MAZZIOTTI, Gerardo
– Primo dei dieci figli di Ferdinando e di Giustina Vassallo nacque a Celso di Pollica, nel Salernitano, nel 1775. Il padre, erede di una estesa proprietà terriera e giudice di pace aggiunto a Pollica fino al 1809, morì il 20 apr. 1814 assicurando alla numerosa prole una vita agiata.
Insieme con il fratello Matteo il M. compì a Napoli gli studi universitari e, conseguita la laurea in legge, si avviò alla professione forense insieme con il cugino Giambattista Mazziotti presso lo studio legale dello zio paterno Alessandro; Matteo fece invece ritorno a Celso per dedicarsi all’amministrazione dei beni di famiglia. Avviato a una brillante carriera a Napoli, il M. seguì con estremo interesse le notizie della Rivoluzione francese e partecipò alla costituzione tra i franchi muratori di un club giacobino che, lungi dal progettare qualsiasi sovvertimento politico, mirava a mantenere viva l’attenzione nei confronti degli avvenimenti d’Oltralpe. Nel 1793 i primi arresti da parte della polizia costrinsero il M. e il cugino Giambattista a fuggire in Francia per evitare la sentenza della giunta di Stato che li condannava a morte per aver aderito e partecipato attivamente alla diffusione delle idee rivoluzionarie.
La fuga da Napoli fu per il M. particolarmente angosciosa dal momento che dovette abbandonare la giovane Fortunata Cagliotti, che gli aveva dato nel 1793 una figlia. Riuscì però a fare presto ritorno in patria dal momento che il governo borbonico fu costretto, in seguito ai patti stretti con la Francia, a concedere l’amnistia ai condannati per fatti politici.
Durante la Repubblica napoletana del 1799 il M. prese parte alle adunanze della società patriottica degli Amici della legge e, con l’attuazione della costituzione repubblicana che rendeva elettivi i magistrati, fu nominato con voto unanime giudice di pace nella città di Napoli. Si adoperò allora per la democratizzazione delle istituzioni, con la creazione delle municipalità repubblicane e della guardia civica. Partecipò quindi alla difesa della Repubblica e il 13 giugno 1799 fu arrestato dalle bande del cardinale F. Ruffo. Imprigionato nei Granili per 22 giorni, fu condotto poi nelle carceri della Vicaria e da lì, per evitare l’esplodere di epidemie, a fine agosto fu portato con una nave mercantile a Gaeta.
L’arresto del M. gettò nella miseria la sua compagna, rimasta a Celso con le due figlie di sei anni e undici mesi, esponendola anche al rischio dei saccheggi da parte delle bande sanfediste. Il 27 genn. 1800 il M., giudicato colpevole per il ruolo avuto nella Repubblica, fu condannato alla pena capitale commutata nell’esilio a patto che non rientrasse nel Regno senza autorizzazione. Prima di partire per l’esilio contrasse matrimonio con la Cagliotti anche per legittimare le due figlie.
Il 15 maggio 1800 sbarcò a Marsiglia ma vi si fermò poco: infatti già il 15 novembre era a Milano, dove con il grado di capitano assunse l’incarico di formare una legione italiana composta da esuli. Il suo esilio terminò quando, con la pace di Firenze del 26 marzo 1801, fu concessa la completa amnistia a tutti i sudditi del re di Napoli condannati o esiliati per i fatti relativi al periodo della Repubblica napoletana. Alla fine del 1801 il M. poté dunque tornare a Celso in seno alla famiglia, allietata nel settembre del 1802 dalla nascita di una terza figlia. Fu però sottoposto a domicilio coatto e privato della possibilità di esercitare la professione, sicché rivide Napoli solo dopo la fuga della corte nel gennaio 1806 e l’arrivo nel febbraio delle truppe francesi.
Nominato capo di un reparto di guardia urbana adibito alla tutela della tranquillità pubblica, ottenne nel 1808 dal re Giuseppe Bonaparte la nomina a capitano dei volteggiatori, ma la rifiutò preferendo tornare alla professione di giudice a capo del tribunale di prima istanza della Basilicata; il 26 genn. 1809 fu trasferito con lo stesso ruolo a Campobasso dove il 14 dic. 1811 fu promosso pubblico ministero della gran corte criminale. Desideroso di riavvicinarsi alla provincia natia, fu trasferito con decreto reale del 15 nov. 1813 presso la corte di Avellino dove rimase per molti anni. Dopo essere stato per un breve periodo, nel 1817, presidente del tribunale di Lecce e poi di quello di Trani, nel gennaio del 1818 ottenne la nomina di giudice della Gran Corte criminale della provincia di Salerno.
Sempre fedele agli ideali liberali, il M. fin dai tempi del regno di Gioacchino Murat era iscritto alla carboneria e faceva parte dell’alta vendita di Salerno. Il sospetto di contatti e collusioni con la setta spinse il governo a trasferirlo nel luglio del 1818 alla corte criminale di Reggio Calabria. Il M. ne fu contrariato e pur di non accettare il provvedimento fece domanda di pensionamento. Vistasi rifiutata la richiesta, preferì lasciare la magistratura e tornare alla professione di avvocato.
I moti del 1820-21 videro la sua partecipazione prima alla giunta provvisoria di governo nominata l’8 luglio, poi alla suprema magistratura esecutiva della gran dieta di una costituenda Repubblica lucana occidentale che rappresentava ottantadue vendite della provincia. Indette le elezioni politiche, il 22 sett. 1820 il M. fu eletto deputato della Lucania occidentale (Cilento); si dimostrò operoso fin dalle prime riunioni dell’Assemblea e prese ripetutamente la parola a favore della libertà di stampa e della formazione della guarda civica. Il 12 marzo 1821 partecipò all’ultima riunione del Parlamento che deliberava una solenne protesta contro l’intervento militare dell’Austria volto a reprimere il moto; quindi, con i fratelli Nicola e Giuseppe, prese parte al vano tentativo della carboneria salernitana di fare insorgere le province per opporre resistenza agli Austriaci inviati a reprimere il moto.
La reazione non tardò a colpirlo: tornato a Celso, il M. fu arrestato e condotto il 22 luglio 1822 a Napoli nelle carceri di S. Maria Apparente per essere giudicato dalla Gran Corte criminale nel processo contro gli alti dignitari della carboneria salernitana. Un regio decreto del 28 sett. 1822, abolendo con atto di clemenza l’azione penale per i fatti anteriori al 7 marzo 1822, consentì una sospensione della pena e dei mandati di arresto e autorizzò il rilascio dei passaporti per l’espatrio dei compromessi politici. Anche il M., non ancora sottoposto a processo, poté beneficiarne e, ottenuto il 2 dic. 1822 il passaporto per lo Stato pontificio, passò il confine con qualche difficoltà a causa dell’ostilità del governo papale ad accogliere esuli ritenuti pericolosi per la tranquillità pubblica. Alla fine si stabilì a Roma dove cercò di esercitare la professione, ma non gli fu facile per la mancanza delle opportune relazioni personali. Si dedicò quindi a studi giuridici e letterari.
Nonostante le suppliche rivolte dalla famiglia al re, il M. trascorse 15 anni in esilio a Roma sorvegliato della polizia borbonica. Nel giugno del 1837 Ferdinando II gli concesse la grazia del rientro in patria. Si stabilì allora a Salerno presso una figlia, sempre sorvegliato dalla polizia.
Il M. morì a Napoli il 16 ag. 1854 vittima dell’epidemia di colera.
Fonti e Bibl.: La Minerva napoletana, II, novembre-dicembre 1820 - gennaio 1821, p. 144; A. Alberti, Atti del Parlamento delle Due Sicilie 1820-1821, Bologna 1926-28, ad ind.; M. Rossi, Nuova luce risultante dai vari fatti avvenuti in Napoli pochi anni prima del 1799, Firenze 1890, p. 20; M. Mazziotti, La rivolta del Cilento nel 1828 narrata su documenti inediti, Roma-Milano 1906, p. 156; Id., Ricordi di famiglia (1780-1860), Milano-Roma-Napoli 1916, passim; G. Perugini, Notizie, in Arch. stor. italiano, LXXIV (1916), 2, p. 307; M. Mazziotti, La rivoluzione del 1820 in provincia di Salerno, Roma 1921, p. 6; G. De Crescenzo, Martiri ed eroi salernitani agli albori del Risorgimento, in Rass. stor. del Risorgimento, XLIII (1956), p. 317; Id., L’epopea garibaldina del 1860 nelle memorie salernitane, Salerno 1960, p. 11; M. Mazziotti, La rivolta del Cilento nel 1828, Casalvelino Scalo 1994, pp. 14, 212; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v. (E. Michel); G. De Crescenzo, Diz. di illustri e benemeriti salernitani, Salerno 1937, pp. 77, 137.