Romero, George A. (propr. George Andrew)
Regista cinematografico statunitense, nato a New York il 4 febbraio 1940. Se il suo film d'esordio, Night of the living dead (1968; La notte dei morti viventi) divenuto in breve tempo un film di culto, ha rivoluzionato il cinema dell'orrore, con i suoi due seguiti, Dawn of the dead (1979; Zombi) e Day of the dead (1985; Il giorno degli zombi), R. ha completato la 'trilogia dei morti viventi', ossia la prova più compiuta di un cineasta singolare e discontinuo, che ha comunque aperto la strada a un rinnovamento del genere. In particolare, nella sua produzione l'orrore rimanda a una violenza che può essere brutale, fisica e allucinata, oppure manifestarsi attraverso incubi interamente mentali.
Amante dei fumetti dell'orrore (cui avrebbe successivamente reso omaggio in Creepshow, 1982), realizzò il suo primo cortometraggio a 14 anni. Trasferitosi a Pittsburgh, compì studi di arte e teatro e fondò la casa di produzione Latent Image. Nel 1968 si impose con Night of the living dead, film dal costo irrisorio, girato in totale indipendenza nei fine settimana, la cui trama è un archetipo dell'orrore: un'orda di morti viventi assedia una casa di campagna dove si sono asserragliate sette persone. Invece di rivelare coraggio, e coesione di fronte al pericolo, il gruppo (campione della società americana e forse dell'umanità) viene sterminato in una sola notte, non tanto a causa degli zombi quanto per la propria stoltezza. Si salva soltanto un nero, poi ucciso da una squadra di salvataggio che lo scambia per un morto vivente. Girato in un bianco e nero sgranato e con movimenti di macchina a spalla, interpretato da attori non professionisti, Night of the living dead è basato su un dispositivo dalla crudeltà ineguagliata. Le approssimazioni in fase di ripresa sono sublimate dall'illusione di assistere a un macabro documentario, mentre semplice ma geniale risulta l'invenzione, catalizzatrice di pulsioni e brutalità, dello zombi, ossia del morto vivente, ultimo grande mito del cinema dell'orrore (cui anche il cinema di genere italiano avrebbe attinto con film come Zombi 2, 1979, e Zombi 3, 1988, di Lucio Fulci) di cui risultano fissate regole e convenzioni: dal comportamento (si tratta di un essere muto e ottuso, dai movimenti impacciati) alla pandemia per contaminazione virale (ogni vivo morso da uno zombi si trasforma a sua volta in morto vivente), al modo di disfarsene definitivamente (distruggendone il cervello: una pallottola tra gli occhi è il metodo più efficace). Gli zombi immaginati da R. sono cadaveri tornati alla vita per ragioni oscure, privi di qualsiasi movente se non quello ‒ tanto determinato quanto irrazionale ‒ di uccidere i viventi, divorandoli. R. rappresenta l'immortalità come una condizione spaventosa, riducendo l'essere sopravvissuto alla morte a un corpo putrefatto privo di coscienza, un'entità biologica assurda e fine a sé stessa.
Al secondo film della trilogia, Dawn of the dead, collaborò Dario Argento, scrivendone la sceneggiatura e coproducendolo: il morbo ha ormai assunto dimensioni epidemiche e gli zombi errano in un grande magazzino. L'attacco al consumismo colpisce per la violenta radicalità, e il tono satirico è esaltato da contrappunti visivi e sonori che uniscono il truculento all'ironico. Day of the dead conclude la trilogia. La guerra sembra definitivamente perduta: i morti hanno invaso il pianeta, e i rari sopravvissuti si sono rifugiati in bunker sotterranei sotto il comando di scienziati pazzi e di militari ottusi. Gli zombi vengono usati come cavie di laboratorio e si ribellano facendo strage di umani e suscitando la segreta simpatia dello spettatore. Questo film rigoroso e politico, intriso di un'amarissima ironia e di un rifiuto della spettacolarità non venne però apprezzato negli Stati Uniti degli anni della presidenza di R. Reagan.
Di rilievo nella produzione del regista due film girati tra un titolo e l'altro della trilogia: The crazies (1973; La città verrà distrutta all'alba), metafora della guerra in Vietnam realizzata attraverso la storia di un virus devastante che, nato come arma batteriologica, si diffonde in una cittadina di provincia; e Knightriders (1981), dove il mondo cavalleresco medievale viene trasposto in una comunità di motociclisti del Midwest. Secondo quanto già anticipato con Martin (1979; Wampyr) in seguito R. con Monkey shines ‒ An experiment in fear (1988; Monkey shines ‒ Esperimento nel terrore), Due occhi diabolici (1990, di produzione italiana e tratto da E.A. Poe, in due episo-di, di cui uno diretto da Argento) e The dark half (1993; La metà oscura), ha mutato registro, da un lato intensificando l'allegoria politica e dall'altro trasponendo la dimensione dell'orrore al livello di un'angosciosa ambiguità mentale, rendendo così più amara e visionaria la violenza fisica. In Martin gli umori grotteschi si accompagnano all'amarezza del ritratto di un adolescente psicopatico che viene creduto un vampiro. In Monkey shines il racconto dell'inquietante simbiosi tra una scimmia e uno studente paralitico racchiude una riflessione sulla labile frontiera tra l'umano e l'animalesco. Nell'episodio del film a quattro mani del 1990 l'ipnotismo è il pretesto per una parabola sulla sete di denaro e la guerra dei sessi; mentre nel film del 1993 la scissione della personalità di uno scrittore che firma con uno pseudonimo i suoi romanzi pulp offre al regista, sulla scorta del romanzo di S. King da cui è tratto, lo spunto per un'ossessiva e cupa discesa nei meandri della psiche. Dopo un lungo periodo di inattività, nel 2000 R. ha girato Bruiser (Bruiser ‒ La vendetta non ha volto), ancora un'allegoria in cui un uomo, che vede il suo volto trasformarsi in una maschera bianca, ne approfitta per abbandonarsi a efferatezze e vendette. *
D. Buzzolan, George A. Romero. La notte dei morti viventi, Torino 1998.