BIZET, George
Nato a Parigi il 25 ottobre del 1838. Sui registri dello stato civile fu inscritto coi nomi di Alexandre-César-Léopold; ma fu poi chiamato col nome di Georges. Dai genitori stessi venne incoraggiato agli studî musicali, ed anzi il padre, maestro di canto, fu la sua prima guida. Fanciullo di 9 anni fu ammesso al conservatorio di Parigi, dopo aver sostenuto gli esami con rara felicità di risultati, e ivi divenne allievo del Marmontel (pianoforte) e di Halévy (composizione). A 14 anni, nel 1852, ottenne il primo premio di pianoforte; a 17 anni il primo premio di fuga e d'organo; a 19 il "Premio di Roma". E dopo un esperimento teatrale di scarsa importanza, con l'operetta Il dottor Miracolo, che vinse il concorso Offenbach e fu rappresentata nel 1857, il musicista si recò a Roma, a Villa Medici.
Appena giunto a Roma, B. si tracciò senz'altro un programma di lavoro: nel primo anno un'opera buffa, nello stile della tradizione italiana; nel secondo anno La Esmeralda di Victor Hugo; nel terzo una sinfonia. In tale programma il giovane non includeva certo ricompense immediate od altro. Egli stesso scriveva: "Je veux mésurer mes forces pendant que le public n'a rien à y voir". L'opera buffa, intitolata Don Procopio libretto di Cambiaggio, scritto verso il 1842, e già musicato da Vincenzo Fioravanti) fu dal Thomas giudicata giovane e ardita nello stile. Tuttavia il manoscritto dell'opera scomparve nel cumulo disordinato degli envois de Rome, e soltanto nel 1895 il Malherbe, bibliotecario dell'Opéra, rimise le mani sull'opera giovanile di Bizet, e undici anni dopo, il 6 marzo 1906 (trentun'anni dopo la morte di Bizet), il Don Procopio fu rappresentato al teatro di Monte Carlo. L'esito felice non bastò però ad incoraggiare altre imprese. Dopo la composizione del Don Procopio, Bizet viaggiò un poco per l'Italia, e il viaggio lo esaltò: "Che paese - scriveva - e che compagni di viaggio! Cicerone, Omero, Ulisse, Virgilio, Orazio, Tiberio, Nerone....". Da Roma, dopo l'opera buffa, inviò a Parigi La Esmeralda, che fu poi mutata in una sinfonia descrittiva con cori, dal titolo Vasco de Gama ed eseguita qualche anno dopo alla Société Nationale des Beaux-Arts, stampata dopo la morte dell'autore e pubblicata con le sue opere postume. Terzo degli envois de Rome fu la Suite d'orchestre, che fu giudicata con grande favore, per merito particolare del delicato ed originale Scherzo, che divenne più tardi lo scherzo della sinfonia Souvenirs de Rome, eseguita nei concerti popolari del 1869. Lasciando Roma, dopo tre anni di permanenza, Bizet si chiedeva: "Aurai-je fait assez de progrès pour prendre dans l'art musical la place que je voudrais tenir?" Ma ben presto i fatti gli dimostrarono che i suoi sogni erano prossimi a realizzarsi.
Ritornato a Parigi dovette superare un periodo doloroso e snervante: la morte della madre, prima, e poi le necessità materiali lo costrinsero ad un lavoro ingrato e faticoso, senza ambizioni e senza letizia. Sono infatti di quell'epoca i 150 pezzi che egli trascrisse dalle più celebri opere italiane, tedesche e francesi. Ma fu lotta fortunatamente breve: una sovvenzione di centomila franchi che il conte Walewski fece al Theâtre Lyrique perché si rappresentasse ogni anno un'opera completa di un Prix de Rome, e l'interessamento dell'impresario e direttore di teatri Léon Carvalho che sposò con entusiasmo la causa dei giovani, favorirono la rivelazione del Bizet. Carvalho, che stimava B. e ne intuiva il valore eccezionale, gli diede a porre in musica il libretto in 3 atti di Michel Carré e Cormon I pescatori di perle. Il B., preso dal suo giovanile fervore, non dovette certo starsene lungamente a studiare sull'aderenza, maggiore o minore, del libretto alle esigenze ed alle risorse del suo proprio estro musicale; e del resto questo lavoro, quantunque deficiente di pezzi teatrali, giovò ugualmente a rivelare la forza creativa del giovane compositore. Sia pure nell'incertezza delle derivazioni e delle tendenze, nella musica de I Pescatori di perle apparve già nitidamente quella che nella musica di B. divenne poi ragione di duraturo prestigio, e cioè la rispondenza perfetta tra la commozione provata dall'artista e quella offerta all'ascoltatore. I Pescatori di perle furono rappresentati il 29 settembre del 1863; ottennero un successo caloroso, ma gli applausi sbocciarono più dalla simpatia verso il musicista venticinquenne che non da una profonda convinzione del valore dell'opera. Sebbene alquanto sparsi e confusi, in quest'opera si avvertono già i germi coraggiosi di una nuova scuola. Ma intanto B. affrontava senza perdere tempo un secondo lavoro, di ampie proporzioni, in 5 atti, intitolato Ivan il terribile. La storia di quest'opera è interessante e non manca d'insegnamenti. B. in quell'epoca, quasi inconsapevolmente, si era lasciato travolgere dall'impetuosa natura del suo animo, della sua terra e della sua razza. Dopo aver interamente composta l'opera, egli la condannò al rogo, sottraendola così a qualsiasi indagine contemporanea o postuma. E con l'opera distrusse l'influenza verdiana, rinsaldandosi e riesaltandosi nella propria personalità. Compose poi La bella fanciulla di Perth. La rappresentò nel medesimo teatro che vide il successo ingiustamente effimero de I pescatori di perle, ed ottenne un esito stranamente simile all'altro: successo caloroso e poche repliche per mancanza di pubblico. Solo la critica dei giornali, se non più intelligente nell'intuire la meta verso la quale marciava B., fu se non altro più prudente. B. insomma non era ancora compreso, ma si aveva già paura di non comprenderlo! Ed era il primo passo verso l'ammirazione. Questo avveniva nel 1867. In quella stessa epoca B. si dedicò anche alla critica musicale, e nella Revue nationale pubblicò articoli informati alla massima schiettezza, ma anche alla massima compostezza artistica. Quantunque ammiratore fervente di Riccardo Wagner, egli si fece materialmente ed artisticamente precursore della formula di Nietzsche: "Il faut méditerranéiser la musique". E B., critico e musicista, ci lasciò con queste sole parole l'evangelo della sua fede, della sua coscienza e della sua arte: "Musicisti, fatemi ridere o piangere; esaltatemi l'amore, l'odio, il fanatismo, il delitto; incatenatemi, abbagliatemi, rapitemi, ed io non vi moverò certo l'ingiuria di classificarvi, di elencarvi come coleotteri". E mentre dava questo testamento artistico, componeva, in un crescendo di padronanza tecnica e di splendente genialita: Djamileh, L'Arlésienne e Carmen, ascendendo dalla semplice visione alla concreta attuazione della propria idea d'arte. "Djamileh - ha scritto uno spassionato biografo di B. - è un lavoro di prim'ordine; musicalmente, un capolavoro; scenicamente, un errore". L'opera (in un atto), su libretto di Louis Gallet, fu rappresentata il 22 maggio del 1872 all'Opéra-Comique. L'esito fu quello che quasi sempre turbò le rappresentazioni di opere bizettiane: applausi la prima sera, scarso interesse poi, e fine prematura. L'Arlesienne apparve quattro mesi dopo, al Vaudeville, il 1° ottobre dello stesso 1872.
Voleva essere un modesto e semplice commento musicale alla viva opera scenica di Alphonse Daudet, ma dalla dolce visione provenzale del Daudet la musica di Bizet sbocciò come un vero miracolo di espressione lirica. Il senso umano e poetico dell'opera di Daudet trovò nel commento musicale la sua perfetta risonanza. Tuttavia l'esito fu disastroso per B. Quando calò per l'ultima volta il sipario, B., dietro le quinte, preso da una spasimante crisi di scoraggiamento, coi pugni tesi verso la sala, ripeteva incessantemente con la voce rotta dalla disperazione: "Ils ne m'ont pas compris, ils ne m'ont pas compris..." E ancora una volta l'incomprensione del pubblico calpestava non già la fede e il genio, invincibili forze del Bizet, ma quel che invincibile non era: la resistenza fisica. Lotta atroce tra una miseria mortale e una ricchezza immortale. Prima di Carmen, dal '72 al '75, B. diede una Suite d'orchestra e l'ouverture Patria, che fu eseguita il 15 febbraio del 1874.
Ed ecco Carmen, l'opera che destò in Francia e nel mondo una vera rivoluzione estetica ed ebbe un'azione profondamente rigeneratrice: un prodigio di umanità realizzata in perfezione d'arte. Il pubblico, la prima sera (3 marzo 1875) non comprese Carmen; un poco più nelle recite successive, ma sempre in misura inadeguata. L'opera risorse ben presto (soltanto, dopo la morte del suo autore) e percorse acclamata i teatri del mondo intero. E sarà così per lungo tempo. Carmen è una delle opere più tenaci di fronte all'assalto degli anni. Come tutti gli autentici capolavori, essa può essere paragonata a quei fenomeni della natura che ogni mattino rinascono nella loro immutabile bellezza. Ed in Carmen vi è proprio sole, luce, aria, colore e calore. I suoi pregi formali non contano dunque se non come esempio di perfetto equilibrio tra commozione ed espressione.
Si può in parte scusare il giudizio del pubblico, che trovò la cantante, che impersonava alla prima rappresentazione la protagonista, eccessivamente veristica; ma ingiustificabile resta sempre il contegno dei critici d'allora. Si scrisse persino che B. era un Wagner di cattivo gusto. Grossolano errore, perché se vi fu musicista che segnò una profonda antitesi alla moda wagneriana, questi fu proprio B. Lo prova il grido di rivolta antiwagneriana che proprio la Carmen strappò a Federico Nietzsche: "Volgere le spalle a Wagner, fu per me una fatalità; amare qualcosa in seguito, una vittoria". E questa sua vittoria il Nietzsche trovò proprio in questa Carmen "ascoltando la quale (egli scriveva) si diviene noi stessi un capolavoro".
B. morì esattamente tre mesi dopo la prima rappresentazione di Carmen, il 3 giugno del 1875. Si disse e si scrisse in seguito che non il dolore della prima caduta dell'opera può averlo ucciso, tanto più che quando egli morì, Carmen era già arrivata alla sua trentesimaterza replica. Ma nemmeno questa sua celebre frase ci può guarire dal triste dubbio: "Io non faccio caso assolutamente di quella popolarità che si conquista sacrificando il genio e l'onore...". No, B. non ha certo mai sacrificato il suo genio ed il suo onore, ma forse ha sacrificato la sua vita.
Opere: David, cantata, 1856 (inedita); Il dottor Miracolo, operetta, 1857; Don Procopio, 2 atti, libretto italiano, 1859; Vasco di Gama, ode sinfonica, 1860; La Guzla dell'Emiro, 1 atto, 1862 (inedito); I pescatori di Perle, 3 atti, 1863 (Théâtre Lyrique); La bella fanciulla di Perth, 4 atti, 1867 (Théâtre Lyrique); Ivan il terribile (distrutto); Noè, opera biblica di Halévy istrumentata nei primi 3 atti da Bizet, che compose il 4°; Djamileh, 1 atto, 1872 (Opéra-Comique); L'Arlésienne, musica di scena per il dramma di Daudet, 1872 (Vaudeville); Le Cid, 1873 (inedito); Carmen (Meilhac et Halévy), 4 atti, 1875 (Opéra-Comique); Santa Genoveffa di Parigi, oratorio, 1875 (distrutto). E per orchestra sola: Scherzo e Andante, 1861; Ricordi di Roma, 1869; Piccola Suite (dai Jeux d'enfants), 1873; Patria (ouverture), 1874. Per pianoforte: I canti del Reno (6 lieder); La caccia fantastica; Giuochi di fanciulli (12 pezzi a 4 mani); Variazioni; Danza boema; Venezia; Notturno; Romanza senza parole. Per pianoforte a due e quattro mani trascrisse pezzi di Mignon, Don Giovanni, Amleto. Poi trascrizioni delle opere religiose di Roques. Dodici trascrizioni facili dell'arte del canto di Thalberg. Trascrizioni e riduzioni da partiture diverse di Mozart, Rossini, Gounod, Thomas, Massenet, Saint-Saëns, e di alcune delle sue stesse opere.
Bibl.: A. Jullien, Musiciens d'aujourd'hui, Parigi 1891-1894; E. Galabert, G. Bizet, Parigi 1877; A. F. Marmontel, Symphonistes et virtuoses, Parigi 1881; Ch. Pigot, Bizet et son øuvre, Parigi 1886; C. Bellaigue, Bizet, sa vie et ses øuvres, Parigi 1891; A. Weissmann, G. Bizet, nella collezione Die Musik, 1907; G. M. Gatti, G. Bizet, Torino 1915; P. Landormy, Bizet, nella collezione Les maîtres de la musique, Parigi 1924.