Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Georg Wilhelm Friedrich Hegel, uno dei maggiori filosofi di tutti i tempi, ha potentemente inciso sul pensiero moderno e sulla civiltà mondiale attraverso l’ardita costruzione di un sistema che spazia dalla dialettica e dal ruolo della contraddizione alla teoria della storia, dall’analisi dell’arte a quella della religione, dalla sfera politica a quella del diritto, dalla storia della filosofia alla teoria della natura. Da lui si diramano, in maniera divergente, il marxismo, lo storicismo e l’idealismo.
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Lo spirito del cristianesimo e il suo destino
Il destino di Gesù fu di patire per il destino della sua nazione: o farlo suo e sopportare la necessità, condividere il godimento e unificare il suo spirito con quello della sua nazione [cioè aderire alla storia ebraica e alle sue tradizioni], ma sacrificare così la propria bellezza e la propria unione con il divino”. “Oppure respingere da sé il destino del suo popolo ma conservare in sé la propria vita non sviluppata e non goduta; in nessuno dei casi compare la natura: nel primo caso sentire soltanto frammenti di essa e anche questi impuri, nel secondo portarla pienamente a coscienza ma riconoscerne la forma solo come l’ombra splendente della sua essenza, della verità suprema, rinunciare a sentire tale essenza e a viverla nell’azione e nella realtà. Gesù scelse il secondo destino, la separazione tra la sua natura e il mondo, e richiese lo stesso ai suoi discepoli: ’Chi ama il padre o la madre, il figlio o la figlia più di me, non è degno di me?’
G. W. F. Hegel, Lo spirito del cristianesimo e il suo destino, Napoli, Guida, 1972
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, par. 435
Quella sottomissione del servo costituisce l’inizio della vera libertà. Il tremare della singolarità del volere – il sentimento della nullità della volontà propria, l’abitudine all’obbedienza – è il momento necessario della formazione [Bildung] di ogni uomo. Senza aver provato questa disciplina che spezza la volontà propria [Eigenwillen, caparbietà] nessuno diventa libero, razionale e in grado di comandare. Per diventare libero – per conseguire la capacità – tutti i popoli sono perciò dovuti passare attraverso la più rigida disciplina della sottomissione a un signore […]. La servitù e la tirannia sono un gradino necessario nella storia dei popoli e quindi qualcosa di relativamente giustificato. A coloro che rimangono schiavi non tocca un’ingiustizia assoluta, perché chi non ha il coraggio di rischiare la vita per il conseguimento della libertà merita di essere schiavo; e, se un popolo, al contrario, non sogna semplicemente di voler essere libero, nessun potere umano potrà tenerlo nella servitù del mero doloroso esser-governato.
Figlio di un funzionario statale, Hegel nasce a Stoccarda il 27 agosto 1770. Subito dopo la sua uscita dal seminario protestante di Tubinga (lo Stift), avendo rifiutato di intraprendere la carriera ecclesiastica, diventa precettore, dapprima in Svizzera (dal 1793-1796) e poi a Francoforte (dal 1796 al 1799).In questi anni le sue riflessioni ruotano attorno al problema delle profonde lacerazioni che attraversano il presente, ma di cui egli cerca l’origine nel lontano passato, nelle vicende del cristianesimo. A tale scopo compone, tra l’altro, due saggi rimasti a lungo inediti: La positività della religione cristiana e Lo spirito del cristianesimo e il suo destino. In essi considera Gesù latore di un messaggio di liberazione da una vita mutilata e deforme, rappresentata dai farisei, esponenti di uno spirito arrogante e formalistico. Gesù avverte il carattere opprimente di una religione diventata “positiva” (ossia imposta, sclerotizzata, priva delle motivazioni che l’hanno fatta sorgere). Nello scontro con le autorità religiose egli esce sconfitto, perché non riesce a persuadere il suo popolo ad accettare la legge dell’amore e del perdono. Si trova così davanti al dilemma tra l’adeguarsi al destino di rassegnazione del popolo ebraico, compromettendo in tal modo lo slancio collettivo verso una vita migliore, e il respingerlo per conservare intatta la “buona novella”. Gesù sceglie consapevolmente di percorrere il secondo itinerario: una via crucis che lo condurrà alla morte, ma che gli permetterà di perpetuare il suo messaggio. Morendo egli trasmette, infatti, ai secoli venturi la speranza in una esistenza non più legata all’osservanza formale della legge, ma dotata di una pienezza che si manifesta quale impulso costante verso il cambiamento e l’ampliamento della vita.
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
L’assoluto e l’intelletto
Differenza tra il sistema di Fichte e di Schelling
La scissione è la fonte del bisogno della filosofia. (...) La forza che limita - l’intelletto - lega alla sua costruzione, che pone tra gli uomini e l’assoluto, tutto ciò che per l’uomo è prezioso e sacro, lo consolida mediante tutte le potenze della natura e dei talenti e lo estende all’infinito. Si può qui trovare l’intera totalità delle limitazioni, fuorché l’assoluto stesso. Perduto nelle parti, l’assoluto spinge l’intelletto a svilupparsi infinitamente nella molteplicità; ma l’intelletto, mentre anela ad estendersi fino all’assoluto, produce tuttavia senza fine solo se stesso e si prende gioco di sé. La ragione perviene all’assoluto solo uscendo da questa molteplicità delle parti. Quanto più saldo e splendido è l’edificio dell’intelletto, tanto più inquieto diviene lo sforzo della vita, racchiusa nell’intelletto come parte, per strapparsi da esso e giungere alla libertà. Ed in quanto come ragione se ne allontana, la totalità delle limitazioni è ad un tempo annientata, riferita in questo annientare all’assoluto e con ciò posta e compresa come puro fenomeno. La scissione fra l’assoluto e la totalità delle limitazioni è scomparsa.
G. W. F. Hegel, Primi scritti critici, trad. it. di R. Bodeci, Milano, Mursia, 1971
Dopo la morte del padre nel 1799, con l’eredità ricevuta, Hegel può lasciare il mestiere di precettore e tentare la carriera accademica. Aiutato da Schelling, suo più giovane e brillante collega nello Stift di Tubinga e ora cattedratico a Jena, giunge nel 1801 come docente in quella università. Nello stesso anno pubblica due lunghi saggi (Sulla differenza tra il sistema di Fichte e quello di Schelling e Fede e sapere) dove prende posizione in favore dell’amico e considera “la scissione fonte del bisogno di filosofia”. La filosofia non scaturisce, quindi, né dall’aristotelica meraviglia, né dal lockiano “disagio” (uneasiness), bensì dal dolore e dalle contraddizioni di un’epoca.
Con una serie di abbozzi sulla logica, la filosofia della natura e dello spirito e con ricerche sull’etica, la politica, il diritto naturale, durante la sua fase jenense Hegel prepara in privato la fioritura delle sue maggiori opere successive. Questa fase si conclude con la Fenomenologia dello spirito , pubblicata nel 1807. Come dirà a vent’anni di distanza dall’uscita dell’opera, quando gli viene proposto di ristamparla – magari con qualche aggiunta o correzione – essa ha rappresentato per lui un “viaggio di scoperta”. La considera pertanto una esplorazione del globus intellectualis, da “non rielaborare”. Tale scelta non dipende, tuttavia, dal fatto che la veda come un immaturo lavoro giovanile, ma dalla convinzione che nel suo viaggio sia giunto a scoprire un nuovo continente.
In questa prospettiva, la Fenomenologia rappresenta una sfida al divieto kantiano di abbandonare il solido terreno dell’esperienza, l’analitica in senso aristotelico (il dominio della verità, della scienza e della certezza), per avventurarsi nell’oceano della dialettica (il regno dell’apparenza, dei fenomeni e dell’incertezza), dove si è inevitabilmente destinati al naufragio.
Quello che Hegel scopre è che c’è verità anche nell’apparenza (nei fenomeni) e che, dunque, non esiste, in linea di principio, alcun conflitto tra apparenza e verità, tra dialettica e analitica (di cui cambia completamente il senso, poiché l’analitica diventa una verità frammentata e separante tipica dell’intelletto, Verstand, mentre la dialettica assume la funzione di processo dinamico e dissolutore dei concetti isolati tramite la ragione, Vernunft, di sviluppo mediante contraddizioni). Il sapere è inerente non solo alla meta, ma al processo.
In ciò egli è fedele al suo programma, secondo cui la filosofia deve rinunciare al suo nome di amore del sapere per diventare “sapere effettivo”, “scienza dell’esperienza della coscienza”. Il fenomeno non è illusione, ma è verità in cammino, che non è necessariamente destinata al naufragio. L’esperienza, Erfarhung, viene da lui intesa etimologicamente secondo propria la radice: Fahrt, viaggio, “itinerario della coscienza naturale, la quale urge verso il vero sapere”.
Si tratta, dunque, di percorrere un cammino scandito da una serie di tappe (o “figure”, Gestalten) che porteranno dall’opacità della “coscienza sensibile” (dal credere che il “qui” e l’“ora” siano la verità) al “sapere assoluto”, ponendo le premesse per una conoscenza che potrà svilupparsi più liberamente dopo aver metabolizzato le sue premesse.
Nella Fenomenologia dello spirito resta traccia degli scritti giovanili, ad esempio quando Hegel pone al centro della narrazione evangelica non il Golgota, ma l’Orto degli ulivi nella “notte in cui la sostanza si fece soggetto”. Tali parole vogliono dire che, mentre Gesù patisce, prega e suda sangue, i discepoli si addormentano e lo lasciano solo, un atteggiamento interpretato come il venir meno della comunità etica antica, con la conseguente nascita dell’individualismo e della solitudine del soggetto: Gesù soffre da solo e la comunità non c’è, si è addormentata. Ciascuno deve ormai portare da solo la propria croce e guardare in faccia la morte. Nella Prefazione a quest’opera, chiosando La Rochefoucauld (secondo cui “due cose non si possono guardare in faccia: il sole e la morte”), Hegel sostiene che il soggetto moderno, prodotto dal cristianesimo, deve essere in grado non soltanto di guardare l’assoluta devastazione della morte, ma di soffermarsi (verweilen) presso di essa.
Nel periodo tumultuoso in cui scrive la Fenomenologia dello spirito Hegel è convinto di vivere in un’epoca in cui un mondo si dissolve per dar vita a un altro, non ancora completamente formato, ma di cui si colgono i segni premonitori. Per questo, concludendo il suo corso di storia della filosofia all’università di Jena, può dire agli studenti, il 18 settembre 1806: “L’intera massa delle rappresentazioni, dei concetti che abbiamo avuto fino ad ora, le catene del mondo, si sono dissolte e sprofondano come un’immagine di sogno”. Del passato restano tracce sbiadite e il futuro si manifesta come inconsapevole aspirazione al nuovo, “sentimento d’ignoto”. Hegel sa che, se si restasse impigliati nella miriade di vincoli che – tramite la memoria – ci legano tenacemente al passato, il nuovo non subentrerebbe mai. Tuttavia, sa anche che, sebbene molti non se ne siano ancora accorti, i vincoli con ciò che è stato si sono spezzati.
Per avanzare verso il nuovo occorre diventare consapevoli della natura dei condizionamenti caduti, delle “catene del mondo”, guardare in faccia l’“assoluta devastazione”, ripercorrere le tappe del lungo cammino attraversato, soffermandosi su ciascuna di esse. Questo è necessario per diventare contemporanei di se stessi, per poter contemplare la figura del nuovo mondo che sorge nel “sapere assoluto”, ab-solutus, sciolto da ogni condizionamento, libero da quelle “catene” del passato che ancora imprigionano gli uomini nelle rappresentazioni, nei concetti e negli atteggiamenti etici, intimamente indeboliti ed oscurati, ma ancora in grado di esercitare una residua spinta inerziale
Di tutta la Fenomenologia dello spirito è diventato celebre il capitolo IV A sul Rapporto signoria-servitù, conosciuto, forzando il testo, come Rapporto servo-padrone. In realtà, qui Hegel non scopre (e non vuole scoprire) nulla. Ripete, da par suo, attraverso una drammaturgia concettuale, una storia già trascorsa, riorientandone il senso. Strappandole dal loro contesto, riposiziona così le singole categorie o “figure” della tradizione filosofica in una nuova costellazione di senso. La posta in gioco è, in questo caso, la conquista dell’autocoscienza nel processo di riconoscimento, ossia il non dipendere più, specularmente, dalla coscienza dell’altro in cui ci si riflette, la servitù dalla sua signoria. L’intenzione di Hegel è quella di abbozzare la preistoria dell’autocoscienza moderna che appare, invece, in Fichte come mero punto di partenza, come principio primo della Dottrina della scienza. “Io = Io”.
La trattazione fenomenologica hegeliana si sviluppa, certo, sul piano “astratto” dell’autocoscienza, ma ciò non impedisce che egli abbia in mente delle situazioni storiche e delle posizioni teoriche che – appunto perché appartengono a situazioni che si sono dissolte – hanno lasciato delle tracce nella formazione dell’autocoscienza. Egli non pensa tuttavia a situazioni specifiche e puntuali: alla schiavitù antica, al dispotismo orientale, ma neppure soltanto al valet nel senso settecentesco di Rousseau o di Beaumarchais.
Non è indifferente per Hegel (come lo era per il Freud di Totem e tabù l’uccisione del padre primitivo, che poteva aver avuto luogo o nella realtà o nella sfera del desiderio) che tale stadio sia stato attraversato o meno. L’impressione di ubiquità e di astrattezza – e perciò di pura rilevanza solo all’interno dell’autocoscienza – che tale relazione assume o la sua imputazione a determinate epoche o aree geografiche sono dovute al fatto che, per Hegel, tale stadio di servitù è stato effettivamente percorso da tutti i popoli nella formazione individuale e collettiva, ma che soltanto alcuni – gli europei moderni e, in particolare “i popoli germanici” – sono riusciti a raggiungere una condizione in cui “tutti sono liberi”.
Per Hegel libero è chi, rifiutando l’istinto animale di autoconservazione, si innalza al di sopra della vita. Nel far questo egli si riferisce a un’antica e consolidata concezione, rinverdita dalla parola d’ordine Libertà o morte! risuonata e ricamata sulle bandiere durante la Rivoluzione francese. Essa allude alla determinazione di chi combatte di conservare o conquistare la propria libertà a costo della morte. La libertà è una rischiosa conquista. La merita soltanto chi mette in gioco la propria vita e preferisce la morte alla sottomissione al volere altrui. È una decisiva prova del fuoco che seleziona gli uomini e li divide in chi è capace di dominare e chi soltanto di obbedire. Merita, invece, di servire chi per incapacità o per viltà, vuole conservare la propria vita, barattando la libertà con la sopravvivenza. È il conflitto estremo, la guerra o (secondo il modello già riscontrabile nell’ Iliade) il duello mortale a stabilire una gerarchia di valore tra gli uomini.
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Scienza della logica
Altro è la logica per chi si accosta per la prima volta ad essa e in generale alle scienze, ed altro è la logica per chi dalle scienze ritorna a lei. Colui che comincia a imparar la grammatica trova nelle sue forme e leggi delle astrazioni aride, delle regole accidentali, in generale una moltitudine isolata di determinazioni, le quali lascian soltanto vedere il valore e il senso di ciò che sta nel loro significato immediato: il conoscere non conosce dapprima in quelle altro che loro stesse. Se all’incontro uno è padrone di una lingua ed insieme è in grado di confrontarla con altre, a lui soltanto si può far sentire lo spirito e la civiltà di un popolo nella grammatica della sua lingua; quelle stesse regole e forme hanno ormai un valore pieno, vivente. Attraverso la grammatica costui può conoscere l’espressione dello spirito in generale, la logica. Così chi si accosta alla scienza trova dapprima nella logica un sistema isolato di astrazioni che è limitato a se stesso e non si estende sopra altre cognizioni e scienze.
La filosofia più tarda, più recente, più giovane, più nuova, è anche la più progredita, ricca, profonda. Essa deve conservare e contenere tutto quello che a prima vista sembra passato, e deve essere essa stessa il riflesso di tutta la storia. Il primordio è il più astratto, appunto perché è primordio e non ha ancora proceduto innanzi; l’ultima forma, che nasce da questo moto progressivo inteso come progressiva determinazione, è anche la più concreta. Questa, bisogna subito rilevarlo, non è affatto presunzione orgogliosa della filosofia contemporanea: infatti lo spirito di tutta la presente esposizione consiste nel considerare la più progredita filosofia d’un periodo posteriore come risultato, in sostanza, del precedente lavoro dello spirito pensante; sicché essa, stimolata e sospinta da queste vedute anteriori, non è spuntata come un fungo, dal nulla.
G. W. F. Hegel, Scienza della logica, Bari, Laterza, 1968
L’invio all’editore del manoscritto della Fenomenologia dello spirito avviene nell’ottobre del 1806, proprio nei giorni in cui i Francesi, sconfitti i Prussiani a Jena, entrano in città. È in questa occasione, come scrive in una lettera, che Hegel vede passare Napoleone: “È in effetti una sensazione meravigliosa vedere un tale individuo che qui, concentrato in un punto, seduto su un cavallo, si irradia sul mondo e lo domina”.Per tanti motivi, la permanenza a Jena è ormai diventata precaria e Hegel accetta, quindi, per un anno (dal 1807 al 1808) di dirigere un giornale a Bamberga, la “Bamberger Zeitung”. Curioso degli avvenimenti del mondo, vi scrive cronache puntuali e acute. Nell’autunno del 1808 si trasferisce a Norimberga come rettore di un famoso ginnasio, dove svolge anche il compito di insegnante di filosofia e impara a rivolgersi ai ragazzi con un linguaggio più piano (il risultato di questo insegnamento, che comprende anche la pedagogia, è contenuto nella Propedeutica filosofica , del 1808-1812). A Norimberga Hegel sposa, nel 1811, la nobile Marie Helene Susanne von Tucher, dalla quale ha due figli: Karl, che diventerà un noto storico del Medioevo, e Immanuel, futuro funzionario prussiano. La coppia accoglie in seguito anche il figlio naturale di Hegel, Ludwig Fischer, avuto dalla sua padrona di casa di Jena, che, entrato nell’esercito olandese, morirà in Indonesia nel 1831, nello stesso anno di suo padre.
Tra il 1812 e il 1816 Hegel porta a compimento a Norimberga la sua più monumentale opera, la Scienza della logica, il cui scopo fondamentale è quello di rifondare l’ontologia, vale a dire di mostrare come le categorie del pensiero non siano astrazioni soggettive, ma vincolino l’essere (on) al pensiero (logos). Secondo Hegel, la realtà è per sua natura conforme al pensiero. Ciò non significa attribuire coscienza alle cose, ma considerarle come orientate al pensiero, costituite da “determinazioni di pensiero” (Denkbestimmungen). Le cose hanno, dunque, in sé una struttura razionale che il pensiero esplicita, trasformandone la singolarità in universalità attraverso i concetti. Resta però da spiegare come l’oggetto si traduca nel soggetto e come il soggetto penetri nell’oggetto e ne decifri l’elemento di universalità. A tale questione, dice Hegel, in un’epoca che ha proclamato la distanza incolmabile fra soggetto e oggetto e l’inconoscibilità della “cosa in sé”, sanno rispondere meglio gli animali dei filosofi: “nemmeno le bestie sono stupide come questi metafisici, poiché si dirigono sulle cose, le afferrano e le consumano”. In questa “più bassa scuola della saggezza”, in cui si celebrano gli antichi misteri di Cerere e di Bacco, “il segreto del mangiare il pane e del bere il vino”, tutti gli esseri animati mostrano quale sia la “verità” delle cose singole e la loro presunta autonomia e intangibilità di fronte al soggetto. Tralasciando gli aspetti più propriamente tecnici e sistematici, è sufficiente osservare che le “determinazioni di pensiero” esistono nella cosa come nel seme di una pianta sono contenute implicitamente radici, rami, foglie, e non in forma miniaturizzata secondo le teorie biologiche preformiste e dell’“inscatolamento”, bensì come “progetto” (si potrebbe oggi dire al pari del loro DNA).
L’equiparazione di assimilazione/digestione e di pensiero non deve sorprendere. A partire dai primi anni di Jena, l’interesse di Hegel per la fisiologia e per i processi della digestione è fortissimo. Egli frequenta a Jena lezioni di fisiologia, progetta la traduzione tedesca dei Nouveaux élémens de physiologie di Anthelm Richerand, un giovane allievo di Bichat, ma la sua fonte principale è lo Spallanzani degli Opuscoli di fisica animale e vegetabile. Quel che Hegel crede di aver appreso da lui e dalla moderna fisiologia dei processi digestivi è che l’organismo assorbe immediatamente, in quanto potenza universale, il cibo ingoiato, ne “nega” la natura “relativamente” inorganica e lo pone come identico a sé, lo assimila.
Le leggi dell’astronomia e della digestione non sono scritte sui corpi celesti o sullo stomaco, ma trovano la loro espressione concettuale nella mente umana. Il pensiero è diventato per l’uomo più che una seconda natura: si pensa come si digerisce, con lo stesso automatismo inconscio, con la stessa istintività. Per questo, sostiene Hegel nella Scienza della logica, è assurdo affermare che lo studio della logica serva a imparare a pensare: “è proprio come se si dovesse imparare a digerire o a muoversi solo con lo studio dell’anatomia e della fisiologia”.
In questa opera ci si sofferma in genere solo sulla prima “triade” di concetti (essere, nulla, divenire), ritenendo che le categorie logiche si sviluppino poi – secondo uno schema diffusissimo ma falso, anche perché Hegel non si è mai servito di questi termini – al ritmo di “tesi”, “antitesi”, “sintesi”. Ora, in realtà, il “superamento” (Aufhebung) degli opposti avviene nel senso del tollere latino, in particolare dell’espressione Ecce agnus qui tollit peccata mundi, che “toglie” i peccati nel senso che ne toglie il peso, senza, però, dimenticarne la causa e la responsabilità. La presunta “sintesi” non è quindi altro che il non dimenticare o cancellare le opposizioni di partenza, che servono astrattamente a pensare il concetto che ne risulta. In questo caso, il “divenire” è pensabile in quanto categoria che, nello stesso tempo, include e cancella l’“essere” e il “nulla”. Lo sviluppo delle successive categorie logiche (nelle tre suddivisioni di logica dell’essere, dell’essenza e del concetto, che avrebbero un relativo parallelismo con lo svolgersi delle filosofie, a partire dal primo pensiero puro, l’“Essere” di Parmenide), fino alla conclusione, appare come un auto-movimento, un loro spontaneo dispiegarsi in cui il pensiero soggettivo fa da spettatore. Questi temi troveranno un inquadramento storico nelle berlinesi Lezioni di storia della filosofia.
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Sull’assoluto
Prefazione alla Fenomenologia dello spirito
Ancora: tale formalismo vuol gabellare questa monotonia e l’universalità astratta per l’Assoluto; il formalismo protesta che sentirsi inappagati nell’universalità da lui proposta è incapacità a impadronirsi di una posizione assoluta e a mantenervisi. Se un tempo la vuota possibilità di rappresentarsi in modo diverso qualche cosa bastava a confutare una rappresentazione; e se la mera possibilità, ossia il pensiero generico, aveva tutto il positivo valore del conoscere effettuale; similmente noi vediamo ora attribuirsi ogni valore all’universale Idea in questa forma della irrealtà, ed assistiamo al dissolvimento di tutto ciò che è differenziato e determinato; o assistiamo piuttosto al precipitare di questi valori nell’abisso della vacuità, senza che questo atto sia conseguenza di uno sviluppo né si giustifichi in se stesso; il che dovrebbe tenere il posto della considerazione speculativa. La considerazione della determinatezza di qualsivoglia esserci come si dà nell’Assoluto, si riduce al dichiarare che se ne è bensì parlato come di un alcunché; ma che peraltro nell’Assoluto, nello A = A, non ci sono certe possibilità, perché lì tutto è uno. Contrapporre alla conoscenza distinta e compiuta, o alla conoscenza che sta cercando ed esigendo il proprio compimento, questa razza di sapere, che cioè nell’Assoluto tutto è eguale, - oppure gabellare un suo Assoluto per la notte nella quale, come si suol dire, tutte le vacche sono nere, tutto ciò è l’ingenuità di una conoscenza fatua.
G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, trad. it. di E. De Negri, Firenze, La Nuova Italia, 1973
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
La filosofia è in ritardo
Prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto
Del resto, a dire anche una parola sulla dottrina di come dev’essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell’e fatta. Questo, che il concetto insegna, la storia mostra, appunto, necessario: che, cioè, prima l’ideale appare di contro al reale, nella maturità della realtà, e poi esso costruisce questo mondo medesimo, colto nella sostanza di esso, in forma di regno intellettuale. Quando la filosofia dipinge a chiaroscuro, allora un aspetto della vita è invecchiato, e, dal chiaroscuro, esso non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo.
G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Roma-Bari, Laterza, 1979
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Lineamenti di filosofia del diritto
Del resto, per quello che si riferisce all’individuo, ciascuno è, senz’altro, figlio del suo tempo; e anche la filosofia è il proprio tempo appreso col pensiero.
G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Bari, Laterza, 1965
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Lezioni sulla filosofia della storia
È lo spirito nascosto, che batte alle porte del presente, che è tuttora sotterraneo che non è ancora progredito ad esistenza attuale ma che vuole prorompervi [...]. Lo stato del mondo non è ancora conosciuto; il fine è di produrlo.
Nulla è più frequente e consueto del lamento per l’irrealizzabilità degli ideali: fossero, a far valere il loro diritto, gli ideali della fantasia o gli ideali della ragione, essi non sarebbero comunque traducibili in realtà, e specialmente gli ideali della gioventù sarebbero dalla fredda realtà abbassati allo stato di sogni. Questi ideali, che nel viaggio della vita naufragano e periscono sugli scogli della dura realtà, non possono anzitutto che esser soggettivi e appartenere all’individualità del singolo, il quale vede in sé la realtà più alta e intelligente di tutte.
G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, Firenze, La Nuova Italia, 1966-67
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Estetica
Nell’arte abbiamo a che fare non con un congegno semplicemente piacevole o utile, bensì con la liberazione dello spirito dal contenuto e dalle forme della finitezza, con la presenza e la conciliazione dell’assoluto nel sensibile e nell’apparente, con uno svolgimento della verità, che non si esaurisce come storia naturale, ma si rivela nella storia del mondo, di cui essa costituisce il lato più bello e la migliore ricompensa del duro lavoro entro il reale e dell’ingrata fatica della conoscenza.
G. W. F. Hegel, Estetica, Torino, Einaudi, 1967
Nel 1816 viene finalmente offerta a Hegel l’agognata cattedra universitaria, dapprima a Heidelberg, e poi, dal 1818, a Berlino. A Heidelberg tiene, per la prima volta, un corso di “enciclopedia filosofica” in forma sistematica, un modello che gli frutta la fama di megalomane per aver preteso di spiegare tutto. In realtà, il volume si compone di una serie di paragrafi in forma di promemoria a uso degli studenti, inserito nel quadro di una materia accademica obbligatoria, che aveva il compito di abituare alla coerenza argomentativa e alla visione d’insieme dei problemi. Il professore è poi tenuto a illustrare a voce ogni paragrafo (la cosiddetta “Grande enciclopedia” contiene anche questi commenti, ricavati dagli appunti di Hegel o da quelli degli uditori). L’opera è divisa secondo la progressione canonica logica-natura-spirito e può (e deve) essere letta anch’essa dall’inizio alla fine e viceversa. Dato che il sistema è un “circolo di circoli”, non esiste, infatti, un ingresso privilegiato e il “cominciamento” potrebbe teoricamente situarsi ovunque.
L’immagine dominante di un sistema chiuso o di un atteggiamento politico rinunciatario nello Hegel del periodo berlinese poggia anche sul fascino di alcune fortunate metafore, come quella, la più nota, della civetta della filosofia – esposta nella “Prefazione” alla Filosofia del diritto del 1821 – che si innalza sul far della sera, quando il processo di formazione della realtà appare ormai concluso. Si è sempre visto in essa il simbolo stesso della vocazione contemplativa e della rinuncia alla trasformazione del mondo da parte di Hegel. Sembra, infatti, che egli affidi al pensiero il compito di registrare passivamente una situazione storica già svoltasi e di rifugiarsi nella notte della propria interiorità.
La rappresentazione della civetta trova, tuttavia, un pendant e un contrappeso in quella della talpa, presente nelle berlinesi Lezioni sulla filosofia della storia. Diversamente dalla civetta della filosofia, che è capace di vedere nel buio ma non di agire, gli occhi della talpa della storia sono ciechi, ma il suo procedere e scavare sotterraneo, per quanto lento e tortuoso, è sicuro ed efficace. Il contributo della filosofia, della coscienza, al lavoro della talpa ha il compito (al pari dell’intervento dello Stato nella sfera economica della società civile) di chiarire e mitigare i conflitti. Acquista così un senso più pregnante la descrizione hegeliana dello specifico campo d’azione della filosofia, come viene espresso in una lettera del 1808: “Il lavoro teoretico, me ne vado convincendo ogni giorno di più, produce nel mondo più che non il pratico; una volta rivoluzionato il regno della rappresentazione, la realtà effettuale non tiene più”.
In questa direzione è da intendersi anche l’espressione della Filosofia del diritto, secondo cui “ciò che è reale è razionale” (Was ist wirklich, ist vernünftig). La Wirklichkeit, infatti, non è la Realität, non è la realtà empirica: è, piuttosto, la traduzione hegeliana della “verità effettuale della cosa” di cui parla Machiavelli, in contrasto alla “immaginazione di essa”. Wirken indica l’agire di ciò che s’imprime nel corso della storia; “razionale” è, poi, ciò che nella storia avanza, producendo effetti, non ciò che nella storia viene colto istantaneamente.
Hegel interpreta la propria epoca come un’epoca di decadenza, di disfacimento, in cui prevale “la prosa del mondo”, la burocratizzazione dell’esistenza, il dominio delle astrazioni sull’immediatezza del vivere. In campo artistico i modelli più rappresentativi del suo tempo – come risulta dalle magistrali pagine dell’ Estetica – sono Rossini in musica, e Sterne in letteratura. Così come Aristofane raffigura, ridendo, la disgregazione della polis e così come Cervantes descrive, ridendo, la dissoluzione del mondo feudale, allo stesso modo essi rappresentano con il loro humour (il genere più alto, superiore alla tragedia) la disgregazione del mondo moderno, da cui ne nascerà uno nuovo, anche se Hegel non dice quale, convinto che il filosofo non sia un profeta.
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Età di passaggio
Prefazione alla Fenomenologia dello spirito
Del resto non è difficile a vedersi come la nostra età sia un’età di gestazione e di trapasso a una nuova era; lo spirito ha rotto i ponti col mondo del suo esserci e rappresentare, durato fino ad oggi; esso sta per calare tutto ciò nel passato e versa in un travagliato periodo di trasformazione. Invero lo spirito non si trova mai in condizione di quiete, preso com’è in un movimento sempre progressivo. Ma a quel modo che nella creatura, dopo lungo placido nutrimento, il primo respiro, - in un salto qualitativo, - interrompe quel lento processo di solo accrescimento quantitativo, e il bambino è nato; così lo spirito che si forma, matura lento e placido verso la sua nuova figura e dissolve brano a brano l’edificio del suo mondo precedente; lo sgretolamento che sta cominciando è avvertibile solo per sintomi sporadici: la fatuità e la noia che invadono ciò che ancor sussiste, l’indeterminato presentimento di un ignoto, sono segni forieri di un qualche cosa di diverso che è in marcia. Questo lento sbocconcellarsi che non alterava il profilo dell’intiero, viene interrotto dall’apparizione che, come un lampo, d’un colpo, mette innanzi la piena struttura del nuovo mondo.
G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, trad. it. di E. De Negri, Firenze, La Nuova Italia, 1973
Si è a lungo discusso sul carattere autoritario e prussiano della concezione hegeliana dello Stato. In realtà, oltre a considerare il monarca un semplice “puntino sulla i”, qualcuno che si limita a promulgare le leggi, Hegel rafforza il ruolo dello Stato nei confronti degli egoismi e del particolarismo della “società civile”, delle corporazioni e della sfera economica. Come mostra uno dei tanti brani delle lezioni sulla filosofia del diritto successive al testo a stampa, a Berlino egli è cosciente del fatto che, all’interno dei diversi Stati, “il commercio del danaro, le banche, ha ottenuto questa grande importanza...; dato che gli Stati hanno bisogno di danaro per i loro interessi, essi dipendono da questa circolazione di danaro (Geldverkehr) in sé indipendente”. Nel periodo che precede immediatamente la rivoluzione di luglio – che avrebbe visto i Laffitte, i Périer e i Rothschild assumere anche il controllo del potere politico – non sfugge a Hegel il fatto nuovo che il danaro, in veste di potenza astratta e “indipendente”, limita nella sua assolutezza persino la sovranità di quell’hobbesiano “Dio terreno” o di quel “geroglifico della ragione” che è per lui lo Stato.
Nelle Lezioni sulla filosofia della storia, a differenza di Kant, che nell’Antropologia prammatica le condanna come un “cancro della ragione”, Hegel esalta invece le passioni, Egli è categorico nel sostenere che la storia non si spiega attraverso le intenzioni coscienti degli uomini, bensì mediante le loro passioni (spesso torbide) e i loro interessi (spesso fraintesi). Le passioni sono, in effetti, il vero motore della storia: al pari del vento e del vapore, costituiscono le energie naturali e inconsapevoli degli individui, che l’“astuzia della ragione” gioca a posteriori le une contro le altre. Nell’ordinamento del mondo un ingrediente sono le passioni, l’altro è il momento razionale. Le passioni sono l’elemento attivo. Senza di esse, nulla di grande si realizzerebbe nel mondo.
Questo “elemento attivo” è costituito – soprattutto – dalle passioni degli individui che hanno un peso nella storia del mondo e vi lasciano le loro tracce. Tali “condottieri di anime” sono tuttavia grandi non perché posseggono una personalità originale, ma perché esprimono forze collettive e danno voce a ciò che tutti inconsciamente sentono e attendono. Uno di questi è Napoleone, che Hegel ha sempre ammirato, così come ha ricordato per tutta la vita, con un brindisi, il 14 luglio, data d’inizio della Rivoluzione francese (poi degenerata, secondo lui, in spirito di conquista).
Di questo realismo hegeliano, che tiene conto delle “dure repliche della storia” rispetto ai vuoti ideali ed entusiasmi romantici, si trova traccia anche sul piano estetico. Secondo testimonianze, oggi confermate, il giovane poeta Heinrich Heine, allora allievo di Hegel, invitato a cena dal filosofo, si sarebbe esaltato nel guardare il cielo stellato. Al che Hegel, fautore di un patriottismo dell’uomo nei confronti della natura, avrebbe sprezzantemente osservato che esso “non è altro che un’eruzione cutanea luminosa” e che una goccia d’acqua, o il pensiero di un delinquente, sono molto più sublimi di tutti gli spettacoli naturali.
Diventato rettore dell’università di Berlino, al culmine della sua fama e già coinvolto in polemiche che annunciano il dividersi dei suoi discepoli in scuole differenti (sinistra, centro e destra hegeliana), Hegel muore di colera a Berlino il 14 novembre del 1831.
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Autocoscienze
Fenomenologia dello spirito
La relazione di ambedue le autocoscienze è dunque così costituita ch’esse danno prova reciproca di se stesse attraverso la lotta per la vita e per la morte. - Esse debbono affrontare questa lotta, perché debbono, nell’altro e in se stesse, elevare a verità la certezza loro di esser per sé. E soltanto mettendo in gioco la vita si conserva la libertà, si dà la prova che all’autocoscienza essenza non è l’essere, non il modo immediato nel quale l’autoscienza sorge, non l’esser calato di essa nell’espansione della vita: - si prova anzi che nell’autoscienza niente è per lei presente, che non sia un momento dileguante, e ch’essa è soltanto puro esser-per-sé. L’individuo che non ha messo a repentaglio la vita, può ben venir riconosciuto come persona; ma non ha raggiunto la verità di questo riconoscimento come riconoscimento di autocoscienza indipendente. Similmente ogni individuo deve aver di mira la morte dell’Altro, quando arrischia la propria vita, perché per lui l’Altro non vale più come lui stesso; la sua essenza gli si presenta come un Altro; esso è fuori di sé, e deve togliere il suo esser-fuori-di-sé; l’Altro è una coscienza in vario modo impigliata che vive nell’elemento dell’essere; ed esso deve intuire il suo esser-altro come puro esser-per-sé o come assoluta negazione.
G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, trad. it. di E. De Negri, Firenze, La Nuova Italia, 1973
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Il terzo sillogismo
Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, sezione III, parte III, par. 577
Il terzo sillogismo è l’idea della filosofia, la quale ha per termine medio la ragione che sa sé stessa, l’assolutamente universale: termine medio, che si dualizza in spirito e natura, fa di quello il presupposto come processo dell’attività soggettiva dell’idea, e di questa l’estremo universale, in quanto processo dell’idea, che è in sé ed oggettivamente. L’autogiudizio dell’idea nelle due apparenze (Paragrafi 575-576) determina queste come le sue manifestazioni (manifestazioni della ragione, che sa sé stessa); e si riunisce in essa in modo che è la natura della cosa, il concetto, ciò che si muove e svolge, e questo movimento è altresì l’attività del conoscere. L’idea, eterna in sé e per sé, si attua, si produce e gode se stessa eternamente come spirito assoluto.
G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Roma-Bari, Laterza, 1951
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Quando subentra la filosofia
Lezioni sulla storia della filosofia
Si può dire che la filosofia sorge solo quando un popolo è uscito dalla sua vita concreta, quando s’è verificata la divisione e il differenziamento delle classi, quando ormai il popolo s’avvicina al suo tramonto, quando orami è subentrata la scissione tra le aspirazioni interne e la realtà esteriore, quando l’antica forma della religione non soddisfa più, ecc.; quando lo spirito mostra orami una certa indifferenza verso l’esistenza della sua vita e rimane in essa, ma insoddisfatto, e la sua vita etica si va dissolvendo: allora subentra la filosofia. Allora lo spirito si rifugia nell’ambito del pensiero, per crearsi ivi un proprio regno in opposizione al mondo della realtà.
La filosofia costituisce allora la conciliazione di quel dissidio, che è iniziato nel pensiero.
G. W. F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, a cura di A. Plebe e L. Pareyson, Roma-Bari, Laterza, 1956