GEREMIA da Udine
Nacque a Udine nella prima metà del sec. XVI dalla famiglia Bucchi, cognome da lui utilizzato spesso, insieme con il più raro Gorzotti e il soprannome Del Minio. Avviato alla vita religiosa, entrò giovane nel convento di S. Francesco della sua città, dove pronunziò i voti di minore conventuale. Quindi si trasferì a Padova, conseguendo la laurea in teologia e filosofia, e poi a Bologna per il magistero.
È difficile tracciare la biografia di G., sia per i tentativi di amplificarne la portata compiuti in vita dallo stesso frate (in cerca di protettori che potessero agevolarlo nella carriera e desideroso di figurare come un "rerum omnium politicarum experientissimus"), sia per gli interventi effettuati post mortem dagli storici contemporanei al fine di occultare i poco edificanti legami con i Medici.
Di certo, G. usava dichiararsi vittima di cospirazioni e invidie all'interno del suo Ordine, ammettendo però di essere un "vir facilis, et periculis agitatus". Così egli appare dalla sua attività pubblica di predicatore e dai suoi libri, assolutamente ortodossi, come dalla vita privata, segnata da costumi opposti alle istanze di riforma che fiorivano in quegli anni negli ordini religiosi. Tuttavia, proprio un vago appoggio ad alcune tesi sulla riforma del clero regolare del domenicano Giorgio da Vercelli, tra il 1563 e il 1564, avrebbe causato il primo dei diversi procedimenti intentati contro di lui dalle autorità romane e dai conventuali. L'episodio, conclusosi con un'assoluzione e rimasto oscuro per mancanza di documenti, lo spinse, date le ripercussioni tra i confratelli, ad allontanarsi dalla provincia veneta dei conventuali, pur restandone formalmente membro, e ad andare a Firenze, nella scuola di S. Croce, adducendo ragioni di studio. Nel 1565 ottenne la carica di reggente di questa scuola e, nonostante i precedenti, nel 1566 quella di inquisitore della città di Siena.
I primi anni fiorentini furono dedicati in gran parte alla predicazione e alla stesura di alcune opere: il trattato De nobilitate beatissimae Virginis (Firenze 1570), l'Esposizione sopra il salmo di David, Deus Deus meus, respice in me et Domine, quis habitabit in tabernaculo tuo (ibid., B. Sermartelli, 1572; dedicata a J. Mannucci e da questo presentata alla granduchessa Giovanna d'Austria), l'Esposizione sopra l'orazione di Gieremia profeta et sopra il cantico di Zaccheria (ibid., idem, 1573), lavori interessanti ma frutto di una lettura non sempre fedele dei testi originali. Intanto G. si era introdotto a palazzo offrendo i propri servigi al granduca Cosimo I, a suo figlio Francesco e soprattutto all'amante veneziana di Francesco, Bianca Cappello, giovandosi del fatto di esserne connazionale.
Grazie alla loro protezione il capitolo di Prato del 2 maggio 1573 offrì contemporaneamente a G. l'elezione a provinciale della Toscana e la figliolanza del convento di S. Croce, ossia il definitivo distacco dalla provincia veneta.
Egli interpretò questa carica come il primo gradino della scalata a un vescovato e la visse con la sola preoccupazione di assicurare al granduca l'obbedienza dei conventuali toscani, nei confronti dei quali si comportò da autocrate, incurante di una condotta personale riprovevole, specialmente dopo la morte di Cosimo I. In conseguenza della sua pessima fama, mancò la rielezione nel giugno 1576 e fu costretto a recarsi a Roma per discolparsi dall'accusa di vita licenziosa mossagli dal generale P. Camilli. Si difese con l'aiuto del fratello del granduca Francesco, il cardinale Ferdinando de' Medici, aiuto concessogli peraltro malvolentieri e solo nel quadro dei favori da questo dovuti alla corte di Firenze in cambio delle continue sovvenzioni di denaro.
G. scampò così al peggio, ma fu destinato dal papa Gregorio XIII a Rimini, dove lo attendeva il carcere conventuale. Uscitone dopo molte lamentele, grazie all'intervento del ministro Bartolomeo Concini, si dovette contentare di pellegrinare per qualche tempo in provincia, facendo circolare la voce di essere andato in Germania, dove sarebbe stato "tenuto in gran conto" e sostenendo che stava scrivendo una "cronachetta delle cose di Germania e Boemia".
Da questi vaghi accenni, contenuti in una sua lettera del 15 ott. 1576 da Udine al granduca, G.G. Liruti dedusse che G. sarebbe stato inviato da Francesco de' Medici come ambasciatore straordinario all'imperatore Massimiliano II, con le condoglianze per la morte di Giovanna d'Austria, nel 1578. Sennonché, a parte l'inopportunità di un tale ambasciatore, che si sarebbe pure trattenuto a Praga per fare propaganda cattolica contro i luterani senza conoscere il tedesco, Massimiliano II era morto due anni prima della figlia, nel 1576.
Invece, nel 1579 G. ritornò a Firenze e conquistò un'altra volta il provincialato, ancora in seguito all'intervento del granduca Francesco I, il cui matrimonio con la Cappello aveva rafforzato la posizione di Geremia. Anche questo suo secondo governo fu caratterizzato dall'unanime biasimo, anche se egli mostrò una maggiore cura per le cose dell'Ordine ed eresse lo Studio di San Miniato nel 1580.
Nello stesso anno, G. tentò di farsi eleggere generale dei conventuali, ma il capitolo, riunito a Perugia, scelse invece un religioso di severi costumi, A. Fera, che divenne subito un suo avversario e nel 1581, insieme con il nuovo provinciale toscano B. Branchi, mosse contro di lui l'accusa di "condotta immorale", impedendogli di ottenere il vescovato di Massa, cui aspirava.
Solamente la protezione granducale permetteva a G. di fronteggiare l'aperta ostilità dei confratelli, ma riuscì a compromettere anche quella. Si legò sempre di più all'entourage della Cappello, fino a farsi coinvolgere nelle speculazioni del fratello di lei, Vittore, e nell'appropriazione indebita di proventi della tratta degli oli e delle granaglie. Cacciato da Firenze il Cappello, anche G. dovette allontanarsi dalla corte, mantenendo così il solo appoggio della granduchessa Bianca.
G. riparò quindi a Roma, dove del resto sarebbe stato comunque costretto a risiedere a causa del processo contro di lui (aggravato dal poco favore di un altro Medici, l'arcivescovo di Firenze Alessandro), ritagliandosi un ruolo di spia dei pettegolezzi e degli intrighi delle famiglie più in vista. La cosa gli riuscì promettendo a vari cardinali il sostegno dei Medici nel conclave in cambio di presunte rivelazioni e di protezione per sé, e accattivandosi la loro servitù.
Nonostante qualche tentativo di immischiarsi in vicende politiche, come la rivalità tra i Medici e i Farnese per il principato di Val di Taro, G. dovette limitarsi a seguire solo le vicende mondane. Diventò così il cronista per la Cappello delle piccanti avventure di Vittoria Accoramboni, apprese dal proprio confratello cardinale Felice Peretti, come pure di ogni pettegolezzo possibile sul cardinale Alessandro Farnese, su sua figlia Clelia e su certi rapporti di lei con Ferdinando de' Medici, nella speranza che il velato ricatto di divulgare tali voci potesse giovare alla sorte del figlio illegittimo di Bianca Cappello, don Antonio, che egli consigliava di far sposare, decenne, con la figlia di Camilla Peretti.
Il suo astuto comportamento era però troppo palesemente adulatorio e inoltre, a motivo di una condanna definitiva a sette anni di reclusione nel convento di Assisi - che gli consentì comunque, tra il 1582 e il 1584, di entrare e uscire dalle carceri conventuali dell'Ordine, per lui non troppo dure -, non gli fu possibile muoversi come avrebbe voluto.
Dopo una permanenza nello Studio di Pisa e l'elezione al pontificato del Peretti (Sisto V), che evitava ai Medici di avere come papa il temuto cardinale Farnese, l'utilità di una spia che seguisse le mosse di questo a Roma divenne minore. A partire dal 1586, G. fu dunque utilizzato sempre meno, e tanto il granduca che il cardinale Ferdinando parlavano apertamente male di lui.
Protetto solo dalla Cappello, finì con l'accostarsi proprio al cardinale Farnese, cui piacevano i discorsi di G. sulla bellezza di Bianca e delle altre dame italiane e le sue promesse di una mai conclusa Storia Cleliana Farnesiana. La ridotta attività giovò ai suoi studi e alla predicazione, che nel 1587 lo portarono a Cesena, a Roma e a Firenze. Qui, in ottobre, venne colto dalla notizia della simultanea morte dei granduchi Francesco e Bianca; sicuro della altrettanto rapida successione del cardinale Ferdinando e conscio di non avere più protezioni, ritenne opportuno allontanarsi dalla città.
In viaggio per Roma, G. si ammalò di febbri malariche e, già debole per l'età avanzata, morì nel convento francescano di Ronciglione, in territorio farnesiano, il 14 nov. 1587.
Dopo la morte la figura di G. subì una certa rivalutazione, non ostacolata dall'occultamento della memoria della Cappello e dei suoi cortigiani da parte di Ferdinando de' Medici, a causa della stampa postuma della sua maggiore opera, cui aveva lavorato negli ultimi anni: l'edizione critica degli scritti di fra Bartolomeo de Rinonichi da Pisa. Il Liber conformitatum vitae beati Francisci ad vitam Iesu Christi fu pubblicato a Bologna per i tipi di A. Benacci nel 1590 a cura di L. Anguissola. Intendeva correggere le precedenti edizioni milanesi del 1510 e 1513, ma la consueta poca fedeltà al testo originale e soprattutto la cattiva cura dell'Anguissola, che inserì le note di G. senza distinguerle tipograficamente, produssero un libro diverso. Pur con queste manchevolezze, l'edizione ebbe un certo credito; le copie invendute furono rimesse sul mercato con un nuovo frontespizio da V. Benacci a Bologna nel 1620, spacciandole per una nuova edizione, che come tale fu utilizzata fino a che non comparve quella definitiva del 1906-12, redatta dagli specialisti del collegio S. Bonaventura. Simili le caratteristiche dell'altra opera di Bartolomeo da Pisa curata da G., i De vita et laudibus b. Mariae Virginis libri sex, editi a Venezia nel 1596. Rimasero invece manoscritti nel convento fiorentino di S. Croce altri suoi lavori: una serie di esposizioni di salmi, un Tractatus de angelis, il De sacramentum altaris e alcune Conciones quadragesimales. Queste opere, insieme con la fama di letterato conservata in vita e attestata anche da Aldo Manuzio iunior, indussero gli storici francescani a esagerare i meriti di G., mentre quelli filogranducali e i romanzieri che si ispirarono alla storia di Bianca Cappello ne misero in luce solo gli aspetti politici, trascurando i suoi scritti. Alla fine dell'Ottocento L. Grottanelli gli dedicò una monografia, che però tratta più della granduchessa che di lui. Pochi anni dopo, lo studio di G. Saltini permetteva di delineare con esattezza il ruolo di G. nell'ambito della corte medicea.
Fonti e Bibl.: P. Ridolfi, Historiarum seraphicae religionis, Venetiis 1586, p. 320v; A. Manuzio, Lettere volgari, Roma 1592, pp. 29 s., 123, 152; I. Marracci, Bibliotheca Mariana, I, Romae 1648, p. 577; G. Franchini, Bibliosofia di scrittori francescani conventuali, Modena 1693, pp. 312-321; G.G. Liruti, Notizie delle vite ed opere scritte da' letterati del Friuli, III, Udine 1780, pp. 315-325; J.R. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana, II, Firenze 1781, pp. 352-354; G.F. Siebenkees, Storia della vita di Bianca Cappello, Firenze 1868, pp. 126-128; F. Di Manzano, Cenni biografici dei letterati ed artisti friulani, Udine 1884, p. 45; L. Grottanelli, Fra G. da Udine e le sue relazioni con la corte del granduca Francesco de' Medici, in La Rassegna nazionale, XV (1893), pp. 3-43, 185-228, 574-622; A. Centelli, Fra G. e Bianca Cappello, in Nuovo Archivio veneto, VII (1894), pp. 171-180; G.E. Saltini, Bianca Cappello e Francesco I de' Medici, Firenze 1898, pp. 281 s., 341, 346, 351, 371 s.; Bartolomeo da Pisa, De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu, I, in Analecta Franciscana, IV (1906), p. XXXII; V (1912), pp. LXVIII-LXXI; Annales minorum, XXI, a cura di S. Melchiorri, ad Claras Aquas 1934, p. 174; C. Giachetti, Bianca Cappello, Firenze 1936, pp. 177 s.; L. Zacchia, Bianca Cappello, Roma 1936, pp. 184, 195, 201, 210, 238, 244 s.; A. Van den Wyngaert, Bucchi, Geremia, in Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, X, Paris 1938, col. 1014; Archivio di Stato di Firenze, Archivio Mediceo del principato. Inventario sommario, Roma 1951, p. 115; S. Camerani, Bibliografia Medicea, Firenze 1964, pp. 106, 109; E. Cochrane, Florence in the forgotten centuries (1527-1800), Chicago-London 1974, p. 133; O. Rossini, I codici del Chronicon di Angelo Clareno, in Archivum Franciscanum historicum, LXXXVII (1994), p. 392.