geosinonimi
I geosinonimi sono parole di uso regionale (➔ regionalismi) che, nelle varie parti del territorio italiano, designano uno stesso oggetto. Al pari dei ➔ sinonimi, sono quindi dotati di significato uguale e forma diversa (rispetto ai corrispondenti termini dell’➔italiano standard), ma, a differenza dei sinonimi, hanno nel territorio in cui è parlata una lingua una diffusione areale limitata.
Esistono vari parametri per classificare i geosinonimi. Rüegg (1956) suggerisce i criteri del raffronto con il toscano (parola toscana opposta a parola non toscana) e della maggiore o minore ‘forza’ di espansione (parola forte opposta a parola debole), che sono alla base delle quattro categorie individuate da Sobrero (1988: 733):
(a) geosinonimi toscani forti, che rivelano buona capacità espansiva nel resto d’Italia (ad es., ciotola di contro al settentrionale scodella e al meridionale tazza);
(b) geosinonimi non toscani forti, ovvero decisamente concorrenziali rispetto ai tipi toscani corrispondenti (ad es., insipido, scipito, insulso, ecc., contro il toscano sciocco «privo di sale»);
(c) geosinonimi che coesistono alla pari, ognuno in un proprio ambito geografico (ad es., il toscano babbo accanto al settentrionale papà);
(d) geosinonimi deboli, che tendono a scomparire mentre il tipo toscano si estende alle altre aree (ad es., il veneto sàntolo e il meridionale compare rispetto a padrino).
Altre classificazioni hanno preferito non servirsi del confronto con il toscano per concentrarsi, invece, sul parametro della forza espansiva. De Felice (1977: 110-111) parla, a tale proposito, di ‘rango’ e distingue tra:
(a) geosinonimi di rango nazionale, che, adeguati nella forma al sistema linguistico italiano, hanno un’area di diffusione rilevante e rispondono a reali esigenze di conoscenza, di comunicazione e di espressione di tutta la collettività nazionale; ad es., i termini asino e somaro, pur mantenendo una connotazione areale abbastanza precisa (settentrionale il primo, centrale il secondo), sono oggi da considerarsi comuni all’intero dominio italiano;
(b) geosinonimi di rango regionale, che, anch’essi adattati ai paradigmi fonomorfologici dell’italiano, non raggiungono né sul piano linguistico né sul piano culturale un livello d’interesse nazionale; possono aversi parole interregionali (o superregionali) come stracco «stanco» (settentrionale), paciugo «fango, pasticcio» (veneto e ligure), faticare «lavorare» (meridionale), ecc., oppure propriamente regionali come pateca «anguria» (Liguria), camiciola «maglietta» (Toscana), caciara «frastuono» (Lazio), conca «testa» (Sardegna), ecc.;
(c) geosinonimi di rango dialettale, a volte difformi dal sistema fonomorfologico dell’italiano, con un’estensione d’uso e di notorietà locali (come basana «fava», genovese; tampa «buca; osteria», piemontese; pezzuola «fazzoletto da naso», toscano; capa «testa», napoletano; ecc.).
L’esemplificazione sarebbe in questo caso molto ampia, venendo a coincidere, di fatto, con il tesoro lessicale di un dialetto oppure a sovrapporsi, per le voci comuni a più varietà dialettali, alle unità interregionali sopra menzionate.
Come si sarà notato, il rango, nelle intenzioni di De Felice, non deriva da una semplice stima della distribuzione statistica dei geosinonimi concorrenti, ma anche dalla loro connotazione culturale e dalla valutazione degli usi stilistici e contestuali (Telmon 1994: 599-600). Proprio per questa complessità intrinseca, la forza di espansione di un’unità lessicale è spesso multifattoriale e segue di rado una norma precisa. Alla promozione di un geosinonimo contribuisce certamente il prestigio, che è però, a sua volta, refrattario a caratterizzazioni troppo nette (Telmon 1993: 133 segg.). A un prestigio che si suole associare ai modelli provenienti da aree dotate di preminenza economica e culturali, si va affiancando, sempre più spesso, un prestigio di tenore diverso (ingl. covert prestige «prestigio nascosto»), che trae la propria spinta irradiatrice in particolare dal medium televisivo-cinematografico.
La prima accezione di prestigio è ben rappresentata dall’attuale prevalenza del settentrionale formaggio sul toscano, centro-meridionale e sardo cacio, mentre la seconda trova un buon esempio nell’affermazione passeggera, nei ricorrenti momenti in cui si accendono scandali per rifiuti non rimossi a Napoli, del meridionale-romanesco (e diastraticamente marcato) monnezza a scapito dello standard immondizia.
Accanto al prestigio, che è un agente di promozione tipicamente extralinguistico, gioca spesso un ruolo la distanza strutturale, reale o presunta, tra il dialetto che funge da sostrato per il regionalismo e il modello di riferimento generale della lingua nazionale (Telmon 1993: 134-135). La serie geosinonimica relativa a ragazzo (fig. 1), ad es., induce a ipotizzare che difficilmente il lombardo-veneto toso avrà fortuna al di fuori del territorio regionale, mentre sorte diversa potrebbe toccare (ed è in parte già toccata) al laziale (romanesco) ragazzino, che, ascrivibile a un fondo dialettale vicino al modello italiano, già gode di una discreta esposizione mediatica.
Il criterio della distanza strutturale parrebbe, a prima vista, favorire i geosinonimi toscani; in realtà, le parole provenienti da quest’area, sebbene godano ancora di un certo prestigio, scontano il declino della varietà toscana come modello nazionale (De Mauro 19702: 166). Nota infatti D’Achille (2002: 37) che i regionalismi toscani hanno oggigiorno minor capacità di espansione sul piano nazionale che in passato e spesso regrediscono di fronte a voci di provenienza settentrionale o, più raramente, romana e meridionale; è il caso della preminenza di adesso su ora o di brufolo su foruncolo e pedicello, della netta vittoria di rubinetto su chiavetta, della sempre maggiore diffusione di anguria rispetto a cocomero (di area più latamente centro-meridionale).
Come testimoniano i ricchi repertori di Coveri, Benucci & Diadori (1998: 53-55) e del LIPSI (2009: 539-541), la geosinonimia è, tanto nell’italiano della Penisola quanto nell’italiano della Svizzera (Ticino e Grigioni), un fenomeno molto diffuso.
Alcuni anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, il citato Rüegg interrogò mediante un questionario 124 persone in 54 diverse province italiane sui modi in cui esprimevano abitualmente 242 nozioni (appartenenti ai domini famiglia, infanzia, corpo, salute, cibo, abbigliamento, lavoro, commercio, denaro); da questa indagine risultò che una sola nozione, «caffè forte al bar», veniva resa con un unico termine, espresso, mentre tutte le altre nozioni conoscevano dal minimo di due al massimo di tredici geosinonimi. Ovviamente l’uso di una parola non escludeva l’impiego di geosinonimi concorrenti; ma, anche in questo caso, le nozioni che potevano essere denotate con una parola unica nelle 54 province ammontavano ad appena 12 (il 4,7% del totale) e concernevano, per la maggior parte, aspetti della vita moderna (albergo, cappuccino, espresso, limonata) e tecnicismi vari (camion, finestra, maniglia, tetto), mai l’ambito della tradizione.
Due commenti s’impongono: innanzitutto, come ha evidenziato De Mauro (19702: 169), «è palese il nesso tra standardizzazione degli usi linguistici e processo di industrializzazione e ammodernamento della società italiana»; in secondo luogo, risulta evidente che inchieste di tal fatta sono soggette a un invecchiamento precoce. La stessa popolarità del termine espresso, registrata quasi sessant’anni or sono, è andata progressivamente scemando (in Italia, ma non all’estero) e ha ceduto infine il passo all’ormai ubiquitario caffè (con espresso regredito, talora, alla funzione di modificante: caffè espresso). Tuttavia, non appena si abbandoni la nozione di «caffè forte al bar» per approdare al campo semantico dei «prodotti di caffetteria», non si può che restare colpiti, da un lato, per il caleidoscopio geosinonimico dell’italiano, dall’altro, per il carattere transitorio che la geosinonimia possiede.
Il caffè lungo dell’italiano standard diventa caffè alto a Firenze; il caffè macchiato corrisponde al cappuccino di alcune regioni settentrionali (cappuccino piccolo a Trieste), nelle quali il cappuccino dello standard è invece detto cappuccio (spesso anche caffelatte a Trieste) (da D’Achille 2002: 37, eccetto le aggiunte tra parentesi). Un cenno a parte merita la nozione di «caffè macchiato con una spruzzata di cacao», che, fino a qualche anno fa, era resa con marocchino in Piemonte (ma collino nel Pinerolese), montecarlo a Milano, triestino nel Gargano (espressino in larga parte della Puglia) (da Paolini 2001, eccetto le integrazioni tra parentesi). Il marocchino di area piemontese ha ora conquistato la Lombardia occidentale – con Milano, che ha rinunciato a montecarlo – e si è esteso alla Liguria (prima soltanto alla riviera di Ponente, adesso pure a quella di Levante) e al Piacentino, che ignoravano il referente. Si osservi, per inciso, che la fortuna del termine marocchino è da considerarsi strettamente commerciale, essendo legata all’azione pubblicitaria di una nota casa produttrice torinese di caffè.
Il problema della transitorietà dei geosinonimi (il successo effimero di monnezza o l’improvvisa scomparsa di montecarlo) è variamente intrecciato alla dicotomia fra geosinonimi desueti (o meglio non vitali) e geosinonimi vitali (Telmon 1993: 135). Un geosinonimo può cessare di essere vitale (a) perché è venuto a mancare il referente o (b) perché si è imposto un altro geosinonimo. Un esempio del caso (a) è il regionalismo settentrionale cochetto o bigatto «baco da seta», non più conosciuto e usato a causa dell’abbandono della bachicoltura come attività economica; quanto al caso (b), si segnala l’uscita di scena del regionalismo piemontese giambone, che, complice la crisi, precedente, del dialettale giambùn, è stato ovunque soppiantato da prosciutto.
I geosinonimi vitali, per contro, sono connessi con attività o concetti di importanza rilevante a livello regionale e presentano un carattere di stabilità. Il regionalismo toscano appalto (nel senso di «concessione statale» e, un tempo, «regia») è un geosinonimo che resiste alla pressione dello standard tabaccheria, così come il regionalismo piemontese losa è ancora oggi assai diffuso per indicare la lastra (di pietra).
Interessanti per la loro particolare natura di termini caratterizzanti una varietà diatopica di italiano che è lingua standard e ufficiale in un paese straniero sono i numerosi geosinonimi dell’italiano di Svizzera (➔ Svizzera, italiano di), come cassa malati «mutua», nota «voto scolastico», deponia «discarica», municipale «assessore comunale», birrino «birra piccola», plafone «soffitto», ecc.
A un’indagine più attenta, è facile accorgersi che non sempre i geosinonimi onorano il principio dell’equivalenza di significato (Sobrero 1988: 733). Nel fatto che la variazione lessicale veicoli anche, spesso, una variazione semantica offrono buona prova i nomi assegnati negli italiani regionali alla professione dell’idraulico (fig. 2).
Se l’idraulico dello standard è l’«operaio specializzato addetto all’installazione e manutenzione delle tubazioni dell’acqua e degli impianti igienici e sanitari, nell’edilizia e nelle costruzioni stradali», lo stagnino di area centro-meridionale è l’«artigiano che, nella propria officina, fa lavori di latta e lamiera e saldature con lo stagno»; quest’ultimo significato va attribuito anche al piemontese tolaio, peraltro in forte regresso, mentre lo stagnaro di Roma svolge, pressappoco, le medesime mansioni dell’idraulico. Se il trombaio toscano, essendo l’«artigiano o operaio che fa lavori in lamiera, docce per lo scolo dell’acqua dai tetti, ripara tubature e condutture d’acqua nelle abitazioni, ecc.», assomma in sé le funzioni proprie dell’idraulico e dello stagnino, ancora diverso è il ruolo del tubista campano, «operaio addetto, in vari settori industriali, alla fabbricazione di tubi; anche, operaio aggiustatore incaricato della riparazione e del rinnovo di tubazioni d’acqua, aria compressa, ecc.».
Per restare al settore dell’idraulica, qualche spunto può essere offerto anche dalla carta dedicata al lavabo (fig. 3).
Il toscano acquaio «impianto destinato alla lavatura delle stoviglie e ad altri usi di cucina» ha un valore dissimile dal lavabo dello standard, che è in genere collocato nelle stanze da bagno o da letto; i termini scafa (emiliano e veneto) e sciacquaturo (marchigiano, abruzzese e meridionale in genere) manifestano, dal canto loro, una genericità avvicinabile a quella del settentrionale lavandino, che può essere impiegato sia per la pulizia personale, sia per il lavaggio delle stoviglie, sia, ancora, per la pulitura di oggetti e materiali di laboratorio.
Così come i geosinonimi sono dei «sinonimi marcati in diatopia» (al di là della precisione nella corrispondenza di significato, che abbiamo visto non essere sempre data), allo stesso modo i geoomonimi sono «omonimi marcati in diatopia» (➔ variazione diatopica), ovvero parole che presentano uguale forma e significato diverso in aree geografiche differenti (Telmon 1993: 137; Coveri, Benucci & Diadori 1998: 56).
Nella seconda categoria è opportuno operare una distinzione tra geoomonimi (a) che hanno etimologie distinte e (b) che, pur avendo la medesima origine, hanno conosciuto evoluzioni semantiche indipendenti. Riconducibile al tipo (a) è lea, il quale, nell’italiano regionale piemontese, significa «viale» ed è un probabile prestito dal fr. allée «viale» (part. pass. di aller «andare» < lat. ambulare), nell’italiano regionale veneto, vale «fango» ed è un continuatore del lat. laetamen. È invece un geoomonimo di tipo (b) il termine fregno, che ha maturato i significati di «abile, scaltro, bello» (Abruzzo), «balordo, sciocco» (Lazio), «ragazzo» (Marche) a partire da una base dialettale comune fregna «vulva», di etimo incerto; com’è spesso il caso, una parola indicante gli organi sessuali ha portato a esiti semantici tanto negativi (Lazio) quanto, per polarità psicologica, elogiativi (Abruzzo) oppure neutri (Marche).
In linea di massima, i dizionari di consultazione includono senza restrizioni i ➔ dialettismi, cioè le parole di origine dialettale ritenute ormai parte del lessico italiano comune (di scarso interesse per la sinonimia geografica), mentre giudicano caso per caso i regionalismi, che si fermano a un uso spazialmente ristretto (la distinzione tra dialettismo e regionalismo è in Canepari 1990: 90-91). Decisiva risulta allora, per il lessicografo, la ‘qualità’ del regionalismo, che lo condurrà a escludere l’ibridismo tolaio (➔ ibridismi), fortemente caratterizzato in diatopia e diastratia, e ad accogliere, per converso, le voci stagnino, stagnaio, tubista, ecc., aventi diffusione interregionale e/o morfologia lessicale italiana.
Un nutrito numero di geosinonimi (con illustrazioni e carte) è presente nel dizionario dei sinonimi di Simone (2003).
LIPSI 2009 = Pandolfi, Maria Elena, LIPSI. Lessico di frequenza dell’italiano parlato nella Svizzera italiana, Bellinzona, Osservatorio Linguistico della Svizzera Italiana.
Simone, Raffaele (dir.) (2003), Sinonimi e contrari, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana.
Canepari, Luciano (1990), Teoria e prassi dell’italiano regionale. A proposito del “Profilo della lingua italiana nelle regioni”, in L’italiano regionale. Atti del XVIII congresso internazionale della Società di Linguistica Italiana (Padova - Vicenza, 14-16 settembre 1984), a cura di M.A. Cortelazzo & A.M. Mioni, Roma, Bulzoni, pp. 89-104.
Coveri, Lorenzo, Benucci, Antonella & Diadori, Pierangela (1998), Le varietà dell’italiano. Manuale di sociolinguistica italiana, Roma, Bonacci.
D’Achille, Paolo (2002), L’italiano regionale, in I dialetti italiani. Storia, struttura, uso, a cura di M. Cortelazzo et al., Torino, UTET, pp. 26-42.
De Felice, Emidio (1977), Definizione del rango, nazionale o regionale, dei geosinonimi italiani, in Italiano d’oggi. Lingua nazionale e varietà regionali. Atti del convegno internazionale di studio (Trieste, 27-29 maggio 1975), Trieste, Lint, pp. 109-117.
De Mauro, Tullio (19702), Storia linguistica dell’Italia unita, Bari, Laterza (1a ed. 1963).
Paolini, Davide (2001), Marocchino e triestino pari sono, «Domenica. Il Sole 24 Ore», 2 dicembre.
Rüegg, Robert (1956), Zur Wortgeographie der italienischen Umgangssprache, Köln, Romanisches Seminar der Universität Köln, 2 voll.
Sobrero, Alberto A. (1988), Italienisch: Regionale Varianten. Italiano regionale, in Lexikon der Romanistischen Linguistik (LRL), hrsg. von G. Holtus, M. Metzeltin & C. Schmitt, Tübingen, Niemayer, 8 voll., vol. 4º (Italienisch, Korsisch, Sardisch), pp. 732-748.
Telmon, Tullio (1993), Varietà regionali, in Introduzione all’italiano contemporaneo, a cura di A.A. Sobrero, Roma - Bari, Laterza, 2 voll., vol. 2° (La variazione e gli usi), pp. 93-149.
Telmon, Tullio (1994), Gli italiani regionali contemporanei, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni & P. Trifone, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 3° (Le altre lingue), pp. 597-626.