Berkeley, George
Filosofo irlandese di famiglia di origine inglese (Dysert, Irlanda, 1685 - Oxford 1753).
Nel 1700 entrò al Trinity College di Dublino, nel quale rimase poi come insegnante di greco, di teologia e di ebraico; presi gli ordini nel 1709, fu nominato più tardi predicatore dell’università. Nel 1713 si recò a Londra e fu presentato a corte dall’amico J. Swift. Frequenti furono i suoi viaggi in Europa; in partic., tra il 1716 e il 1720 soggiornò parecchi mesi in Italia lasciando anche quattro vivaci diari delle sue visite alle più importanti città. Le opere giovanili, An essay towards a new theory of vision (1709; trad. it. Saggio su una nuova teoria della visione); A treatise concerning the principles of human knowledge (1ª parte, ma rimasta unica, 1710; trad. it. Trattato sui principi della conoscenza umana); Three dialogues between Hylas and Philonous (1713; trad. it. Tre dialoghi tra Hylas e Philonous), sono anche le più importanti per originalità speculativa. Nel 1722 presentò in Parlamento un progetto di evangelizzazione delle popolazioni indigene americane (A proposal for the better supplying of Churches, 1724) da realizzarsi fondando un collegio alle Bermude; ottenuto nel 1726 un finanziamento di 20.000 sterline, B. partì con la moglie Ann Forster e sbarcò a Rhode Island, sulla costa americana, nel 1729, ma dovette ben presto rinunciare al suo progetto per mancanza di mezzi. Rientrato in patria, nel 1734 fu nominato vescovo di Cloyne in Irlanda, dove rimase fino al 1752, quando si trasferì a Oxford.
La principale preoccupazione di B. è anzitutto religiosa: la sua filosofia nasce infatti dall’esigenza di difendere la religione dagli attacchi di atei, materialisti e liberi pensatori e di combatterli utilizzando il loro stesso metodo empiristico. B. intende opporsi al dualismo pensiero-materia, la cui accettazione è, a suo avviso, alla base dello scetticismo moderno. Contro tale dualismo, B. fa una scelta radicale: dal momento che è impossibile negare l’esperienza della coscienza, egli imbocca la strada dell’affermazione di un monismo spiritualistico che porta alle estreme conseguenze la scoperta della soggettività del reale. Nell’Essay, muovendo dall’esame dell’origine dell’idea di distanza, B. analizza le idee di estensione, di figura e di movimento, che sembravano comuni alla vista e al tatto, e perciò erano state considerate da Locke come qualità primarie, oggettive, non meri modi nostri di percepire le cose (come le qualità secondarie, soggettive). B. dimostra l’eterogeneità delle idee riferite alla vista da quelle riferite al tatto, pur riconoscendo un’associazione tra esse per opera dell’abitudine, onde la coscienza visiva può costruirsi un sistema di segni, per sé arbitrari, che tuttavia simboleggiano una serie di esperienze tattili. Questo esame critico viene ripreso e completato nel Treatise, la sua opera principale: qui B. distrugge la distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie, adducendo che sono tutte nostre percezioni o idee, ed esprime tale principio con la formula esse est percipi. B. si rifà, da un lato, al cogito cartesiano, cioè al pensiero autocosciente posto come principio primo di ogni realtà; dall’altro, a Locke, il quale dalle idee semplici (fornite dalla percezione) ricava per sintesi idee più o meno complesse, e dal rapporto tra le idee in generale deriva tutte le conoscenze relative al mondo corporeo e incorporeo. Descartes però lasciava sussistere la realtà del mondo materiale come «sostanza estesa» del tutto eterogenea a quella «pensante», spirituale. Così Locke, nonostante l’affermazione che il mondo per noi reale è quello di cui abbiamo idee, lasciava anch’egli sussistere un mondo extrasoggettivo, presupposto a quello di cui abbiamo esperienza e conoscenza. B. invece nega quel presupposto, e in tale negazione sta la sua originalità. Per B. esiste solo lo spirito: le cose esistono in quanto idee o collezioni di idee, ma sono interne allo spirito che le percepisce (e non esistono fuori da esso) sebbene si presentino allo spirito come oggetti; lo stesso corpo viene dichiarato anch’esso un’idea. B. giunge così alla negazione della materia (immaterialismo) intesa come sostrato delle qualità sensibili, dal momento che queste, non essendo altro che idee, non possono esistere se non in una mente (mind). Ed esse esistono nella mente dell’uomo perché Dio le produce in noi (le cose, infatti, non esistendo, non possono produrle). B. pensava, in questo modo, di aver eliminato una volta per sempre ogni motivo al risorgere del materialismo, fondamento, secondo lui, dello scetticismo e soprattutto dell’ateismo e dell’irreligione che si veniva diffondendo in Inghilterra con l’Illuminismo e con il deismo. In seguito, però, proprio dalle sue premesse avrebbe preso spunto Hume per negare non solo la sostanza materiale, ma anche quella spirituale e, con la critica dell’idea di causalità, il fondamento della dimostrazione berkeleyana dell’esistenza di Dio.
Una volta dimostrata l’impossibilità di ammettere l’esistenza della materia B. avanza una ontologia alternativa per rendere conto della validità delle leggi scientifiche: uniche realtà esistenti sono gli spiriti finiti degli uomini e lo spirito infinito di Dio; quest’ultimo si manifesta ai primi attraverso le idee, che non sono altro che un linguaggio divino in cui gli scienziati rintracciano quelle regolarità che enunciano nelle leggi naturali. B. riespone le linee generali della sua filosofia nei divulgativi Three dialogues. Nel De motu (1721) B. sottolinea la pericolosità per la fede delle concezioni, proprie della fisica di Newton, di uno spazio e tempo assoluto e di una forza gravitazionale della materia. L’attacco contro i deisti e i liberi pensatori viene ripreso esplicitamente nel dialogo Alciphron or The minute philosopher (1732; trad it. Alcifrone, ossia il filosofo minuzioso) in cui B. difende il teismo delineando l’apporto che il ragionamento analogico può offrire a una dimostrazione dell’esistenza di Dio. Forte di notevoli conoscenze matematiche, B. sottopone a un esame critico l’analisi infinitesimale di Newton in The analyst or A discourse addressed to an infidel mathematician (1734; trad. it. L’analista: discorso a un matematico infedele) e in A defence of freethinking in mathematics (1735). Alla concezione del mondo meccanicistica B. finisce poi con il contrapporre nella sua ultima opera, Siris (1744; trad. it. Siris, catena di riflessioni e ricerche filosofiche sulle virtù dell’acqua di catrame), una cosmologia di ispirazione neoplatonica che, partendo da un inno alle virtù medicamentose dell’acqua di catrame come rimedio contro la peste, individua nel mondo una catena di esseri che risale fino al Dio sovrannaturale. B. non mancò di intervenire in numerose occasioni a difendere i principi politici del partito tory. Su questa linea sono i tre sermoni sulla Passive obedience (1712), i suoi saggi sulla rivista The Guardian (anni 1713-1714) contro i liberi pensatori, il suo attacco ai giacobiti in Advice to the tories who have taken the oaths (1715), il suo Essay towards preventing the ruin of Great Britain (1721), e le ricerche sulla economia e politica irlandesi presentate in A discourse addressed to magistrates and men in authority (1738) e principalmente nelle tre parti di The querist (1735-1737).
Biografia