ENZOLA, Gerardo da
Nacque a Parma dopo il 1258, anno di matrimonio dei suoi genitori, da Giacomo e da Marchesina, una ricca vedova padovana presentata a suo padre da Matteo da Correggio, un parente degli Enzola.
Marchesina aveva portato al marito una dote cospicua, con la quale Giacomo aveva acquistato vasti possessi nel villaggio di Povilio e iniziato una proficua attività di prestiti, che lo storico Salimbene de Adani non esitò a definire usuraria. Probabilmente frutto di quest'attività creditizia fu l'acquisto del palazzo degli Adam, ubicato accanto al battistero di Parma, che egli ebbe exdono, espressione tecnica che nella prima metà del XIII secolo indicava l'interesse ricavato dalle somme prestate. Forse il palazzo era stato dato in pegno al creditore, che, non ottenendo la liquidazione del danaro dato in prestito, lo aveva trattenuto valutandolo ad un prezzo di gran lunga inferiore rispetto all'andamento del mercato immobiliare.
Armato cavaliere sulla porta del battistero di Parma nel 1284, Giacomo, insieme con Giacomo Manglario, suo giudice, si trasferi a Modena, dove era stato chiamato a ricoprire la carica di podestà per il primo semestre dell'anno. Ma non terminò il mandato, poiché morì improvvisamente di apoplessia già nell'aprile del 1284. Fu sepolto presso la cattedrale modenese, in un tumulo addossato ad una parete sulla quale fu dipinto a cavallo, "honorifice ad modum militis", come sottolinea Salimbene: anche per ricordare la nuova moda dei ritratti equestri. Durante il suo mandato erano stati commessi a Modena omicidi ed altri gravi delitti che Giacomo lasciò impuniti, contribuendo così a provocare l'insorgere delle guerre civili in città. Quando i Modenesi lo seppero, irati ed indignati, assalirono la tomba del defunto podestà e si accanirono sulla sua figura dipinta, strappandogli gli occhi ed imbrattandola di sterco, "caccaverunt super tumulum". Inoltre nel 1285 inviarono a Parma degli ambasciatori appartenenti al gruppo dei populares, uno dei quali, durante il Consiglio di credenza, uscì in espressioni irriguardose nei confronti del padre dell'Enzola.
Al Consiglio era presente l'E., che a quella data doveva quindi avere più di ventun anni, e che rimase offeso dalle parole dell'ambasciatore tanto da meditare la vendetta. Lo aggredì infatti sul territorio del vescovo di Reggio ferendolo gravemente e per questo fu condannato dai Parmensi a pagare una multa di 1.000 lire di moneta di Parma, che egli versò senza difficoltà. Secondo la testimonianza di Salimbene de Adam, egli era un giovane dal comportamento generoso, di modi liberali e con una educazione raffinata, che gli permetteva di vivere manifestando la signorilità della sua stirpe.
Nonostante il precedente incidente, nel luglio 1294 l'E. fu chiamato a Modena a ricoprire, come suo padre, la carica di podestà per il secondo semestre dell'anno. Mentre svolgeva tale incarico, il 1º nov. si recò a Ferrara alla corte del marchese Azzo (VIII) d'Este, figlio di Obizzo (II), che insieme con il fratello Franceschino aveva organizzato una fastosa cerimonia per ricevere l'investitura cavalleresca dal signore di Treviso, Gherardo da Camino. Alla festa furono presenti tutti i personaggi più influenti delle città di Lombardia, amici degli Este. Dopo essere stati armati cavalieri, i due marchesi fecero armare a loro spese altri cinquantadue cavalieri, fra cui l'E., che ricevette la dignità insieme con Pietro e Giovanni Sanvitali, due esponenti della potente famiglia di Parma, a cui apparteneva il vescovo Obizzo, con il quale aveva stretto alleanza. Ritornato a Parma all'inizio del 1295, l'E. rimase in città accanto ai Sanvitali, la cui posizione politica era ormai insidiata da Guido da Correggio.
L'alleanza tra l'E. e i Sanvitali era contraria all'orientamento della sua famiglia, tradizionalmente vicina ai Correggio: così egli tramò per attribuire la signoria di Parma al marchese Azzo (VIII) d'Este, ma fu scoperto dai consanguinei Tommaso da Enzola e Aldigherio della Senaza da Enzola. Il 13 dic. 1295, durante la celebrazione della festa di S. Lucia, i due partiti si scontrarono. Il gruppo dei Sanvitali, guidato dall'E., si riunì a cavallo presso le beccherie di S. Giorgio, ma fu sconfitto da Guido da Correggio e costretto ad abbandonare la città per rifugiarsi nei castelli del contado, quali Croce e Cruviaco, anche perché i rinforzi degli Estensi non erano giunti in tempo. Nel 1297 le due fazioni raggiunsero, anche per la mediazione del signore di Ferrara, la pace e l'E. poté rientrare in città.
Dopo la morte di Guido da Correggio (1299) l'E. si avvicinò al di lui figlio Giberto ed in seguito ottenne la podesteria di Perugia per il secondo semestre dell'anno 1300. A Perugia gli Enzola erano molto noti, in quanto lo zio dell'E., Bernardo, era stato podestà nel 1265, mentre Aldigherio della Senaza aveva ricoperto la medesima magistratura nel 1273 ed infine Tommaso sarà podestà nel 1303. Ritornato da Perugia, il marchese Azzo (VIII) d'Este lo chiamò a Ferrara come podestà per il 1301: le fonti estensi ci permettono di stabilire che l'E. oltre ad essere miles era anche doctor, cioè esperto di diritto, un requisito importante per poter esercitare la professione podestarile. Al termine del mandato ferrarese l'E. continuò ad appoggiare Giberto da Correggio, aiutandolo ad ottenere la qualifica di defensor della città, senza peraltro interrompere i legami con Azzo (VIII) d'Este, che mirava ad impadronirsi di Parma.
Tra l'agosto e l'ottobre del 1305, insieme col notaio Paolo Ruffa, organizzò una congiura contro il Correggio, ma fu scoperto e rinchiuso nelle carceri del Comune. Dopo due anni di prigionia, nel giugno 1307, fu liberato insieme col Ruffa. Tuttavia il Correggio, dopo aver ottenuto delle garanzie in solido dai più ricchi ed influenti esponenti del partito popolare, permise che l'E. fosse inviato al confino nella città di Brescia. Ritornato nel marzo del 1308 dalla città lombarda, l'E. prese parte alla nuova congiura contro Giberto da Correggio, che fu cacciato da Parma. L'atteggiamento indeciso degli Enzola, che si ritirarono nell'omonimo castello ed in quello di Povilio, impedì tuttavia ai vincitori di impadronirsi definitivamente del potere. Anzi, nel maggio del 1308, l'E. si unì a Giberto da Correggio ed insieme difesero il castello di Enzola dall'attacco dei Parmensi. La sconfitta del podestà di Parma e delle sue truppe permise al Correggio ed al suo alleato di entrare come vincitori nella città. Ma i due alleati ebbero ben presto dei dissidi tra loro ed il 3 agosto l'E. con la sua famiglia fu allontanato da Parma.
Con la discesa in Italia di Enrico VII l'E. si schierò momentaneamente dalla parte dell'imperatore, che nell'agosto del 1311 lo nominò vicario imperiale a Padova, scegliendolo entro una rosa di quattro nomi presentatagli dai Patavini. Come supremo magistrato del Comune tentò di trattare con Aldrighetto di Castelbarco, vicario imperiale di Vicenza, la restituzione di beni padovani occupati dai Vicentini, e, forte dell'appoggio imperiale, chiese loro espressamente di lasciar liberamente scorrere le acque del Bacchiglione. Non ottenne alcun successo, giacché il Castelbarco dimostrò che i beni confiscati ai Padovani in Montegalda ed in Montegaldella costituivano la ricompensa delle somme non pagate ai Vicentini al tempo in cui Padova signoreggiava sulla vicina città.
Codesti insuccessi e le tendenziose notizie intorno ad una pretesa volontà imperiale di muovere contro Padova, diffuse in città dall'ambasciatore Rolando Piazzola che a Genova si era incontrato con Enrico VII, furono i motivi più evidenti della sanguinosa rivolta del 12 febbr. 1312 contro il sovrano. L'E. acconsentì certamente alla sedizione, giacché fu subito eletto podestà, carica che egli ricoprì sino alla fine di giugno del medesimo anno; insieme con il suo assessore, il giudice Antonio dei Morgatelli di Modena. Durante questa nuova podesteria l'E. si avvicinò ancora a Giberto da Correggio, vicario imperiale di Reggio Emilia e signore di fatto di Parma.
Insieme attaccarono nella primavera del 1312 la città di Vicenza, difesa dai Della Scala, ma il loro sforzo era destinato a fallire, giacché la forza degli avversari era nettamente superiore. L'E. consigliò di ritirarsi, anche perché i Padovani temevano lo scoppio di un'epidemia. A fine giugno l'E. abbandonò Padova, cedendo il suo posto al nuovo podestà Giacomo Rossi. Durante il suo vicariato e la sua podesteria, probabilmente come sostiene il Gloria, favorì la nomina di Roberto dei Barati, cittadino di Parma, alla cattedra di diritto civile presso l'università di Padova.
I buoni rapporti con Giberto da Correggio continuarono anche in seguito. Infatti, nel luglio 1315 l'E. fu inviato dal Comune di Parma, allora dominato dal medesimo Giberto, a San Zenone nel Veronese per sottoscrivere un trattato di pace tra i guelfi parmensi e i ghibellini, nonché gli abitanti di Borgo San Donnino. Il 26 luglio, assistiti da Cangrande Della Scala, signore di Verona, e da Rainaldo (Passerino) Bonacolsi, signore di Mantova, l'E. ed i plenipotenziari delle due fazioni parmensi firmarono la pace. La tregua non durò a lungo; nella primavera successiva si combatteva di nuovo attorno a Cremona, città in cui Giberto da Correggio era stato proclamato signore. Il 30 giugno 1316 i Visconti, i Bonacolsi ed i Della Scala attaccarono Casalmaggiore, difesa da Copino, figlio dell'E., e se ne impossessarono, mentre Copino riparava verso Parma. La caduta di Casalmaggiore convinse Giberto ad abbandonare il 5 luglio la città di Cremona per dirigersi a Parma, lasciando nella città lombarda l'E. come suo vicario con il compito di difenderla. Nel settembre Matteo Visconti, i Della Scala e i Bonacolsi si accordarono con i cittadini di Cremona per una trattativa di pace, la cui prima clausola prevedeva l'allontanamento dalla città dell'Enzola. Anche Parma si ribellò ai guelfi e pertanto agli inizi del 1317 l'E. e Giberto da Correggio, usciti dalla città, si recarono a Bologna, in Romagna, in Toscana ed infine a Napoli, presso re Roberto d'Angiò, per raccogliere aiuti militari contro Parma. Ottennero 500 cavalieri ed un gran numero, di fanti con i quali entrarono nel territorio parmense.
Un mese più tardi iniziava la guerra: i Parmensi erano guidati da Spinetta Malaspina ed assalirono i castelli di Enzola e Povilio, ma, secondo il racconto del Chronicon Parmense, non fu fatto alcun danno ai nemici "o meglio agli amici, giacché i magnati ingannavano il popolo ed evitavano di arrecare danni ai ribelli, tra cui Gerardo da Enzola e Giberto da Correggio" (p. 153).
Nonostante tali incertezze nella conduzione della guerra l'E. non rientrò più in Parma: nel settembre 1319 egli era a Genova, nella dimora di re Roberto d'Angiò, ed assistette al giuramento prestato da Giberto da Correggio a Carlo Fieschi. Giberto promise di dare in moglie una sua figlia ad un erede della famiglia Fieschi, creando così un legame con il partito angioino.
Infine, nel luglio 1321, mentre si trovava nel castello avito di Povilio, l'E. fu ucciso da un suo stretto parente.
Fonti e Bibl.: Chronicon Parmense ab anno MXXXVIII usque ad annum MCCCXXXVIII, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., IX, 9, a cura di G. Bonazzi, pp. 69, 73, 92, 99, 120, 141, 146 ss., 150, 153, 159, 163; Iohannis de Bazano Chronicon Mutinense, ibid., XV, 4, a cura di T. Casini, p. 52; Salimbene de Adam, Chronica, a cura di O. Holder-Egger, in Mon. Germ. Hist., Script., XXXII, Hannoverae 1905-1913, pp. 608 ss.; Monumenti della Università di Padova (1222-1318), a cura di A. Gloria, I, Venezia 1884, pp. 11, 44; L. A. Muratori, Annali d'Italia, VIII, Napoli 1773, p. 61; I. Affò, Storia della città di Parma, IV, Parma 1795, pp. 155, 199; G. Gennari, Annali della città di Padova, III, Bassano 1804, pp. 141 s.; C. Mariotti, Saggio di memorie ... di Perugia e suo contado, Perugia 1806, I, p. 190; I, 2, p. 213; L. Cittadella, Notizie relative a Ferrara, Ferrara 1864, p. 365; G. Cappelletti, Storia di Padova dalla sua origine sino al presente, I, Padova 1874, p. 210; P. Vicinis, Ipodestà di Modena (1156-1796), Roma 1913, I, p. 193; A. Simioni, Storia di Padova dalle origini alla fine del secolo XVIII, Padova 1968, p. 337; G. Montecchi, Giberto da Correggio, in Diz. biogr. degli Ital., XXIX, Roma 1983, pp. 439-442.