CLEMENCEAU, Georges
Pubblicista e uomo di stato francese, nato a Mouilleron-en-Pareds (Vandea) il 18 settembre 1841, morto a Parigi il 24 novembre 1929. Verso il '60 si trasferì a Parigi per seguirvi i corsi di medicina. Repubblicano per educazione familiare (il padre era stato arrestato per aver firmato una protesta contro il colpo di stato del 2 dicembre), il giovane C. prese subito parte attiva alle agitazioni antibonapartiste degli studenti parigini, passò nel 1862 alcuni giorni nelle prigioui di Mazas, e venne indi allontanato dall'università. Si recò allora agli Stati Uniti e vi trascorse alcuni anni, insegnando in un istituto femminile a Stanford (New York). Tornato a Parigi verso la fine dell'impero, vi prese la laurea in medicina, ed aprì a Montmartre, dopo il 4 settembre 1870, un dispensario che gli fruttò rapidamente una grande popolarità professionale e politica. Fu presto chiamato all'ufficio di maire di Montmartre e venne poi eletto deputato di Parigi all'Assemblea nazionale, dove sedette fra i radicali e votò contro i preliminari di pace che misero fine alla guerra franco-germanica.
Scoppiata a Parigi la rivolta comunista del marzo 1871, il C. si trovò, per la sua qualità di maire di Montmartre, in una difficile situazione che pesò poi lungamente sulla sua carriera politica. Non essendo riuscito in tempo ad evitare l'uccisione dei generali Lecomte e Clément Thomas, che i rivoltosi fucilarono il 18 marzo in un cortile di Rue des Rosiers, i suoi avversarî politici lo accusarono di non aver voluto in quella occasione porre a rischio la sua popolarità. Dimessosi da deputato e da sindaco, fu rieletto, il 23 luglio 1871, al nuovo consiglio municipale di Parigi del quale nel 1875 ebbe la presidenza. Nel 1876 fu inviato alla camera dei deputati dal sempre fedele circondario di Montmartre, e sedette all'estrema sinistra. Egli fu fino d'allora una delle personalità più popolari della capitale. Benché nato in provincia, fu per la sua arguzia, per il suo spirito mordace, per i suoi motti, alcuni dei quali divennero presto proverbiali, prontamente adottato dal popolino come uno dei suoi, e considerato per eccellenza l'enfant de Paris. Alla camera il suo temperamento combattivo, la sua eloquenza martellante e incisiva lo misero presto in prima linea. Fondò successivamente i giornali La Justice, L'Aurore e L'Homme libre, dalle colonne dei quali, come dalla tribuna, egli sferrò contro i varî ministeri attacchi violenti che spesso li rovesciarono, onde gli venne il soprannome di "tigre". Nel 1887 prese parte attiva alla campagna contro il presidente Grévy, la quale condusse alla crisi presidenziale del dicembre di quell'anno.
Pendeva allora il periodo agitatissimo della storia parlamentare francese, che prese nome dal generale Boulanger. Fu, a quanto si assicura, lo stesso C. che, additando il generale a Freycinet come un possibile ministro della Guerra, aprì senza volerlo la via a quella avventurosa ambizione. Appena però il Boulanger accennò a valersi della popolarità acquistata per insidiare il regime repubblicano, soprattutto dopo i tentativi plebiscitarî del 1888, trovò in C. un avversario risoluto, che contribuì potentemente alla sua demolizione.
Poco dopo si apriva per C. una delle fasi più difficili della sua carriera. Di tendenze costantemente anglofile, si trovava allora sul terreno della politica estera in disaccordo con la maggioranza dell'opinione pubblica, la quale, prima dell'avvento al trono di re Edoardo VII, continuava a considerare la Gran Bretagna come la nemica ereditaria, e aspirava sempre più a stringere alleanza con la Russia, allora in piena rivalità in Oriente e nell'Asia Centrale con l'Impero britannico. All'impopolarità del suo atteggiamento antirusso si aggiunse a danno di C. la situazione delicata nella quale, quando scoppiò lo scandalo del Panama, egli venne a trovarsi per le sue relazioni con Cornelius Herz. Furono relazioni di carattere politico e giornalistico e non d'affari personali, perché il C. visse sempre modestamente e non si arricchì nella politica, ma bastarono a fare il maggior torto all'uomo politico che non fu rieletto deputato nelle elezioni legislative del 1893.
Escluso dal parlamento, egli non interruppe la sua attività giornalistica, e pubblicò anche alcuni romanzi di argomento politico e di tendenze anticlericali, come Le Grand Pan, Les plus forts, Aux pieds du Sinaï, oggi dimenticati.
Sopravvenne in quel periodo un'altra tempesta a turbare lungamente l'ambiente politico, e fu l'affare Dreyfus. Il C. appoggiò alacremente l'ardua campagna di Zola per la revisione del processo. Nel marzo 1902 il dipartimento del Var lo rimandò al parlamento in qualità di senatore e ve lo mantenne per quasi vent'anni, fino a che egli non rinunziò alla rinnovazione del suo mandato. Fondò allora il giornale L'Aurore, nel quale sostenne, oltre la revisione del processo Dreyfus, le leggi di separazioue dello Stato dalla Chiesa, e fu uno dei capi del partito radicale-socialista.
Il C. divenne ministro per la prima volta nel 1906, a 65 anni, ed è singolare che un così poderoso atleta parlamentare sia giunto tanto tardi al governo. La ragione si può trovare nel suo carattere eccessivamente pugnace che durante tutta la sua carriera politica fece di lui un solitario. Fu ministro dell'Interno, ma pochi mesi dopo, nell'ottobre 1906, formò il suo primo ministero nel quale conservò lo stesso portafoglio. Come ministro dell'Interno egli spiegò una grande energia nella repressione dei disordini che accompagnarono in quell'anno gli scioperi di Lens e di Denain, e da quell'epoca data la sua rottura con Jaurès. Come presidente del consiglio promosse l'intesa con l'Inghilterra e fu con re Edoardo VII partigiano convinto dell'intesa cordiale fra le due potenze occidentali.
Negli anni che precedettero la grande guerra il C., dal suo seggio di senatore, nelle commissioni parlamentari, nelle colonne dei suoi giornali, spiegò una grande attività, perché la Francia si preparasse politicamente e militarmente al grave conflitto che egli prevedeva ínevitabile, soprattutto dopo l'incidente di Agadir. Da questo data la sua ostilità per il Caillaux che pure era stato il suo ministro delle Finanze, e che rappresentò in quella crisi, come di poi, la tendenza conciliativa nei riguardi della Germania. Nell'elezione presidenziale del 1912 il C. combatté vivamente Poincaré, sostenendo la candidatura di Pams, e la riuscita del primo contribuì a tenerlo lontano dal potere per parecchi anni. Nel 1913 fondò il giornale L'Homme libre e fece un'attiva campagna per il ritorno alla ferma militare di tre anni. Scoppiata la guerra, mise tutto il suo ingegno di polemista non solo a tenere alto il morale del fronte interno, ma anche a segnalare al paese tutto quello che gli pareva manchevolezza dei governanti, onde il suo giornale fu soppresso fin dal settembre 1914. Tornò però presto ad uscire con il titolo L'Homme enchaîné e continuò a pubblicarsi durante tutta la guerra.
Nel novembre 1917, nel momento criticissimo, in cui gl'imperi centrali sembravano prevalere su tutte le fronti, il C., caduto il ministero Painlevé, fu chiamato al governo più che dalla situazione parlamentare, da un'ondata di volontà nazionale. Egli assunse con la presidenza del consiglio il ministero della Guerra, iniziando così a 76 anni il periodo più fortunato della sua lunghissima carriera. Sotto il suo governo la condotta della guerra si fece subito più attiva ed energica, e tacquero gl'intrighi parlamentari. Il C. represse spietatamente non solo ogni tentativo di tradimento (processo Bolo, Lenoir ecc.) ma anche ogni tentennamento pacifista (arresto e processo di Caillaux, Malvy ecc.); difendendo dalla tribuna con un'eloquenza. quasi brutale i generali criticati in parlamento; non lesinando mai a questi né nel campo militare né nel diplomatico quanto credevano necessario per vincere; ma non risparmiando loro in privato censure acerbe. Così, dopo l'offensiva tedesca del marzo 1918 che fece cedere il fronte inglese a Cambrai, egli ottenne che il comando supremo fosse affidato al generale Foch.
Assicurata con l'armistizio dell'11 novembre la vittoria sulla Germania, l'opinione pubblica francese ne fece merito al C. ancor più che ai capi militari. Egli ebbe verso se stesso il torto di non lasciare allora il governo, e di credere che sarebbe potuto essere l'uomo della pace dopo essere stato l'artefice della vittoria. Ma le stesse qualità che gli avevano giovato nell'azione tutta energia e violenta risolutezza del periodo di guerra, non gli giovarono altrettanto nelle opere sottili del negoziatore, alle quali si mostrò presto disadatto (v. versailles, Trattato di).
Conchiusa la pace egli, allo spirare del mandato di Poincaré, pose la propria candidatura alla presidenza della repubblica, non dubitando dell'esito che dai più si attendeva plebiscitario. Trionfò invece la candidatura sapientemente preparata e pubblicata all'ultim'ora di Paul Deschanel. Dopo questo impreveduto insuccesso il C. si ritirò interamente dalla vita pubblica, abbandonando anche il suo seggio in senato. Diede però anche di poi una bella prova della sua energia fisica ed intellettuale intraprendendo più che ottantenne un viaggio in India e un altro agli Stati Uniti, dove tenne altresì alcune conferenze di propaganda nazionale. Fino agli ultimi giorni lavorò alla compilazione delle sue memorie; i brani che ne furono pubblicati dopo la sua morte rivelano come egli avesse conservato tutta la sua foga d'ardente polemista.
Bibl.: M. Laurent, L'organisation de la victoire, Parigi 1920; C. Ducray, Cl., Parigi 1918; G. Geffroy, G. Cl., Parigi 1918; E. Judet, Le véritable Cl., Berne 1920; C. Lecomte, G. Cl., Parigi 1918; A. Mailloux, Cl., l'homme, l'orateur, l'écrivain, le penseur, Parigi 1918.