Sorel, Georges
Pensatore e scrittore politico francese (Cherbourg, Manica, 1847 - Boulogne-Billancourt, Haut-de-Seine, 1922). Allievo all’École Polytechnique, divenne ingegnere civile di ponti e strade, attività alla quale si dedicò dal 1870 al 1892. Ritiratosi dal suo impiego, svolse successivamente intensa attività di scrittore, toccando temi di filosofia, storia, scienze sociali e politica. A temi di filosofia sono dedicati: Le procès de Socrate (1889), Les illusions du progrès (1908; trad. it. Le illusioni del progresso) e De l’utilité du pragmatisme (1917); a questioni storiche: La ruine du monde antique (1898) e Le système historique de Renan (1906). La sua fama è però soprattutto legata agli interventi nel dibattito sulla revisione della dottrina di Marx ed Engels, aperto nel 1896 da E. Bernstein e alla successiva interpretazione volontaristica e antipositivistica del socialismo. Nella sua attività si distinguono diversi momenti. Attraversò anzitutto una fase di adesione al socialismo marxista (1893-97), nel corso della quale curò la traduzione in francese e scrisse la prefazione (1897) dei saggi di Antonio Labriola sulla concezione materialistica della storia. Ma nell’anno successivo, influenzato da Croce, S. accolse le tesi del revisionismo e del riformismo (La crisi del socialismo scientifico, in Critica sociale, maggio 1898; Nuovi contributi alla teoria marxista del valore, in Giornale degli economisti, luglio 1898). Entrato così in aperto dissenso con Labriola, S. si trovò allora solidale con F.S. Merlino, la cui Rivista critica del socialismo rappresentava il centro di diffusione del revisionismo teorico in Italia; i suoi scritti di questo periodo furono raccolti in volume e pubblicati in Italia (Saggi di critica del marxismo, a cura di V. Racca, 1903). A partire dal 1905 S. iniziò a pubblicare una serie di articoli, anche questi raccolti presto in edizione italiana (Lo sciopero generale e la violenza, con pref. di E. Leone, 1906); le celebri Réflexions sur la violence (1908; trad. it. Riflessioni sulla violenza) costituiscono la redazione ampliata e definitiva dello stesso lavoro. Alla produzione di questo periodo resta legata la maggior fortuna di S., come teorico del sindacalismo rivoluzionario o anarco-sindacalismo. In rapporto di reciproca influenza con i sindacalisti rivoluzionari italiani, ma ispirandosi d’altra parte alla realtà del movimento operaio in Francia, S. compie in questi anni (1905-08) un tentativo per recuperare la sostanza rivoluzionaria del socialismo, fuori della cultura positivistica della socialdemocrazia europea. Egli mantiene, nella sostanza, le posizioni assunte nel periodo revisionistico: respinge le pretese scientifiche dell’economia politica marxista e, soprattutto, il determinismo che privilegia le strutture economiche rispetto all’azione rivoluzionaria. Ma riprende, al tempo stesso, la concezione «catastrofica» dello svolgimento storico e la «divisione dicotomica» operata da Marx nel Manifesto del partito comunista (1848, «la società intera si divide sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente opposte l’una all’altra...»), ritenendole valide come «miti» che assolvono una funzione pragmatica, consistente nell’unire il proletariato e spingerlo alla lotta. Influenzato da Bergson e dal pragmatismo, S. corona il suo tentativo di interpretazione originale del marxismo, ponendo al vertice dei miti rivoluzionari lo «sciopero generale», inteso come strumento di educazione e di lotta. Ma a questo punto, ormai estraniatosi dal movimento politico del socialismo ufficiale, S. cercò nuove vie di azione rivoluzionaria, accostandosi all’Action française e a Ch. Péguy e collaborando alla rivista nazionalista L’indépendance (1911-13). Allo scoppio della guerra si ritirò dalla vita politica per dedicarsi a studi filosofici. Nel 1919 pubblicò una Difesa di Lenin, nel quale vedeva un’incarnazione vivente del marxismo autentico (tradito invece dalla deriva parlamentaristica dei partiti socialisti europei), e in seguito mostrò simpatia per le prime manifestazioni del fascismo. Dei suoi rapporti con gli italiani si trova ampia testimonianza soprattutto nei suoi epistolari con Croce (pubbl. post. su La critica, 1927-30) e con Missiroli (Lettere a un amico d’Italia, post., 1963). In italiano esistono varie raccolte (Scritti politici, 1963, a cura di R. Vivarelli; Scritti politici e filosofici, 1975, a cura di G. Cavallari; Scritti rari o inediti, 2003, a cura di S. Miccolis).