Germania anno zero
(Italia/Germania/Francia 1947, 1948, bianco e nero, 78m); regia: Roberto Rossellini; produzione: Roberto Rossellini, Salvo D'Angelo, Alfredo Guarini per Tevefilm/ Sadfi/UGC; sceneggiatura: Roberto Rossellini, Carlo Lizzani, Max Colpet, Sergio Amidei; fotografia: Robert Juillard; montaggio: Eraldo da Roma; scenografia: Piero Filippone; musica: Renzo Rossellini.
Berlino, 1947: il tredicenne Edmund mantiene una famiglia composta dal padre afflitto da una malattia cardiaca, da un fratello che vive nascosto a causa dei suoi trascorsi nazisti e da una sorella che talvolta si prostituisce. Licenziato dal lavoro, Edmund compie qualche furtarello sotto la guida di un suo anziano insegnante pederasta. L'uomo, intriso di ideologia nazista, sostiene la necessità di eliminare i più deboli. Edmund gli dà ascolto e uccide il padre avvelenandogli il tè. Dopo essere stato scacciato dal vecchio maestro, vaga in solitudine tra le macerie cittadine, entra in una casa devastata e si getta nel vuoto, sotto lo sguardo della sorella.
Lo scheletro in disfacimento di una città ridotta in macerie e polvere dalla guerra non serve a Roberto Rossellini soltanto per disegnare la cornice apocalittica destinata a imprigionare un paese sconfitto. Né per fare da sfondo alle vicende quotidiane di milioni di esseri umani condannati chissà per quanto tempo a fame e disperazione (siamo infatti all'anno zero!). Forse era questo il proposito iniziale di Rossellini. Nella stesura del primo trattamento e della prima sceneggiatura (oggi irreperibili, ma che ebbi la fortuna di leggere prima dell'inizio della mia collaborazione alla stesura definitiva e alle riprese) era evidente la propensione a un racconto di tipo corale. Fondamentale, per esempio, la presenza di un personaggio femminile destinato, con il suo passato di militante antinazista, a indicare un orizzonte di speranza e di ripresa per il popolo tedesco, quasi a bilanciare il gesto tragico di Edmund. Durante il periodo di gestazione del progetto, vissuto a Parigi (sede della produzione, la Union Générale Cinématographique), era stato fondamentale per Rossellini l'incontro con Marlene Dietrich, reduce da una lunga tournée al seguito delle truppe di occupazione americane in Germania. Ammiratrice del regista di Roma città aperta, Marlene si era rivelata una fonte di informazioni preziose per la creazione di un affresco del tipo di Paisà. Ma quando sopraggiunse il periodo dei sopralluoghi effettivi e più approfonditi a Berlino, in vista della preparazione del film, il soggiorno prolungato in quella città diventò, per Rossellini e per i suoi collaboratori, momento nuovo e sempre più intenso di riflessione. E la prospettiva cominciò a rovesciarsi.
Lo scheletro della città distrutta diventò quello che poi la macchina da presa avrebbe trascritto: la proiezione sullo schermo delle lacerazioni e delle ferite profonde lasciate, nell'animo di una creatura innocente, dalla guerra e dall'ideologia che l'aveva scatenata. Il dato del coinvolgimento degli innocenti, delle popolazioni civili nella violenza distruttiva della guerra è presente in Rossellini fin da Un pilota ritorna (1942) e L'uomo dalla Croce (1943), per non parlare di Roma città aperta e Paisà. E ne rimarrà l'eco perfino in Stromboli ‒ Terra di Dio (1949): i campi profughi che compaiono all'inizio del film ‒ il retroterra da cui emerge un personaggio come Karin, interpretata da Ingrid Bergman ‒ sono l'ultimo capitolo dell'odissea bellica. Ma in Germania anno zero (così come poi avverrà in Stromboli e in Viaggio in Italia) il paesaggio e gli eventi che vi si collocano sembrano via via evocati dal percorso interiore del personaggio protagonista. Le immagini, insomma, non più, o soltanto, come epos, ma come possibile lettura dell'anima. Prima di Antonioni, di Bergman, di Fellini.
Germania anno zero, dunque, come approdo estremo del cinema neorealista, è già sulla linea di confine col grande cinema degli anni Cinquanta e Sessanta. Presa di distanza, addirittura, dal movimento innovatore che era esploso in Italia nel decennio che si stava chiudendo? No, se si sottrae il neorealismo al vincolo delle prime formule che ne fecero la fortuna: liberazione dello schermo dagli artifici dei teatri di posa, irruzione di temi e volti nuovi. Il neorealismo fu, infatti ‒ oltre che proposta di nuovi contenuti e di nuove figure sociali ‒ una radicale rivoluzione di forme. Non atlante di città, strade, campagne ferite o distrutte, non solo repertorio di personaggi insoliti per il cinema, ma lezione di strutture narrative e visive, coordinate nelle cadenze di una sintassi del tutto nuova. Il fotogramma sempre dilatato verso orizzonti infiniti e inquietanti (da quelli della pianura padana a quelli disgregati delle arterie periferiche delle grandi città, da Roma a Berlino). Disarticolazione e mescolamento dei generi in un crogiolo dai confini sempre incerti (a che 'genere' appartengono Ossessio-ne, Sciuscià, Germania anno zero?). Operazione stilistica di una generazione che ha conosciuto Kafka, il surrealismo, la pittura metafisica. In Germania anno zero l'andamento del racconto, la recitazione, il background naturale convergono nella creazione di una atmosfera onirica, da incubo. Ogni residuo di naturalismo (quel naturalismo che può aver appesantito l'opera degli epigoni del neorealismo e di cui c'è qualche traccia anche in alcuni film rimasti memorabili) è, in Germania anno zero, completamente riassorbito e sublimato. È in questo la sua grandezza.
Interpreti e personaggi: Edmund Meschke (Edmund Köler), Ernst Pittschau (padre di Edmund), Ingetraud Hinze (Eva, sorella di Edmund), Franz Krüger (Karl-Heinz, fratello di Edmund), Erich Gühne (Enning, il maestro di scuola), Babsy Reckwell (Joe), Alexandra Manys (Christal), Hans Sangen (signor Rademaker), Heidi Blänkner (signora Rademaker), Barbara Hintz (Thilde), Franz Treuberg (generale von Laubniz), Karl Krüger (medico), Christl Merker, Jo Herbst.
G. Aristarco, Germania anno zero, in "Cinema", n. 4, 15 dicembre 1948.
A. Bazin, Allemagne année zéro, in "Esprit", 1949, poi in Qu'est-ce-que le cinéma, Paris 1961 (trad. it. Milano 1973).
J. Narboni, Allemagne année zéro, in "Cahiers du cinéma", n. 290-291, juillet-août 1978.
G. Cremonini, L'istanza descrittiva in 'Germania anno zero', in "Cineforum", n. 253, aprile 1986.
G. Rondolino, Come nacque 'Germania anno zero', in "Bianco e nero", n. 3, luglio-settembre 1987, poi in Rossellini, Torino 1989.
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J.L. Schefer, Allemagne année zéro, in Roberto Rossellini, a cura di A. Bergala e J. Narboni, Paris 1990.
Sceneggiatura: in La trilogia della guerra, a cura di S. Roncoroni, Bologna 1972.