PATECCHIO, Gerardo
PATECCHIO, Gerardo. – Nacque a Cremona nella prima metà del XIII secolo.
Il suo nome, compreso tra i testimoni e garanti del rinnovato patto di alleanza ghibellina tra Cremona e Parma contro Piacenza il 9 luglio 1228, permette di riconoscere in «Girardo Pateclo» uno dei notabili della città. È questa, insieme al documento del 1253 più sotto citato, la sola fonte documentaria sicuramente pertinente a Patecchio.
Più incerta e anzi verosimilmente da scartare appare invero l’identificazione proposta da Albino Zenatti con il notaio «Gyrardus Patitus», rogatario di un centinaio di documenti cremonesi, per lo più appartenenti al celebre Codex Sicardi, tra la fine del XII sec. (quando si firma come «imperatoris Henrici notarius») e il 1252. Tale ipotesi si presta all’obiezione, avanzata da Saverio Guida, consistente nell’impossibilità di ridurre a un mero errore paleografico le differenze tra i due cognomi. La forma Patitus occorre in testimonianze autografe e quantitativamente ben maggiori rispetto alle sole due segnalate da Zenatti, mentre la forma latina Pateclus dei documenti trova corrispondenza, a livello grafico-fonetico, in quelle dei testi volgari, Pateclo, Pateg. Analogo discorso vale riguardo a un altro notaio cremonese dell’epoca e dello stesso Codex Sicardi, «Girardus de Petaciis», che pure è stato talora accostato, anche se in maniera più dubitativa, a Patecchio.
Un documento del 1253 fa riferimento a un rogito redatto in precedenza da Patecchio e non consente quindi di stabilire che a tale epoca egli fosse ancora vivo, tanto più perché, per dirimere una sopravvenuta controversia, i due privati cittadini cremonesi firmatari di tale rogito si rivolgono a due giureconsulti anziché al garante della loro intesa, pure dotato, in quanto notaio, di auctoritas iudicialis.
Oltre che come «notarius», nel documento del 1253 Patecchio è citato con il titolo di «magister», così come anche nella Cronica di Salimbene de Adam, in cui il suo nome occorre più volte, ma da ciò, in assenza di altri riscontri, non si può dedurre che egli abbia necessariamente esercitato la professione di insegnante, poiché all’epoca così erano spesso designati in generale gli uomini di cultura. Certo è comunque che tale titolo è prova di eminenza sociale.
Di Patecchio si conservano due componimenti poetici di ambito didattico-morale in volgare lombardo, lo Splanamento de li Proverbii de Salamone e la Frotula noiae moralis.
Il primo è un poemetto di 606 versi alessandrini a rima baciata, che riprende liberamente il testo biblico dei Proverbi contaminandolo con altri testi analoghi di carattere sapienziale, in particolare l’Ecclesiastico. L’esposizione degli ammaestramenti, espressamente rivolta ai «comunal omini» (v. 16), cioè agli strati inferiori della società, procede per blocchi tematici, in alcuni casi distinti al loro interno per contrari (effetti della parola; superbia, ira e umiltà; follia; donne; amicizia; ricchezza e povertà), e si conclude con moralità di argomento vario.
La sezione relativa alle donne è caratterizzata da accenti misogini che inducono ad accostare, almeno in parte, lo Splanamento agli anonimi Proverbia que dicuntur super natura feminarum, non a caso trasmessi dallo stesso codice, il Saibante-Hamilton 390 della Staatsbibliothek di Berlino (testimone fondamentale dell’antica poesia in volgare italiano settentrionale), e probabilmente conosciuti da Patecchio, tanto più alla luce dell’origine cremonese dei Proverbia stabilita da Pier Vincenzo Mengaldo.
La Frotula noiae moralis, così rubricata nello zibaldone quattrocentesco che la trasmette, è invece un componimento di otto strofe di dieci decasillabi, con un congedo finale in cui Patecchio indirizza il testo al concittadino Ugo di Perso, del quale si conservano due risposte per le rime.
L’incipit è emblematico – «Noioso son, e canto de noio» – e consente di delineare le coordinate essenziali dello scambio di versi, sia per la manifestazione della disposizione d’animo esibita dall’io poetico attraverso l’aggettivo «Noioso» (nel senso di ‘annoiato’), che viene ripreso dal suo interlocutore come epiteto allocutivo esordiale in entrambe le risposte, sia per la dichiarazione programmatica «canto de noio», che rimanda alla forma e al contenuto del testo, costituito da una serie enumerativa di comportamenti viziosi sgraditi all’autore (ispirati da avarizia, superbia, viltà ecc.), secondo il modello degli enuegs, per l’appunto ‘noie’, dei trovatori provenzali, in particolare del Monaco di Montaudon.
Nella Frotula si ritrova pertanto via negationis, sotto forma di satira di costume, parte della moralità dello Splanamento, così che i due testi vengono a essere in un certo modo complementari, al di là delle differenze di lunghezza e soprattutto di stile, dovute in primo luogo ai diversi modelli letterari di riferimento.
L’opera di Patecchio riveste una certa importanza dal punto di vista storico-letterario, in quanto rappresenta una delle prime espressioni poetiche in volgare italiano settentrionale, e in particolare lombardo, in un’epoca in cui altri poeti del Nord Italia, tra cui il mantovano Sordello da Goito, scelsero invece di emulare i trovatori direttamente nella lingua d’oc di questi ultimi, ritenendola più prestigiosa. Lo scambio di rime tra Patecchio e Ugo da Perso documenta inoltre la ripresa al di qua delle Alpi di un genere minore della lirica in lingua d’oc in un’epoca caratterizzata non solo dalla più vasta e rilevante ripresa della canzone d’amore trobadorica da parte dei poeti della Scuola siciliana, ma anche dalla presenza di alcuni trovatori provenzali nelle corti e nelle città dello stesso Nord Italia.
Questo scambio poetico costituisce quindi un esempio della cosiddetta cortesia borghese ovvero della ricezione della morale cortese nel contesto della società comunale dell’Italia padana duecentesca, di cui, pur nel quadro dei modelli letterari indicati, nei versi di Patecchio sembra emergere una vivida rappresentazione.
La scarsezza di dati documentari impedisce di articolare meglio l’esperienza biografica di Patecchio, tanto più dato che a questo fine nulla si può ricavare dai testi. La Frotula rappresenta probabilmente solo l’unica testimonianza sopravvissuta di una più ampia produzione analoga, dato che Patecchio è ricordato come autore di un Liber de Tediis nella Cronica di Salimbene de Adam, in cui sono riportati anche alcuni suoi versi. Più d’uno di questi appartiene per la verità alle risposte di Ugo da Perso, ma l’attribuzione complessiva a Patecchio, pur dipendendo verosimilmente da ragioni di carattere meramente materiale, del resto frequenti nella tradizione manoscritta dei testi dialogici, sembra comunque significativa. Salimbene, infatti, riferisce anche di aver composto egli stesso «alium librum Tediorum ad similitudinem Pateccli» e ciò costituisce un’importante riprova del ruolo di auctoritas, per lo meno in questo genere poetico, riconosciuto all’epoca al notaio cremonese: un ruolo che, in assenza di altre testimonianze, gli è stato a buon titolo confermato nelle moderne storie letterarie.
La data di morte del Patecchio va collocata verosimilmente intorno alla metà del Duecento o qualche tempo dopo.
Fonti e Bibl.: I. Affò, Storia della città di Parma, III, Parma, 1787, p. 356; A. Tobler, Das Spruchgedicht des Girard Pateg, in Sitzungsberichte der K. Akademie der Wissenschaften zu Berlin, XXVII (1886), pp. 629-702; A. Restori, G. Pateclo, P. Amato, A. del Palais, in Giornale storico della letteratura italiana, XXI (1893), pp. 455 s.; F. Novati, Girardo Pateg e le sue Noie, in Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, s. 2, XXIX (1896), pp. 279-288, 500-516; A. Zenatti, G. P. e Ugo di Perso, Lucca 1897; C. Violante, Le Noie cremonesi nel loro ambiente culturale e sociale, in Cultura neolatina, XIII (1953), pp. 35-55; Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, I, Milano-Napoli 1960, pp. 557-595; Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, Bari 1966, passim; S. Guida, Dall’Occitania alla Padania: l’Enoio, in Studi mediolatini e volgari, LI (2005), pp. 134-142, 151-155; V. Leoni, “Privilegia episcopii Cremonensis”. Il cartulario vescovile di Cremona e il vescovo Sicardo (1185-1215), in Scrineum - Rivista, III (2005), pp. 19-21; S. Guida, (Andrian de) Palais, trovatore lombardo?, in Studi di filologia romanza offerti a Valeria Bertolucci Pizzorusso, a cura di P.G. Beltrami et al., Pisa 2006, pp. 709 s.; P.V. Mengaldo, Filologia testuale e storia linguistica, in Studi e problemi di critica testuale: 1960-2010. Per i 150 anni della Commissione per i testi di lingua, a cura di E. Pasquini, Bologna 2012, pp. 23, 30.