GERARCHIE ANGELICHE
Scala gerarchica della tradizione cristiana costituita - secondo le indicazioni dello pseudo-Dionigi (De coel. hierar., VII-IX) e di s. Tommaso d'Aquino (Summa theol., I, 108, 2), considerate come canoniche, a differenza di quelle di altri esegeti (Vacant, 1909; Davisson, 1968, pp. 336-337) - da nove cori angelici raggruppati in tre g. (v. Angelo).Basato su alcuni passi delle Sacre Scritture (serafini: Is. 6, 1-4; cherubini: Gn. 3, 24; Es. 25, 18-20; 37, 8-9; 2 Sam. 22, 11; Sal. 18 [17], 11; Ez. 1, 4-25; 10, 1-22; troni: Col. 1, 16; signorie e dominazioni: Col. 1, 16; Ef. 1, 21; virtù o potenze: Col. 1, 16; Ef. 1, 21; potestà: Col. 1, 16; 2, 10; Ef. 1, 21; principati: Col. 1, 16; 2, 10; Ef. 1, 21; arcangeli: 1 Ts. 4, 16; Gd. 9; angeli: Sal. 103 [102], 20; 91 [90], 11-12; 148, 2; Ap. 2-4; 8, 7) da cui venne tratta la nomenclatura, il sistema delle g. angeliche risente, così come fu enucleato dallo pseudo-Dionigi, del pensiero neoplatonico (Lilla, 1984, col. 2832) e in particolare della speculazione di Proclo (412-487 ca.), basata sul processo dialettico triadico di moné, próodos, epistrophé ('permanenza', 'processione', 'conversione'), dove il secondo termine corrisponde all'espandersi della potenza creatrice dell'Uno in sostanziale affinità - sia pure con le differenze del caso - con le presenze angeliche gerarchicamente distribuite (Corsini, 1962; Bussagli, 1991, pp. 36-37). Spiega infatti lo pseudo-Dionigi che dalla potenza di Dio derivano le potenze deiformi degli ordini angelici (De div. nom., VIII, 4, 480 D; PG, III, col. 902). Ma se da una parte le g. angeliche nascono per colmare filosoficamente la distanza fra Dio e il molteplice, dall'altra il sistema delle g. si colora di una forte tensione morale, in quanto "scopus [...] hierarchiae est, Dei, quanta fieri potest, assimilatio coniunctioque", sicché la bellezza divina fa sì che "sui consortes sacra quaedam perficit simulacra speculaque clarissima et immaculata quae primitivae lucis summaeque deitatis radium excipiant: cuius indutuo splendore sacro plena [...] in ea quae sequuntur, sine invidia, trasfundunt" (De coel. hier., III, 2; PG, III, col. 165A). L'aspetto morale si fa preponderante in Gregorio Magno (Hom. in Ev., XXXIV, 11; PL, LXXVI, coll. 1252-1253), che stila, in una sorta di imitatio angelorum, l'elenco delle corrispondenze tra le g. angeliche e i comportamenti umani, secondo una visione accolta e diffusa da Dante, il quale nel Paradiso costruisce un universo dove alla perfezione maggiore o minore della luce fa riscontro una maggiore o minore qualità morale dei personaggi che abitano i vari cieli. L'altro elemento che concorre alla formazione del concetto di g. angeliche è quello della corte celeste, reperibile in vari passi delle Scritture (per es. Dn. 7, 10; 1 Re 22, 19; Ne. 9, 6; Sal. 103 [102], 21; 148, 2, dove Jahvè è definito come 'Dio degli eserciti celesti'). Infine nella riflessione di Bernardo di Chiaravalle (De consideratione ad Eugenium papam, V, 5-12; PL, CLXXXII, col. 795C) e di Bonaventura da Bagnoregio (Itinerarium mentis in Deum, IV, 4) le g. angeliche divengono ipostasi di Dio dando ragione delle sue qualità e attributi.Nonostante la complessa speculazione sulle g., la loro rappresentazione iconografica compare relativamente tardi. Se nell'arte occidentale il motivo è da imputarsi anche alla tardiva volgarizzazione del Corpus Dionysianum (Faes de Mottoni, 1977, pp. 13-15), in ambito bizantino emerge l'altra difficoltà, comune anche al linguaggio artistico occidentale, quella cioè di enucleare un'iconografia differenziata per ognuno degli ordini angelici. Nella distrutta chiesa della Dormizione della Vergine di Nicea, infatti, i quattro cori angelici di derivazione paolina si individuano solo grazie alle scritte, mentre si mantiene invariata la raffigurazione, che vuole sottolineare la generica appartenenza alla corte celeste. Similmente appaiono identiche fra loro le g. angeliche scolpite sul coperchio del sarcofago di Bernoardo di Hildesheim, del sec. 11° (Hildesheim, St. Michael), come pure quelle affrescate nel sec. 12° in S. Pietro al Monte a Civate (Bussagli, 1991, p. 287) o quelle miniate alla fine dello stesso secolo nel Liber Scivias di Ildegarda di Bingen (Heidelberg, Universitätsbibl., Sal. X, c. 2r), mentre una certa diversificazione cromatica si nota nel Salterio di Canterbury (Parigi, BN, lat. 8846, c. 167r; Wirth, 1967). Alla successione delle g. angeliche - sebbene genericamente, per via dell'interferenza con l'idea del Giudizio finale o con altri soggetti iconografici - alludono le figure angeliche scolpite nelle strombature dei portali di facciata delle cattedrali francesi.Per trovare un'effettiva caratterizzazione iconografica delle g. angeliche si deve aspettare il sec. 14°, giacché in precedenza (per es. Liber Scivias di Ildegarda di Bingen; Wiesbaden, Landesbibl., B, c. 38r) solo quattro dei nove ordini ebbero un'iconografia relativamente definita: i serafini con sei ali e talora rossi, i cherubini con quattro ali cosparse di occhi e talora azzurri - spesso però i due ordini si confondono dando origine a un'unica iconografia a sei ali cosparse di occhi (per es. Cefalù, cattedrale, volta del bema) -, gli arcangeli e gli angeli, che tuttavia subiscono le medesime modulazioni iconografiche. Così nel Passionale della badessa Cunegonda, del 1316-1320 (Praga, Státni Knihovna, XIV A 17, c. 250v), figura una precisa differenziazione dell'iconografia delle g. angeliche, che non può comunque essere considerata paradigmatica. Vi compaiono infatti i serafini come angeli fra le fiamme, i troni come due angeli sull'arca dell'alleanza e le virtù come angeli nell'atto di volare. Negli affreschi di S. Maria Donnaregina a Napoli (1320 ca.), invece, i troni mostrano un piccolo trono nella mandorla, quasi come stemma parlante. Giusto de' Menabuoi, nella cupola del battistero di Padova, dipinge, secondo la visione dantesca (Par. IX, vv. 61-62), i serafini rossi, i cherubini azzurri e i troni con lo specchio in mano (non è da condividere l'interpretazione iconografica di Bellinati, 1989).Grande dunque è la varietà di soluzioni iconografiche nella caratterizzazione delle g. angeliche, il che è da imputarsi alla laconicità dei testi a riguardo. Fra questi non si può fare a meno di menzionare Isidoro di Siviglia (Etym., VII, 5, 18; PL, LXXXII, col. 273), per il quale le potestà sono quegli angeli capaci di soggiogare le forze avverse e le virtù gli artefici dei miracoli nel mondo. Il testo isidoriano giustifica la scelta iconografica adottata nella rappresentazione dei due ordini angelici tanto da Guariento, quanto dai musivari del battistero di S. Marco a Venezia: mosaici veneziani, della metà del sec. 14°, e le tavolette provenienti dal soffitto della cappella della reggia dei Carraresi di Padova (Padova, Mus. Civ.), dipinte da Guariento fra il 1350-1351 e prima del 1354, costituiscono, insieme ai mosaici del battistero di Firenze, dell'inizio del sec. 14°, i cicli pittorici più completi nella rappresentazione delle g. angeliche, offrendo un panorama soddisfacente delle varie soluzioni figurative medievali.
Bibl.:
Fonti. - pseudo-Dionigi, Opera, in PG, III-IV; id., Tutte le opere, a cura di G. Reale, Milano 1981, pp. 90, 359; id., La hiérarchie céleste, a cura di G. Heil, M. de Gandillac, in SC, LVIII, 1958; Bonaventura da Bagnoregio, Itinerario dell'anima a Dio. Breviloquio. Riconduzione delle arti alla teologia, a cura di L. Mauro, Milano 1985, p. 385; Tommaso d'Aquino, Summa theologica, a cura di P. Caramello, Torino 1956.
Letteratura critica. - A. Vacant, s.v. Ange, in DTC, I, 1909, coll. 1189-1271; E. Corsini, Il trattato ''De divinis nominibus'' dello pseudo-Dionigi e i commenti neoplatonici al Parmenide, Torino 1962; K.A. Wirth, s.v. Engelchöre, in RDK, V, 1967, coll. 555-601; G. Davisson, Dictionary of Angels, London 1968; B. Faes de Mottoni, Il ''Corpus Dionysianum'' nel Medioevo. Rassegna di studi: 1900-1972, Bologna 1977; S. Lilla, s.v. Platonismo e i Padri, in Dizionario patristico e di antichità cristiane, II, Casale Monferrato 1984, coll. 2818-2858; B. Teyssèdre, Anges, astres et cieux. Figures de la destinée et du salut, Paris 1986 (trad. it. Angeli, astri e cieli. Figure del destino e della salvezza, Genova 1991, pp. 357-409); C. Bellinati, Iconografia e teologia negli affreschi del Battistero, in Giusto de' Menabuoi nel Battistero di Padova, a cura di A.M. Spiazzi, Trieste 1989, pp. 41-82; M. Bussagli, Storia degli Angeli. Racconto di immagini e di idee (Orizzonti della storia), Milano 1991, pp. 286-299.M. Bussagli