GERGO
. È voce, con ogni verosimiglianza, d'origine provenzale (nel Donat proensal, sec. XIII: gergons "vulgare trutannorum", ant. ital. [Sacchetti]: gergone, prov. gergon, girgo, fr. jargon, ant. sp. girgonz, sp. mod. gerigonza, port. girigonza, abbrev. in gira, giria) e vale a designare genericamente ogni lingua convenzionale parlata da certe classi di persone con l'intenzione di non farsi comprendere dagli altri. Il gergo è, dunque, una "furtiva creazione dell'intelligenza umana" (Ascoli) per sottrarsi alla vigilanza altrui. È un'arma di difesa per i ladri, i malandrini, i delinquenti, per le sette religiose e politiche, ecc.; ma è anche un vincolo ideale per gruppi o corporazioni o società o classi di persone come operai, artigiani, ecc. (onde si hanno i gerghi dei calzolai, dei tipografi, degli attori di teatro, dei saltimbanchi, ecc.). Però, il segreto o la volontà di sfuggire al controllo altrui e la coscienza d'infrangere i legami naturali con la società stanno sempre alla base d'ogni creazione gergale. Di qui si capisce come il vocabolo gergo abbia assunto comunemente il senso di lingua delle classi malfamate e come nell'uso generale si prescinda da ogni discriminazione e si dimentichino, ad es., i gerghi dei mestieri, i gerghi delle arti, i gerghi di trastullo, ecc. I principali gerghi europei sono:
Il furbesco (sotto la cui denominazione si comprendono i gerghi italiani); l'argot (gerghi di Francia, più anticamente jargon); la germanía o gergo spagnolo antico, donde sono derivati il gergo spagnolo moderno o caló e quello portoghese o calão; il gergo romeno (limba cârâitorilor o "lingua dei ladri"); il rotwelsch, cioè il gergo tedesco; il cant, cioè il gergo inglese. Come per la "germanía" e per gli argots francesi (che sono numerosi: mourmé o gergo della Savoia, il montmorin o gergo delle Alpi, il bellau o gergo del Giura, ecc.), così per i furbeschi italiani (non meno numerosi), dalla lingua zerga veneta o settentrionale ai gerghi della Sicilia, nonostante la grande varietà (dipendente dalla varietà dei dialetti locali), qualcosa di comune vi é in essi, specie se li consideriamo, quando sia possibile, nella loro fase antica.
Le più antiche tracce di furbesco italiano sono state indicate sinora in una lettera di Luigi Pulci a Lorenzo il Magnifico del 1472 e nel Morgante dello stesso Pulci (c. XVIII: professione di fede di Margutte). Queste sono certamente le più antiche testimonianze d'un gergo toscano (di cui ci è pur rimasto un glossarietto nel manoscritto magliabechiano, IV, 46). Esso fu assai meno diffuso del gergo settentrionale o veneto o calmonesco, che dir si voglia, col quale aveva in comune parecchi vocaboli (quali lenza "acqua", ruffaldo "fuoco", chierma "capo", turcare "andare", ecc.). Ma il più antico documento di gergo italiano, che si abbia, è dato da due sonetti ancora inediti scambiati prima del 1460 da Giovanni Francesco Soardi e dall'umanista Felice Feliciano e conservati nel manoscritto estense italiano 1155. Il sonetto del Feliciano (che comincia: Non può quanto bisogna alto volare) contiene le seguenti voci gergali "calmonesche" (com'è detto nella didascalia del codice): verbare "parlare", catallo "maestro", merzo cirengo "frumento rustico", luscar "guardare", e pelosa "anima". Il calmone (cfr. bergam. calmunà "motteggiare") era un gergo settentrionale molto affine a quello che si usa dire "veneto". Questo è rappresentato dal canzoniere di Andrea Michieli, detto Strazzola (v.), e, soprattutto, da alcune composizioni in versi attribuite ad Antonio Broccardo che terrebbe in Italia, con molto minore onore, il posto occupato in Francia, nell'uso del gergo letterario, da F. Villon. Il Broccardo viveva nella prima metà del secolo XVI e scriveva prima che uscisse il Modo novo da intendere la lingua zerga, operetta ristampata non meno di quindici volte dal 1549 in poi.
Il primo a comporre in gergo "ballate", fu, in Francia, come si è detto, il Villon. Il gergo della germanía trovasi documentato per la prima volta nella raccolta di Juan Hidalgo, Romances de germanía, Barcellona 1609; più antichi sono i primi saggi di rothwälsch o rotwelsch (Gerold Eslibach, 1490; e il Liber Vagatorum, 1510). I documenti del cant cominciano nel 1517.
Scrissero in gergo, dopo il Broccardo, il verseggiatore modenese cinquecentista Giov. Franc. Ferrari e, nel secolo seguente, il bolognese Bartolomeo Bocchini, detto Zan Muzzina. Entrambi si valsero del furbesco settentrionale o "veneto". In un codice marucelliano (A. CI. 7) si trovano componimenti gergali dovuti ai componenti (o calcagni "compagni") dell'Accademia del Bossolo (sec. XVIII). Anche qui il gergo è affine al veneto, come appare dall'esempio:
Io basirei ("morirei") di spasimo,
Se non mi ricordassi a voi, fantasimo,
Né potrei aver posa
Pria di trovar del cosco ("casa") la ingegnosa ("chiave")
Onde con questo scaffo ("bicchiere")
Saluto tutti voi, tappati vaschi ("nobili persone").
Non pochi termini del furbesco, cominciando dalla denominazione di gergo, sono di origine provenzale. Così basire "morire, uccidere" è voce molto diffusa nei gerghi europei meridionali ed è d'origine occitanica: basìr, basì "morire (parlando di animali), perdere i sensi, svenire"; così, birba "elemosina" (nel furbesco di Val Soana barbir "mangiare" metatetico di birbar) proviene dal prov. birbo "pane ottenuto per elemosina", birbà "mendicare". Altri vocaboli sono passati al furbesco dalla lingua della germanía e dall'argot francese attraverso la Provenza. Le ragioni di altre coincidenze sono oscure: P. es., il furb. gualdo "pidocchio" si connette certo allo sp. gualdo con un trapasso di significato dovuto al colore dell'animale parassita; i furb. cera "mano", rodiglina "rosa", arto "pane" (vocabolo comune a tutti o quasi tutti i gerghi meridionali), polignare "vendere" sono di origine greca; alcune voci sono di origine ebraica, p. es. tarif "putrido", tafüs "prigione"; altri termini furbeschi, come corniale "frumento", spillare "giocare", conobello "aglio" fáolo "brutto, deforme" vengono dal tedesco; altri ancora sono di provenienza francese (p. es. foglia "tasca", fr. fouiller) o sono stati attinti direttamente all'argot, come guinaldo "ebreo" (argot: guinal), treppo "folla" (argot: trèpe "affluence de peuple"), ecc. Il furbesco ha dato alcuni termini agli altri gerghi, p. es. all'argot, come morusse, termine derivato dal giuoco della mora (milan. batt mora, "far chiasso"); pivaste fanciullo (furb. pivo, pivastro); redin borsa (furb. redín, derivato di "rete"), ecc.
Dati questi scambî, si capisce che anche per i gerghi europei meridionali si sia ripresentato il problema della monogenesi o della plurigenesi, problema che fu già agitato, con poco o punto effetto, per tutti i gerghi. Si sa che era opinione di G. Borrow che si dovesse risalire a un'unica fonte, ma si sa anche che G. I. Ascoli sorse con maggiore fortuna a sostenere l'indipendenza dei gerghi, pur non escludendo che in essi fossero "elementi non fortuitamente comuni". Quest'opinione è oggi seguita da tutti gli studiosi. Per quanto concerne l'Italia, si può affermare che l'elemento indigeno è preponderante, soprattutto se consideriamo le fasi moderne gergali.
Basta, per convincersi di ciò, gettar l'occhio sul Modo novo, che è la maggiore raccolta che si abbia di antichi termini furbeschi. Vi si troverà un numero rilevante di parole indigene travestite o assunte a nuovi significati, come: chiaro "vino", fortoso "aceto", pasquin piloso "agnello", fangosa "anguilla", perpetua "anima", ingordo "avaro", ala "braccio", pelosa e spinosa "barba", bottega "gabbia", bramoso "amante", breviosa "lettera", bruna "notte", bracchi "sbirri", segusare "cercare", da "segugio", saltante "capretto", calonego "facchino", calche colonne "gambe", calco "piede", cornuta "vacca", canzonare "dire", duroso "ferro", maggio "signore", bianchina "neve", ecc. Le voci straniere sono per lo più comuni agli altri gerghi europei meridionali, come: lenza "acqua", bisto e bistolfo "prete", arto e artone "pane", ginaldo "cane", ecc. Molte voci sopravvivono tuttora (chiaro, lenza, raspante "pollo", bruna "notte", buiosa "prigione", ecc.).
Anche nei gerghi italiani si ebbero (e si hanno) i soliti procedimenti formativi: invertimenti di lettere e di sillabe; traslazioni di significato (furb. cerchio, cerchioso "anello", roppellare "andar piano", sbignare "andare", cristiana "berretta" da "cresta"; nella germanía: cierta "morte", espina "sospetto", secreto "pugnale"); derivazioni per suffisso (furb. calcosa "terra", cfr. nel rotwelsch: gelbling "frumento", da gelb, "giallo"; nel cant, darkmans "notte", da dark "oscuro"); locuzioni derivate da nomi di paesi, di città e di persone (furb. mandare in Piccardia "fare impiccare", mandare a Legnago "bastonare"; cfr. argot: aller à Rouen "se ruiner"; rotwelsch, tallien "boia"), ecc. Anche nei gerghi italiani si ebbero i pronomi mascherati (monello, mamma per "io", tua madre per "tu", ecc.) e molti altri di quei fenomeni generali, che permisero all'Ascoli di concludere che tutti i gerghi, vicini e lontani nel tempo e nello spazio, seguirono vicende analoghe nel costituirsi. I furbeschi italiani hanno caratteri e vocaboli comuni, ma si possono suddistinguere in varî gruppi, ognuno con tratti peculiari, alla cui base stanno spesso i fenomeni dialettali della regione.
Il gergo tradizionale (quello che vanta una più ricca letteratura e che ha influito più o meno sul costituirsi di tutti gli altri) è il cosiddetto "gergo veneto" (lingua zerga o zerba) rappresentato da due glossarî preziosi: il Novo modo del 1549 e una silloge di termini gergali conservata nel codicetto Campori X, 2,5 (sec. XVI) che ci dà anche i testi attribuiti al Broccardo. Il calmone o calmonesco è gergo veneto con apporti lombardi. Termini dello stesso gergo veneto si riscontrano anche nel gergo detto tarón della Valcolla (p. es. ruspanta "gallina", bolla "città, paese", calcosa "terra", verbá "parlare", albes "uovo", lingua zerga: alberto, reméng "bastone", ecc.), del quale sarà opportuno citare alcuni altri vocaboli, come: crospa casa (diffuso anche negli argots francesi), strolfe "fieno", baros "cavallo", gamón "giorno", taroná "lavoro", imbelin "stagno", minorsa "saccoccia", felpa "giacca", scalpeltra "sedia", artibié "pane", vorgnaca "pignatta", stavel "formaggio", patüm "letto", madé "strada", órtech "buono", ecc. Il tarón risulta costituito di un trecento vocaboli, che meriterebbero d'essere raccolti e studiati. A Gosaldo (Belluno) i seggiolai si servono di un loro gergo, che solo in piccola parte si connette all'antico furbesco, mentre è costituito per altra maggior parte dal dialetto regionale enimmatizzato (p. es. stopre "presto" con inversione di sillaba). Nella Valfurva in Valtellina, dove il mestiere tradizionale è quello del ciabattino, esiste un gergo dei calzolai (p. es. a Madonna dei Monti si hanno termini come zirla "scarpa" gialmán "uovo", móken "burro", ecc.). Hanno un loro gergo anche i pastori del Bergamasco. Il gergo della Val Soana e in genere i gerghi piemontesi si riattaccano da un lato a quelli francesi e dall'altro alla lingua zerga. Si valgono di un loro gergo i canapini, i muratori, i merciaioli ambulanti del Ferrarese. Sono ricchi di nuove voci e locuzioni quelli meridionali della mala vita: quello della camorra napoletana (dove nipoti sono chiamati gli affiliati o i camorristi, i calcagni del gergo veneto, nomina è detto il decreto di morte, carusiello è chiamato il "cassiere", con vocabolo che designa il salvadanaio, che ha l'aspetto di una testa tosata: caruso, ecc.) e quello della mafia siciliana (dove amico è il mafioso, rosario il revolver, lapparedda il coltello, ecc.). La guerra mondiale ha creato pure un gergo, che si risolve in un arricchimento di quello delle caserme, con parecchie voci venute di Francia, p. es. boche (v.) e imboscato, termine d'origine italiana che, passate le Alpi, è ritornato con significato gergale dalla Francia (embusqué). Il gergo cittadino si distingue dal gergo rurale per un maggior numero di termini tradizionali, dotti e stranieri; quest'ultimo è più ricco di voci dialettali ed enimmatizzate.
Bibl.: A. F. Pott, Einleitung über Gaunersprache und Sprachproben, Halle 1835; B. Biondelli, Studi sulle lingue furbesche, Milano 1846; id., Origine, diffusione ed importanza delle lingue furbesche, in Studi linguistici, Milano 1856; Fr. Michel, Étude de philologie comparée sur l'argot, Parigi 1856; G.I. Ascoli, Studi critici, I, Milano 1861. Una ricca bibliografia sui gerghi italiani si troverà in: R. Renier, Cenni sull'uso dell'antico gergo furbesco, in Misc. in onore di A. Graf, Bergamo 1903 (rist. in Svaghi critici, Bari 1910, pp. 1-30). Qui ricorderemo: A. Niceforo, Il gergo nei normali, nei degenerati e nei criminali, Torino 1897, gli articoli comparsi nell'Archivio di psichiatria, II (gergo veneziano); III (gergo siciliano), VIII (gergo piemontese); C. Nigra, in Arch. glott. ital., III, p. 53 e del Pitré, Usi e costumi siciliani, II, p. 319; E. Mirabella, Mala vita. Gergo, camorra e costumi degli affiliati, Napoli 1910; B. Migliorini, Dal nome proprio al nome comune, Ginevra 1927, pp. 68 e 237; M. Borgatti, I gerghi di Cento e di Pieve (Ferrara), Fabriano 1925; U. Pellis, Il gergo dei seggiolai di Gosaldo (con una buona bibliografia), in Silloge linguistica G. I. Ascoli, Torino 1929, p. 550; G.M. Calvaruso, 'U baccàgghiu, dizionario comparativo etimologico del gergo parlato dai bassifondi palermitani, Catania 1930.
Sull'argot, oltre a R. Yve-Plessis, Bibl. raisonnée de l'argot et de la langue créole en France, Parigi 1901, sono da vedere: A. Delvau, Dictionnaire de la langue verte, Parigi 1883; Ch. Virmaitre, Dictionnaire d'argot fin-de-siècle, Parigi 1894; gli studî di L. Sainéan, L'argot ancien, Parigi 1907 e Les sources de l'argot ancien, Parigi 1912 e di A. Dauzat, Les argots des métiers franco-provençaux, Parigi 1917; id., L'argot de la guerre, Parigi 1918; Les argots, Parigi 1929.
Sui gerghi della penisola iberica, si veda: A. Besses, Diccionario de argot espanol, Barcellona s.a.; R. Salillas, El delincuente español, Madrid 1896; A. Coelho, Os ciganos de Portugal com un estudio sobre o calão, Lisbona 1892; M.L. Wagner, Notes ling. sur l'argot barcelonais, Barcellona 1924; id., Mexik. rotwelsch, in Zeitschr. rom. Phil., XXXIX (1918), pp. 513-550. Sul rotwelsch: F. Kluge, Rotwelsch, Strasburgo 1901; L. Günther, Die deutsche Gaunersprache und verwandte Geheim- und Berufssprachen, Lipsia 1919 (con ricca bibliografia). Sui gerghi slavi v. Jagić, Die Geheimsprachen bei den Slaven, in Sitzungsberichte dell'Acc. di Vienna, CXXXIII (1895); E. Rippl, Zum Wortschatz des tschechidschen Rotwelsch, Reichenberg 1926. Sullo zingaresco, è utile il libro di A. Colocci, Gli zingari, Torino 1889 (con accurata bibliografia).