GERI d'Arezzo
Nacque ad Arezzo intorno al 1270 da Federigo, probabilmente di professione notaio. Non si sa con precisione dove abbia compiuto gli studi giuridici (forse proprio nello Studio aretino) e conseguito il titolo che gli consentì di esercitare la professione di notaio sia nella città natale, sia altrove. Scarse sono le notizie sulla sua vita familiare e professionale. Da una lettera inviata da G. a Cambio da Poggibonsi apprendiamo che si sposò due volte e che ebbe diversi figli dalla seconda moglie. Di essi si sa che uno, Giovanni, esercitò, come il padre, la professione di notaio in Arezzo, e che un altro, Federigo, si dedicò all'attività letteraria e fu in corrispondenza con F. Petrarca. Due documenti degli anni Venti del sec. XIV segnalano che l'attività giuridica di G. si svolgeva anche in forma pubblica: nel 1323 è nominato in un documento conservato presso l'Archivio storico di Matelica come giudice generale della Marca; nel 1327 è ricordato in un documento della curia di Carlo d'Angiò duca di Calabria: "Gerius Federici, de Arecio, iuris civilis profexor, advocatus comunis Florentie, in omnibus causis et litibus dictum comune tangentibus, nec non ecclesiarum, pauperum, pupillorum, viduarum et miserabilium personarum". La carica durava un anno ed era compensata con "sessanta libre di fiorini piccoli" al mese, che dovevano servire anche al mantenimento di un notaio e di due "famuli". Rapporti diretti con la curia del duca di Calabria sono testimoniati anche da una lettera di G. a Berardo d'Aquino, ciambellano del duca, in occasione della morte di quest'ultimo (9 nov. 1328).
Si ignorano la data e il luogo della morte di G.; nel dicembre 1339 il figlio Giovanni è detto in un documento "Ser Johannes olim domini Geri de Aretio".
L'importanza della attività letteraria di G. venne riconosciuta dai suoi contemporanei per poi cadere completamente nell'oblio. Solo recentemente, grazie alle ricerche sui movimenti preumanistici che caratterizzarono la vita culturale di alcuni centri italiani tra la fine del XIII e il XIV secolo, fra i quali compare anche Arezzo, la figura di G. è stata recuperata e rivalutata, soprattutto per opera di R. Weiss, che ha pubblicato la quasi totalità delle testimonianze relative alla vita e all'attività letteraria di G. e le sue opere superstiti. La testimonianza principale sull'importanza dell'attività letteraria di G. è offerta da Coluccio Salutati.
In una lettera del 1395 al card. Bartolommeo Oliari si afferma: "emerserunt parumper nostro seculo studia litterarum; et primis eloquentie cultor fuit conterraneus tuus Musattus Patavinus, fuit et Gerius Aretinus, maximus Plinii Secundi oratoris, qui alterius eiusdem nominis sororis nepos fuit, imitator". Nella stessa lettera Salutati ricorda G. fra gli scrittori che raccolsero il loro epistolario: "fecit et hoc idem seculi nostri decus, Franciscus Petrarca; fecerat et ante eum Gerius Aretinus". Come è testimoniato dagli antichi inventari, di questa raccolta di epistole di G., per la quale era stato preso come modello la raccolta pliniana, doveva esistere un testimone, attualmente non identificato, e forse perduto, nella biblioteca visconteo-sforzesca. In altre due lettere il Salutati parla di G.: nella prima, del 1400, inviata a Francesco Zabarella, viene di nuovo espressa la convinzione che, insieme allo stesso Zabarella, gli unici insigni giuristi-scrittori fossero Albertino Mussato e G., "cuius versus et epistolas satirasque prosaicas non mediocriter commendamus"; anche la seconda, inviata a Giovanni Conversano da Ravenna, è di tono elogiativo nei confronti dell'opera di G. "tam prosa quam metro".
Di due testi di G., dei quali non sembra essersi conservato alcun testimone, trattano rispettivamente Benvenuto da Imola - che ricorda una satira sulle donne fiorentine: "Quid mulierum tuscarum mores referam, de quibus Gerius de Aretio satyram fecit ad imitationem Apuleii?" - e Lapo da Castiglionchio, che fa menzione di un'epistola di G. dedicata alla questione dei guelfi e dei ghibellini: "E se questa opinione fosse vera, avrebbe luogo quella, che uno eccellente dottore di leggi, il quale fu chiamato messer Geri d'Arezzo, il quale ancora fu grande autorista, e morale, disse in una sua epistola, la quale scrisse a uno suo amico di questi due nomi guelfo, e ghibellino. In effetto disse che la nostra età era più degna di riprensione, che quella de' pagani, perciocché s'eglino adoravano gl'idoli, eglino vedeano, e sentiano alcuna cosa che gli potea movere a così fare, perocché vedeano le statue formose, e sentieno che quelle alcuna volta loro davano responsi. Ma la nostra età adora questi due nomi, Guelfo, e Ghibellino, e non veggono loro statue, né sentono loro responsi". Pochi anche gli scritti superstiti, tutti in latino, e conservati in un unico manoscritto della Biblioteca Corsiniana di Roma (33.E.27).
Si tratta di cinque lettere (le due già ricordate a Cambio da Poggibonsi e a Berardo d'Aquino più quelle inviate a Donato Guadagni, a fra' Bernardo d'Arezzo e a Gherardo da Castelfiorentino), di una epistola metrica su Venere, risposta a un'altra inviatagli da Cambio da Poggibonsi, e di un dialogo sull'amore inviato a Francesco da Barberino, che, da un accenno ai Documenti d'amore, si può datare agli anni intorno al 1315. La lettera a Gherardo da Castelfiorentino conserva un importante incunabolo delle scoperte filologiche umanistiche, ossia la convinzione da parte di G. che i Commentarii de bello Gallico dovessero essere attribuiti a Giulio Cesare. Un'altra testimonianza degli interventi di G. in questioni filologiche e testuali è in un manoscritto conservato presso la Biblioteca universitaria di Genova (E.II.8), contenente un commento con accessus al testo dell'Achilleide di Stazio. Discutendo del problema della compiutezza del testo staziano l'anonimo compilatore, che è stato ipotizzato potesse essere Benvenuto da Imola, afferma: "tamen alii, in quorum numero fuit dominus Gerius de Aretio, dicunt librum fore completum". Probabilmente una esercitazione retorica è da considerare la lettera tramandata dal ms. Magl. II.IV.312 della Biblioteca nazionale di Firenze, che G. inviò come ringraziamento a un amico di nome Viviano.
Fonti e Bibl.: Lapo da Castiglionchio, Epistola, o sia ragionamento, Bologna 1753, p. 78; A. Lumini, Dante Alighieri e gli aretini, Arezzo 1884, pp. 28 s.; F. Novati, Nuovi studi su Albertino Mussato, in Giornale storico della letteratura italiana, VI (1885), pp. 187 s.; Benvenutus de Rambaldis de Imola, Comentum super Dantis Aldigherii Comoediam, a cura di G.F. Lacaita, IV, Firenze 1887, p. 62; F. Novati, Gherardo da Castelfiorentino. Notizie e documenti, estr. da Miscellanea storica della Valdelsa, VI (1898), 3, pp. 1-8; R. Bevere, La signoria di Firenze tenuta da Carlo figlio di re Roberto d'Angiò negli anni 1326 e 1327, in Archivio storico per le provincie napoletane, XXXVI (1911), 3, p. 422; C. Lazzeri, Guglielmino Ubertini vescovo di Arezzo (1248-1289) e i suoi tempi, Firenze 1920, p. 260; G. Zaccagnini, Lettere ed orazioni di grammatici dei secc. XIII e XIV, in Archivum Romanicum, VII (1923), pp. 517-534; G. Billanovich, Petrarch and the textual tradition of Livy, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XIV (1951), 3-4, p. 198; R. Weiss, Lineamenti per una storia del primo umanesimo fiorentino, in Rivista storica italiana, LX (1948), 3, pp. 349-366; Id., Il primo secolo dell'umanesimo. Studi e testi, Roma 1949, pp. 51-66, 105-133; G. Franceschini, Schede per una storia della cultura aretina nell'età dell'umanesimo, in Atti e memorie dell'Accademia Petrarca di lettere, arti e scienze, n.s., XXXVI (1952-57), pp. 289-305; E. Pellegrin, La bibliothèque des Visconti et des Sforza ducs de Milan au XVe siècle, Paris 1955, p. 87; G. Billanovich, Dal Livio di Raterio (Laur. 63, 19) al Livio del Petrarca (B. M. Harl. 2493), in Italia medioevale e umanistica, II (1959), pp. 158 s.; C. Margueron, Recherches sur Guittone d'Arezzo, Paris 1966, pp. 133, 339, 410; H. Wieruszowski, Politics and culture in medieval Spain and Italy, Roma 1971, pp. 352, 375, 423, 458, 460 s., 605, 620 (vedi soprattutto Arezzo as a center of learning…, pp. 381-474); V. De Angelis, Magna questio preposita coram Dante et domino Francisco Petrarca et Virgiliano, in Studi petrarcheschi, n.s., I (1984), pp. 193-209; G. Billanovich, Nella tradizione dei "Commentarii" di Cesare. Roma, Petrarca, i Visconti, ibid., n.s., VII (1990), p. 278; M.G. Albertini Ottolenghi, La biblioteca dei Visconti e degli Sforza: gli inventari del 1488 e del 1490, ibid., n.s., VIII (1991), pp. 89, 215; International medieval bibliography, XXIV (1991), 1, n. 2413; V. De Angelis, Benvenuto e Stazio, in Benvenuto da Imola lettore degli antichi e dei moderni. Atti del Convegno internazionale, Imola… 1989, a cura di P. Palmieri - C. Paolazzi, Ravenna 1991, p. 162; Studio e scuola in Arezzo durante il Medioevo e il Rinascimento. I documenti d'archivio fino al 1530, a cura di R. Black, Arezzo 1996, pp. 108, 174-176.