione era collegata a particolari dottrine politiche, quali quelle della 'politica di potenza', dello Stato come organismo vivente, dell'autarchia e della nazione come entità naturale indipendente dallo Stato, di natura sostanzialmente astorica. La geopolitica si proponeva di fornire allo Stato una "coscienza geografica", che Portinaro (v., 1982) considera una "geologia della politica", e pretendeva di individuare gli interessi nazionali e le direttrici 'naturali' di espansione, fornendo in tal modo alla politica obiettivi e strategie. Di fatto si rivelò strumento di giustificazione e di propaganda di un determinato progetto politico, quello cioè della rivincita tedesca dopo la sconfitta subita nella prima guerra mondiale. Per questo la geopolitica di Haushofer è fortemente ideologica. Non è eccessivo dire che, nonostante il suo intento scientifico, avesse la tendenza a trasformarsi addirittura in una metafisica (v. Gallois, 1990). La geopolitica diveniva nomotetica, cercando di conferire un fondamento naturalistico alla politica, sulla base di un determinismo ambientale.
La distinzione fra le due accezioni non è però netta. Anche la Scuola geopolitica di Monaco di Baviera degli anni venti-trenta, che ha dato l'interpretazione più deterministica della geopolitica, ponendola al servizio dei progetti di rivincita tedesca prima e del nazismo poi, è stata estremamente ambigua al riguardo. Il suo principale esponente, Karl Haushofer, ha sostenuto infatti che la geopolitica interviene con una propria individualità solo dopo che è stata assunta un'idea politica. La definizione proposta dalla commissione costituita dalla redazione della rivista "Zeitschrift für Geopolitik": "La geopolitica è la scienza che studia i fatti politici rispetto alla loro dipendenza dall'ambiente geografico", riportata nel Dizionario di politica, a cura del Partito Nazionale Fascista, vol. II, Roma 1940, p. 250, e quella data da Haushofer: "La geopolitica è il fondamento scientifico intorno all'arte dell'attività politica nella lotta per l'esistenza che conducono gli Stati rispetto alla superficie che è loro necessaria" (ibid.) differiscono fra di loro per semplici sfumature. Mentre nella prima fra geografia e politica viene tracciata una relazione di quasi causalità, nella seconda viene indicata una relazione più sfumata e al tempo stesso più complessa, in cui la geopolitica diventa una 'geografia dell'uomo di Stato'.
A parte le due definizioni estreme su cui ci siamo finora soffermati, ne esistono innumerevoli altre, tra cui ricordiamo quella di Ernesto Massi (v., 1986, p. 7), condirettore della rivista "Geopolitica", pubblicata a Milano tra il 1939 e il 1942: "La geopolitica è la scienza che studia i fatti politici nella loro dipendenza dall'ambiente geografico"; quella del generale Jordis von Lohausen (v., 1979): "La geopolitica è la disciplina che studia i rapporti fra gli spazi geografici e la potenza politica e militare"; e infine quella dell'Oxford dictionary: "La geopolitica è lo studio dell'influenza della geografia sul carattere politico degli Stati, sulla loro storia, sulle istituzioni e soprattutto sulle relazioni con gli altri Stati".
Altre definizioni che possono contribuire a una maggiore comprensione del termine sono quella elaborata dal Gruppo di ricerca sulla geostrategia della Fondation pour les Études de Défense Nationale, secondo cui "la geopolitica studia le zone di influenza, mentre la geostrategia ha come oggetto principale lo studio delle zone cuscinetto che proteggono le zone di influenza" (in "Stratégique", 1991, n. 50, p. 88) o quella di Yves Lacoste (v., 1991) che, riprendendo per certi versi le concezioni di Carl Schmitt sul 'senso dello spazio', ha proposto di riferire la definizione di geopolitica al dibattito interno ai vari Stati sulla rispettiva politica estera, e quella di geostrategia ai rapporti fra gli Stati, soprattutto alle loro relazioni competitive nel campo della politica estera e di sicurezza.
La geopolitica non si riferisce solo alla politica estera, ma anche a quella interna: tra di esse esistono strette relazioni e spesso rapporti di subordinazione della prima rispetto alla seconda. Geopolitica interna è la disciplina che studia il modo in cui gli Stati esercitano il dominio sul loro territorio e l'organizzano.
Il significato e la natura della geopolitica dipendono dalle relazioni che si presuppongono esistere fra uomo e ambiente. Esse possono essere di cinque tipi (v. Sprout e Sprout, 1957): il determinismo, il possibilismo e il probabilismo ambientali, il comportamentismo cognitivo e l'ambientalismo di libera volontà. Nel determinismo ambientale l'uomo non ha scelta: la storia e la politica sono determinate dalla geografia, dal clima, ecc. Secondo il possibilismo ambientale, l'ambiente è una specie di matrice che limita i risultati operativi delle azioni. Dice più quello che non si può fare che quanto si può fare. Tali limitazioni sono però modificabili con la tecnologia. Il probabilismo ambientale associa un valore di probabilità a ciascuna delle possibilità offerte dall'ambiente. Si tratta di una probabilità soggettiva, calcolata sulla base della generalizzazione delle esperienze passate e del sistema di valori di chi la formula. Il comportamentismo cognitivo afferma che una persona reagisce all'ambiente nel modo dettatole dalla sua cultura e dalla sua esperienza. Quello che influisce sulla decisione non è l'ambiente, ma il modo in cui s'immagina e si concettualizza l'ambiente. Il 'senso dello spazio' di Carl Schmitt costituisce un'applicazione di questa interpretazione delle relazioni anche indirette esistenti fra l'ambiente e l'azione umana. Secondo l'ambientalismo di libera volontà, l'ambiente offre una gamma di possibilità alternative d'azione, tra cui chi deve decidere sceglie liberamente la soluzione che ritiene preferibile.
Mentre la prima interpretazione dei rapporti fra ambiente e uomo corrisponde alla definizione 'ristretta' di geopolitica, le altre sono coerenti con la definizione 'allargata' del termine e sono compatibili, se non addirittura complementari, fra loro. Ad esempio, nell'individuazione delle opzioni decisionali possibili predomina sicuramente quel tipo di approccio che gli Sprout denominano "possibilismo ambientale". Nella scelta della linea d'azione da seguire si utilizzano invece, almeno implicitamente, criteri stocastici, così come prevede il probabilismo ambientale. Sulla definizione delle probabilità soggettive, nonché sulla valutazione degli effetti di ciascuna opzione alternativa, influiscono la cultura e l'esperienza (non solo storica) di chi decide, oltre alla geografia e al suo impatto sull'individuo. Ciò è in linea con gli assunti del comportamentismo ambientale.
In ogni caso, la trasformazione del dato geografico in un dato politico, ad esempio ai fini dell'individuazione delle possibili capacità, richiede sempre un momento progettuale. È infatti senza significato parlare di capacità in astratto. Le capacità sono sempre capacità di fare qualcosa e quindi possono essere valutate solo in relazione a fini politici ben precisi, la cui definizione è sicuramente influenzata dalle percezioni derivate dalla cultura, dalla storia e dalla geografia. La concettualizzazione dello spazio è politica, non geografica.
Taluni ritengono che sarebbe corretto limitare l'utilizzazione del termine geopolitica ai lavori della Scuola tedesca di Monaco e di quelle che vi si ispirano, soprattutto in Italia e in Giappone. Ciò è peraltro reso impraticabile dal successo che il termine geopolitica ha avuto negli ultimi anni nel linguaggio comune, per indicare gli aspetti geografici della politica, cioè le influenze e i condizionamenti dell'ambiente naturale e umano sulle scelte politiche. Va quindi ritenuta l'accezione allargata della geopolitica e, quindi, la relativa indeterminatezza del termine.
Qualsiasi discorso sulle origini e sullo sviluppo della geopolitica è condizionato dall'accezione che viene data al termine. Nella definizione allargata, di geografia politica applicata, è evidente che le origini della geopolitica sono le stesse della politica e della geografia. Risalgono cioè agli albori della storia. La politica, come la strategia o come l'economia, non può prescindere dalla collocazione nello spazio dei fenomeni politici, o strategici ed economici né dalle opportunità o dai condizionamenti posti alle valutazioni e alle scelte dai fattori geografici, sia naturali che antropici. In questo senso, insomma, la storia della geopolitica si identifica praticamente con quella della scienza politica e soprattutto delle relazioni internazionali da un lato, e della geografia politica applicata dall'altro.
Più precise, invece, sono le origini della geopolitica in senso stretto. L'origine immediata della geopolitica va infatti collegata con il grande sviluppo che ebbero le scienze geografiche nel XIX secolo, con le teorie politiche che si affermarono soprattutto in Germania (in particolare quella dello 'Stato potenza') e col successo delle teorie darwiniane sull'evoluzione delle specie viventi, che furono estese per analogia agli aggregati sociali e politici. La geopolitica ha voluto costituire una sorta di dottrina naturale della politica, tentando di dare a quest'ultima una base empirica fondata sulla geografia, con la dichiarata aspirazione a trasformarsi in scienza politica globale. Con ciò si è contrapposta all'hegelismo, allo storicismo e all'economicismo, giudicati insufficienti a spiegare le ragioni profonde delle preferenze e delle scelte politiche, in particolare i motivi della definizione degli interessi nazionali e delle 'grandi strategie' per conseguirli.Il termine geopolitica fu introdotto da un sociologo e uomo politico svedese, Rudolf Kjellen (v., 1916), che sostenne una concezione biologica dello Stato fondata sull'evoluzione, sintesi di cinque componenti coordinate una delle quali era appunto la 'geopolitica'. Le altre erano l''economopolitica', la 'demopolitica', la 'sociopolitica' e la 'cratopolitica'. Kjellen rivestì con i panni delle scienze naturali la concezione organica dello Stato, propria dei politologi tedeschi dell'inizio del XIX secolo, fondendola con la visione di Ratzel sulla natura evolutiva dell'universo e sullo Stato come organismo vivente. Mentre Ratzel aveva precisato che quando paragonava lo Stato a un organismo intendeva impiegare solo una metafora, Kjellen invece sostenne che lo Stato è un vero e proprio organismo dotato di qualità biologiche, come la nascita, lo sviluppo, la vecchiaia e la morte, la cui evoluzione risulta dall'interazione interna e da quella con l'ambiente esterno delle cinque componenti sopra ricordate. Per quanto riguarda più specificamente il contenuto programmatico e propositivo delle sue argomentazioni, Kjellen sostenne la centralità della Germania nell'avvenire del mondo. Infatti egli notava che essa era posta al centro delle grandi aree di crisi e di competizione mondiale: con la Francia a ovest, con la Russia a est, con l'Inghilterra per il dominio dei mercati mondiali.
Per gli esiti della prima guerra mondiale la Germania fu notevolmente ridimensionata sotto il profilo territoriale. Diversi milioni di Tedeschi, per ragioni geostrategiche e in palese contraddizione con il conclamato diritto di autodeterminazione dei popoli, furono incorporati in altri Stati. Le teorie geopolitiche furono considerate - soprattutto dal generale Karl Haushofer (1869-1946) divenuto, con la costituzione dell'Istituto di Geopolitica di Monaco di Baviera, il vero caposcuola se non l'incarnazione stessa del pensiero geopolitico tedesco - come un mezzo per ispirare e stimolare la rivincita della Germania e per guidarla a un nuovo 'assalto' al potere mondiale. Haushofer, pur rifacendosi direttamente a Kjellen, ridusse le sue cinque componenti dell''organismo Stato' alla sola geopolitica, assorbendo sostanzialmente in essa il contenuto delle altre quattro. Egli esaltò l'importanza degli aspetti spaziali e soprattutto del concetto di 'spazio vitale', a suo tempo introdotto da Ratzel e da tutti gli economisti che sostenevano la necessità di un'economia autarchica (Hamilton, List, ecc.; v. Earle, 1986).
Le teorie di Haushofer ebbero particolare successo perché erano funzionali al programma di ricostituzione della potenza tedesca. Influirono, anche se verosimilmente in modo non diretto, sulla formulazione degli interessi nazionali tedeschi e sulla pianificazione della politica di espansione del Terzo Reich. Furono però anche contraddette dalla politica hitleriana (v. Korinman, 1990). Ad esempio, uno degli assunti fondamentali della scuola di Haushofer, quello della necessità che la Germania mantenesse rapporti pacifici con l'Unione Sovietica, fu del tutto ignorato dall'attacco hitleriano del giugno 1941. Le teorie di Haushofer vennero utilizzate per l'azione di propaganda e di educazione della gioventù tedesca e furono integrate nel sistema scolastico-educativo della Germania nazista, divenendo un poderoso strumento di coesione interna e di acquisizione del consenso delle masse. Su Haushofer influirono anche altre concezioni, quale quella geostrategica elaborata dal geografo britannico Halford MacKinder (v. cap. 3).
Come si è detto, la geopolitica ebbe con Haushofer la pretesa di trasformarsi in una vera e propria scienza normativa delle scelte politiche. In realtà, come ampiamente dimostrato, si trattò di una pseudoscienza, uno strumento di propaganda che si avvaleva del potere persuasivo e della possibilità di manipolazione delle rappresentazioni cartografiche, e della strumentalizzazione di dati statistici opportunamente selezionati, attribuendo oggettività e necessità alle conclusioni a cui perveniva. È questa una tentazione costante di qualsiasi uomo di azione che, per propagandare o per giustificare le proprie scelte, tende sempre ad attribuire a esse il carattere di obbligatorietà o di necessità, naturale o divina.
La concettualizzazione dello spazio, le sue delimitazioni, le scale cartografiche e i fattori geografici naturali e umani da prendere in considerazione, insomma tutti gli elementi necessari per 'pensare lo spazio', non possono essere definiti oggettivamente, al di fuori degli interessi, dei progetti e del sistema di valori che ispirano lo studioso, soprattutto quando questi elementi vengono utilizzati per l'elaborazione di scelte politiche, strategiche e anche economiche.
L'impostazione della Scuola geopolitica di Haushofer ebbe successo soprattutto in Giappone e in Italia (v. cap. 4). Il suo determinismo e assolutismo furono oggetto di numerose critiche nella stessa Germania (v. Maull, 1939), ma soprattutto in Francia (v. Ancel, 1938) e anche in Italia (cfr. "Geopolitica", 1939-1942).
Con la sconfitta del nazismo, il termine geopolitica cadde in disuso. Il tentativo di riprendere la pubblicazione della rivista in Germania, nel 1951, si arenò immediatamente. L'attuale utilizzazione del termine geopolitica prescinde dall'affermazione di ogni determinismo ambientale.
Tutti gli storici, i geografi, i sociologi, i politologi, ecc. hanno sempre considerato, implicitamente o esplicitamente, l'influsso dei fattori geografici, sia naturali che umani, sulla politica e sulla storia, sulla distribuzione dei popoli e degli imperi e sulla loro organizzazione politica, sociale, economica e militare.
Le tematiche principali sono state quelle dell'opposizione fra mare e terra, fra popoli nomadi e sedentari, fra popoli montani e marittimi, e quelle relative all'influsso del clima sulle caratteristiche e sugli interessi politici degli Stati. In tal senso, il pensiero geopolitico può essere fatto risalire agli albori della civiltà, alla Bibbia, a Strabone, ad Aristotile, a Erodoto. Esso si sviluppò poi nel XVI e nel XVII secolo, in particolare con Jean Bodin, con Montesquieu e le sue teorie sull'importanza del clima, e con il cardinale Richelieu, che anticipa con il concetto di 'frontiera naturale' quello di 'spazio vitale' (in realtà il concetto di frontiera naturale corrisponde a un obiettivo di autarchia strategica, mentre quello di spazio vitale - Lebensraum - dei geopolitici tedeschi si riferisce a un'autarchia economica).
Geopolitici sono anche i dettagliati rapporti degli ambasciatori veneti, nonché le concezioni dei grandi uomini degli Stati moderni, che concepiscono l'organizzazione degli spazi geografici come strumento di dominio e di potere interno ed esterno. Basti pensare all'urbanistica di Cosimo de' Medici o alla 'geografia volontaria' del Vauban o alle proposte di Friedrich List di costruzione della rete ferroviaria tedesca per consentire alla Germania un'agevole manovra delle forze per linee interne fra ovest ed est, trasformandola in una fortezza, e per estendere la sua influenza all'esterno con linee ferroviarie di penetrazione, prima fra tutte quella fra Berlino e Baghdad.
Geopolitiche sono state anche le teorie mercantiliste, a cui, pur con tonalità e orientamenti diversi, fecero riferimento economisti come Adam Smith, Alexander Hamilton e soprattutto Friedrich List (v. Earle, 1986), fautori di uno sviluppo industriale la cui premessa - per gli ultimi due almeno - era costituita da misure protezionistiche che consentissero di raggiungere una competitività e un'autarchia di base. Geopolitica è anche la tesi del manifest destiny degli Stati Uniti, destinati per influsso e volontà naturali o divini a dominare il continente posto fra l'Atlantico e il Pacifico. Tesi che tanta popolarità ebbe a Washington, soprattutto fra il 1830 e il 1860, e che è poi riecheggiata negli appelli, tanto comuni nella storia americana, alla 'nuova frontiera'.
Tutte queste considerazioni hanno un significato storico, ma non rivestono un interesse attuale, se non del tutto marginale. Infatti, la straordinaria trasformazione dei rapporti fra uomo e natura, derivata dal progresso tecnologico nei settori della produzione, dei trasporti, delle telecomunicazioni e dei sistemi militari, ha modificato non tanto gli aspetti fisici dello spazio - anche se questi ultimi sono stati trasformati, con una rapidità e in una misura sconosciute nel passato, dall'azione dell'uomo, cioè dal sovrapporsi alla geografia naturale di una geografia volontaria: basti pensare al canale Reno-Danubio e a quelli progettati Danubio-Oder e Adriatico-Bratislava - quanto l'importanza del loro impatto sulla politica estera e di sicurezza, sull'economia, ecc. Ad esempio, il passaggio dall'agricoltura estensiva a quella intensiva e l'importanza delle dimensioni 'verticali' della produttività, del know-how tecnologico e del mercato rispetto alle dimensioni 'orizzontali' dell'agricoltura e delle materie prime hanno rivoluzionato il panorama della potenza e della ricchezza mondiali. Parimenti, il progresso tecnologico dei mezzi bellici ha 'deterritorializzato' la strategia sia a livello mondiale, con i missili intercontinentali e le armi nucleari, sia a livello di operazioni regionali. Attualmente le 'armi intelligenti' e i sistemi satellitari e aeroportati di sorveglianza e di acquisizione obiettivi consentono di distruggere un avversario a grande distanza, senza giungere a suo diretto contatto fisico e senza occupare materialmente il territorio su cui è schierato. Alle dimensioni tradizionali del mare e della terra si sono aggiunte quelle aerospaziali, talché taluni studiosi (v. Strassoldo, 1985) hanno sostenuto che la geopolitica militare (o geostrategia) moderna dovrebbe essere incentrata non sul binomio 'terra-mare', come quella tradizionale, ma sul quadrinomio 'terra, acqua, aria e fuoco', già considerato dai filosofi presocratici, dove il fuoco indica le dimensioni temporali, tecnologiche, in altre parole, dinamiche delle relazioni ambiente-tecnologia-politica. Altri ancora (v. Zorzi, 1990) sostengono che le nuove condizioni consigliano di adottare anche in campo geopolitico una griglia interpretativa di tipo newtoniano: spazio, tempo, energia e massa. Nella politica, come nella strategia militare, dovrebbero essere considerate le coppie spazio/tempo ed energia/massa.
A parte i precursori più remoti del pensiero geopolitico, di maggiore interesse per comprendere i problemi attuali sono le teorie globali (che più che geopolitiche sono geostrategiche) formulate nel secolo scorso e nella prima parte di questo secolo da classici come Mahan, MacKinder e Spykman. Alfred Thayer Mahan (v., 1890 e 1898) prende le mosse da una riflessione storica sulle guerre puniche per sostenere l'importanza della potenza marittima per gli Stati Uniti, non tanto come misura di difesa contro la supremazia navale britannica, quanto come strumento di sostegno dell'espansione economica statunitense, sia nell'Atlantico che nel Pacifico. In un certo senso le teorie di Mahan, che spesso riecheggiano in opere di studiosi più moderni e che costituiscono un riferimento (anche corporativo) della potente lobby della US Navy, e in generale di tutte le Marine del mondo (anche di quella sovietica dell'ammiraglio Sergej Gorskov), trasformarono la dottrina Monroe da difensiva e isolazionista in espansionista, interventista e imperialista. Alle teorie di Mahan fece sicuramente riferimento - se non trasse addirittura ispirazione - Ratzel nella sua campagna a sostegno del riarmo navale tedesco promossa dall'ammiraglio Tirpitz a cavallo del secolo.
Il geografo britannico Halford MacKinder (v., 1904, 1919 e 1943) si basò su una premessa differente: il declino dell'assoluta superiorità dell'Inghilterra, che aveva permesso la pax britannica del XIX secolo, di fronte allo sviluppo della potenza della Germania e della Russia, incrementata dall'avvento delle ferrovie che consentiva la mobilità delle energie latenti delle potenze continentali. Aumentando la mobilità strategica in terra e diminuendo il costo dei trasporti, tale sviluppo costituiva una sfida diretta alla superiorità dei trasporti marittimi, fondamento della potenza britannica. MacKinder espresse queste sue preoccupazioni contingenti e le sue proposte sul come frenare e possibilmente arrestare il declino della potenza britannica, elaborando una sintesi storico-universale, a cui le successive schematizzazioni cartografiche attribuirono un carattere di determinismo e di assolutismo verosimilmente molto più radicali delle idee dello stesso autore. L'"asse della storia" è costituito dalla "terra centrale" (heartland), rappresentata dall'"isola del mondo", cioè dalla massa continentale euroasiatica. L'unione della massa continentale, conseguente all'alleanza dei popoli germanici e di quelli slavi, ovvero all'espansione della Germania verso est o della Russia verso ovest, consentirebbe loro di dominare il mondo. Alla potenza della terra centrale si contrappongono due archi di isole e di penisole: uno interno (inner marginal crescent), costituito dalle isole e dalle penisole che circondano il continente euroasiatico, il secondo esterno (outer o insular crescent), formato dalle Americhe, dall'Africa subsahariana e dall'Oceania. Le teorie di MacKinder influirono sulla definizione degli assetti territoriali dell'Europa centrale e orientale stabiliti nei Trattati di Versailles e del Trianon, dando vita a una fascia di Stati cuscinetto per separare la Germania dall'Unione Sovietica, la cui sopravvivenza sarebbe stata garantita dai paesi costituenti l'inner crescent. Sicuramente le teorie di MacKinder (v., 1943) influirono sulla definizione della 'dottrina Truman', di contenimento dell'espansione sovietica dopo il secondo conflitto mondiale, e anche sull'affermazione dell'interesse statunitense - del tutto funzionale al confronto globale Stati Uniti - Unione Sovietica - alla ripresa economica, al rafforzamento e all'integrazione dell'Europa occidentale.
Karl Haushofer e la Scuola geopolitica di Monaco presero le mosse dalle teorie di MacKinder, ribaltandone le conclusioni e fondando il programma di ripresa della Germania sull'alleanza con l'Unione Sovietica, per dividersi la fascia cuscinetto e spezzare l'accerchiamento delle potenze occidentali dell'inner crescent. In sostanza Haushofer collocò la "terra centrale", che è anche il pivot of history, non nell'Asia centrale, come aveva fatto MacKinder, ma nella Germania. Tale politica sembrò riuscire con gli accordi di Monaco prima e con il Patto Molotov-Ribbentrop dopo, ma soprattutto per il fatto che le potenze occidentali, in particolare la Francia, non si erano dotate di un esercito con capacità offensive di invasione della Germania, in grado di garantire la sopravvivenza della fascia degli Stati cuscinetto creati a Versailles per dividere i popoli germanici dalla Russia.
L'americano Nicholas John Spykman (v., 1942 e 1944) si è confrontato con una situazione diversa. La seconda guerra mondiale, così come la prima e, precedentemente ancora, le guerre napoleoniche, aveva dimostrato che la zona di origine delle perturbazioni politiche mondiali era costituita dalla fascia peninsulare dell'Europa occidentale. Anche il dominio giapponese nel Sudest asiatico costituirebbe una minaccia per gli interessi degli Stati Uniti, che sono quindi portati 'naturalmente' a un'alleanza con la Russia e a una politica di presenza, divisione ed equilibrio in tali zone, per evitare l'emergere di una potenza egemone. Questa visione geopolitica, propria della grande strategia americana nel corso del secondo conflitto mondiale, sta riacquistando importanza con la fine della guerra fredda e con il collasso dell'Impero sovietico e della stessa URSS. Le valutazioni iniziali di Spykman furono interpretate in modo distorto nell'immediato dopoguerra, facendo ritenere che esse - invece delle teorie di MacKinder - fossero alla base della dottrina del containment, nonché delle altre dottrine (come quelle del domino, del coupling, del linkage, della continental strategy, dell'horizontal escalation, della maritime strategy, ecc.) che tanto influsso hanno avuto sulla formulazione della politica statunitense nel dopoguerra, più per la loro capacità propagandistica e di penetrazione nei mass media che per il loro contributo sostanziale.
Tra i geopolitici del secondo dopoguerra, anche se spesso non si sono detti e non si sono considerati tali, va ricordato in particolare Saul Cohen (v., 1963), che ha rappresentato la distribuzione spaziale della politica mondiale in termini di nuclei e di fasce discontinue. In questo ha ripreso le tesi di James Fairgrieve (v., 1915), che incentra la sua attenzione sulle 'zone di frattura' (fault zones) interposte fra le potenze egemoniche regionali e fra il blocco marittimo e quello continentale; si è così contrapposto agli studiosi più strutturalisti, che ponendo in rilievo la stretta interdipendenza funzionale di tutte le regioni del mondo, specie di quelle poste in corrispondenza della linea del containment, ne hanno sostenuto la continuità. Sostenitori di questo approccio furono i fautori della teoria del domino, come Walt Rostow e Maxwell Taylor, i quali si schierarono a favore dell'intervento americano nel Vietnam. Saul Cohen propose invece una metodologia multidimensionale (storica, morfologica, funzionale, behaviorista, sistemica e dell'analisi di potenza) per affrontare i problemi geopolitici, convinto appunto che la stessa geopolitica non avesse un'identità specifica propria, ma fosse un centro di attrazione e di catalizzazione di discipline diverse.
Fra gli autori e le idee di questi ultimi decenni vanno inoltre ricordati Colin Gray (v., 1977), che riprende sostanzialmente le teorie di MacKinder, di Spykman e in parte di Mahan; le teorie di Lin Biao sulla contrapposizione fra città e campagna, che tanto influsso ebbero sulle strategie delle guerre rivoluzionarie e che, sotto forme e in contesti del tutto diversi, sembrano essere riprese dalla Chiesa cattolica nella sua politica di evangelizzazione del Terzo Mondo a est e a sud, a premessa della riconquista dell'Occidente materialista, consumista e capitalista; le considerazioni di Zbigniew Brzezinski sull''arco della crisi', esteso dal Marocco all'Asia centrale, che sembrano trascurare le peculiarità regionali e nazionali; infine, le teorie della sovraestensione degli imperi, che riprendono e sviluppano quelle di Arnold Toynbee, la cui più nota formulazione è contenuta nello studio di Paul Kennedy (v., 1987). Esse prendono in considerazione il collasso del mondo bipolare e l'emergere di uno multipolare e di un'incontrollabile diffusione di potenza.
A tali visioni della multipolarità e della frammentazione del sistema globale sono per molti versi connesse la distinzione che spesso viene fatta fra 'centro' e 'periferia' e l'utilizzazione di 'cerchi' concentrici per illustrare le zone di influenza o quelle di interesse politico, economico o strategico dei vari Stati, a livello locale, regionale o globale. Le dimensioni di tali zone dipendono dall'entità della potenza di cui ciascuno Stato dispone e si fondano sull'assunto di un'attenuazione progressiva sia degli interessi che del potere, a mano a mano che ci si allontana dal centro e si va verso la periferia.Il pensiero marxista-leninista ha sistematicamente trascurato l'influsso e i condizionamenti non solo dell'ambiente naturale, ma anche degli altri fattori geografici, fatta eccezione per quelli economici. Infatti, fautore di un altro tipo di determinismo, esso poneva l'economia e non la politica al centro delle relazioni internazionali. Questo è successo, beninteso, più nella teoria che nella prassi politico-strategica di Mosca. Basti pensare alle reazioni all'accerchiamento geografico, proprio dell'esperienza storica russa, o alla tendenza a sviluppare il potere marittimo come mezzo per trasformare l'URSS da potenza regionale a potenza mondiale, sviluppando tematiche molto simili, oltre che a quelle di Mahan, anche a quelle che Ratzel adduceva a sostegno del programma di riarmo navale tedesco di fine Ottocento. D'altronde, la metodologia denominata 'della correlazione delle forze', utilizzata dal vertice politico-strategico sovietico per determinare possibilità e condizionamenti all'azione dell'URSS nel mondo, attribuisce grande importanza all'impatto dei fattori geografici sulle decisioni relative alla definizione degli obiettivi da perseguire nonché alle modalità strategiche con cui conseguirli.In un campo del tutto differente va ricordato che le motivazioni di base dell'istituzione della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio furono di natura squisitamente geopolitica. Per evitare nuovi conflitti tra Francia e Germania si pensò infatti di porre sotto il controllo di un'autorità sovranazionale il carbone e l'acciaio, considerati allora i fondamenti della potenza militare.
Da questa breve rassegna, tutt'altro che esaustiva, delle varie teorie geopolitiche elaborate nel secondo dopoguerra risulta che tutte hanno avuto - come era peraltro naturale - la tendenza a trasformarsi, da analitiche e descrittive, in dottrine normative, di guida e di giustificazione delle decisioni politiche. Risulta inoltre evidente la stretta relazione fra tali elaborazioni concettuali e i problemi contingenti con cui i loro autori hanno dovuto di volta in volta confrontarsi, nonché il carattere quasi sempre giustificativo di progetti politici preconfezionati e talvolta subordinati a finalità di lotta politica interna ai singoli Stati.
Questo costituisce il problema cruciale per una geopolitica che si proponga veramente di contribuire in modo originale alla definizione degli interessi e degli obiettivi politici degli Stati, anziché essere solo meramente giustificativa, cioè strumento di propaganda di decisioni assunte per tutt'altri motivi e in ambiti diversi, che manipolano le opinioni pubbliche al fine di acquisirne il consenso. Tale deformazione è facilitata dalla semplificazione propria delle rappresentazioni cartografiche e dalla loro intrinseca forza persuasiva, simile a quella degli slogans.
La 'nuova' geopolitica ha mutuato vari aspetti da quella precedente, in particolare dalla Scuola tedesca di Haushofer, di cui peraltro, almeno in linea di principio, rifiuta il dogmatismo e il determinismo geografico: l'importanza di approcci globali e sintetici, conseguenti anche al fatto che i parametri considerati trovano una comune base spaziale; l'affermazione della rilevanza della conoscenza dei dati geografici per la politica; le modalità di rappresentazione geopolitica (direzioni, frecce, cerchi, sfumature di colore per inserire sulla carta i dati statistici ritenuti rilevanti), che erano state grandemente perfezionate nell'ambito della Scuola tedesca e che consistono, in pratica, nella sovrapposizione di segni geopolitici alle carte geografiche.
Come negli altri paesi, in Italia la storia della geografia politica applicata è strettamente collegata da un lato con lo sviluppo delle scienze geografiche, dall'altro con quello delle scienze storiche e politiche. La geopolitica, intesa nell'accezione allargata del termine, cioè come geografia politica applicata alla politica estera, al dominio e alla conseguente organizzazione del territorio, e anche come individuazione delle ragioni geografiche degli eventi storici, ha avuto eminenti studiosi: da Giambattista Vico a Melchiorre Gioia, da Domenico Romagnosi a Carlo Cattaneo.
Anche in campo militare vi sono state non banali elaborazioni, non solo per quanto riguarda le tecniche cartografiche, ma anche per la concettualizzazione della geografia strategica, cioè della geografia applicata, che assieme alla storia e alla tecnologia è parte del cosiddetto 'trivio' della scienza militare. Ricordiamo, in particolare, l'opera del colonnello Giovanni Sironi (v., 1873), il quale suddivise la geografia in due parti, una descrittiva e una ragionata: quest'ultima, collegando il dato geografico con la decisione, era in grado di illustrare le capacità di analisi e di previsione delle condizioni di vulnerabilità e dei fattori di potenza. Giova ricordare anche le teorie dell'allora colonnello, poi generale, Carlo Porro, sulla spazialità differenziale, che anticipano quelle elaborate recentemente, soprattutto in Francia, sulla correlazione fra la scelta della scala di rappresentazione e gli interessi contingenti degli utilizzatori.
Con la fondazione della Reale Società Geografica Italiana a Firenze nel 1866 (spostata a Roma nel 1872) ebbero notevole impulso non solo gli studi geografici, ma anche l'approfondimento del loro impatto politico. Ad esempio, Cesare Correnti, presidente della Società, invitava nel 1873 "a rispondere con la carta geografica a chi voleva addormentare l'Italia" (v. Massi, 1992, p. 135). Gli studi e le spedizioni archeologiche e geografiche in Medio Oriente e soprattutto in Africa aprirono la strada alla penetrazione economica e all'espansione coloniale italiana. Studi di geografia politica e di antropogeografia furono prodotti anche a sostegno sia delle tesi irredentiste (si ricordino gli scritti di Cesare Battisti: v., 1923), sia della riattivazione dei tradizionali collegamenti italiani con l'Europa balcanico-danubiana.
Concetti come quelli di 'Eurafrica', di 'mare nostrum', di 'frontiere naturali' e di 'spazi vitali' divennero molto popolari, soprattutto nel primo dopoguerra, sia per influsso della geopolitica tedesca sia per naturale sviluppo del pensiero geografico e di quello politico italiano.
Negli anni venti si affermò il concetto di 'geografia politica dinamica' (v. Almagià, 1923), impiegato come sinonimo di geografia politica applicata, che, unitamente all'elaborazione delle 'leggi tendenziali' del comportamento degli Stati (v. De Marchi, 1929), sottolineò il valore predittivo e indicativo della geografia rispetto all'azione politica.
Di fatto, l'aggettivo 'dinamica' suscita notevoli perplessità, perché l'estrapolazione delle serie storiche, di dati statistico-geografici (ad esempio di quelli demografici), non costituisce di per se stessa un'applicazione politica delle scienze geografiche, ma rimane limitata al loro ambito analitico-descrittivo. Perché possa esservi un ragionamento geopolitico, ad esempio ai fini della pianificazione della politica estera, il dato non può essere né neutro, né innocente, ma deve essere concettualizzato e finalizzato a un progetto politico per sua natura autoreferenziale. Solo se s'inseriscono nella logica di un calcolo politico, i dati geografici acquistano un valore geopolitico.In particolare, tra il 1939 e il 1942 fu pubblicata a Milano una rivista di geopolitica per iniziativa di un gruppo di geografi soprattutto triestini e giuliani, facenti capo a Giorgio Roletto e a Ernesto Massi (v. Antonsich, 1991). Essi si differenziarono dagli assunti della geopolitica tedesca di Karl Haushofer per una metodologia più decisamente geografica e per una maggior importanza attribuita al fattore 'volontà umana' rispetto a quello deterministico dell'ambiente naturale. Ne condivisero invece la ricerca per l'individuazione di un proprio 'spazio vitale', coerentemente con la politica di affermazione e di espansione nazionale dell'Italia. Il concetto di 'spazio vitale' fu raccordato sempre dalla geopolitica italiana all'importanza crescente dei fattori economici, e in special modo all'autarchia. Questa la definizione datane dal comitato di redazione della rivista: "L'optimum delle aree nell'ambito delle quali ambiente geografico, tradizioni storiche, necessità di vita presente e futura si concordano per dare benessere al popolo che ha le possibilità spirituali e quindi la tendenza geopolitica ad occuparlo e a valorizzarlo" (cfr. Inquadrature, in "Geopolitica", 1940, n. 8-9, pp. 321-322). Per la sua impostazione antideterministica, la geopolitica italiana si avvicina alla geografia 'umanistica' francese di Vidal de la Blache (v., 1922).
Nel secondo dopoguerra la geografia politica applicata conobbe in Italia un periodo di vera e propria eclisse, non solo per la 'denazionalizzazione' subita dal paese e per l'erosione dello Stato, sia dal basso ad opera dei vari regionalismi e particolarismi, sia dall'alto per l'adozione spesso del tutto acritica di ideologie ecumeniche, internazionalistiche ed eteroreferenziali, ma anche per il predominio della cultura marxista, tendenzialmente contraria a riconoscere l'influsso dell'ambiente naturale sulla politica e l'esistenza di interessi nazionali anche come base della partecipazione italiana agli organismi e alle istituzioni internazionali o sovranazionali. L'impegno riposto in discussioni circa il superamento di una 'geografia di destra' per sostituirla con una di 'sinistra' è una chiara indicazione delle futilità di cui si dilettava l''accademia italiana' di quel periodo, del suo allontanamento dai problemi nazionali concreti e del suo arretramento culturale rispetto agli altri paesi avanzati.
Con il crollo del mondo bipolare, con il collasso dell'ideologia marxista, con la frantumazione e la disgregazione politica all'Est (e, per effetto indotto, anche all'Ovest), con l'unificazione della Germania, con il risorgere delle specificità nazionali ed etniche, con la rimessa in discussione dei confini di Yalta da un lato e di quelli della colonizzazione dall'altro, con il moltiplicarsi degli attori che agiscono sulla scena internazionale (di natura non più solo statale, ma anche subnazionale, multinazionale e transnazionale), la geografia politica applicata e con essa la geopolitica sono riemerse anche in Italia, semplicemente perché è rinata la lotta per lo spazio, prima bloccata dai rigidi meccanismi e dalle strette regole del mondo bipolare. Spazio che ha evidentemente un significato del tutto differente da quello del passato, nel senso che è uno spazio più 'deterritorializzato', più geoeconomico che geostrategico.Di questa tendenza si sono fatti interpreti nel nostro paese diversi studiosi, pur con ottiche e finalità differenti (tra gli altri: v. Strassoldo, 1985; v. Santoro, 1991; v. Jean, 1991; v. Flamigni, 1992; v. Massi, 1992; cfr. inoltre "Micromega", 1991, e la rivista "Limes", collegata con quella francese "Hérodote", che sta conoscendo dal 1993 un grandissimo successo editoriale).
La disgregazione dell'ordine bipolare, il collasso del principio della inviolabilità delle frontiere, il risorgere di conflitti etnici e nazionali, il processo ora solamente iniziato della riaggregazione del mondo intorno a poli costituiti da potenze egemoni su scala regionale, i conflitti potenziali o già in corso per definire i confini delle nuove regioni geopolitiche e, all'interno di ciascuna di esse, le zone d'influenza e il peso relativo di ciascuno Stato che ne fa parte hanno determinato l'inizio di un nuovo periodo d'incertezza e di conflittualità. L'ipotetico 'nuovo ordine mondiale', propagandato dal presidente americano Bush dopo il 'crollo del muro' e durante la crisi del Golfo, non vedrà verosimilmente mai la luce. Infatti lo spostamento della competizione mondiale dal campo strategico a quello economico rende impossibile all'unica superpotenza rimasta, cioè agli Stati Uniti, garantire da sola, cioè in modo egemone, l'ordine del mondo. Si sta pertanto riaccendendo la lotta per le zone d'influenza e per il dominio dello spazio.
Lo spazio ha però assunto significato e dimensioni diversi da quelli del passato per una serie di motivi.Primo, perché i mezzi economici, finanziari e tecnologici hanno sostituito in larga misura quelli militari come strumento per conseguire obiettivi politici. Questo complica notevolmente il problema della governabilità dell'assetto internazionale, poiché mentre gli strumenti militari sono a direzione centralizzata e monopolizzati dagli Stati, quelli economici sono governati da un sistema decisionale diffuso.
Secondo, perché la ricchezza non dipende, come nel passato, da dimensioni 'orizzontali', quali l'estensione del territorio o il possesso di risorse naturali, ma dalla dimensione 'verticale' della produttività e della tecnologia.
Terzo, perché sono aumentate la globalizzazione dei problemi e la conseguente interdipendenza fra i vari fattori che agiscono sulla scena politica internazionale. Cosa che non è solo fattore di collaborazione, ma anche di competizione, data la maggiore sovrapposizione degli interessi degli attori in gioco. Risulta pertanto accentuata l'importanza del pensiero globale, nel senso sostenuto da Wallerstein per le scienze sociali e da Humboldt e da Ritter in campo geografico.
Quarto, per la maggiore autonomia decisionale e per l'aumento del numero dei soggetti che operano in campo internazionale, in conseguenza della frantumazione degli Stati multinazionali. A fianco degli Stati agiscono delle forze subnazionali, delle istituzioni e organizzazioni internazionali e degli attori transnazionali, non solo in campo industriale e finanziario, ma anche religioso. La loro azione s'intreccia e spesso si sovrappone o si contrappone a quella degli Stati. La coesione e l'unità di questi ultimi sono poi erose dalle stesse tendenze integrative sovranazionali che, anche se non necessariamente, rappresentano fattori di disgregazione all'interno dei singoli Stati.
Quinto e ultimo motivo, perché le regole e i meccanismi di funzionamento del precedente sistema interstatale si sono allentati o, in taluni casi, sono scomparsi. Basti pensare alle utilizzazioni disinvolte che nella crisi iugoslava sono state fatte dei principî di inviolabilità delle frontiere, di non ingerenza e di autodeterminazione dei popoli. Basti anche pensare alla fine dello jus publicum europaeum, per quanto riguarda lo jus ad bellum, e il riaffiorare in condizioni e in contesti del tutto differenti da quelli del passato delle dottrine della 'guerra giusta'. La caduta delle regole di comportamento interstatale (definite impropriamente 'diritto internazionale') toglie consistenza agli approcci giuridici che pretendono di spiegare le motivazioni e gli interessi che sono alla base della definizione della politica di ciascuno Stato. È proprio questo venir meno delle basi giuridiche che spiega l'attuale popolarità della geopolitica, la quale, sin dal suo sorgere, si è appunto contrapposta alle visioni propriamente giuridiche (v. Schmitt, 1950).
Questa situazione implica un ripensamento integrale degli stessi fondamenti epistemologici e metodologici della geopolitica, intesa come disciplina che studia le premesse e i condizionamenti geografici dell'azione politica. Essa deve evitare di far riferimento a delimitazioni dello spazio del tutto anacronistiche e quindi irrilevanti per i problemi concreti che si debbono affrontare in campo politico, strategico, economico, ecc.
Tale esplicitazione delle proprie basi concettuali e metodologiche costituisce il presupposto indispensabile per ridare alla disciplina la rilevanza che ha avuto un tempo per la definizione degli obiettivi e delle politiche anche delle medie potenze regionali. Questi obiettivi e politiche, per esser tali, devono essere commisurati al livello di potenza posseduto da ciascun attore ed essere elaborati tenendo conto dei condizionamenti naturali, del comportamento dei possibili competitori, nonché delle convergenze e alleanze con altri attori che abbiano i medesimi interessi. Ciascuno di essi ha evidentemente un proprio specifico 'senso dello spazio', in relazione alla propria storia, cultura, percezioni e interessi anche di politica interna. Mai come nel mondo post-bipolare i rapporti sia conflittuali che cooperativi sono diversi dalla 'somma zero', dato che, fra l'altro, ciascun attore possiede una propria spazialità, differente da quella degli altri.
Da quanto precede, la geopolitica può essere allora definita come la teoria dell'azione nello spazio politico, dove per spazio politico s'intende la sovrapposizione e la combinazione di diversi spazi (economico, demografico, strategico, giuridico, ideologico, ecc.), in cui opera una pluralità di attori che perseguono ciascuno finalità proprie, in presenza o in assenza di regole del gioco comuni (ad esempio: diritto del mare, accordi GATT, ecc.) e quindi secondo relazioni di forza più che di diritto. La nuova geopolitica è caratterizzata da una spiccata multidisciplinarità. Lo spazio, o meglio, gli spazi (anche non territoriali) costituiscono il quadro di riferimento e rappresentano l'ambiente, il teatro e la posta in gioco dell'azione politica (v. Aron, 1962).Non si tratta quindi né di una scienza, né di una disciplina ben caratterizzata. Si tratta piuttosto, come nel caso della politica e della strategia, di un centro di attrazione e di catalizzazione di campi disciplinari diversi, aventi tutti un proprio spazio, più o meno ampio a seconda della loro natura; questi si sovrappongono e si compongono nello spazio considerato d'interesse per l'azione politica: lo spazio demografico non coincide, ad esempio, con quello economico, né questo con quello militare.
Gli spazi a cui si fa riferimento non sono né spazi reali, né tanto meno spazi naturali, ma spazi di concettualizzazione, la cui dimensione è determinata dagli interessi e quindi dal livello di potenza posseduto, cioè dalla capacità di esercitare un dominio e d'influire sulla realtà. Gli spazi della Germania sono ad esempio differenti da quelli dell'Italia, anche se in parte gli uni sono sovrapposti agli altri. Talvolta possono comportare una coincidenza di interessi, come nel settore della sicurezza; talaltra, una loro competizione, specie nel settore economico. La geografia che interessa non è tanto quella fisica, come scienza dei luoghi, quanto quella umana: non però la geografia dell''uomo-abitante', propria del passato, quando predominavano l'agricoltura e il possesso delle materie prime, quanto quella dell''uomo-politico' e dell''uomo-produttore', propria della società industriale avanzata. La tecnologia ha liberato in gran parte l'attività umana dai condizionamenti della natura, in modo evidentemente differenziato a seconda del settore considerato: meno per quanto riguarda la politica e anche la sicurezza, in misura maggiore per quanto concerne l'economia, la tecnologia o l'informazione.
Con la fine del mondo bipolare e con l'impraticabilità di un 'ordine' imperiale unipolare, hanno perso di significato rappresentazioni di tipo planetario, come quelle di MacKinder o Spykman. Il globalismo sta acquistando significato in altri settori, come quello economico o quello della contrapposizione fra sviluppo e sottosviluppo - che ha spostato la competizione mondiale dai paralleli ai meridiani - o, ancora, come quello dei problemi ecologici globali. Le dimensioni aerospaziali o quelle dell'informazione si sovrappongono e hanno diminuito l'importanza della tradizionale contrapposizione fra terra e mare.
Mentre la geografia ha concentrato sempre la sua attenzione sullo spazio, trascurando il tempo, e la filosofia ha fatto il contrario (anche nel caso di filosofi come Kant, che era originariamente un geografo), la nuova geopolitica deve considerare entrambe le dimensioni, spaziali e temporali.
Ma spazi e tempi sono 'politici'. Non sono neutri o oggettivi. In sostanza, il cuore del problema epistemologico di una geopolitica che voglia costituire veramente un supporto per le decisioni politiche rimane quello che implicitamente era alla base in tutte le utilizzazioni della geografia politica del passato, deterministiche e non: l'ideologia o la Weltanschauung, che costituisce la matrice concettuale degli strumenti analitici impiegati; prima fra essi, la definizione degli spazi e la natura dei fattori da esaminare.
Tratteggiati gli aspetti epistemologici della geopolitica, i principali problemi metodologici da affrontare sembrano essere tre. Primo: gli spazi e quindi gli attori interni ed esterni da considerare. Secondo: i fattori da prendere in considerazione. Terzo: le interconnessioni fra i vari fattori e attori, in modo da pervenire a elaborazioni sintetiche, che riguardino la definizione degli interessi e delle politiche, comprese le possibili alleanze da attivare o le resistenze (minacce) da superare. Con questo metodo appare possibile una concettualizzazione operativa dello spazio e dei dati statistici a esso collegati. Questi, per quanto detto in precedenza, possono essere integrati in una visione d'insieme solo per il tramite di teorie e di modelli da cui scaturiscono a loro volta le opzioni politiche, in termini di definizione d'interessi, di obiettivi e di strategie per conseguirli, nonché la loro valutazione comparativa.
Per quanto riguarda il primo punto, cioè la delimitazione, sono da considerarsi superate le dottrine basate prevalentemente su dati naturali, come avveniva in passato nella definizione delle regioni geografiche. Esse conservano solo un valore classificatorio ai fini della raccolta ordinata dei dati statistici. Non solo la geografia 'volontaria' e la tecnologia hanno modificato profondamente l'impatto della natura sull'azione umana, ma anche, e soprattutto, molti degli attuali fattori di potenza e condizioni di vulnerabilità (ad esempio, nel campo finanziario o delle informazioni) prescindono completamente da ogni condizionamento naturale. Questo non significa che vada necessariamente e sempre considerato lo spazio globale, anche se, considerando spazi più ristretti, occorrerà generalmente valutare l'influsso che essi ricevono dall'ambiente esterno. La regione geopoliticamente rilevante è quella su cui si può influire, cioè esercitare un'azione: quindi, un potere e un dominio.
Quando si parla di zone d'interesse, d'influenza e d'azione di una media potenza regionale (v. Santoro, 1991), si fa riferimento a questa realtà. Spesso vengono considerati tre spazi d'interesse: uno locale, a dominio prevalente, se non esclusivo, di tale media potenza; uno regionale, in cui l'intensità dei suoi interessi e del suo livello di potenza rimane elevata per la breve distanza, a cui corrisponde di solito, ma non necessariamente, una maggiore densità e importanza d'interessi, di rapporti e di possibilità d'azione; uno mondiale, in cui le capacità di dominio e la stessa libertà d'azione della media potenza possono limitarsi al compito di evitare che i suoi interessi vengano lesi in modo grave dall'azione delle superpotenze o di altre potenze regionali (di regioni diverse), ovvero in cui la sua influenza e azione possono esercitarsi nell'ambito di istituzioni e organizzazioni multinazionali o internazionali a cui essa partecipa. Le delimitazioni regionali variano poi a seconda del settore considerato (sicurezza: NATO e CSCE; economia: CEE, ecc.).
Nella nuova situazione mondiale i confini fra le varie regioni sono in corso di definizione per l'instabilità interna dei singoli Stati e per l'indeterminatezza dei rapporti di potenza. Quando queste due cause perturbatrici troveranno un loro equilibrio, allora i confini si stabilizzeranno. Nella fase di transizione, nelle incerte fasce confinarie di tali nuove aree geopolitiche emergenti si manifestano i più accentuati fenomeni d'instabilità e di conflittualità. Questi affliggeranno in particolare gli Stati che appartengono a più di una regione geopolitica, come la Turchia, ponte fra l'Europa, il Medio Oriente e l'Asia centrale.
Per quanto riguarda il secondo punto - cioè i fattori da considerare - essi dipendono dagli obiettivi che ci si propone. Anche in questo caso è evidente che un approccio globale sarebbe sempre preferibile, date le interferenze, le connessioni e le interdipendenze esistenti e, almeno in certi casi, in relazione alla fungibilità fra le possibili politiche svolte nei vari settori, ad esempio nel settore degli aiuti allo sviluppo, e in quello delle politiche d'immigrazione, ecc., e data l'alternativa di seguire in entrambi approcci bilaterali o multilaterali. Ma nella realtà non è possibile esaminare contemporaneamente tutti i settori e le tendenze di tutti gli attori in un quadro globale. Risulta necessaria una selezione che prenda in considerazione solo i settori e gli attori rilevanti e si concentri sulle preoccupazioni contingenti, salvo una verifica dell'influenza degli aspetti non considerati sulle conclusioni a cui si è pervenuti. Si tratterà comunque sempre di effettuare un'analisi di campi disciplinari differenti, ciascuno con propri spazi e propri orizzonti, con proprie classificazioni particolari, spesso del tutto artificiali, data l'interdipendenza sostanziale dei fattori e l'impossibilità di valutarli nella loro realtà senza considerarli in un contesto unitario. Solo una visione d'insieme, un'ipotesi progettuale a priori e un'ideologia permettono misurazioni efficaci. Occorre ragionare prima di misurare e non il contrario. In ogni problema è la sintesi autoreferenziale che deve precedere l'analisi. Quest'ultima, con un processo metodologico di tipo cibernetico, cioè retroattivo, potrà poi affinare la sintesi, perfezionando per cicli successivi la valutazione delle opzioni possibili e la loro classificazione secondo una scala di preferenzialità. Dalla raccolta più completa dei dati e dalla loro proiezione statistica nel futuro non può invece derivare la scelta, a meno che, beninteso, non si ammetta che la decisione politica venga determinata dalla natura e non dalla libera scelta dei responsabili politici. Libera scelta che è sempre però vincolata poiché deve tener conto dei condizionamenti, delle opportunità e delle limitazioni ambientali.
La considerazione delle interazioni fra i vari settori in vista di una sintesi operativa costituisce la terza e ultima parte del processo metodologico qui tratteggiato (ad esempio, l'elaborazione di una politica globale di sicurezza - militare, economica, dei rifornimenti energetici, ecc.). Essa consiste nell'individuazione e nella valutazione delle decisioni possibili e nella scelta fra esse di quella considerata preferibile. È la parte più creativa e richiede la formulazione di teorie e modelli che consentano anzitutto di concettualizzare i dati disponibili ai fini della definizione della politica in esame, e poi di valutare le interferenze, di effettuare analisi di sensitività, d'individuare le opzioni possibili e di valutarle in senso assoluto e relativo, nelle loro prevedibili conseguenze e nella loro maggiore o minore rispondenza alle diverse finalità. Le tecniche metodologiche che sembrano più idonee a tale scopo sono quelle dell''impatto incrociato'. Esse consentono di superare i singoli orizzonti disciplinari, di gerarchizzare i fattori considerati e di rendere trasparenti le sintesi, che saranno sempre caratterizzate da un alto grado di soggettività e di creatività.Solo con queste premesse epistemologiche e metodologiche la geopolitica, nelle nuove realtà del sistema internazionale, può costituire un ponte fra le scienze geografiche e le loro applicazioni politiche, strategiche ed economiche. Nelle nuove condizioni del mondo è indispensabile che i responsabili dello Stato acquisiscano una ragionevole consapevolezza geografica e la capacità di 'pensare lo spazio' tenendo conto delle nuove condizioni determinate dal progresso tecnologico e dalla destrutturazione del sistema bipolare. Rimettendo in discussione i confini e il rango dei vari attori che agiscono in campo internazionale si è anche rimessa in moto la competizione per il dominio dello spazio e per la sua organizzazione. Comincia così una nuova era per la geopolitica.
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