LANDRIANI, Gerardo
Nacque a Milano, verosimilmente sullo scorcio del XIV secolo, da Antonio, feudatario di Landriano dal 1408 e poi attestato come castellano di Melegnano, Abbiategrasso, Vigevano e, probabilmente, Brescia; ebbe almeno due fratelli, Luigi e Pietro.
Ottenuto in giovane età un canonicato presso la collegiata della Ss. Trinità di Pavia, il L. studiò diritto civile presso lo Studium Ticinense, dove risulta statutarius nel 1415 e nel 1416; titolare degli ordini minori, non aveva ancora concluso l'iter accademico nel 1418, quando il 13 maggio Martino V gli affidò in amministrazione la diocesi di Lodi, vacante per la traslazione di Giacomo Arrigoni a Trieste e definitivamente conferitagli il 15 marzo 1419.
Le testimonianze sull'episcopato lodigiano del L. sono assai frammentarie. Uno dei settori di intervento del presule fu certamente il patrimonio dell'episcopio, compromesso dalle spoliazioni attuate da Bruzio e Bernabò Visconti a vantaggio delle clientele dei Visconti. Con grande frequenza, infatti, tra il 1418 e il 1424 il L. provvide personalmente a concedere in investitura le proprietà vescovili e si avvalse del sostegno ducale per recuperare un certo controllo sulle proprietà della Chiesa: nel 1418 il duca Filippo Maria Visconti ingiunse al podestà di Lodi di intervenire contro gli usurpatori di beni della mensa vescovile; analogamente, nel 1423 il duca intimò allo stesso funzionario di procedere contro gli occupatores delle possessioni vescovili site a Castione, per curare quindi il loro conferimento secondo la volontà del vescovo. Nel 1420 il L. dispose l'erezione canonica della chiesa di S. Maria Bianca e dell'ospedale gestito dall'Ordine dei terziari francescani, fondati da Antonio Piacentini; ai primi anni dell'episcopato del L. daterebbe inoltre una visita pastorale della diocesi, condotta forse nel biennio 1421-22; nel 1429 provvide all'insediamento degli olivetani a Villanova Sillero, dando esecuzione alle ultime volontà di Niccolò Sommariva; nel 1434, infine, il L. ottenne da Eugenio IV facoltà di sopprimere il monastero cittadino di S. Vincenzo e di annetterne le rendite al patrimonio del capitolo cattedrale, iniziativa non eseguita.
Con ogni probabilità questo periodo coincise con il consolidamento delle relazioni del L. con la Curia pontificia. Il 22 apr. 1423, infatti, egli figura tra i sette vescovi presenti alla sessione inaugurale del concilio di Pavia; nel 1431 fu tra i diciotto ecclesiastici incaricati da Eugenio IV di predisporre la convocazione di un nuovo sinodo; il 14 marzo 1432, infine, fu incorporato al concilio di Basilea, dove operò insieme con un nutrito gruppo di ecclesiastici lombardi - tra i quali l'arcivescovo di Milano Bartolomeo Capra e il suo successore Francesco Pizolpasso, Francesco Bossi vescovo di Como, Venturino Marni vescovo di Cremona, Bartolomeo Visconti vescovo di Novara, Delfino Della Pergola vescovo di Parma, Alessio da Seregno vescovo di Piacenza, il cardinale Branda da Castiglione - in vario grado interpreti del sostegno accordato da Filippo Maria Visconti alle istanze conciliari.
A Basilea il L. fu iudex causarum e partecipò attivamente ai lavori delle commissioni incaricate di curare la reformacio Ecclesiae: inserito nella deputazione pro communibus l'11 apr. 1432, il 15 novembre fu delegato a trattare la questione delle indulgenze; insieme con l'abate di Lodivecchio, il 24 nov. 1432 fu nominato rappresentante della nacio Italica nella deputazione pro communibus ad providendum et examinandum materias reformacionis, e come tale il 26 novembre fu tra i sei deputati all'esame del decreto di annullamento del concilio emanato da papa Eugenio IV nonché alla formulazione di canoni in materia di alienazioni dei beni ecclesiastici e di provvista beneficiaria. Il 30 dicembre fu tra i sei rappresentanti del concilio per le trattative con i delegati boemi; il 28 genn. 1433, con il vescovo di Costanza e col decano di Magonza, fu incaricato di scegliere i messi del sinodo responsabili per trattare la pace con Francia e Italia; il 30 gennaio fu incaricato di indagare circa la condotta dei notai affiancati ai giudici conciliari; il 4 maggio gli fu affidata la revisione del decreto sui sinodi provinciali e diocesani e il 10 giugno fu preposto alla riforma del decreto sulle elezioni.
Il L., inoltre, fu investito di delicate missioni diplomatiche finalizzate a guadagnare alla causa della reformatio Ecclesiae il favore delle potenze europee: nel 1432 perorò le posizioni dei padri conciliari presso l'Università di Colonia, trattò con i principi renani la pacificazione della Germania e quindi, nel mese di giugno, fu in Inghilterra - dove sarebbe tornato nell'ottobre 1433 - ottenendo che l'anno dopo due delegazioni del re Enrico VI raggiungessero Basilea. Nel maggio 1434 - in concomitanza con l'acuirsi della crisi tra Eugenio IV e il sinodo e con l'occupazione dei territori pontifici da parte di Niccolò Piccinino - il L. lasciò Basilea, verosimilmente orientandosi più nettamente verso le posizioni del papa.
Il 7 giugno 1435 Eugenio IV gli conferì la cattedra di Tortona, che però il L. rifiutò e che nel 1437 scambiò con Giovanni Barbavara, eletto vescovo di Como nel 1436 ma di fatto impossibilitato a prendere possesso della diocesi per l'opposizione di Filippo Maria Visconti. Con l'autorizzazione ducale, il L. entrò in Como tra la fine di aprile e i primi di maggio 1437, ma solo sporadicamente risiedette in città, dove la sua presenza è documentata nell'estate 1437 - quando compì alcune investiture di proprietà della mensa episcopale, e il 12 luglio, allorché predispose la resignazione dell'abbazia di S. Barnaba in Gratosoglio, conferitagli in data imprecisata, nel marzo 1440 e nel settembre 1441. Più che dal palazzo vescovile lariano - cui peraltro il L. fece apportare significative modifiche - gli atti riguardanti il governo della diocesi furono emanati dalle dimore milanesi del presule - site presso il monastero di S. Ambrogio e nella parrocchia di S. Pietro in Vigna in Porta Vercellina -, ma talora anche da Landriano e, nel 1442, dall'abbazia di Chiaravalle, provvistagli prima in amministrazione e poi, il 14 settembre, in commenda "pro reformatione[…] et illius bono regimine" (Canobbio, 2000, p. 502).
A Como l'ordinaria amministrazione fu delegata dal L. a un nutrito gruppo di collaboratori: all'ingresso in diocesi nel 1437 risale probabilmente la nomina a vicario generale del milanese Francesco Della Croce, al quale si affiancò in veste di ausiliario in spiritualibus il francescano Bartolomeo da Cremona, vescovo di Castoria; nel 1440 al Della Croce subentrò il decretorum doctor modenese Baldassarre Rivo, che probabilmente esercitò l'ufficio fino al 1444, quando il L. nominò proprio vicario Stefano Appiani, pure decretorum doctor, già luogotenente del Rivo e procuratore della mensa episcopale. Altri collaboratori del vescovo, infine, furono Bernardo Landriani, zio del L. e per lui attivo come vicario in spiritualibus nel 1440; il benedettino Gregorio "de Corsanego", vescovo titolare di Trebisonda, documentato con qualifica analoga nel 1442 e nel 1443; Nicola di Pavia, vescovo di Helenopolis di Siria e attivo quale ausiliario nel 1444 insieme con Marco Condulmer, vescovo di Alessandria.
Accomunati da una solida preparazione giuridica e legati al vescovo da una consuetudine talora precedente il conferimento della cattedra episcopale, furono appunto tali personaggi a dare esecuzione alle iniziative del L., che nel complesso sembrano rispondere a un vasto progetto di razionalizzazione delle strutture della Chiesa locale secondo le istanze di riforma maturate in ambito conciliare. Tali interventi - in una sorta di continuità ideale con l'episcopato lodigiano del L. - riguardarono in primo luogo il patrimonio della mensa vescovile, indebolito da una certa arretratezza degli strumenti di amministrazione e, in alcune regioni, dall'intraprendenza dei locatari e dei vassalli vescovili. Il 19 giugno 1437 il L. dispose un'ammonizione contro gli usurpatori di beni della Chiesa episcopale, affinché li restituissero entro quindici giorni; in data verosimilmente prossima a questo provvedimento un editto contra vassallos fissò un termine di quattro mesi entro il quale provare i titoli di possesso; il 21 giugno 1440, infine, fu sollecitato il giuramento di fedeltà dei feudatari, richiedendone il servizio "cum armis" per un grave "iminens eventum" di cui però non è nota la natura.
Interventi assai articolati riguardarono inoltre le chiese collegiate. Probabilmente nel 1439, conformemente alla minuziosa legislazione emanata a Basilea sui capitoli canonicali, il L. dispose che presso le collegiate della diocesi comasca fossero nominati "canevari" responsabili della ripartizione dei redditi e che i canonici presenti alla recita degli uffici fossero registrati in una nota; l'11 marzo 1440 il L. avviò la riorganizzazione del capitolo della cattedrale di S. Maria Maggiore, promulgando statuti riguardanti la struttura del collegio e i requisiti per l'ammissione, l'obbligo di residenza, i requisiti esteriori dei canonici partecipanti alle celebrazioni, l'entità degli emolumenti loro spettanti. L'istituzione della prepositura nel 1440 e, il 1° apr. 1443, l'erezione della cantoria completarono la riforma del clero della cattedrale e costituirono un modello per interventi su omologhi enti della diocesi. Residenza, decoro delle celebrazioni e attenta amministrazione della mensa capitolare furono infatti al centro della revisione degli statuti di S. Pietro a Bellinzona nel 1441 e delle consuetudines della collegiata comasca di S. Fedele nel 1442; lo stesso anno, il vescovo ordinò che i redditi del capitolo di Bellagio fossero ripartiti tra i canonici tenendo conto dell'assiduità ai servizi religiosi e dispose la riduzione da otto a quattro delle prebende canonicali di S. Vittore a Locarno. A tali iniziative - per molti aspetti analoghe alle numerose riforme capitolari attuate nel Ducato di Milano da parte di prelati legati agli ambienti conciliari - corrisposero alcuni provvedimenti relativi all'unione di benefici minori insufficientemente dotati; funzionale all'obbligo di residenza, infine, dovette essere un privilegio concesso al L. da Eugenio IV il 19 giugno 1438, con il quale furono riservati alla collazione ordinaria tre prebende in cattedrale, dodici benefici curati e dodici sine cura, purché conferiti a sacerdoti residenti.
Strumento di esecuzione e di verifica di tali disposizioni furono le periodiche ispezioni di chiese, monasteri ed enti assistenziali di cui il L. incaricò periodicamente i propri vicari: nel 1440 una prima visita, avviata forse dalla cattedrale di Como, riguardò chiese ed enti assistenziali della città e delle pievi di Nesso, Isola e Gravedona, toccando poi i territori ticinesi della diocesi, come testimonia documentazione riguardante la chiesa di S. Vittore a Locarno; due anni più tardi furono visitati la collegiata di S. Fedele in Como e, successivamente, Menaggio, Ponte in Valtellina, Tresivio e Sondrio; nel 1444 e nel 1445 le visite dei vicari interessarono chiese, ospedali e, in alcuni casi, monasteri delle pievi del Lago, della Valchiavenna e della Valtellina, il cui clero fu chiamato a rispondere ad articolati questionari riguardanti status, cultura e condotta personali nonché la gestione patrimoniale delle chiese.
Quelli dell'episcopato comasco furono anche anni di intensa attività diplomatica per il L., che per origine familiare e per la dimestichezza con la corte papale assurse di fatto a interlocutore privilegiato di Filippo Maria Visconti e di Eugenio IV. Il 31 luglio 1436, infatti, Filippo Maria Visconti lo incaricò insieme con Franchino Castiglioni di stipulare un'alleanza con Eugenio IV; nel 1437 il pontefice ne sollecitò la presenza a Roma; lo stesso anno Niccolò Albergati ne chiese la mediazione per propiziare la riappacificazione del duca Visconti con il papa, assicurando il sostegno milanese alla Sede apostolica; il 22 luglio 1439 il Visconti affidò al L. - qualificato come consigliere segreto - le delicate trattative di pace con Venezia, Firenze e Genova; il 30 luglio 1444 Filippo Maria lo incaricò di concludere una pace tra il pontefice, Venezia, Genova, Firenze, e Francesco Sforza; il 30 luglio 1445 Eugenio IV e il duca giunsero alla pace attraverso la mediazione del L. e di Marcolino Barbavara.
I riconoscimenti che scandirono tale intensa attività diplomatica sembrano avvalorare il ruolo del L. quale collegamento tra Roma e Milano: eletto, come si è visto, vescovo di Tortona e quindi di Como, il 18 dic. 1439, nel corso del concilio di Firenze, il L. fu creato cardinale del titolo presbiterale di S. Maria in Trastevere (conferitogli l'8 genn. 1440) e il 6 luglio 1441 fu nominato da Eugenio IV legato a latere per la diocesi e provincia di Milano e per tutto il dominio visconteo, qualifica con la quale, peraltro, è attestato già l'11 marzo 1440.
Conformemente alla pienezza di poteri conferitagli dal pontefice, la sua attività si estese da allora a tutti i livelli delle istituzioni ecclesiastiche del Ducato: ben documentati sono i suoi interventi nel campo della provvista beneficiaria e dell'amministrazione dei patrimoni ecclesiastici, mentre di minore entità sembra essere stata l'azione del L. nell'ambito della giurisdizione contenziosa.
Il L. morì il 9 ott. 1445 a Viterbo, dove fu sepolto nella chiesa di S. Francesco.
Un aspetto non secondario della vita del L. è costituito dal rilievo che ebbe nel quadro dell'umanesimo europeo, entro il quale non si distinse tanto per opere o ricerche autonome, quanto piuttosto per l'attività di bibliofilo e per la corrispondenza con importanti personalità della cultura europea. Nella seconda metà del 1421 egli rinvenne presso l'archivio del capitolo cattedrale di Lodi un codice contenente le opere retoriche di Cicerone, che tramite il giurista Giovanni Omodei inviò a Gasperino Barzizza; questi ne fece fare una copia da Cosma Raimondi da Cremona e la inviò, nel 1422, al L. con lettera accompagnatoria, conservata presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano (Sabbadini, 1886). Il L. ebbe inoltre contatti epistolari con Poggio Bracciolini, Francesco Pizolpasso, Antonio Beccadeli detto il Panormita, Antonio Cremona, Pier Candido Decembrio, Leonardo Bruni, Francesco Filelfo, Antonio da Rho, Maffeo Vegio; nel 1443 - allorché accompagnò Eugenio IV a Roma - ebbe come segretario Tommaso Parentucelli, futuro Niccolò V. In occasione del soggiorno a Basilea, è plausibile che egli si sia dedicato alla ricerca di codici antichi presso i monasteri della regione renana; sicuramente dovette promuovere la circolazione della Repubblica di Platone nella traduzione di Uberto Decembrio. I legami con il Bruni e con Unfredo di Gloucester - figura chiave dell'umanesimo inglese - dovettero inoltre essere decisivi nell'orientare su di lui la scelta quale legato conciliare presso Enrico VI. Della sua attività di padre conciliare, infine, restano un'Oratio indirizzata a Enrico VI in occasione della missione in Inghilterra e vari Sermones pronunciati presso l'assise sinodale; di questi - secondo quanto segnalato da E. Garin (p. 604) - l'Oratio pro religioso more theologorum huiusce nostre etatis è conservata nella Biblioteca del Seminario vescovile di Casale Monferrato (cfr. P.O. Kristeller, Iter Italicum…, I, p. 40).
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