George Church. Il bestseller stampato sulla doppia elica
Genetista alla Harvard Medical School, 58 anni, un vegano alto quasi due metri, ha scritto un libro sulla biologia sintetica, e per pubblicarlo ha utilizzato una molecola di DNA. 70 miliardi di copie in una provetta: le biblioteche del futuro saranno fatte così?
Il genetista dell’anno è George Church della Harvard Medical School, autore di Regenesis. How Synthetic Biology will reinvent Nature and Ourselves.
Il libro, scritto insieme al giornalista Ed Regis, non passerà alla storia per l’affascinante argomento trattato – come la biologia di sintesi potrà reinventare la natura e noi stessi, in quella che può essere definita una seconda genesi – ma perché è il primo che, oltre a essere distribuito su carta e in digitale, è stato stampato usando come supporto la regina delle molecole biologiche, il DNA. Church ha fatto del libro 70 miliardi di copie nel proprio laboratorio e per contenerle gli è bastata una minuscola provetta. L’exploit, annunciato il 16 agosto dalla rivista Science, dimostra che il DNA ha potenzialità straordinarie per l’immagazzinamento dei dati digitali e conferma la vena eccentrica di questo scienziato a cui piace lavorare al confine tra biologia e informatica, tra possibile e impossibile.
Church nasce nel 1954 in Florida e a 10 anni è già in grado di costruire dei calcolatori rudimentali ma funzionanti, utilizzando pezzi di apparecchi radiofonici. A 16 anni si scrive da solo i software, spaziando dalla modellizzazione ecologica alla poesia algoritmica.
A 22 rischia di essere cacciato dalla Duke University, perché è così assorbito dalla ricerca biochimica da disertare le lezioni. Per fortuna c’è Harvard pronta ad accoglierlo, sotto la guida di Walter Gilbert. Insieme al futuro premio Nobel per la chimica, il giovane Church mette a punto uno dei primi metodi per studiare le sequenze di DNA. Sono sue le intuizioni che oggi fanno funzionare le macchine sequenziatrici di ultima generazione ed è questo il campo in cui tuttora lavora. Sviluppa idee innovative per leggere, scrivere, modificare il DNA in modo sempre più economico e preciso, per cambiarne il codice, persino, e traghettare l’ingegneria genetica in una fase nuova, di piena maturità e grandi ambizioni.
Come disciplina è ancora di là da venire ma ha già un nome: biologia di sintesi. Church immagina di capovolgere l’orientamento delle molecole che costituiscono il micromondo naturale, come in un gioco di specchi che aprirebbe la strada a chissà quali applicazioni.
Imponente e suggestivo anche nel fisico – è un vegano alto quasi due metri, con la barba grigia come i saggi e i maghi – contrappone alla cultura della privacy quella della trasparenza. Il suo genoma è pubblicamente accessibile e migliaia di volontari hanno deciso di seguirne l’esempio, prendendo parte al suo Personal Genome Project.
Church non è stato il primo a usare il DNA per scrivere, ma gli altri pionieri si sono accontentati di inserire semplici frasi, mai libri interi. Avrebbe voluto riservare quest’onore a Moby Dick di Herman Melville, ma poi ha scelto Regenesis, per dimostrare che il sistema funziona perfettamente anche per le immagini. Il testo, lungo 53.000 parole e corredato da 11 immagini, è stato prima tradotto nella sfilza di 0 e di 1 del codice binario, quindi in una successione di A, T, G e C (le ‘lettere’ del DNA), con un tasso minimo di errori: appena due per milione di bit.
In quest’ottica la scrittura consiste nella sintesi del DNA, la lettura nel suo sequenziamento. Per codificare e poi decodificare tutto, insieme a Yuan Gao e Sriram Kosuri, Church ha impiegato due settimane, ed è questo il motivo per cui le provette non sostituiranno i volumi di carta nelle librerie di casa per molto tempo ancora. Il DNA però offre altri vantaggi. Al di fuori delle cellule viventi, si conserva in modo stabile per secoli, anzi millenni. Ma soprattutto può immagazzinare dati a una densità che è circa un milione di volte maggiore di quella di un hard disc, surclassando le tecnologie sperimentali più avanzate come l’olografia quantistica. Quattro grammi di DNA potrebbero contenere i dati digitali che l’umanità crea in un anno. Un supporto grande come un dito basterebbe a immagazzinare Internet. Come useremo tutto questo spazio? Largo all’immaginazione.
DNA-book
La parte azzurra, in alto nello schema, indica la porzione della frase che si vuole codificare sul DNA. Ciascuna lettera dell’alfabeto viene tradotta inizialmente in una sequenza binaria di bit fatta di 0 e di 1. Il testo è poi spezzettato in pacchetti da 96 bit contenenti anche un’intestazione (prima riga in rosso) necessaria per poter riassemblare, come vedremo, tutto il documento alla fine.
A destra nello schema, la sequenza binaria è stata trasformata in una seconda fase di codifica in sequenza quaternaria per mezzo delle quattro basi azotate del DNA (A, T, G e C): per minimizzare la possibilità di errore è stata introdotta una certa ridondanza facendo sì che A e C corrispondessero a 0, mentre G e T a 1.
Questa sequenza è stata trasferita con un processo di sintesi nelle molecole di DNA presenti su un chip, sul quale erano state spruzzate da una stampante a getto d’inchiostro, opportunamente modificata: nel processo di archiviazione dei dati è stata questa la fase di ‘scrittura’ o di memorizzazione, terminata la quale, si è passati alla fase di ‘lettura’ dei dati. Essa è stata resa possibile grazie alla tecnica di sequenziamento del DNA – la stessa utilizzata per sequenziare il genoma umano – all’inizio in modo disordinato e poi, grazie alla presenza delle intestazioni presenti sui singoli pacchetti di dati, con un riordino preciso del testo che poi ha consentito, nella cosiddetta fase di decodifica, la sua riconversione nel codice binario di partenza.