Auric, Georges
Compositore francese, nato a Lodève il 15 febbraio 1899 e morto a Parigi il 24 luglio 1983. La sua produzione sinfonica e cameristica va collocata nella cornice del cosiddetto gruppo dei Sei (di cui fecero parte, oltre a A., Darius Milhaud, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Louis Durey e Francis Poulenc), che negli anni Venti intraprese una dura polemica contro l'Impressionismo di C. Debussy e degli allievi di V. d'Indy, alla cui scuola i 'Sei' nella maggior parte si erano formati. Affermava il gruppo la necessità di una musica che si appropriasse dell'esperienza della vita moderna, che risentisse di un dinamismo ritmico dentro il quale potesse trovare spazio anche il jazz, e che testimoniasse vitalità, ironia, nonché una dose di scettica freddezza verso l'espansione espressiva. Richiamandosi all'insegnamento di Eric Satie, A. teorizzò un deliberato, cinico rifiuto dell'espressione, in linea anche con l'idea, sempre di Satie, che la musica fosse una componente "d'arredamento" della vita, un sottofondo necessario e funzionale: idea che gli permise poi, con l'avvento del cinema sonoro, di diventare uno dei più prolifici e interessanti compositori di musica per il cinema. La sua partitura per La symphonie pastorale (1946; La sinfonia pastorale) di Jean Delannoy fu premiata al Festival di Cannes; nel 1952, con la colonna sonora di La p… respectueuse (La mondana rispettosa) di Marcello Pagliero, arrivò il riconoscimento della Mostra del cinema di Venezia.
Musicista dal talento naturale, iniziò a studiare giovanissimo il pianoforte, con L. Combes, e all'età di dieci anni già componeva i suoi primi lavori. Nel 1913 si trasferì a Parigi con la famiglia, per frequentare il conservatorio, che lasciò l'anno seguente per studiare composizione con V. d'Indy. Con le prime fortunate prove per pianoforte e cameristiche A. si impose per l'asciuttezza e il rigore del linguaggio, e per la capacità di non sottrarsi a un'apertura comunicativa sostenuta da sapienza tecnica, da nitore classico, tali da far presagire le più azzardate avventure espressive. Nella stagione che seguì, segnata dalla collaborazione con i Ballets Russes di S.P. Djagilev e dalla composizione di musiche di scena, come Les matelots (1924) e Malborough s'en va-t-en guerre (1924), l'azzardo giovanile fece sedimentare una scrittura più solida e meditata, dove la sprezzatura delle sincopi ritmiche dava spazio a un sinfonismo suggestionato dallo Stravinsky neoclassico. All'A. soltanto sprezzante e asciutto seguì un compositore capace anche di violenza armonica, di cui Jean Cocteau, già dedicandogli in giovinezza lo scritto polemico sull'arte Le Coq e l'Arlequin (1919), aveva intuito la ricca potenzialità. La svolta nella sua vita creativa avvenne proprio quando Cocteau gli richiese le musiche per il suo primo film, Le sang d'un poète (1930). A. seppe aderire alla poetica onirica dello scrittore-regista, ritrovando giustificazione intima alle prime sue esigenze di composizione: mettersi in rapporto con una concezione del tutto libera dell'esistenza, fuori di ogni logica tradizionale, sondare con amaro distacco il fondo anche oscuro e contraddittorio della coscienza senza scartare la devozione artigianale per il proprio mestiere.Da quel momento in poi A. lavorò assiduamente per il cinema senza mai tradire il dettato del suo vero maestro, Satie: niente di meglio che il cinema per mettere a segno partiture che fossero insieme testimonianza di modernità e di funzionalità. Dopo Cocteau, René Clair lo chiamò a comporre le musiche di À nous la liberté (1931; A me la libertà), e per A. fu il via a un'esperienza di grande rilievo, ricca di oltre un centinaio di titoli. La qualità non è stata sempre all'altezza della firma, ma A. mostrò in ogni occasione un eclettismo del tutto appropriato agli scopi richiesti. Non a caso fu anche musicista privilegiato per le Ealing comedies inglesi. Se la collaborazione con Cocteau si rinnovò con La belle et la bête (1946; La bella e la bestia), L'aigle à deux têtes (1947; L'aquila a due teste), Les parents terribles (1948; I parenti terribili), Orphée (1949; Orfeo) e Le testament d'Orphée (1960; Il testamento d'Orfeo), e in essa è il segno incisivo della disponibilità e dell'efficacia della musica da cinema di A., non va dimenticato che, fra le tantissime, sono firmate da lui le colonne sonore di: L'éternel retour (1943; L'immortale leggenda) e La symphonie pastorale di J. Delannoy, Dead of night (1945; Incubi notturni, distribuito anche come Nel cuore della notte) di Alberto Cavalcanti, Basil Dearden, Charles Crichton e Robert Hamer, Passport to Pimlico (1949; Passaporto per Pimlico) di Henry Cornelius, La p… respectueuse, Moulin Rouge (1952) di John Huston, con una bella melodia che interpretava Zsa Zsa Gabor, Le salaire de la peur (1952; Vite vendute) di Henry-Georges Clouzot, Roman Holiday (1953; Vacanze romane) di William Wyler, Du rififi chez les hommes (1955; Rififi) di Jules Dassin, il cui leitmotiv ebbe lunga vita a sé. Seguirono, con stile sempre nitido ed elegante: Lola Montès (1955) di Max Ophuls, Gervaise (1956) di René Clément, Le mystère Picasso (1956), ancora di Clouzot, Bonjour tristesse (1958) di Otto Preminger, Thomas l'imposteur (1964) di Georges Franju. L'ultimo lavoro firmato da A. porta la data del 1975, per una serie televisiva dal titolo Les zingari.Il cinema non assorbì l'intera vena creativa del compositore. Contribuì però a una metamorfosi in A., il quale con il tempo diede prove vigorosamente profonde e drammatiche in altre musiche da balletto, come Le peintre et son modèle (1949) e Phèdre (1950), rivelando come il ritmo potesse rappresentare per lui, forse secondo l'esempio di R. Strauss o di B. Bartók, l'accensione d'una imprevista, travolgente espressività.
A. Goléa, Georges Auric, Paris 1958; G. Brelet, Musique contemporaine en France, in Histoire de la musique, 2° vol., éd. Roland-Manuel, Paris 1963, pp. 1093-275; O. Volta, L'album des Six, Paris 1990.