GERINI, Gerino
Nacque a Barberino di Mugello il 18 sett. 1871 dal marchese Antonio e da Anna Maria dei principi Borghese. Ebbe un'educazione profondamente religiosa, nello spirito del padre, fervente cattolico, operante e dirigente in varie istituzioni caritative, nell'Amministrazione provinciale di Firenze e in quella comunale di Barberino, di cui fu pure sindaco. Non si hanno notizie sulla sua formazione culturale e la sua vita privata fino al 1890 (l'archivio Gerini, conservato a Firenze, è notificato, ma inconsultabile perché non inventariato). È certo che nel 1891, all'atto della leva, figurava come studente (Archivio di Stato di Firenze, Distretto militare di Firenze, fogli matricolari, anno 1871); prestò poi servizio in cavalleria, ottenendo nel 1896 il grado di sottotenente di complemento. Il 27 apr. 1895 sposò Teresa dei principi Torlonia, dalla quale ebbe cinque figli. Nel 1916, divenne cavaliere di devozione dell'Ordine di Malta (Ibid., Raccolta Sebregondi, 2500/ a, b).
Il G., appartenente a una nobile famiglia fiorentina, grande proprietaria terriera nel Mugello, ebbe sempre un vivo interesse per i problemi della produzione agricola, forestale e zootecnica, della viabilità montana e delle comunicazioni ferroviarie, che studiò e discusse, consapevole della loro importanza per l'economia toscana e quella mugellana, attuando proficue innovazioni nelle sue proprietà. Nel 1905 uscì a Firenze un suo opuscolo Intorno ad alcune questioni forestali, dove il G. raccolse, in forma integrale, varie lettere inviate all'avv. A. Gori, presidente della Federazione tosco-romagnola per la riforma della legge forestale, che aveva sollecitato la sua adesione.
Il G. condivideva, in linea di massima, il programma della Federazione, ma chiariva la sua opinione in proposito, tanto più che la pubblicazione da parte del Gori della sua prima lettera nel Messaggero del Mugello del 22 maggio 1904 aveva provocato vivaci polemiche. Denunciava, infatti, la disastrosa situazione del versante romagnolo, ove corrosione, smottamenti e frane erano frutto di disboscamenti e dissodamenti indiscriminati, provocati solo da "ingordi speculatori" incuranti della "miseria per le generazioni future". Consigliava, per il Mugello, il rimboschimento solo dove fosse redditizio, oppure lo sviluppo della praticoltura, mediante razionali concimazioni, per ottenere pascoli falciabili o prati permanenti, allo scopo di sviluppare il patrimonio zootecnico e consolidare il terreno. Soprattutto, invitava a non "esagerare nell'esercizio del diritto di proprietà", che "non sempre è assoluto e può e deve essere interpretato molto relativamente", secondo la legislazione in vigore e quei principî sociali che miravano all'avanzamento, ancora non realizzato, delle classi lavoratrici. Tre anni dopo, parlando a un congresso forestale sul miglioramento dell'Appennino toscano, riespose le sue opinioni e auspicò l'estensione alla Toscana delle leggi speciali in vigore per l'Appennino calabrese e lucano.
Intanto era intervenuto pure nel dibattito sulla direttissima Bologna-Firenze. La commissione istituita dal ministro dei Lavori pubblici aveva riconosciuto la necessità improrogabile della direttissima e privilegiato, con alcune modifiche, il progetto che, sul versante toscano, ne prevedeva il raccordo, a Prato, sulla Firenze-Pistoia. Ciò aveva suscitato notevoli proteste negli ambienti fiorentini che chiedevano lo sbocco diretto a Firenze. Alla questione dette particolare risalto il Giornale dei lavori pubblici e delle strade ferrate, che nei primi numeri del 1906 pubblicò vari articoli favorevoli alle decisioni della commissione e critici verso i suoi oppositori. Ma nei nn. 20, 22, 23, 24 il periodico (al quale il G. era cointeressato) pubblicò un accurato studio del G., riunito poi nell'opuscolo Intorno alla direttissima Bologna-Firenze (Roma 1906), le cui argomentazioni avevano fatto sorgere seri dubbi sulle conclusioni della commissione.
Il G. sosteneva che, se la nuova linea si fosse raccordata a quelle già esistenti in qualsiasi altro luogo che non fosse Firenze, la città sarebbe rimasta tagliata fuori dalle grandi linee; valutava vantaggi e svantaggi dei tracciati, per concludere che quello facente capo a Firenze avrebbe avuto minor lunghezza della grande galleria, minor lunghezza della linea da costruire e minor tempo per percorrerla. Era quindi incomprensibile che la commissione avesse prescelto un tracciato che non teneva conto degli inconvenienti della linea Prato-Firenze e delle ragioni politiche, economiche e militari per le quali si doveva privilegiare il capoluogo toscano.
Il suo impegno e la sua mentalità, che si distinguevano da quelli più moderati o conservatori di altri grandi proprietari, furono valutati favorevolmente dalla parte più progressista della borghesia mugellana che vide in lui un possibile oppositore al deputato liberalmoderato, il marchese Filippo Torrigiani, da oltre vent'anni eletto nel collegio di Borgo San Lorenzo. Così per le elezioni politiche del 1904 gli venne offerta la candidatura in quel collegio. Ma il G. non accettò, adducendo motivi di famiglia che gli avrebbero impedito di svolgere il suo mandato (Agli elettori del collegio di Borgo San Lorenzo, in La Nazione, 28 ott. 1904). Solo in occasione delle successive elezioni del 1909 il Nuovo Giornale (2 marzo), un quotidiano (nato nel 1906) di cui il G. era uno dei maggiori azionisti, rese pubbliche, in polemica con LaNazione, due lettere di ringraziamento del Torrigiani al G. per il suo ritiro, suggerito anche da un intervento del prefetto di Firenze. La situazione politica del Mugello mutò profondamente nel corso della legislatura, offrendo al G. buone prospettive di vittoria. Nel 1906 era sorta, con la sua presidenza, l'Associazione pro cultura, che, "contro l'oscurantismo clericale" (Il Messaggero del Mugello, 14 ott. 1906), intendeva riunire tutte le tendenze progressiste; nel 1908 si era formata l'Associazione democratica mugellana, presieduta dall'avv. P. Baldi, d'impronta laica e di tendenze radicali; lo stesso anno, a Barberino, si era costituita la prima sezione socialista mugellana, la cui personalità di maggior rilievo era l'ing. D. Giorgi, oppositore della maggioranza liberalmoderata nell'amministrazione comunale. Frutto di questo nuovo clima politico fu il cosiddetto patto di Tagliaferro, stipulato, il 15 nov. 1908, in previsione delle elezioni per la XXIII legislatura, tra il G. ed esponenti della sezione socialista, ma che suscitò non poche resistenze all'interno del partito, destinate però a cadere. Nel febbraio si formò a Borgo San Lorenzo un comitato elettorale indipendente che indicò nel G. il candidato "liberale e democratico" che sarebbe stato di "utilità e lustro" per il Mugello (Nuovo Giornale, 19 febbr. 1909); poi, il 21, lo stesso giornale riferiva la sua accettazione, nella quale erano esposti i principî della "fede democratica" che avrebbe guidato il suo operato.
Il G. confermava la sua fiducia nelle istituzioni monarchiche, purché democratiche e liberali, ma riteneva che l'allargamento del suffragio e il rispetto di ogni libertà fossero le necessarie premesse alle riforme, quali l'estensione ai contadini della previdenza sociale, l'arbitrato obbligatorio per risolvere i conflitti tra capitale e lavoro, l'obbligatorietà dell'assicurazione sulle malattie professionali anche per i contadini, la pensione ai lavoratori; imposte proporzionali rispondenti all'effettiva ricchezza, miglioramenti nella viabilità e nella rete ferroviaria. Infine riteneva che l'insegnamento della religione dovesse essere riservato ai sacerdoti, nelle loro chiese.
Sulla base di questo programma la sua candidatura fu accettata dai vari gruppi e associazioni progressisti mugellani. Forte anche dell'appoggio incondizionato del Nuovo Giornale, il G. ottenne la maggioranza in tutti i comuni mugellani. La sua elezione sollevò reazioni polemiche in ambito sia liberale, sia cattolico; e anche un intellettuale come G. Prezzolini, nella Voce, fu assai critico nei confronti del blocco politico che l'aveva sostenuta e la giudicò il segno di una democrazia "falsa e confusionaria", che aveva trasformato i socialisti in "galoppini" del "borghese rampollo di una famiglia clericale".
Durante tutta la legislatura, il G. sedé a sinistra tra i radicali, appoggiò sempre i governi presieduti o sostenuti da G. Giolitti, votò "con entusiasmo" per il sostanziale passaggio al suffragio universale, intervenne su questioni relative all'agricoltura, all'incremento zootecnico e insisté per l'estensione delle assicurazioni sociali ai contadini e per una riforma tributaria di carattere progressivo.
Tuttavia, la vittoria dei cattolici e dei liberalmoderati nelle amministrative del 1910 e il loro nuovo attivismo, segnato dalla nascita del giornale Il Mugello, organo della Lega cattolica mugellana (sorta nel 1908, e assai presente in ambito economico e sociale), lo indussero a cercare un accordo con i cattolici, reso necessario proprio dall'introduzione del suffragio universale, nella prospettiva delle nuove elezioni politiche. Fu, infatti, uno dei candidati giolittiani che, per le elezioni dell'ottobre-novembre 1913, accettò di conformarsi ai criteri del patto Gentiloni. Già nel 1911 si era dimesso dall'Associazione democratica mugellana, mentre Il Corriere mugellano, da lui finanziato, stigmatizzava tutte le posizione estreme che avevano caratterizzato la campagna elettorale del 1909. Forte sempre dell'appoggio del Nuovo Giornale, del Consorzio agrario di Firenzuola, dell'Associazione agricola di Borgo San Lorenzo (da lui presieduta), rinnovò la sua candidatura.
In un discorso tenuto a Borgo San Lorenzo, confermò la sua fedeltà alla linea giolittiana in politica interna, soprattutto per il completamento del suffragio universale con la rappresentanza proporzionale, la piena neutralità dello Stato nei conflitti tra capitale e lavoro e una politica estera di vigile prudenza. S'impegnò a promuovere la definitiva attuazione dell'assicurazione sugli infortuni anche per i contadini; nei riguardi della politica agraria e forestale, ripresentò un programma di riforme per intensificare e migliorare la produzione, bonificare le terre abbandonate o infestate dalla malaria, migliorare la rete stradale, incrementare i servizi automobilistici, tutelare e difendere la piccola proprietà e la cooperazione agricola. E sostenne ancora la necessità di una tassazione progressiva che colpisse le "vere ricchezze", diminuendo la pressione sulla proprietà agraria, soprattutto sulla piccola.
Per ottenere l'appoggio dell'elettorato cattolico, espresse il suo rispetto per i diritti dei genitori che esigevano l'insegnamento religioso nelle scuole; ma auspicò pure che, nelle regioni agricole, fossero istituite scuole tecniche specializzate. La sua vittoria nei confronti del socialista Giorgi era già scontata, come sostenevano i giornali fiorentini: anche se i cattolici mugellani non furono concordi nell'appoggiarlo. Infatti, mentre la curia fiorentina tolse il non expedit e numerosi parroci invitarono a votare per lui, gli esponenti della Lega cattolica si mostrarono contrari a un candidato che accusavano di doppiezza, perché, mentre aveva accettato di firmare la dichiarazione richiesta dall'Unione elettorale cattolica italiana, continuava poi, attraverso il Nuovo Giornale, a far diffondere concezioni ideologiche dannose per i cattolici toscani.
Dopo la sua rielezione, il G. tornò a far parte della maggioranza giolittiana, alla quale si mantenne fedele anche dopo l'inizio della Grande Guerra, schierandosi su posizioni decisamente neutraliste. Ma, dopo Caporetto, istituì nel suo palazzo fiorentino un comodo asilo per profughi, anziani e mutilati. La guerra, con le sconvolgenti conseguenze che ne derivarono, il violento intensificarsi della lotta politica e, soprattutto, l'emergere di due grandi partiti di massa, il partito socialista, ormai su posizioni massimaliste, e il partito popolare, mutarono, però, radicalmente la realtà politica toscana. Per le elezioni del novembre 1919 il G. tentò di organizzare una lista costituzionale indipendente, che in un primo momento fu addirittura eliminata dalla commissione elettorale provinciale, ma poi partecipò alla competizione con il nome di Pace e lavoro, ottenendo un risultato più che modesto. Il G. non fu rieletto; però il 3 ottobre 1920, durante il quinto ministero Giolitti, fu nominato senatore.
Si mantenne sempre coerente all'idea della pacifica collaborazione tra i popoli, nessuno dei quali poteva essere considerato responsabile della guerra; e, nel 1921, scrisse la prefazione alla versione italiana, edita a Roma, con il titolo Di chi la colpa?, del libro del noto pacifista e antimilitarista francese G. Demartial, Les responsabilités de la guerre: il G. condivideva il proposito di provare che "tutti i governi alla stesso modo" avevano contribuito a provocare la guerra e di mostrare che la pace di Versailles era soltanto un "mostro" della "parzialità e soverchieria dei potenti".
Non siamo informati dell'atteggiamento politico del G. nel corso della crisi delle istituzioni democratiche italiane e dell'avvento del fascismo. Ma in una lettera di F. Turati ad Anna Kuliscioff (Roma, 29 maggio 1920) si parla di lui come magna pars di una società che intendeva rilevare Il Tempo di Roma, con l'intenzione di farne un giornale "turatiano", per preparare un nuovo ministero Giolitti con l'appoggio dei socialisti e agevolare "la separazione del Gruppo socialista dagli estremisti di sinistra". Il G. fu collaboratore del periodico romano Echi e commenti, fondato da Achille Loria, e della Rassegna internazionale, il cui programma d'ispirazione idealistica e di concordia tra le nazioni ben si accordava coi suoi principî.
Nel 1923, si ritirò a Barberino, nella sua tenuta Le Maschere, dove morì dopo lunga malattia il 13 giugno 1927. Il 6 dicembre fu commemorato in Senato dal presidente T. Tittoni.
Fonti e Bibl.: A. Tortoreto, I parlamentari italiani della XXIII legislatura. Cenni biografici dei deputati e senatori, Roma 1910, p. 176; G. Prezzolini, I miei fiorentini, in La Voce, 14 luglio 1910, pp. 298 s.; I 508 deputati della XXIII legislatura, II, Firenze 1913, pp. 67 s.; Lucifer [C.G. Gonetta], L'attuale Senato italiano, I, Roma 1922, pp. 110 s.; Atti parlamentari. Senato. Discussioni, 6 dic. 1927; F. Turati - A. Kuliscioff, Carteggio, V, Dopoguerra e fascismo (1919-1922), a cura di A. Schiavi, Torino 1953, pp. 374 s.; P.L. Ballini, Il movimento cattolico a Firenze (1900-1919), Roma 1969, ad indicem; O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dal 1900 al 1926, I-II, Roma 1977, ad indicem; H. Ullrich, La classe politica nella crisi di partecipazione dell'Italia giolittiana, 1909-1913, II, Roma 1979, p. 668; L. D'Angelo, La democrazia radicale tra la prima guerra mondiale e il fascismo, Roma 1990, pp. 12, 94, 108, 424; Storia sociale di un paese: Barberino di Mugello, a cura di G. Biondi, Firenze 1995, passim; Enc. biografica e bibliogr. "Italiana", A. Malatesta, Ministri, deputati e senatori dal 1848 al 1922, II, Roma 1941, p. 25.