GERINI, Gerino (Gerinoda Pistoia)
Nacque a Pistoia dal legnaiolo Antonio e fu battezzato nella chiesa di S. Paolo il 25 genn. 1480 (Bacci, p. 168 n. 1).
Sulla personalità artistica del G. ha pesato per secoli il severo giudizio di Vasari secondo il quale fu "persona molto nelle cose dell'arte meschina" (Vasari, 1568, p. 507). Questa valutazione, confermata da Lanzi e da Van Marle (p. 217), ha finito per ridurre il pittore a un comprimario della scuola del Perugino e per circoscrivere la sua opera in un ambito esclusivamente provinciale. Solo in anni recenti, forse meditando sulla notevole menzione di Cavalcaselle (1908), gli studi di Carli (1978) e soprattutto di Rogers Mariotti (1996), cui si rimanda per la completa bibliografia e per le notizie d'archivio, hanno avviato una rivalutazione dell'attività del G. e un'attenta ricostruzione del catalogo.
Dopo l'apprendistato nella bottega familiare, che da decenni controllava l'artigianato del legno a Pistoia, è possibile che il giovane artista avviandosi alla pratica della pittura frequentasse qualche bottega locale, come quella di Bernardino del Signoraccio, di cui sono noti i contatti di lavoro con Battista, il fratello maggiore del G.; probabili furono poi i rapporti con Agnolo e Donnino del Mazziere, artisti fiorentini attivi a Pistoia nell'ultimo decennio del secolo. La prima sicura testimonianza dell'opera del G. mostra in effetti una formazione non superficiale né periferica, bensì aggiornata sulle tendenze pierfrancescane di Bartolomeo della Gatta (Pietro Dei): si tratta della serie di tondi con Beati francescani affrescati, insieme con un anonimo compagno, nell'estate del 1500 nel dormitorio dell'eremo francescano della Verna. In questo stesso anno il G., tornato a Pistoia, iniziò a dipingere la tela con S. Iacopo (1500-10) ora nella chiesa della Madonna dell'Umiltà, ma forse destinata alla soppressa chiesa di S. Iacopo in Castellare. Nel 1502 si trasferì a Sansepolcro, dove firmò e datò lo stendardo con la Madonna del Soccorso per il convento di S. Agostino (ora nel Museo civico di Sansepolcro); durante questo soggiorno il G. realizzò anche l'affresco con la Resurrezione di Cristo per la badia camaldolese di S. Bartolomeo Apostolo, di cui rimangono solo le effigi di quattro santi. Alla data del 1505 il G. aveva comunque già conquistato, almeno a Pistoia, un prestigio e una posizione notevoli, come testimonia la commissione della pala per l'altare grande di S. Pier Maggiore, opera che fu consegnata dall'artista solo quattro anni più tardi. Sempre nel 1505 venne ricompensato per aver affrescato la figura di S. Zeno sopra il portale sinistro della cattedrale (Gualandi, p. 35). L'anno successivo fu coinvolto, insieme con Bernardino del Signoraccio, nell'impresa decorativa della tribuna di S. Andrea (Rogers Mariotti, 1996, p. 239). In questo stesso arco di tempo si devono collocare la lunetta ad affresco col Cristo in pietà pure in S. Andrea e la tavola col Sangue di Cristo (ubicazione ignota), attribuita al G. da Todini (p. 74). L'avvicinamento ai modi del Perugino, attestato da questi lavori, lascia supporre che il G. abbia frequentato per qualche tempo la sua bottega e abbia forse partecipato al completamento di alcune sue opere, come il Crocifisso Chigi e il Polittico dell'Annunziata. Il 9 dic. 1507, a causa delle inadempienze lavorative, l'artista fu costretto a rinnovare il contratto con l'Opera di S. Pier Maggiore, garanti tre suoi fratelli e Baldassarre di Niccolò Melocchi. Quest'ultimo fu probabilmente anche il committente della decorazione eseguita dal G., intorno al 1507, per l'altare della cappella del Crocifisso in S. Andrea a Pistoia con gli affreschi raffiguranti la Crocifissione e la Resurrezione; in tali pitture è stato riconosciuto un successivo intervento di G.B. Volponi detto lo Scalabrino (Rogers Mariotti, 1996, pp. 165-167). Nel 1509 il G. portò a termine la pala per S. Pier Maggiore raffigurante la Madonna col Bambino in trono tra i ss. Michele Arcangelo, Pietro, Paolo e Giovanni Battista, ora nel Museo civico pistoiese.
Il dipinto presenta un impianto fedele ai dettami del Perugino nella disposizione pausata delle figure e nell'apertura paesaggistica che si stende tra le arcate della loggia, ma anche nella tipologia dei volti e nel trattamento dei lumi, mentre la precisione descrittiva delle stoffe e il gusto ornamentale del baldacchino richiamano ascendenze neofiamminghe, già sperimentate da Raffaello nella Pala Ansidei (1505), o comunque pinturicchiesche, vicine anche ai modi raffinati di Piero di Cosimo e di Raffaellino del Garbo.
In quest'opera, vero manifesto di fede peruginesca, spicca però la nota dissonante della predella col Cristo in pietà e gli apostoli, dove l'uso dello sfumato e del modellato, derivati da Andrea del Sarto, non riescono a cancellare certe anomalie, evidenti soprattutto nei tratti fisionomici dei santi, che rivelano l'attenzione del G. verso l'opera del bolognese Amico Aspertini, attivo nel 1508 a Lucca nella chiesa di S. Frediano (Acidini Luchinat, 1982, p. 117). Questa componente eccentrica divenne d'ora in avanti un elemento determinante della produzione del G., come si può vedere nei medaglioni con Beati francescani affrescati nel 1509 ancora alla Verna, a compimento del ciclo iniziato quasi dieci anni prima. Vicino a questo intervento vanno datate le tavole con il S. Girolamo penitente del palazzo vescovile di Pistoia e una Circoncisione eseguita a Sansepolcro per la Compagnia del Buon Gesù, citata da Vasari (p. 507) e ora perduta. Tutte queste opere confermano un giro di committenze strettamente legato all'Osservanza francescana e agli agostiniani, la cui intensa spiritualità di derivazione savonaroliana, venata ormai di prospettive riformistiche, trovava un logico referente nella chiarezza narrativa e nella forza espressiva del linguaggio figurativo del pittore.
Il 15 luglio 1510 si tenne a Pistoia una pubblica stima della pala di S. Pier Maggiore; il G., che non era presente, chiamò a rappresentarlo Mariotto Albertinelli, il che prova i primi contatti del pittore con la cerchia artistica fiorentina che si radunava intorno a Bartolomeo di Paolo (fra Bartolomeo). La sua assenza è peraltro spiegabile con la contemporanea attività a Sansepolcro, dove nel 1510 eseguì per i frati agostiniani una Madonna col Bambino e santi, ora al Courtauld Institute di Londra. Nell'autunno dello stesso anno si deve collocare la sua partenza per Roma, dove partecipò alla decorazione del casino papale della Magliana. Introdotto grazie all'erudito pistoiese S. Forteguerri, che frequentava la familia del committente, il cardinale F. Alidosi, il G. fu attivo sia negli affreschi per la sala delle Muse i cui frammenti con Talia, Urania e Apollo sono ora a Roma in Palazzo Braschi, sia, ma forse più tardi, nella cappella di S. Giovanni, mostrando uno stile sicuro, indipendente dal classicismo raffaellesco e semmai più vicino alla cultura antiquaria di Bernardino di Betto, detto il Pinturicchio. Il soggiorno romano non dovette durare più di un anno, visto che nell'ottobre del 1511 il G. è documentato nuovamente a Pistoia dove licenziò per le monache del convento di S. Caterina una tela raffigurante la Crocifissione e santi, identificabile con quella conservata nel chiostro del convento di S. Domenico. Per affinità stilistiche è possibile datare a questo tempo anche la tavola con la Crocifissione della Walters Art Gallery di Baltimora, attribuita al G. da Zeri. Tra il 1512 e il 1513 l'artista fu ricompensato, insieme con il fratello Battista, dall'ospedale del Ceppo di Pistoia per aver dipinto alcuni scudi con le insegne dei Medici e della città. Dopo questa lavoro si trasferì nel convento francescano di S. Lucchese a Poggibonsi, dove affrescò nella parete breve del refettorio la Moltiplicazione dei pani e dei pesci (1513), la cui bellezza aveva fatto esclamare al Milanesi (in Vasari, pp. 507 s. n. 2) che se Vasari l'avesse vista "si sarebbe ricreduto del suo giudizio".
L'episodio evangelico, disteso su due lunette attigue, è svolto con singolare felicità nell'armonica disposizione dei gruppi delle figure, alternati ad ampi brani paesaggistici e scanditi dalle squisite descrizioni naturalistiche dei cesti, dove il debito alla maniera peruginesca è mitigato dalla meditazione sulle forme cangianti di G.A. Bazzi, detto il Sodoma, e dal sempre più decisivo influsso emiliano di Aspertini e di Lorenzo Costa.
Nel 1514 il G. tornò a Pistoia e consegnò un gonfalone con l'immagine di S. Caterina all'omonima Compagnia di Notte che aveva sede nella chiesa di S. Francesco. Nell'estate di quello stesso anno i documenti riportano analoghe committenze, tra cui due serie di drappelloni per l'Opera di S. Iacopo, realizzati con la collaborazione dello Scalabrino. Ormai illeggibile la ridipinta Annunciazione nella chiesa di S. Maria delle Grazie (o Madonna del Letto), Rogers Mariotti (1996, p. 156) attribuisce al G. gli affreschi con la Predica del Battista e il Battesimo di Gesù (1513-15) che decoravano i pennacchi della cupola nella chiesa di S. Giovanni Battista, andata distrutta nel 1944. Alla seconda metà degli anni Dieci si possono datare il frammentario affresco con la Madonna e il Bambino della pieve di S. Giovanni Battista a Saturnana e la pala con la Madonna in gloria tra i ss. Michele Arcangelo e Pietro nell'oratorio dell'Assunta della chiesa di S. Alessandro a Fiesole. Il 6 genn. 1518 un'Annunciazione eseguita dal G. per Tommaso d'Alderotto, oggi irreperibile, fu trasportata con gran pompa dalla casa del pittore alla chiesa della Ss. Annunziata. Nel 1519 il G. sposò la fiorentina Antonia di Bartolomeo Fortini. Nello stesso anno fu chiamato a stimare, insieme con lo Scalabrino, un dipinto di Bernardino Detti. Nel 1520 dipinse a tempera una bella tavola raffigurante la Madonna col Bambino tra i ss. Nicola di Bari e Antonio abate per la piccola chiesa di S. Giorgio a Porciano, suffraganea della pieve di Lamporecchio.
Ormai superata la fase di adesione totale ai modi umbri, la pala, il cui gruppo centrale è la copia rovesciata della Madonna di Piazza di Lorenzo di Credi (1485 circa), presenta richiami interessanti alle incisioni di Martin Schongauer, evidenti nel volto di s. Antonio e nella veste di s. Nicola, mentre il disegno preciso delle figure cui risponde la superficie levigata dei panneggi della Vergine, insieme con la dolcezza e morbidezza del modellato, offrono riscontri puntuali con l'opera di fra Bartolomeo. Questa cifra stilistica e il recupero di modelli che a quella data erano già attardati, se confrontati con le rivoluzionarie novità romane, sembrano essere dettati non solo da una preferenza personale o dall'ossequio ai gusti della committenza locale, ma anche da una precisa motivazione ideologica: prendere come riferimento l'opera di fra Bartolomeo era per il G., come fu anche per fra Paolino, una scelta palese a favore di quella tendenza artistica che nella Firenze dello scorcio del secolo aveva meglio rappresentato le istanze pietistiche savonaroliane.
Sempre al 1520 Crowe e Cavalcaselle (p. 149) datano le Ss. Agata e Eulalia affrescate sulle pareti della chiesa pistoiese di S. Paolo, nonché la problematica Incoronazione della Vergine nel palazzo del Comune. In questo stesso anno nacque il primogenito del pittore, Pierfrancesco. Dall'aprile del 1523 il G. fu nuovamente attivo a Sansepolcro dove realizzò una Crocifissione per la Confraternita della Misericordia, completò un quadro per Uguccioncello di Bartolomeo de' Folli (1524) e dipinse il tabernacolo con la Madonna di Fontesecca (Rogers Mariotti, 1996, p. 156). Da questo momento in poi si diradano le notizie certe: è probabile che tra il 1526 e il 1528, ormai tornato a Pistoia, il G. ebbe una figlia che poi si fece monaca nel convento di S. Caterina, mentre nel 1528 alienò, insieme con i fratelli, degli appezzamenti di terreno presso Pistoia. La data 1529, insieme con la firma, compare nella sua ultima opera sicura: la Madonna col Bambino tra i ss. Iacopo, Cosma, Damiano, Maria Maddalena e Caterina d'Alessandria (Pistoia, Museo civico).
La tavola, che era forse destinata a uno dei numerosi ospedali pistoiesi sorti alla fine degli anni Venti del Cinquecento per far fronte alle ricorrenti epidemie, mostra un adeguamento del G. al linguaggio monumentale e pensoso di fra Bartolomeo, anche se le sottili anomalie che segnano le teste dei santi ricordano da vicino le soluzioni delle stampe tedesche; questo elemento, come pure la scelta accurata dei colori, in una gamma fredda che ben si accorda con l'andamento rigido e quasi metallico dei panneggi, sottolinea l'originalità dell'arte del G., capace di usare le pose dolci e tranquille dei suoi modelli per poi stravolgerle con intromissioni espressionistiche, caricate, a volte quasi umoristiche.
Nel 1530 il G. si sposò in seconde nozze con Lena di Nicolò Cimatore de' Metti. Tra il 1530 e il 1531 ricevette alcuni pagamenti dall'ospedale del Ceppo. Dopo questa data vengono a mancare del tutto le notizie sull'artista, come anche sul fratello Battista.
È probabile che il G. sia morto poco dopo il 1531, forse in conseguenza delle pestilenze che afflissero Pistoia.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite (1568), a cura di G. Milanesi, III, Firenze 1878, pp. 506-508, 592; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1809), a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, p. 73; M. Gualandi, Memorie originali italiane riguardanti le belle arti, s. 6, Bologna 1845, pp. 35 s.; P. Bacci, Note e documenti sullo "Scalabrino" e altri pittori pistoiesi del XVI secolo, in Bullettino storico pistoiese, V (1903), pp. 166, 168, 171, 177-180, 183; J.A. Crowe - G.B. Cavalcaselle, Storia della pittura in Italia, X, Firenze 1908, pp. 145-150; R. Van Marle, The development of the Italian schools of painting, XVI, The Hague 1937, pp. 212-217; M. Salmi, Un problema da risolvere, in Commentari, XXI (1970), pp. 302-305; Id., L'affresco di S. Martino a Montedoglio, ibid., XXVI (1975), pp. 156 s.; F. Zeri, Italian paintings in the Walters Art Gallery, I, Baltimore 1976, pp. 176 s.; E. Carli, Il pittore Gerino da Pistoia, in Egemonia fiorentina e autonomie locali nella Toscana nord-occidentale del primo Rinascimento…Atti… 1975, Pistoia 1978, pp. 359-392; C. Acidini Luchinat, Itinerario della pittura religiosa del '500 a Pistoia, in Pistoia: una città nello Stato mediceo (catal.), Pistoia 1980, pp. 335 s., 341 s., 348-350, 355; Id., in Museo civico di Pistoia. Catalogo delle collezioni, a cura di M.C. Mazzi, Pistoia 1982, pp. 36, 116-118; S. Ferino Pagden, in Disegni umbri del Rinascimento da Perugino a Raffaello (catal.), Firenze 1982, pp. 16, 71 s.; F. Gualdi Sabatini, Gli influssi delle "Muse" urbinati: le "Muse" della villa della Magliana, in Urbino e le Marche prima e dopo Raffaello (catal.), Firenze 1983, pp. 163, 198; A.M. Maetzke, in Il Museo civico di Sansepolcro, a cura di A.M. Maetzke - D. Galoppi Nappini, Firenze 1988, pp. 70-74; M. Gori Sassoli, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1988, p. 725; F. Todini, La pittura umbra dal Duecento al primo Cinquecento, Milano 1989, I, pp. 74 s.; II, pp. 552-558; J. Rogers Mariotti, Aggiornamenti sull'attività di Gerino da Pistoia a Sansepolcro, in Antichità viva, XXXIII (1994), 1, pp. 50-55; Id., in L'età di Savonarola. Fra Paolino e la pittura a Pistoia nel primo '500 (catal.), Venezia 1996, pp. 77-97, 154-175, 239, 242-244 (con bibl.); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 467 s.