Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Noto oggi prevalentemente per l’oratorio Il Messia e per alcune pagine strumentali, Händel è in realtà, assieme a Bach, il più importante musicista della prima metà del Settecento. A differenza di Bach, Händel dedica buona parte della propria carriera al teatro dell’opera.
Durante il regno di Anna Stuart l’Inghilterra vive un periodo di stabilità, favorita, tra l’altro, dalla politica di moderazione della regina che nel 1707, attraverso l’atto di unione di Scozia e Inghilterra, sancisce la nascita del Regno Unito di Gran Bretagna. È nel 1712, durante il regno di Anna, che Georg Friedrich Händel si trasferisce definitivamente a Londra, dopo un soggiorno in Italia e un periodo trascorso come maestro di cappella presso l’elettore di Hannover. Proprio quest’ultimo, lontano discendente di Giacomo I, viene incoronato re d’Inghilterra nel 1714 col nome di Giorgio I, dopo che la regina Anna muore senza eredi.
Il mondo politico britannico è diviso tra i due partiti dei Whigs e dei Tories, progressisti i primi, conservatori i secondi. Giorgio I, incurante nella sostanza degli affari di Stato, si appoggia ai Whigs, che dominano il parlamento, e abbandona la gestione della cosa pubblica nelle mani dei ministri, in particolare di Robert Walpole.
Nel 1727 succede a Giorgio I il figlio, Giorgio II, che prosegue la politica di sostegno ai Whigs. Il suo regno è caratterizzato dall’alleanza con Maria Teresa d’Asburgo in occasione della guerra di successione austriaca, un conflitto il cui esito vittorioso (pce di Aquisgrana, 1748) viene celebrato nel 1749 con l’esecuzione della Musica per i reali fuochi d’artificio, composta per l’occasione da Händel.
L’Inghilterra è un Paese di grandi fermenti culturali: domina il liberalismo filosofico di marca empirista, incarnato da John Locke e David Hume, e sono attivi scrittori quali Jonathan Swift, Daniel Defoe e il poeta Alexander Pope. Nel 1741 Samuel Richardson scrive il romanzo epistolare Pamela, che tanta importanza riveste per lo sviluppo dei soggetti d’opera della seconda metà del secolo.
“Nel panorama teatrale europeo intorno al 1700 il teatro inglese, improntato com’era a criteri razionalistici, rappresentava l’estremo baluardo della resistenza contro le seduzioni del dramma per musica. Ma nel corso dei primi dieci anni del nuovo secolo questa tenace refrattarietà fu sopraffatta dall’attacco che l’opera italiana le sferrò contro: non più tardi del 1711, Scarlatti, Bononcini e Händel avevano ormai stabilmente conquistato la piazza e il pubblico londinesi”. Questa, nell’efficace sintesi dello storico della musica Curtis A. Price, la vicenda teatrale britannica nei primi anni del XVIII secolo.
Il genere dominante negli anni della Restaurazione, la dramatic opera, è in realtà uno spettacolo di prosa che accoglie pezzi musicali più o meno ampi; in effetti l’impronta razionalistica del teatro inglese mal sopporta l’idea che due persone dialoghino interamente in musica. Tuttavia, una serie di eventi legati alla competizione tra le due istituzioni teatrali londinesi, il Royal Theatre a Drury Lane e il Queen’s Theatre a Haymarket, producono le condizioni favorevoli alla penetrazione dell’opera italiana che finisce per precludere ogni ulteriore sviluppo ai generi nazionali. L’avvenimento determinante è la rappresentazione al Drury Lane della Camilla di Giovanni Bononcini, accolta nel 1706 da un enorme successo di pubblico. Benché il lavoro venga rappresentato interamente in lingua inglese, si tratta della prima opera italiana di grandi dimensioni e di soggetto eroico rappresentata sulle scene di Londra.
In seguito, intorno al 1710, si giunge a una “specializzazione” dei due teatri: la programmazione del Drury Lane concede un più ampio spazio alla prosa (sia pure con possibilità di interventi musicali consistenti) e quella dello Haymarket è più dedicata all’opera (con facoltà di allestire talvolta drammi con musiche di scena). È proprio al teatro di Haymarket che, il 24 febbraio del 1711, l’anno precedente al suo trasferimento definitivo, Händel fa il suo esordio con la rappresentazione del Rinaldo e si candida a divenire il protagonista assoluto della vita teatrale londinese dei successivi tre decenni.
Nell’inverno del 1718-1719 un gruppo di nobili inglesi, sostenuto dal sovrano in persona, dà vita a un movimento volto a favorire l’affermazione dell’opera italiana a Londra; nasce la Royal Academy of Music, della quale Händel è nominato direttore a fianco di Paolo Rolli, responsabile per la librettistica. L’attività dell’accademia si apre il 2 aprile del 1720 al King Theatre e il 27 successivo ha luogo la prima dell’opera händelianaRadamisto. Il periodo dell’accademia vede la nascita di alcuni tra i massimi capolavori operistici di Händel: tra questi vi sono Giulio Cesare in Egitto (1723), Tamerlano (1724) e Rodelinda (1725), tutti in collaborazione con il librettista Nicola Haym.
L’ultima stagione della Royal Academy è quella del 1727-1728. Una crisi economica, causata da un certo disinteresse del pubblico, che non rinnova più le sottoscrizioni a sostegno dell’impresa, porta al fallimento dell’accademia. L’avversione che si diffonde in questi anni nei confronti dell’opera italiana è ben rappresentata dalla satira di John Gay intitolata The Beggar’s Opera che va in scena con successo il 29 gennaio del 1728.
Il fallimento finanziario della Royal Academy non scoraggia Händel, che dà vita a una nuova accademia e, nel 1731, riesce a ottenere un buon successo con l’opera Poro. Nel 1733 il musicista ottiene ancora un successo con Orlando, ma proprio in quell’anno nasce, su iniziativa del principe di Galles, una Opera of the Nobility destinata a contrastare l’impresa di Händel, che gode invece del sostegno del nuovo re Giorgio II. Nel 1734 il King Theatre passa nelle mani della nuova istituzione operistica e Händel si trasferisce al Covent Garden, teatro di recente costruzione; qui, nel 1735, il musicista ottiene un ultimo grande successo operistico con Alcina.
Ancora per un po’ di tempo Händel si ostina a dedicarsi alla composizione d’opera, nonostante l’evidente disinteresse del pubblico, e ciò lo porta, nel 1738, all’insuccesso del Serse.
Tra le tappe importanti del giovanile soggiorno italiano di Händel, oltre a Firenze e Venezia, dove ottiene i primi successi operistici, si annoverano Napoli, dove, nel 1708, compone la serenata Aci, Galatea e Polifemo, e Roma, dove risiede a più riprese, tra il 1707 e il 1709, presso il marchese Francesco Ruspoli e dove si avvale della protezione di alcuni cardinali, tra cui Pietro Ottoboni e Benedetto Pamphili, librettista quest’ultimo dell’oratorio Il trionfo del Tempo e del Disinganno. A Roma, città in cui l’opera è proibita, conosce e pratica, oltre all’oratorio, il genere della cantata da camera.
Anche in Inghilterra Händel ha occasione di praticare i generi vocali non operistici. Nel 1717, a seguito della chiusura del teatro dell’opera, il musicista entra al servizio del conte di Carnavon (poi duca di Chandos) e si trasferisce presso la sua residenza, a Cannons; sono di quest’epoca i Chandos Anthems e il masque Acis and Galatea, da non confondere con la quasi omonima serenata composta a Napoli.
L’anthem è una composizione su testo sacro in lingua inglese e costituisce un genere tipico della Chiesa anglicana. Il tipo di anthem praticato da Händel, detto verse anthem, prevede l’alternanza di parti corali e brani solistici e si distingue dal più arcaico full anthem, interamente corale. A Cannons nasce anche la prima versione dell’oratorio Esther, la cui revisione, eseguita in forma privata nel 1732, segna l’inizio del successo di Händel come compositore di oratori in lingua inglese. Negli anni Trenta Händel compone, fra gli altri, Saul e Israele in Egitto. Per mano di Händel si sviluppa così in Inghilterra il genere dell’oratorio, a seguito della proibizione, da parte del vescovo di Londra, di mettere in scena soggetti sacri; dopo l’esecuzione privata di Esther, avvenuta in forma scenica, i drammi su tali soggetti possono dunque esser eseguiti solo in forma di concerto. In seguito vengono destinati al genere dell’oratorio anche soggetti mitologici (Semele, Hercules).
La svolta decisiva nella vita artistica di Händel avviene nel 1741, con un viaggio a Dublino. La visita nella città irlandese è coronata, il 13 aprile del 1742, dal successo della prima esecuzione dell’oratorio Il Messia, su un testo inglese basato sull’elaborazione di passi biblici scritto da Charles Jennens. Il successo non sarà replicato a Londra, dove il pubblico riserva al lavoro una accoglienza piuttosto fredda. Tuttavia Händel resta ora fedele al genere dell’oratorio: fra i suoi lavori tardi citiamo Samson (1743), Hercules (1745), Belshazzar (1745), Judas Maccabeus (1747), Solomon (1749) e Jephta (1752).
Oltre alla già citata Musica per i reali fuochi d’artificio, la composizione strumentale più nota di Händel è la cosiddetta Musica sull’acqua. Si tratta in realtà di tre diverse suite, che hanno visto la luce forse in tempi diversi, intorno al 1717.
Fra il 1732 e il 1740 Händel dà alle stampe la sua più importante produzione strumentale: le sonate a solo e a tre (opp. 1, 2 e 5), i concerti per organo, nati come intermezzi per gli oratori, e le due raccolte di concerti grossi (opp. 3 e 6). Le date di pubblicazione non sono tuttavia indicative dell’epoca della composizione.
Se nei sei concerti dell’op. 3 Händel sperimenta gli strumenti a fiato nel concertino dei solisti (oboi, flauti dolci, fagotti) senza tuttavia spingersi allo sperimentalismo dei Brandeburghesi di Bach, l’op. 6 è una compatta raccolta di dodici brani destinati al tipico organico corelliano: il concertino, infatti, è sempre costituito da due violini e un violoncello, e Händel prevede per quattro di questi concerti parti di oboe solamente per il ripieno. L’omaggio a Corelli è evidente fin dal numero d’opera: anche la raccolta corelliana è un’op. 6; Händel infatti ha conosciuto il maestro di Fusignano in occasione del suo soggiorno romano e ha avuto l’opportunità di suonare assieme a lui. Alla limitatezza delle risorse e all’aspetto “datato” dell’organico corrisponde una varietà inusitata di risorse compositive, che rende questi concerti il vertice tardobarocco della linea “corelliana”, come i Brandeburghesi costituiscono il vertice di quella “vivaldiana”.
Oltre ai brani citati, e ad altri numerosi inediti, va ricordata la produzione händeliana per tastiera, costituita da numerose suite, tutte difficilmente databili.
Lo scorrere parallelo delle vicende artistiche di Bach e di Händel suggerisce un confronto tra le due figure: mentre Bach rimane sempre nella terra natale, Händel viaggia moltissimo; mentre il primo rifiuta di dedicarsi al teatro dell’opera, il secondo si identifica con esso per la maggior parte del proprio arco creativo; mentre il primo ha sempre ben presente il fine della propria fede, il secondo è, come ha scritto il musicologo Lorenzo Bianconi, “quant’altri mai compromesso col secolo”.
In realtà l’immagine di “Giove tonante” attribuita a Bach è in buona parte frutto d’una esagerazione, e sicuramente egli conosce la musica italiana, o quanto meno quella che lo interessa, tanto quanto Händel. Tuttavia colpisce la differenza del modello di vita dei due massimi rappresentanti della stagione musicale tardobarocca. La maggiore “modernità” della vocazione artistica händeliana è già evidente nella scelta di dedicarsi all’opera, ma è soprattutto nell’incontro con Londra – la più moderna delle capitali europee per ciò che riguarda il sistema della produzione artistica e la sua fruizione da parte di un largo pubblico – che trova spiegazione il fenomeno Händel. Se già in vita la venerazione per il musicista si manifesta in occasioni pubbliche quali, per esempio, l’inaugurazione in un giardino londinese di una statua che lo raffigura in veste da camera intento a suonare la lira, dopo la sua morte le celebrazioni si trasformano in un vero e proprio modernissimo processo di mitizzazione.
Händel è, fra l’altro, il primo musicista della storia al quale viene dedicato un volume biografico: Memories of the life of the late George Frederic Händel di John Mainwaring (1760).
Alla crescita della fama dopo la sua morte corrisponde tuttavia una diminuzione delle opere händeliane celebrate: il melodramma subisce una perdita d’interesse da parte delle successive generazioni, le quali rivolgono le loro preferenze piuttosto agli oratori, per concentrarle infine al solo Messia.
Ancora nel nostro secolo si è avuta la tendenza a vedere nella scelta di abbandonare la produzione per il teatro, per dedicarsi a quella di oratori, il momento della massima realizzazione dell’arte di Händel e, con una certa inclinazione nazionalistica, anche la più germanica. Solo recentemente, nel generale ripensamento dell’opera seria settecentesca, si è ridato uno spazio ai lavori teatrali di Händel, che costituiscono un vero e proprio evento innovatore nell’ambito del genere, pur senza approdare alle conseguenze estreme di quella che sarà la riforma gluckiana. Anche negli oratori, ai quali non è estranea un’intenzione propagandistica in difesa della Chiesa anglicana contro gli attacchi del movimento deista, si ritrova tuttavia la caratteristica comune a tutta la grande produzione händeliana: un’incontenibile vocazione alla drammaturgia.