BRANDES, Georg Morris Cohen
Critico e storico danese, nato a Copenaghen il 4 febbraio 1842, morto il 17 febbraio 1927. Spirito vivo, irruento, con vasti orizzonti e con cultura europea; pensatore non profondo, ma quadrato nel ragionare e appassionato, scrittore di robusta vena, talvolta un po' "grosso", talvolta anche brutale, ma sempre preciso, concreto, eloquente, con uno stile che ha il calore e l'incomposta immediatezza dell'improvvisazione anche quando investe un argomento lungamente meditato, fu, negli ultimi decennî del passato secolo, uno dei più dinamici agitatori di problemi letterarî, estetici, sociali in Europa; e nei paesi scandinavi provocò, con lunga, rumorosa battaglia, un radicale rinnovamento, aprendovi gli spiriti alle grandi correnti del pensiero moderno. Incominciò, come allora era d'uso, navigando filosoficamente in acque hegeliane; e durò soprattutto fatica a liberarsi dall'estetica ancora alquanto formalistica del Heiberg: solo con la tesi di dottorato sul Taine: Den franske Æstetik i vore Dage (L'estetica francese dei nostri giorni, 1870) la nuova concezione dei rapporti fra la poesia e la vita, prima balenante soltanto a sprazzi in singoli saggi per istintivo intuito del critico (v. le raccolte Æstetiske Studier, 1868 e Kritikker og Portœtter, 1870), si formulò nettamente, dopoché già in altri campi egli si era battuto in nome della sua "coscienza della realtà", opponendosi allo spiritualistico tentativo d'una conciliazione fra la scienza e la fede compiuto da Rasmus Nielsen (Om Dualismen i vor nyeste Filosofi "Sul dualismo nella nostra recente filosofia", 1866), e affrontando le ire della benpensante società borghese con la traduzione della Subjection of woman di Stuart Mill (1869).
In un lungo soggiorno all'estero, in Francia, in Italia (1870-71), durante il quale strinse relazioni col Taine, col Renan, con Stuart Mill, con l'Ibsen, diede definitwa consistenza ai suoi studî e al suo pensiero, e, al ritorno a Copenaghen, iniziò le sue celebri lezioni sulle "Grandi correnti della letteratura in Europa nel sec. XIX" (1872-90). Prese le mosse da Chateaubriand, Madame de Staël e dai loro contemporanei (Emigrantlitteraturen, 1872); e seguirono, anno per anno, gli altri corsi sul romanticismo tedesco (Den romantiske Skole i Tyskland, 1873), sulla reazione in Francia (Reaktionen i Frankrig, 1874), sul naturalismo in Inghilterra (Naturalismen i England, 1875); a cui più tardi si aggiunsero gli studî sul romanticismo francese (Den romantiske Skole i Frankrig, 1882) e sulla giovane Germania (Det unge Tyskland, 1890). Le considerazioni non vi sono sempre originali, e, nelle idee sull'arte, gli equivoci proprî dell'estetica naturalistica vi sono frequenti; lȧ tendenza a ridurre tutta la storia spirituale del secolo entro il quadro d'una rivincita dei diritti della realtà e del libero pensiero contro il reazionario medievalismo della restaurazione, impoverisce non di rado e violenta il significato dei singoli uomini e delle singole opere per costringerlo a forza entro i rigidi schematismi dell'ideologia; la concezione della poesia come "realistico dibattito dei problemi della vita" è parsa più tardi "inadeguata" allo stesso autore; ma d'altra parte è innegabile che ci si trova dinnanzi a un'opera d'ampio e potente respiro, in cui la sicurezza d'un innato senso storico, pur nella semplificatrice sommarietà dei suoi procedimenti, giunge spesso, d'un balzo, a prender contatto con la sostanza viva dei problemi. In poche altre opere l'unità spirituale europea è sentita e rappresentata così, in senso goethiano, come realtà presente, operante; la sensibilità del critico, a diretto contatto con la poesia, s'impone, nei momenti migliori, a ogni rigidità di preconcetti teorici; e sullo sfondo del vasto quadro spiccano in forte risalto singole personalità, come Byron, Shelley, Heine, Hugo, delineate bensì con unilateralità, ma anche con un'arte di psicologo che non si è invano educato su Sainte-Beuve. Malgrado la spicciativa rapidità di molte conclusioni e malgrado i visibili segni del tempo, l'opera conserva perciò ancora oggi una sua vitalità (v. l'ultima delle numerose ristampe tedesche: Die Hauptströmungen des europäischen Literatur im XIX. Jahrhundert, voll. 6, 1924); e nei paesi del Nord la ripercussione che ebbe fu immensa. Precisamente ciò che ora, a un lettore moderno e straniero, appare superato e lontano - la polemica antiteologica, il radicalismo politico, il materialismo storico, la rivolta contro la morale convenzionale, la guerra mossa al formalismo accademico e all'idealismo romantico ancora imperanti nella letteratura danese - tutto ciò agì allora, lassù, negli spiriti, come un lievito rivoluzionario. Un folto gruppo di giovani scrittori si riunì intorno al B., e ne facevano parte - tutti idealmente presenti anche se taluno materialmente lontano - uomini come Ibsen, Bjørnson, Jacobsen, Holger Drachmann, e, più tardi, Strindberg (v. i profili di alcuni di essi, tracciati dal B. in Det moderne Gjennembruds Mœnd "L'uomo del moderno rinnovamento", 1883): la rivista Det nyttende Aarhundrede (Il diciannovesimo secolo), che il B. fondò insieme col fratello Edvard, fu per quattro anni (1874-78) la palestra rivoluzionaria della nuova letteratura. Naturalmente infierirono accanite anche le opposizioni. E, con uno scritto apologetico Forklaring og Forsvar (Spiegazione e difesa, 1872), il B. cercò invano di farvi fronte. Quando la cattedra d'estetica divenne libera all'università, gli fu rifiutata. Nel 1877 il B. lasciava la Danimarca.
La raccolta Danske Digtere (Poeti danesi, 1877), che il B. pubblicò prima di partire, contemporaneamente a uno studio un po' tendenzioso su Kierkegaard (1877), contiene alcuni saggi critici (ad es. sul Bodtger, sul Hauch, sul Winther), che sono penetranti, chiari, parchi di polemica, fra le cose più delicate che egli abbia mai scritto; e, in certo modo, una continuazione di questa sua attività fu l'ampio saggio sul Tegnér (1878), che egli condusse a termine dopo il suo arrivo a Berlino. Ma nei cinque anni di dimora in Germania e per un certo tempo anche dopo il suo ritorno a Copenaghen (1883), più che ai problemi letterarî, il suo interesse si volse ai problemi sociali e politici (Disraeli, 1881; Lassalle, 1881; Berlin som tysk Hovedstad "Berlino come capitale tedesca", 1884-85; Essays, 1889; Indtryk fra Polen "Impressioni d'un viaggio in Polonia", 1888; Indtryk fra Rusland "Impressioni d'un viaggio in Russia", 1889). E, dinnanzi alla riconosciuta importanza che gli individui hanno pur nei più vasti movimenti sociali, un po' anche per l'influenza di taluni scrittori come Renan, Dostoevskij - il B. fu uno dei primi a includere il mondo slavo nella "cultura essenziale" dell'uomo europeo" (v. ad es. il saggio su Dostojewsky, 1889) -, il suo pensiero si modificò profondamente, orientandosi a poco a poco, in modo sempre più deciso, verso una concezione individualistica dell'uomo e della storia. Nel rapido trasformarsi dei tempi gli accadde così, nel 1889, di trovarsi ancora una volta all'avanguardia, come primo interprete ed esegeta di Nietzsche: il corso di lezioni che tenne in quell'anno all'università - e che provocò una sua violenta rottura col Höffding - fu il primo annuncio della grandezza di Nietzsche all'Europa.
E anche nella considerazione dei problemi letterarî la sua posizione mutò. Alla precedente formula realistica sostituì anch'egli, fra i primi, quella dei tempi nuovi - l'"art pour l'art" -; e giudicò la poesia non più come "frutto dello spirito del tempo e delle condizioni della società" ma come "creazione dell'individuo". Già negli ultimi volumi delle Hovedströmninger (specialmente nel V, 1882 e nel VI, 1890) si avverte, netto ed evidente, il mutato punto di vista; ma la piena, conseguente affermazione di esso fu, dopo anni di studio e di elaborazione, la grande opera su Shakespeare (voll. 3, 1895-96), che venne salutata al suo apparire, anche in Germania, come epochemachend, e nella stessa Inghilterra fu definita come "la maggior monografia su Shakespeare che sia mai stata scritta da un autore di lingua non inglese", e difatti, nonostante egli conservasse la sua mentalità positivista, è innegabile che vi è in essa una potenza d'intuito eccezionale, che, malgrado ogni riserva, rende l'opera meritevole sempre di meditazione; e la risonanza che essa ebbe in Europa, confermata da una serie ininterrotta di altri studî (Udelandske Egne og Personligheter "Paesi e personalità straniere" 1893; H. Heine, 1897; Henrich Ibsen, 1908), e l'atmosfera di simpatia che creò intorno al B. l'esaltazione del carattere danese dello Slesvig (Danskheden i Sønderjylland "Impronte di carattere danese nel S." 1899) accrebbero in patria il suo prestigio, così da farlo apparire come l'"uomo rappresentativo della nazione". Quando la sinistra salì nel 1901 al potere, anche l'annosa questione della cattedra fu finalmente risolta, fra grandi onoranze, a suo favore.
Seguirono anni di relativo silenzio. Il B. attese alla raccolta completa delle sue opere, con inclusione di taluni scritti ancora inediti; compose alcuni saggi (Anatole France, 1908; Armand Carrel, 1911); contribuì all'edizione tedesca di Ibsen; ma soprattutto rievocò in un'ampia autobiografia gli anni della giovinezza e gli anni delle più vive battaglie (I Barndom og Ungdom "Infanzia e giovinezza", 1905; Et Tiaar "Un decennio", 1907; Snœvringer og Horizonter "Angustie e orizzonti" 1908). A nuova attività si ridestò solo alla vigilia della guerra (Fugleperspektiv "Prospettiva a volo d'uccello" 1913) e durante la guerra, quando polemizzò con Clemenceau in Verdenskrigen (La guerra mondiale, 1916) e della guerra e della pace tentò di cogliere la profonda tragedia, guardandovi da neutrale au dessus de la mêlée, con non celate simpatie verso la Russia della rivoluzione, in Tragediens anden Del (La seconda parte della tragedia, 1919). Una dopo l'altra uscirono allora, quasi senza lasciar respiro, le ampie monografie: Goethe (voll. 2, 1915); Voltaire (voll. 2, 1917); Napoleon og Garibaldi (1917); Michelangelo (voll. 2, 1921); Caius Julius Cäsar (voll. 2, 1924); e sono tutte scritte - specialmente il Voltaire e il Cesare - con colore e calore, con una ricca tavolozza nel ritrarre a vivaci tinte l'uomo entro ogni singola figura d'artista o di condottiero. L'interpretazione non vi si presenta così libera da far sì che le opere possano avere vita in sé e per sé, come espressione personale dello scrittore; e, d'altra parte, l'elaborazione critica della materia storica è, nella sintesi, così sommaria che chi le esamina per ragion di studio non può molte volte non restare perplesso; ma, considerate nell'insieme, costituiscono, al di sopra d'ogni discussione, un documento di vitalità e di potenza intellettuale impressionante. Si direbbe che, vedendo come i tempi continuamente procedono mentre l'individuo fatalmente un bel giorno rallenta il passo e si arresta, raccolte tutte le sue forze in un impeto supremo, il settuagenario e ottuagenario abbia tentato ancora una volta di riprendere la sua posizione di dominio. Poi la penna gli cadde dalla mano stanca. E, per un singolare destino, il libro ultimo di colui che aveva amato e odiato con veemenza, e s'era fatto amare e odiare ma non era mai stato meschino, riuscì un angusto e irritato sforzo di ritardataria critica razionalistica (Sagnet om Jesus "La leggenda di Gesù" 1925): anche il sogno d'Ellade, in cui cercò d'acquietare lo spirito (Hellas, 1925), restò chiuso in forme di tempi sorpassati. Ma è il destino comune di tutti coloro che furono, prima che creatori, uomini di battaglia: dominando il loro tempo, sembrano vivere e tramontare con quello; solo lentamente, sceverandosi da tutto ciò che ebbe carattere contingente, emerge dalla loro opera più tardi, ciò che ha valore durevole ed è destinato a rimanere.
Opere: Samlede Skrifter, voll. 18, Copenaghen 1899 e segg.; nuova ediz. 1919 segg. Ediz. tedesche: Ausgewählte Scriften, voll. 8, Lipsia 1900; Gesammelte Schriften, Monaco 1902 segg.
Bibl.: Oltre ai saggi biografici usciti sulle varie riviste europee nel 1927, e la vastissima bibliografia di scritti polemici contemporanei, v. A. Ipsen, G. B., en bog om Ret og Uret, Copenaghen 1902-03.