COLLI, Gerardo
Appartenente a famiglia ghibellina di Vigevano, nacque nel 1420circa. Compì studi giuridici, addottorandosi in ambedue i diritti. Partigiano di Francesco Sforza, fu nominato, nel 1450, appena questi divenne signore di Milano, sindacatore del Comune della sua città di origine, iniziando così una lunga e ininterrotta carriera diplomatico-amministrativa al servizio degli Sforza. Il 10 nov. 1456 ebbe la carica di podestà di Alessandria fino al 19 nov. 1458. L'anno dopo era a Venezia come segretario di Marchese da Varese, residente ducale presso la Signoria. Successivamente compì due missioni consecutive in Savoia.
Mentre le trattative per un accordo particolare fra il duca di Milano ed il delfino Luigi, che sarebbe giunto a conclusione il 6 ott. 1460, erano a buon punto, le relazioni con la Savoia erano difficili e per l'ingerenza, anche militare, dello Sforza nella persecuzione messa in opera dal duca Ludovico contro l'ex cancelliere Giacomo di Valperga, protetto dal delfino, e per la controversia in atto a proposito di Cocconato, conteso da ambedue gli Stati. I contatti diplomatici erano comunque molto frequenti e nell'estate il C. fu inviato alla corte di Savoia. Egli vi giunse il 18 luglio, ma sia questa sia una seconda missione compiuta nel mese successivo ebbero esito negativo.
Nel 1461 il C. fu inviato a Francoforte. Francesco Sforza, com'è noto, perseguì sempre l'intento di ottenere l'investitura imperiale del ducato e allo scopo di far compiere pressioni su Federico III inviò il C. ai principi elettori riuniti per una Dieta. L'oratore fu ricevuto benevolmente dagli arcivescovi di Treviri, di Magonza e di Colonia, che si impegnarono a spedire loro messi per caldeggiare presso l'imperatore la concessione dell'investitura, anche se poi l'esito sperato dallo Sforza non fu conseguito.
Con istruzioni del 16 nov. 1463 al C. fu affidata una missione penosa e delicata. Il patto matrimoniale, che risaliva al 1450, fra il primogenito del duca di Milano e Susanna Gonzaga, scivolato dalle gracili e imperfette spalle di questa a quelle della sorella Dorotea, non era più consono al ruolo che il ducato di Milano aveva assunto nella politica italiana e internazionale. Il fidanzamento non più gradito doveva quindi essere rotto, ma possibilmente senza creare troppi risentimenti nel marchese di Mantova, a cui lo Sforza era legato da sentimenti di gratitudine. Il C., preceduto dalla missione di un frate, della quale non si aspettò la conclusione, espose al Gonzaga la richiesta di un controllo medico sulla ragazza, da compiersi da due medici inviati da Milano, che dovevano accertare che essa non presentasse alcun accenno di gibbosità. Dopo l'arrivo dei medici si mise comunque il Gonzaga nell'impossibilità di accettare il controllo, il che rese liberi gli Sforza di volgersi ad altri progetti matrimoniali.
Da Mantova il C. passò a Venezia in qualità di residente ducale presso la Signoria. Da questo importantissimo centro prese a inviare i suoi messaggi, informando il suo signore di ogni avvenimento di cui veniva a conoscenza, riguardante sia l'Oriente sia l'Impero, la politica interna ed estera veneziana e quella degli altri Stati italiani ed europei.
In quel momento era viva a Venezia la preoccupazione per il recente rinnovo (22 dic. 1463) dell'alleanza franco-milanese, che la Signoria aveva invano tentato di impedire. Il C. aveva l'incarico di mettere in evidenza come non si trattasse di un nuovo patto, ma di una conferma di quello esistente quando Luigi XI era ancora delfino, anche se naturalmente il rammarico di Venezia per l'acquisto di Genova da parte dello Sforza non poteva certo essere attenuato da parole. Pio II era intanto tutto preso dalla preparazione della crociata e il C. inviava al suo signore, assai tiepido, per questa impresa, resoconti su quanto veniva allestendo Venezia, anch'essa peraltro in modo molto blando. Inoltre il C. si premurava di informare il duca su quanto i condotiieri veneziani operavano contro i Turchi, riferendo ogni notizia, più o meno verosimile, su Maometto II, o sui baluardi della Cristianità, quali erano Mattia Corvino, re di Ungheria e Giorgio Scanderbeg.
Allo scoppio della guerra della lega del bene pubblico in Francia si sa quanto fermamente lo Sforza prese posizione in favore di Luigi XI; Venezia invece mostrava di credere che avrebbero prevalso, come riferiva il C., gli avversari del re. Mentre il C. comunicava alla Signoria per incarico dei duca prima la ferma decisione di sostenere il re, poi la partenza d'un contingente di truppe, guidate dal primogenito dello Sforza, per la Francia, egli doveva tuttavia registrare come nella città si diffondessero notizie sfavorevoli al re.
Alla morte di Francesco Sforza (8 marzo 1466) la Signoria si affrettò a comunicare al C. l'intenzione di riconoscere Galeazzo Maria Sforza duca di Milano; tuttavia Venezia fu l'unica potenza italiana a non inviare a Milano una legazione che porgesse le condoglianze per il vecchio e le congratulazioni per il nuovo duca. Il C. comunicava poi preoccupanti concentramenti di truppe, mentre, nonostante ciò e il sospetto buon accordo con la Savoia, la Signoria gli continuava a manifestare il suo proposito di voler "ben vicinare" con il ducato di Milano. Inoltre il doge ebbe modo di dire al residente, anche se in seguito lo smentì, che considerava la lega italica non più esistente. Il nuovo duca, timoroso che il malvolere veneziano, si concretizzasse in pericolose iniziative contro il ducato, pregava il C. di comunicare alla Signoria, a mo' di avvertimento, lo stretto legame che univa Milano a Napoli ed al Monferrato e di leggere al Collegio le lettere affettuose che egli riceveva dal re di Francia. Un altro motivo che raffreddò ancora di più nel corso dello stesso anno i rapporti di Milano con la Repubblica fu il fatto che questa accolse i rifugiati fiorentini autori della sventata congiura contro Piero de' Medici, grande alleato di Galeazzo, Maria.
Il C. rimase ancora a Venezia durante la campagna che Fiorentini, Milanesi e Napoletani, strettisi in lega il 4 genn. 1467, combatterono contro Bartolomeo Colleoni. La posizione del C., che dal 12 sett. 1467 era stato creato consigliere ducale e feudatario di Tornaco, non era allora facile in una città che doveva essere considerata nemica. Il compito non gli era poi reso più semplice dal giovane duca, il quale nel gennaio 1468 lo incaricò di comunicare al doge che egli avrebbe voluto recarsi a Venezia e per visitare la Signoria e per trovarsi una "nova amorosa"; in questa occasione il C. forni la peregrina interpretazione che per amorosa si dovesse intendere il doge stesso, che il duca teneva "in luocho di matre" e di "honorata sorela". A Venezia tuttavia, fallito anche l'altro tentativo della Serenissima di far attaccare il ducato e l'alleato Monferrato dalla Savoia, i partigiani della pace, come comunicava il C., finirono per prevalere. E dopo la pubblicazione della pace, il 2 febbraio ed il 25 apr. 1468, Galeazzo Maria Sforza, incaricò il C. nell'agosto addirittura di un'offertà di "intelligentia", che fu lasciata cadere. Al duca questi manifestava la sua mancanza di fiducia nei Veneziani, di cui, diceva, non ci si poteva fidare, qualsiasi cosa dicessero. Ormai comunque la permanenza a Venezia pesava al C., che, chiesto ed ottenuto di essere sostituito dal fratello Michele, partì dalla città lagunare nell'autunno del 1468. Nel giugno dell'anno successivo egli era ad Abbiategrasso, dove fu uno dei testimoni dell'atto con il quale Galeazzo Maria stabiliva che i doni concessi alla moglie in occasione della nascita del primogenito dovessero rimanere di sua proprietà nel caso della morte di lui.
Un anno dopo il C. era di nuovo a Venezia, dove con Marco Trotto aveva l'incarico di saggiare la possibilità di un accordo veneto-milanese. A questo proposito scriveva allo Sforza che a suo parere i Veneziani non avrebbero stretto con il duca accordo veruno se questi non avesse abbandonato la lega con la Francia, in una lettera datata 7 luglio, un giorno prima cioè che fosse rinnovata la lega fra Milano, Napoli e Firenze, che destò "grande admiratione" nella città veneta. Alla caduta di Negroponte (12 luglio 1470) il C. non mancò di inviare a Milano la relazione sulle sgomente reazioni che si erano avute nella città lagunare. Nel novembre era di nuovo a Venezia per trattare insieme con il nuovo residente, Leonardo Botta, e agli oratori fiorentini il rinnovo della lega italica, che venne concluso il 12 dicembre. Nel 1471 il C. era ancora a Venezia, da dove nell'aprile riferiva della diffidenza e del sospetto veneziani nel confronti di Galeazzo Maria per la sua trionfale visita a Firenze e per la rivolta di Piombino, di cui lo sospettavano istigatore. Nel luglio giunse a Venezia una solenne ambasciata milanese inviata dallo Sforza, che non sopportava l'avvicinamento avvenuto fra Ferdinando d'Aragona e la Signoria e che tentava di inserirsi fra i due. In una lettera del 2 agosto il C. avrebbe narrato particolareggiatamente il gaudio della città per la morte di Paolo II. Egli si adoperò per ottenere, a compenso della lega Venezia-Napoli, l'invio di un ambasciatore a Milano, ma i suoi sforzi rimasero sterili. Nel medesimo mese di agosto lasciò Venezia e si portò presumibilmente presso lo Sforza, che, occupato a dimostrare la sua lealtà a Iolanda di Francia duchessa di Savoia, allora rifugiatasi a Grenoble, contro i cognati di lei, le offrì il proprio appoggio proponendo alla duchessa di inviarle come ostaggio il fratello Lodovico, il quale sarebbe stato accompagnato da Lorenzo Terenzi e dal Colli.
Non trova conferma la notizia secondo cui nel 1472 il C. sarebbe stato inviato a Firenze. Il 4 febbr. 1473 egli fu nominato membro di una commissione incaricata di vagliare le richieste dell'ambasciatore delle Leghe svizzere a proposito di divergenze di confine. Circa un anno dopo, il 14 marzo 1474, fu uno dei gentiluomini che accolsero a Cassano d'Adda Stefano, principe della Moldavia, di passaggio nel ducato e il 10 novembre a Milano fu uno dei testimoni della ratifica del trattato di alleanza venticinquennale stretto da Galeazzo Maria con Venezia, cui accedette anche Firenze. Alla fine dello stesso anno fu fatto deputato per il giubileo e per la peste nel ducato.
Commissario in Ghiara d'Adda e podestà di Caravaggio nel 1476, l'anno successivo il C. fu inviato, insieme con Guidantonio Arcimboldi, presso l'imperatore dalla vedova di Galeazzo Maria a richiedere l'investitura per il figlio Gian Galeazzo. I due ambasciatori giunsero però a Vienna "in bocca de magiori pericoli", mentre gli aderenti del re di Boemia si scontravano con quelli del re di Ungheria. Pertanto essi non ottennero da Federico III che parole cortesi e l'invito a tornare "a tempo più tranquillo" (Mon. Hungar. hist., IV, pp. 351 e 362). In questi anni il C. veniva interpellato talvolta dal Consiglio di reggenza e talvolta era presente alle sue sedute; nel settembre del 1478 ricevette e accompagnò dalla duchessa gli ambasciatori veneto e fiorentino, di passaggio a Milano, diretti in Francia.
Dopo aver compiuto un'ultima ambasciata a Venezia nei primi mesi del 1479, il C. morì a Milano il 10 genn. 1480, pochi mesi dopo il ritorno di Lodovico il Moro nel ducato, di cui aveva pubblicamente approvato, pare, la decisione dell'arresto di Cicco Simonetta.
Aveva goduto della fiducia di Francesco Sforza e di quella del diffidente e volubile figlio di lui, rimanendo in un grande centro di politica internazionale, quale era Venezia, per parecchi anni, ascoltato consigliere poi della reggente Bona; non sembrò però possedere una spiccata personalità, né particolari doti di intuito e di interpretazione politica.
Fonti e Bibl.: Monumenta Hungariae historica. Negyvedik osztály: Diplomácziai emlékek (Acta externa), IV, a cura di I. Nagy-A. Nyáry, Budapest 1875, pp. 284-88, 301 s., 317-20, 323 ss., 349-57, 360-65, 369-76, 380-85; V, ibid. 1877, pp. 7 s., 12-16, 27 s., 32-36, 44-50, 52 s., 61 ss., 68 s., 72-81, 84-88, 90-96, 209-30, 351-59, 361 ss.; I libri commemor. della Repubblica di Venezia, a cura di R. Predellì, V, Venezia 1901, p. 217; Gli uffici del dominio sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1948, pp. 9, 528, 554; I diari di Cicco Simonetta, a cura di A. R. Natale, I, Milano 1962, pp. 9 s., 95, 100, 127, 151, 188; Acta in Consilio Secreto Mediolani, a cura di A. R. Natale, I Milano 1963, pp. XVIII, 21; II, ibid. 1964, pp. 200, 211, 251 s., 262, 332, 336; III, ibid. 1969, pp. 77, 138, 203, 212; Dispatches of Milanese ambassadors..., a cura di P. M. Kendall-V. Ilardi, II, Athens, Ohio, 1971, pp. 31, 39 s.; P. Magistretti, Galeazzo Maria Sforza e la caduta di Negroponte, in Arch. stor. lomb., s. 2, I (1884), pp. 116-20, 342 s.; L. Beltrami, L'annullamento del contratto di matrimonio..., ibid., VI (1889), pp. 128 ss.; E. Motta, Morti in Milano, ibid., VIII (1891), p. 279; P. M. Perret, Histoire des relations de la France avec Venise, Paris 1896, I, pp. 424, 429, 439, 443 ss., 449, 454, 457 s., 478, 485, 487, 493, 495, 498, 500, 566, 569 s.; II, pp. 159, 166; F. Cusin, L'Impero e la success. degli Sforza, in Arch. stor. lomb., s. 7, I (1936), pp. 87 s., 93; Id., Le aspiraz. straniere sul ducato di Milano e l'investitura imperiale, ibid., p. 363; C. Santoro, Un codice di Bona di Savoia, ibid., s. 9, I (1954-55), pp. 274, 276; F. Catalano, in Storia di Milano, VII, Milano 1956, pp. 68, 208, 219, 231 s., 237-40, 242, 245 ss., 256, 258, 264, 267; F. Babinger, Maometto il Conquistatore, Torino 1957, pp. 391 s., 417, 438 ss.; F. Fossati, Nuove spigolature d'archivio, in Arch. stor. lomb., s. 9, III (1957), pp. 364 s.;G. Barblan, Vita musicale alla corte sforzesca, in Storia di Milano, IX, Milano 1961, p. 825; F. Fossati, Ultime spigolature d'archivio, in Arch. stor. lomb., s. 9, VI (1960), pp. 453-61; L. Cerioni, La diplom. sforzesca, I, Roma 1970, pp. 168 s.