Germania
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(XVI, p. 667; App. I, p. 650; II, i, p. 1031; III, i, p. 729; IV, ii, p. 40; V, ii, p. 404)
Geografia umana ed economica
di Piergiorgio Landini
Alle soglie del terzo millennio, la G. rappresenta uno degli elementi cardine della nuova costruzione geopolitica europea e mondiale, ma, nel contempo, anche uno degli elementi di maggiore incertezza. L'affermazione, in sé paradossale, trova fondamento nelle vicende recenti del territorio e dell'economia tedeschi. Il primo non è ancora uscito dalla condizione di 'riassemblaggio' di parti che la ferrea divisione postbellica, durata oltre quarant'anni, aveva profondamente diversificato dal punto di vista dell'organizzazione socio-spaziale. La seconda ha attraversato, negli anni più recenti, fasi ora positive ora negative di breve periodo, risentendo delle complesse problematiche generate, all'interno, dal processo di unificazione, nonché dei contraccolpi di una politica estera forse eccessivamente incentrata sulla conclamata solidità del Modell Deutschland, fondato su una 'economia sociale di mercato'.
Popolazione
Con una popolazione stimata a 82.133.000 ab. nel 1998, la G. costituisce, per massa demografica, di gran lunga il primo paese dell'Unione Europea. Tuttavia, proprio nei ritmi di variazione e nei caratteri strutturali di tale popolazione sta uno dei più accentuati fattori di debolezza dello Stato tedesco, anche dopo la riunificazione.
Anteriormente a quest'ultima, entrambe le sezioni territoriali, occidentale e orientale, avevano da tempo (anni Settanta) raggiunto il livello di crescita zero, portando, nelle rispettive 'piramidi delle età', i segni delle guerre e della crisi economica verificatasi all'inizio degli anni Trenta. L'Est, per di più, aveva subito gli effetti dell'esodo di massa verso l'Ovest (3 milioni di persone, in prevalenza giovani), tanto che, negli anni Ottanta, vi erano state adottate misure eccezionali per favorire la natalità, che avevano determinato una pur lieve ripresa. Nell'Ovest, viceversa, nonostante i successivi apporti di rimpatriati, rifugiati e immigrati dall'estero, i fattori di denatalità tipici delle economie avanzate, insieme all'aumento della speranza di vita media, avevano determinato un drastico invecchiamento della popolazione, con il conseguente appesantimento delle spese sociali per sanità e previdenza.
All'inizio degli anni Novanta, pertanto, gli ulteriori spostamenti di popolazione dai Länder orientali a quelli occidentali erano stati considerati positivi al fine di un riequilibrio del bilancio naturale; ma le difficoltà economiche dei primi, ben presto evidenziatesi nei piani di riconversione produttiva, vi determinavano un clima di incertezza che, sommato al cambiamento del modello di vita in senso consumistico, provocava una vistosa caduta della natalità. A ciò va aggiunta, nell'intero paese, la crescita montante della disoccupazione (3.890.000 unità nel 1997, pari all'11,4% delle forze di lavoro, con punte del 20% nei Länder orientali), certamente limitante nei confronti della formazione o dell'accrescimento dei nuclei familiari.
Il tasso di natalità della G. unificata (9,6‰ annuo) risulta così sensibilmente inferiore a quello in precedenza registrato dalla stessa G. occidentale e il saldo negativo decisamente ampliato (-1,2‰). L'incremento verificatosi nel periodo 1990-97 (5‰ annuo) si deve pertanto all'immigrazione, tuttavia soggetta a una legislazione che prevede, anche per i nati in territorio tedesco da famiglie ormai stabilizzate nel paese da più generazioni, il mantenimento della condizione di stranieri: ciò priva evidentemente la G. della componente più dinamica all'interno del bilancio demografico, accentuando, peraltro, la precarietà delle comunità immigrate. La consistenza di queste ultime, alla metà degli anni Novanta, aveva raggiunto i 7 milioni di unità (Turchi, 29%; ex Iugoslavi, 12%; Italiani, 8%; Greci, 5%; Polacchi, 4%; Austriaci, 2,5%; Spagnoli, 1,9%).
Il tasso di urbanizzazione della popolazione ha toccato l'87% (1997), valore fra i più elevati nel mondo. Tuttavia, nello spazio tedesco, si contrappongono aree di forte addensamento (Verdichtungsraum) ad altre definite dagli stessi organismi di pianificazione come aree rurali (Agrargebiete).
Fra le prime, resta dominante la megalopoli Reno-Ruhr (con oltre 10 milioni di ab.), costituita da più sistemi urbani bene integrati ma altrettanto distinguibili: il bacino minerario e siderurgico della Ruhr (Ruhrgebiete, più di 5 milioni di ab.) fra Duisburg e Dortmund, in crisi industriale, ma divenuto polo di servizi finanziari e tecnologici di grande rilievo; l'asse renano (Rheinschiene, 3 milioni di ab.) fra Düsseldorf, Colonia e Bonn, cerniera fondamentale nel contesto europeo degli anni Settanta-Ottanta; le 'nebulose' industriali fra Mönchengladbach e Krefeld, alla sinistra del Reno, e fra Wuppertal e Solingen, alla destra. Seguono, per importanza, gli addensamenti urbani dell'area Reno-Meno (2,8 milioni di ab.), centrata sul quadrilatero Francoforte-Darmstadt-Magonza-Wiesbaden e sul collegamento idroviario con il Danubio (v. oltre), e del medio Neckar, per un raggio di circa 40 km intorno a Stoccarda. All'Est, si profila un sistema urbano integrato (2,5 milioni di ab.) nei Länder di Sassonia e Sassonia-Anhalt, fra Halle, Lipsia, Dresda e Chemnitz, che incontra peraltro notevoli difficoltà di riconversione delle proprie strutture insediative ai nuovi standard produttivi e ambientali. Per il resto, le maglie della rete urbana si diradano fortemente e la struttura regionale diviene monocentrica: così, nella pianura settentrionale domina Amburgo, in quella orientale Berlino, nella fascia subalpina Monaco di Baviera, mentre la media montagna ercinica (Mittelgebirge) segna un sostanziale vuoto proprio nella sezione centrale del paese.
Nonostante l'uniformazione della società e dell'economia tedesche, il quadro culturale si presenta diversificato, dando luogo a individualità regionali - specie nelle aree meno urbanizzate - il cui fondamento sta nei generi di vita tradizionali, nei dialetti, nella religione. A quest'ultimo proposito va sottolineato come la riunificazione abbia comportato un riequilibrio, almeno apparente, fra il cattolicesimo renano e bavarese, la cui influenza si era molto accentuata nella G. occidentale, e il protestantesimo delle regioni orientali, dove tuttavia il lungo dominio comunista ha indotto un diffuso atteggiamento di indifferenza nei confronti della religione. Anche sotto il profilo del comportamento politico ed elettorale, al conservatorismo tipico della Baviera si contrappongono le tendenze socialdemocratiche delle regioni centro-settentrionali e, nella G. orientale, alla 'conversione' cristiano-democratica della Sassonia fanno riscontro le nostalgie postcomuniste del Brandeburgo.
L'economia tedesca ha continuato a risentire degli oneri del processo di riunificazione fino alla seconda metà degli anni Novanta, in particolare per la difficoltà di assorbire l'offerta di lavoro proveniente dalla G. orientale (v. sopra) e di contenere il deficit pubblico, che, dai valori inferiori allo 0,5% registrati dalla G. federale negli anni Ottanta, era balzato al 4% nel 1991, per restare, ancora nel 1998, non lontano dal quel 3% indicato come soglia per l'ammissione all'Unione monetaria europea.
Il PIL, viceversa, ha mantenuto un tasso di incremento medio annuo dell'1,7% nel periodo 1991-98, contraddistinto da fasi alterne di espansione e di rallentamento, sia nella produzione sia nell'esportazione.
Gli effetti della recessione mondiale sugli ordinativi dall'estero e la minore competitività dei prodotti tedeschi dovuta al forte apprezzamento del marco (1995) venivano a coincidere con la sensibile crescita delle importazioni, alimentata dalla domanda di consumi interni esplosa nei Länder orientali. Il contributo di questi ultimi alla produzione industriale, peraltro, declinava vistosamente, come pure il tasso di espansione economica globale (dall'8,5% del 1994 al 5,6% del 1995), evidenziando squilibri regionali di enorme rilevanza, il cui riassorbimento costituiva un problema tale da costringere il governo a una politica di austerità certamente impopolare in quanto forzatamente limitativa delle garanzie sociali.
Con il 30% del territorio e il 20% della popolazione, l'Est partecipava alla formazione del PIL, ancora alla metà degli anni Novanta, in misura di poco superiore al 10%, e appena del 5% nel settore secondario; il PIL pro capite, di conseguenza, risultava pari a solo il 53% nel confronto con l'Ovest, dove pure si accentuava il divario fra i Länder meridionali, in crescita, e quelli settentrionali, in declino.
Dal punto di vista settoriale, nel complesso del paese, nel 1997 il primario forniva l'1,1% del PIL, assorbendo una quota di popolazione attiva pari al 2,9%; il secondario vi contribuiva per poco più del 33%, con una quota di attivi superiore di oltre un punto; il terziario per il 65,8%, con il 62,8% di attivi.
Un aspetto positivo, a lungo termine, è rappresentato dal recupero di vasti spazi agricoli, in particolare nei Länder di Meclemburgo-Pomerania Anteriore e Sassonia-Anhalt. La G. è divenuta, già ora, il primo produttore europeo di latte e di carne suina, oltre che un grande paese cerealicolo e bieticolo. Anche la struttura fondiaria ne ha beneficiato, passando, da una superficie media aziendale di 20 ha nell'Ovest, con forte incidenza delle coltivazioni marginali e part-time, a disporre, nell'Est, di grandi aziende meccanizzate, con superficie media di 300 ha, che, trasformando la gestione cooperativa o statale in un moderno assetto imprenditoriale, potranno esercitare un ruolo importante nel quadro comunitario europeo.
Il settore industriale, a sua volta, attraversa una fase di riconversione legata non solo al riadattamento o alla dismissione del vecchio apparato produttivo nei Länder orientali (dove pure si sono ottenuti buoni risultati, come nel caso del complesso automobilistico di Eisenach), ma anche alla modificazione del quadro localizzativo globale, con la valorizzazione dei distretti di piccole e medie imprese specie nelle aree periferiche: fenomeno che, accompagnato dallo sviluppo del terziario innovativo, ha favorito il decollo di Länder come il Baden-Württemberg e la Baviera, ma anche la tenuta di altri, come la Renania Settentrionale-Vestfalia, di fronte alla crisi dei comparti minerario e siderurgico, e che potrà recuperare alcune specializzazioni significative nella stessa G. orientale, come l'ottica a Jena o la microelettronica a Erfurt.
I costi elevati e, nell'Est, la bassa produttività della manodopera hanno certamente ridotto la competitività dell'industria tedesca e indotto le imprese a investire, piuttosto, nell'Europa orientale (Polonia), nell'Estremo Oriente e persino in Francia; inoltre, ha pesato sul settore l'aumento del fabbisogno energetico, dovuto al progressivo abbandono dell'impiego di lignite, fortemente inquinante, nella G. orientale, rimasta anche priva dell'apporto di idrocarburi che l'ex DDR riceveva dall'Unione Sovietica. Tuttavia, il prestigio del made in Germany, le tecnologie avanzate e gli stessi investimenti all'estero, oltre al ruolo di leadership nel processo di unificazione europea, mantengono aperte alla G. ampie prospettive nel contesto di globalizzazione dell'economia mondiale.
Una posizione nodale viene ad assumere la G. riunificata anche per quanto riguarda le comunicazioni, in particolare ferroviarie e idroviarie. Per le prime (nel complesso 41.000 km di linee), se - ancora una volta - l'obsolescenza del materiale fisso e rotabile dell'ex DDR ha costretto la Deutsche Bahn a un poderoso sforzo finanziario (80 miliardi di marchi) per la modernizzazione, nell'ambito di un già previsto riassetto aziendale verso la privatizzazione, il nuovo collegamento ad alta velocità fra Hannover e Berlino riduce il tempo di percorrenza dalla capitale tedesca a Parigi (via Colonia) a meno di 8 ore; inoltre, i collegamenti da Amburgo e Coblenza ancora a Berlino e da Francoforte, Norimberga e Monaco a Lipsia, potenziando la rete in direzione O-E, riequilibrano l'andamento prevalente N-S che il sistema relazionale aveva assunto dopo la divisione dello Stato tedesco. Quanto alle idrovie, l'apertura (nel settembre 1992) del collegamento Reno-Danubio ha fatto della G. il cuore della 'nuova Europa fluviale', aperta verso Oriente.
Prende corpo, in tal modo, la ricomposizione dello spazio tedesco, non più incardinato soltanto sull'asse renano, ma integrato fra aree a sviluppo maturo e sistemi emergenti.
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Politica economica e finanziaria
di Giuseppe Smargiassi
Il processo di convergenza economica
Con la firma del trattato (1990) che ha istituito l'unione economica, monetaria e sociale tra la Bundesrepublik Deutschland (BRD) e la Deutsche demokratische Republik (ex DDR), il governo federale tedesco si è trovato impegnato in un gigantesco sforzo finanziario, volto a riavvicinare nel più breve tempo possibile le condizioni economiche e produttive della parte orientale del paese agli standard prevalenti nelle regioni occidentali. La strategia adottata per guidare il processo di transizione dell'ex DDR verso l'economia di mercato ha fatto perno su quattro strumenti principali: l'avvio di un programma di lavori pubblici per l'ammodernamento del sistema infrastrutturale, il sostegno finanziario agli investimenti privati, la riconversione produttiva dell'apparato industriale, l'estensione del sistema di sicurezza sociale vigente nella BRD ai cittadini della G. orientale.
Durante la prima fase del processo di integrazione economica, l'impatto sui Länder orientali è risultato negativo. In particolare, la perdita dei tradizionali sbocchi nell'Europa dell'Est, in seguito alla dissoluzione del COMECON, le difficoltà delle esportazioni sui mercati occidentali e la chiusura di migliaia di imprese, rivelatesi dopo l'apertura al mercato non più redditizie, hanno provocato in meno di due anni una flessione del reddito di oltre il 50%, un abbassamento di oltre due terzi degli indici della produzione industriale e l'emergere di una disoccupazione di massa. A partire dal 1993, comunque, il reddito della G. orientale ha iniziato a manifestare ritmi di sviluppo positivi, con una crescita del PIL che è risultata fino al 1996 superiore al 5% in media annua. Tale crescita, oltre che dall'ammodernamento delle reti infrastrutturali, è stata alimentata soprattutto dall'espansione del settore edilizio e di alcuni comparti dei servizi (in particolare credito, trasporti aerei e turismo). Il ruolo assunto dall'industria nelle nuove condizioni di sviluppo economico è risultato invece più limitato.
Il settore industriale della G. orientale è stato penalizzato dalla politica di privatizzazioni adottata, che ha finito con il privilegiare gli interessi dei grandi gruppi imprenditoriali tedesco-occidentali, a scapito dell'occupazione e degli investimenti nella parte orientale. Alla fine del 1994, infatti, la Treuhandstalt (THA), l'organismo parastatale incaricato di portare a termine il processo di privatizzazione, aveva trasferito il 95% delle circa 30.000 imprese tedesco-orientali a investitori non residenti nell'ex DDR, riuscendo a salvaguardare l'occupazione solo per il 30% degli oltre 4,5 milioni di addetti coinvolti dai piani di vendita. Inoltre, a fronte di un valore delle imprese stimato in 600 miliardi di marchi, la THA aveva ricavato dal processo di privatizzazione 325 miliardi di marchi, lasciando un debito di oltre 275 miliardi di marchi a carico del bilancio federale.
Nel 1997 si è aperta una nuova fase congiunturale, caratterizzata da una forte contrazione del settore edilizio, che ha trascinato il tasso d'incremento del PIL orientale (1,6%) al di sotto di quello occidentale (2,2%). Tale squilibrio è proseguito anche nella prima metà del 1998, nonostante una leggera ripresa (1,9%) favorita questa volta dal settore industriale.
L'andamento discontinuo della crescita del reddito nelle regioni dell'Est indica come il sistema produttivo non abbia ancora raggiunto quel livello di sviluppo autopropulsivo in grado di accelerare il processo di avvicinamento delle due aree del paese. In effetti, la convergenza delle regioni orientali verso le condizioni economico-produttive dei Länder occidentali, pur avendo fatto registrare alcuni progressi, resta ancora incompleta. La distanza che separa le due aree riguardo ai livelli di produttività e all'incidenza del costo del lavoro rimane forte, con un effetto penalizzante sui flussi d'investimento verso l'Est. Inoltre, il tasso di disoccupazione, che ha continuato a crescere incessantemente, è risultato nella G. orientale molto più alto (19,7% nel 1998) di quello registrato nella G. occidentale. Le differenze relative ai consumi e al reddito disponibile risultano invece quasi livellate. La popolazione dei Länder orientali ha potuto contare, infatti, su un volume di trasferimenti netti (circa 1000 miliardi di marchi tra il 1991 e il 1997) che ha permesso una crescita dei consumi disgiunta dall'andamento dei redditi e dell'occupazione, rendendo così sostenibili livelli di disoccupazione altrimenti destabilizzanti (v. tab.).
Le politiche economiche
Durante le fasi iniziali della riunificazione, l'orientamento del governo federale riguardo alle politiche necessarie per affrontare l'enorme impegno finanziario è stato quello di evitare il ricorso a un aumento della pressione fiscale. Su tale scelta, peraltro non condivisa dalla Bundesbank che temeva una crescita del tasso d'inflazione, hanno inciso sicuramente interessi elettorali, ma anche la convinzione che le positive condizioni economiche della BRD avrebbero permesso il finanziamento delle spese per la riunificazione senza provocare eccessive tensioni sul mercato monetario. Già da alcuni anni, infatti, la G. occidentale stava sperimentando una forte espansione economica, associata a un elevato surplus di parte corrente (4,5% del PIL nel 1989) e a un avanzo fiscale pari allo 0,2%. Il processo di unificazione, più che un ostacolo, veniva visto come una formidabile opportunità per lo sviluppo. In effetti, subito dopo l'avvio del processo d'integrazione, i Länder occidentali hanno fatto registrare un'eccezionale crescita economica (5,7% nel 1990 e 5% nel 1991). Ben presto, però, i giganteschi trasferimenti finanziari richiesti dal processo di riconversione economica dell'ex DDR (250 miliardi di marchi nel solo biennio 1990-92) hanno alimentato un deficit finanziario pubblico di grandi dimensioni (2,6% del PIL nel 1992). Inoltre la forte crescita della domanda proveniente dai Länder orientali ha oltrepassato la capacità produttiva delle imprese tedesco-occidentali, riversandosi sulle importazioni e sul saldo delle partite correnti, che tra il 1990 e il 1992 ha iniziato a evidenziare un deficit sull'ordine dei 40-50 miliardi di dollari. Il rapido deterioramento della situazione finanziaria interna e il peggioramento dei conti con l'estero hanno spinto il governo a rivedere le proprie strategie iniziali e a introdurre tra il 1991 e il 1992 provvedimenti correttivi con aumenti del prelievo fiscale diretto e indiretto. Tali misure non hanno però inciso sulla progressiva crescita del fabbisogno finanziario del settore pubblico che, alla fine del 1992, è arrivato ad assorbire oltre la metà dei risparmi interni. Giudicando le politiche economiche del governo inadeguate a contrastare la ripresa dell'inflazione, la Bundesbank nell'agosto del 1992 ha deciso di portare il tasso di sconto all'8,7%, un livello mai raggiunto prima di allora.
La decisione della Bundesbank è stata presa proprio nel momento in cui la recessione economica e la crescita della disoccupazione colpivano gran parte delle economie europee. L'aumento del tasso di sconto ha alimentato massicci afflussi di capitale in G. provocando una grave crisi valutaria nell'ambito del Sistema monetario europeo e costringendo i paesi a inflazione più elevata, come Gran Bretagna e Italia, a uscire dagli accordi di cambio. La politica della Bundesbank ha suscitato critiche da più parti, poiché gli elevati tassi di interesse tedeschi sono stati interpretati come la conseguenza di una decisione tesa a scaricare sugli altri paesi dell'Unione Europea l'onere della riunificazione. Anche se tale accusa non appare del tutto fondata (la G. aveva proposto già nel 1990 alla Francia e all'Italia un apprezzamento del marco, ma queste avevano rifiutato per non compromettere la credibilità delle politiche di difesa del cambio), resta il fatto che gli elevati tassi d'interesse tedeschi hanno trasformato la G. da paese esportatore di capitale a paese importatore. Tra il 1991 e il 1995, infatti, la G. ha preso in prestito dall'estero oltre 200 miliardi di dollari che hanno permesso di finanziare l'enorme disavanzo corrente connesso al processo di riunificazione.
Tra la fine del 1992 e la prima metà del 1993, la G. è entrata nella fase di recessione più acuta dal dopoguerra, che ha provocato alla fine del 1993 una contrazione del PIL pari all'1,2%. La conseguenza più grave della recessione è stata l'esplosione della disoccupazione che ha coinvolto anche i Länder occidentali. Nel corso del 1993, infatti, i grandi gruppi industriali della G. occidentale hanno reagito alla perdita di competitività, provocata dal rafforzamento del marco e dalla bassa crescita della produttività, con l'avvio di piani di ristrutturazione che hanno comportato massicci tagli all'occupazione e la dislocazione di gran parte degli impianti produttivi all'estero. Nel corso dello stesso anno, il solo settore industriale ha fatto registrare una contrazione dei posti di lavoro pari a un milione di unità, e ha contribuito a far salire il tasso di disoccupazione nazionale all'8,8%.
La recessione economica si è riflessa negativamente anche sul saldo finanziario pubblico, esercitando un effetto negativo attraverso due canali. Da un lato la crescita della disoccupazione ha portato a una lievitazione delle spese per il finanziamento dei piani di sostegno alla disoccupazione (i cosiddetti Arbeitbeschaffungsmassnahme, o ABM), dall'altro la recessione economica ha provocato una riduzione delle entrate fiscali: l'effetto netto sul saldo finanziario pubblico è stato una crescita del deficit, che nel 1993 ha raggiunto il 3,2% del PIL.
Per fronteggiare gli effetti prodotti dalla crisi economica e dalle difficoltà finanziarie del processo di unificazione, il governo ha tentato la strada della concertazione, allo scopo di definire un quadro di interventi sul quale far confluire il massimo consenso politico e istituzionale. Muovendosi lungo questa direzione, nel marzo del 1993 governo, opposizione, sindacati, associazioni imprenditoriali e Länder hanno stretto un 'patto di solidarietà' attraverso cui è stata ridefinita la strategia d'intervento per la ristrutturazione economica delle regioni orientali. In conseguenza di tale accordo i sindacati si sono impegnati ad accettare riduzioni dei salari reali, mentre il governo ha definito un piano di rientro del deficit pubblico basato sulla ridistribuzione delle entrate tra i Länder e l'introduzione di una 'tassa di solidarietà' (entrata in vigore nel 1995), che ha portato a un incremento del prelievo fiscale sui redditi del 7,5%.
A partire dal 1994 si è aperta per l'economia tedesca una nuova fase di crescita, che tuttavia si è mostrata più debole del previsto. Il PIL è aumentato del 2,7% nel 1994 e dell'1,2% nel 1995. Al rallentamento della ripresa economica hanno contribuito sia la debolezza dei consumi interni, frenati dalla stazionarietà del potere d'acquisto di salari e stipendi, sia la sopravvalutazione del marco, che ha penalizzato le esportazioni tedesche sul mercato europeo e su quello statunitense. Inoltre, nonostante il cauto allentamento dei tassi di interesse deciso dalla Bundesbank come risposta alla diminuzione del tasso di inflazione (che è sceso dal 4,1% del 1993 al 3% del 1994 e all'1,8% del 1995), l'attività di investimento interno è rimasta assai debole e non ha permesso di assorbire la continua crescita del tasso di disoccupazione, che nel 1996 ha superato per la prima volta le due cifre (10,3%). Le imprese, infatti, hanno accelerato i processi di dislocamento produttivo, effettuando investimenti diretti negli Stati Uniti, nei più dinamici mercati asiatici e nei paesi dell'Europa orientale, dove il costo del lavoro risulta fino a nove volte più basso rispetto a quello tedesco.
Il contesto in cui il governo ha dovuto decidere le linee di politica economica è risultato quindi condizionato da due ordini di fattori: da un lato le pressioni degli industriali, che hanno continuato a chiedere politiche salariali restrittive, alleggerimenti fiscali e deregolamentazione del mercato del lavoro, prospettando un'ulteriore crescita della disoccupazione e della delocalizzazione produttiva in caso di mancata accoglienza delle loro richieste, e dall'altro la necessità di contrastare l'ormai insostenibile pressione sul bilancio federale delle spese sociali e dei trasferimenti verso le regioni dell'Est. Il problema di politica economica, in particolare, è stato quello di conciliare l'allentamento della pressione fiscale con gli obiettivi di risanamento finanziario e di lotta alla disoccupazione. I provvedimenti presi a partire dal 1994 (sgravi fiscali per le imprese, aumento del contributo per la disoccupazione, riduzione della spesa sanitaria e delle prestazioni pensionistiche) non hanno però prodotto effetti di rilievo. Il deficit pubblico, infatti, è cresciuto ulteriormente, superando tra il 1995 e il 1996 la soglia del 3% rispetto al PIL richiesta dal Trattato di Maastricht per l'adesione all'Unione economica e monetaria europea. Nel tentativo di correggere gli squilibri finanziari e ridurre la disoccupazione, nel gennaio 1996 il governo ha tentato una nuova concertazione con le parti sociali, presentando un 'piano di azione per l'investimento e l'occupazione', seguito qualche mese dopo da un 'programma di promozione della crescita e dell'occupazione' (Sparpack).
Nel piano venivano fissati gli obiettivi della riduzione dello stock del debito pubblico al 46% (cioè al livello preunificazione) e del dimezzamento del tasso di disoccupazione entro il 2000. Il piano prevedeva, tra l'altro, l'innalzamento dell'età pensionistica, la riduzione dei salari in caso di malattia, il blocco degli assegni familiari, la libertà di licenziamento per le imprese con meno di 10 dipendenti, la riduzione della tassa di solidarietà a favore dei Länder orientali. Si trattava in sostanza di rimettere in discussione i principi di garanzie di sicurezza sociale e di tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori che rappresentavano i caposaldi di quel 'modello renano' che aveva caratterizzato la crescita economica della G. fin dal dopoguerra.
Il programma tuttavia è andato incontro a una forte opposizione, sfociata nel giugno del 1996 nella più grande manifestazione sindacale dal dopoguerra. Dopo aver fortemente ridimensionato il contenuto del piano, il governo ha proposto una nuova riforma del sistema fiscale, scontrandosi, però, con forti resistenze da parte dell'opposizione e dei sindacati.
Nel 1997 l'economia tedesca ha mostrato una crescita leggermente più sostenuta rispetto agli anni precedenti (2,2%). A fronte di un andamento stagnante dei consumi interni, schiacciati dal forte incremento del prelievo fiscale e dalla regressione del potere d'acquisto dei salari, la crescita economica è stata alimentata quasi esclusivamente dalle esportazioni che, traendo beneficio dall'apprezzamento del dollaro sul marco verificatosi a partire dal 1996, hanno raggiunto circa il 30% del PIL. Il tasso di disoccupazione ha invece raggiunto livelli storici (11,4%, corrispondente a oltre 4,5 milioni di disoccupati), anche per effetto della scarsa propensione all'investimento interno da parte delle imprese. Queste ultime, infatti, hanno accentuato ulteriormente i processi di dislocazione produttiva all'estero e accelerato i piani di internazionalizzazione delle proprie attività (le operazioni di acquisizione e fusione di imprese straniere effettuate dai grandi gruppi industriali tedeschi hanno raggiunto, tra il 1997 e il 1998, i 75 miliardi di dollari). Nonostante le difficoltà nel procedere con le riforme fiscali, il governo è riuscito (grazie anche a qualche artificio contabile) a portare il deficit di bilancio al di sotto del 3%, e al contempo a soddisfare i vincoli imposti dal Trattato di Maastricht. Anche i conti con l'estero hanno fatto registrare sensibili miglioramenti e, nel 1998, il saldo corrente è tornato in attivo, per la prima volta dall'unificazione. Il positivo quadro macroeconomico della G. si è riproposto anche nel 1998 con una buona crescita del PIL e un'ulteriore riduzione dell'inflazione. Pesano però sulle prospettive economiche della G. le incertezze dovute alle crisi finanziarie nei mercati del Sud-Est asiatico e della Russia (che, oltre a essere destinatari di una quota rilevante degli investimenti diretti della G., rappresentano anche mercati di sbocco sempre più importanti per le esportazioni tedesche) e soprattutto l'elevata disoccupazione che nel 1998 ha mostrato qualche miglioramento solo grazie all'intensificazione dei finanziamenti pubblici.
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Storia
di Francesca Socrate
Sul finire degli anni Novanta, la situazione sociopolitica tedesca sembrava riflettere, nei suoi molteplici segni di crisi, il difficile decennio di vita unitaria appena trascorso. Il paese soffriva le conseguenze di un faticoso processo d'integrazione fra la ricca G. dell'Ovest e i Länder orientali, fino al 1989 estranei a ogni logica di mercato. Sul piano economico, la disoccupazione era esplosa, soprattutto all'Est, con tassi di crescita drammatici; il necessario trasferimento di risorse dall'Ovest con spese sempre crescenti aveva comportato un pesante deficit pubblico, e, nonostante i sacrifici richiesti soprattutto ai lavoratori dipendenti attraverso una dura politica di rigore a partire dal 1996, non si era realizzata la necessaria integrazione delle aree povere con quelle più avanzate. Il peso delle tensioni sociali aveva costituito, inoltre, una fonte di ansie e rancori culturali e politici che si erano reiteratamente tradotti in esplosioni di violenza xenofoba e razzista (1992-93, e, successivamente, nel 1997) indirizzata sia contro gli immigrati dall'Est europeo e dai paesi afroasiatici, sia, con una connotazione più marcatamente neonazista, contro obiettivi ebraici. Sul piano politico, il lungo cancellierato del democristiano H. Kohl, forte di un ampio consenso all'inizio del decennio, si era andato progressivamente logorando, nonostante i successi conseguiti dal cancelliere sul piano internazionale e nonostante la sua indubbia capacità di assorbire, almeno in larga misura, gli effetti sociopolitici più pericolosi dell'unificazione, nonché di conciliare l'unificazione del paese con l'impegno nel processo di integrazione europea. Sul fronte politico opposto era schierato il partito socialdemocratico che, nel nuovo clima internazionale sempre più caratterizzato da un'egemonia politica di forze di centro-sinistra, aveva affrontato un processo interno di revisione ideologica proponendosi come alternativa all'egemonia democristiana.
Nei primi anni Novanta, le difficoltà del processo di unificazione avevano portato il governo guidato da Kohl, costituito da una coalizione tra CDU (Christlich-Demokratische Union) e il suo equivalente bavarese CSU (Christlich-Soziale Union), e l'FDP (Freie demokratische Partei-Die Liberalen), a privilegiare i problemi di ordine interno, limitando in parte le possibilità d'azione della G. sulla scena internazionale. Inoltre, una disposizione costituzionale sembrava impedire l'intervento delle forze armate federali in paesi non appartenenti alla NATO. Già nel 1991 la guerra del Golfo, ma successivamente e con maggiore urgenza le crisi nell'ex Iugoslavia e in Somalia, avevano posto il problema di un rinnovato ruolo del paese nel consesso mondiale. Al termine di un acceso dibattito politico, il Bundestag autorizzò pertanto la partecipazione al blocco navale contro Serbia e Montenegro (luglio 1992), l'invio di aerei in Bosnia (marzo 1993) e l'adesione alla missione dell'ONU in Somalia (aprile 1993). Nel luglio 1994, infine, la Corte costituzionale dichiarò compatibile con il Grundgesetz (la Legge fondamentale della Repubblica federale tedesca, poi divenuta, con poche variazioni, Carta costituzionale della G. unita) l'impegno militare al di fuori della NATO, purché di volta in volta sottoposto all'approvazione del Bundestag. Di fronte al nuovo scenario dell'Europa orientale dopo il crollo del comunismo, la G. di Kohl rafforzò i rapporti diplomatici con i paesi dell'Est europeo e con la Russia, con cui fin dal 1992 aveva stipulato un accordo per la cancellazione dei rispettivi debiti e la tutela dell'autonomia dei Tedeschi residenti nella regione del Volga. Sempre nel quadro delle relazioni internazionali, la posizione tedesca nel conflitto tra Turchia e indipendentisti curdi ebbe ripercussioni interne: la scoperta che i Turchi facevano uso di armi di provenienza tedesca (1992, 1994 e 1995) e l'atteggiamento ambiguo del governo tedesco nei confronti dei Curdi che chiedevano asilo politico (1994-95) suscitarono violente reazioni da parte dei Curdi residenti in Germania. Sul piano europeo, infine, l'impegno all'interno della Comunità, sancito nel 1992 con la firma del Trattato di Maastricht, si andò concretizzando negli anni successivi nella costruzione dell'Unione monetaria europea (UEM): nonostante il timore per la scomparsa del marco, moneta simbolo di un cinquantennio di prosperità e libertà, accomunasse in un atteggiamento fortemente critico verso Kohl esponenti di ceti e gruppi politici tra loro diversi, la G. aderì all'euro quale membro del primo gruppo di paesi nel 1998.
Le tensioni sociali e le difficoltà economiche, nodi centrali del processo di integrazione fra le due G., indebolirono la popolarità di Kohl e del suo governo. Tra il 1992 e il 1993 il paese fu duramente colpito dalla recessione cui si rispose con tagli alle spese, a partire da quelle sul personale, adottati dalle imprese più importanti in accordo con i sindacati, e con una politica economica governativa che, a prezzo di pesanti sacrifici, sembrò assicurare al paese le condizioni richieste per aderire all'UEM. Sul piano politico, la pressione dell'opinione pubblica impose d'altro canto l'adozione di una serie di misure per contenere le tensioni sociali che l'unificazione aveva acuito: nel novembre-dicembre 1992 furono bandite numerose organizzazioni neonaziste, nel maggio 1993 vennero posti limiti alla concessione del diritto d'asilo e l'anno successivo furono inasprite le pene contro gli atti di violenza razzista.
Nonostanti le evidenti difficoltà, la CDU e il suo leader Kohl sembravano godere di una solida base di consenso: sui diciannove appuntamenti elettorali del 1994, la CDU registrò un lieve calo di suffragi, mantenendo comunque la maggioranza dei voti, i Verdi (Bündnis '90 - Die Grünen) e la PDS (Partei des demokratischen Sozialismus, erede del Partito comunista della Repubblica democratica tedesca) si rafforzarono, mentre la SPD (Sozialdemokratische Partei Deutschlands) conseguì un significativo successo a livello di Land (per es. in Bassa Sassonia, dove il 13 marzo sfiorò la maggioranza assoluta dei voti) a fronte di una grave contrazione dell'elettorato della FDP.
Il peso politico della CDU fu d'altronde confermato anche dall'elezione del nuovo presidente della Repubblica: nel luglio 1994, a R. von Weizsäcker (CDU), presidente federale dal 1984, successe l'ex presidente della Corte costituzionale R. Herzog, anch'egli della CDU. Ancora una conferma per Kohl giunse dalle europee del 12 giugno 1994, quando la coalizione CDU/CSU si affermò come prima forza del paese (38,8%); oltre a essa, solo la SPD (32,2%) e i Verdi (10,1%) riuscirono a varcare la soglia del 5% e a entrare nel Parlamento europeo. L'8 settembre gli ultimi contingenti militari inglesi, francesi e statunitensi lasciavano Berlino, destinata a diventare la capitale della nuova Germania. Il 16 ottobre si tennero per la seconda volta dall'unificazione le elezioni legislative, che riaffermarono il primato della coalizione formata da CDU/CSU (41,4%) ed FDP (6,9%) nei confronti dell'alleanza di SPD (36,4%) e Verdi (7,3%), evidenziando tuttavia un calo dei partiti di governo (soprattutto dei liberali) a fronte di una sostanziale ripresa del blocco avverso: cancelliere federale fu rieletto Kohl, ma con un margine di soli 10 voti (novembre). La PDS, grazie al malcontento nei confronti di una politica economico-sociale che sembrava dimenticare le ragioni dei Länder orientali, rafforzò la sua posizione all'Est, dove ottenne un complessivo 17,7%, riuscendo a entrare nel Bundestag, mentre il buon risultato dei Verdi spinse la CDU a trattare con loro, fino all'elezione del verde A. Vollmer alla presidenza del Bundestag.
Anche il nuovo governo Kohl si trovò a dover fronteggiare i problemi di una situazione socioeconomica fondamentalmente critica. Così, nel 1995, i problemi economici apparentemente risolti dal risanamento finanziario del 1994 si riproposero, con un forte calo nell'occupazione e nella produzione industriale. Nel febbraio, dopo aver accettato le restrizioni del 1994, i sindacati dei lavoratori metallurgici proclamarono il primo sciopero dopo undici anni, ottenendo un aumento dei salari e una diminuzione dell'orario di lavoro (marzo 1995). Se inoltre nel settembre 1995 il ministro delle Finanze Th. Waigel (CSU) dichiarava che l'Italia non avrebbe mai soddisfatto i parametri di Maastricht, fin dall'inizio del 1996 fu chiaro che neanche la G. era in condizione di rispettarli. Incoraggiato dai positivi risultati delle consultazioni regionali in Baden-Württenberg, Renania-Palatinato e Schleswig-Holstein (marzo 1996), e vedendo ancora lontane le elezioni politiche del 1998, Kohl annunciò dunque nell'aprile 1996 un programma di austerità per il 1997 ("programma d'azione per l'investimento e l'occupazione", approvato nel settembre 1996), mirato a limitare il deficit al di sotto del 3% allo scopo di adeguarsi ai canoni d'ingresso nell'Unione monetaria. Denunciando una situazione d'emergenza, il piano introduceva una serie di misure che, riducendo il costo del lavoro, avrebbero dovuto favorire la ripresa: finanziamenti per le attività a rischio e le innovazioni, drastiche riduzioni della spesa pubblica, semplificazione e riduzione della fiscalità, nonché dure restrizioni in materia previdenziale e della sanità pubblica.
Accusato dall'opposizione e dai sindacati per il suo carattere antisociale e approvato in un clima di forte tensione (con scioperi e proteste antigovernative culminate nell'imponente manifestazione a Bonn, nel giugno 1996), il piano governativo non diede tuttavia i risultati sperati. In questo contesto, la prospettiva dell'Unione economica e monetaria europea era sempre meno popolare: la SPD (e in particolare l'ala guidata da G. Schröder, leader della Bassa Sassonia) seguitava a mostrare un atteggiamento cauto nei confronti di una trasformazione che rischiava di avere come prezzo lo smantellamento dello Stato sociale. Su un diverso versante, la Bundesbank (Banca federale) e il suo governatore H. Tietmeyer assunsero una posizione ancora più pericolosa per il governo (giugno 1997), nel momento in cui indicavano nell'ingresso nella UEM una minaccia alla stabilità del paese e ne auspicavano un rinvio. Alla dichiarazione di Tietmeyer, sia pure successivamente smentita, Kohl e Waigel reagirono violentemente, condannando l'ingerenza della Banca federale nelle azioni del governo: un inequivocabile segnale, per l'opposizione e l'opinione pubblica, di una grave crisi politica e di consenso che colpiva il cancelliere federale e i suoi ministri. Si venne così a formare un vero e proprio 'partito trasversale', composto da larga parte dell'opposizione ma anche da membri della maggioranza, tutti detrattori dell'UE: si temeva l'avvento di un euro debole, sia per l'incapacità tedesca (e francese) di soddisfare in modo pieno e durevole le condizioni di Maastricht, sia per la partecipazione di nazioni (in particolare l'Italia) che l'instabilità economica e politica rendeva scarsamente affidabili. Più di una volta, pertanto, si accennò a un possibile rinvio generale del progetto. Ma qualunque ipotesi di rinvio fu tenacemente respinta da Kohl, che riteneva imprescindibile un varo puntuale dell'euro.
Mentre il cancelliere annunciava comunque nell'aprile 1997 la sua intenzione di ricandidarsi nelle politiche del 1998, la SPD sceglieva G. Schröder come candidato alla Cancelleria al posto del più ortodosso e meno carismatico presidente della SPD, O. Lafontaine. Schröder rivendicava una posizione innovativa rispetto alla tradizione del partito d'origine. Alcuni gruppi e partiti politicamente appartenenti all'area politica della sinistra occidentale, dopo le sconfitte subite nel decennio neoliberale appena trascorso e soprattutto dopo il crollo del comunismo, teorizzavano ora la possibilità di una 'terza via' tra la destra e la sinistra tradizionali. Presentandosi di volta in volta come moderni o pragmatici o moderati, essi sembravano cercare un compromesso tra un'istanza ormai accettata di contenimento della spesa pubblica (e di riduzione, quindi, dell'area di intervento del welfare) e un'attenzione alle fasce sociali più deboli, compromesso risolto - soprattutto nel caso del new labour - attraverso il sostegno a valori e scelte comunitaristiche (la solidarietà e la sua funzione sociale, la famiglia, il volontariato nelle sue varie forme e istituzioni, le strutture comunitarie di varia origine). Schröder, anche senza rifarsi alla scelta 'comunitaria', ricalcava in parte quei modi e quei temi, accentuando soprattutto la necessità della terza via. Il suo programma elettorale presentava quali punti qualificanti: 1) il rafforzamento dell'economia, la stabilizzazione finanziaria e la modernizzazione del welfare e della pubblica istruzione; 2) la lotta alla criminalità; 3) la continuità in politica estera; 4) la lotta alla disoccupazione, attraverso la concertazione sociale; 5) una revisione delle misure adottate dal governo Kohl in merito alle pensioni, e l'abrogazione delle leggi sul licenziamento e l'assistenza sanitaria. Poco diverso da quello socialdemocratico, e accomunato a quello da una sostanziale cautela nel definire i tempi e i costi delle politiche promesse, il programma democristiano insisteva sull'inderogabilità di una grande riforma fiscale, sulla continuità in materia di energia nucleare, su una linea di maggiori controlli sull'immigrazione.
Con una campagna elettorale condotta su toni moderati e tranquillizzanti, Schröder si rivolse a un elettorato stanco delle difficoltà dell'ultimo decennio, ma cauto nel suo bisogno di cambiamento. Un elettorato formato certamente da una parte delle fasce sociali economicamente più colpite, ma, soprattutto, costituito da larghe parti della classe media, ancora immuni dalle conseguenze della crisi e tuttavia fortemente impaurite dall'eventualità di subirle. Schröder, con le sue origini modeste e la parallela determinazione alla riuscita sociale, e con le sue passate resistenze a un processo di unificazione del paese troppo rapido, da un lato, e all'ingresso nella UEM (ritrattate entrambe solo in campagna elettorale), dall'altro, incarnava un modello e un referente per la maggioranza benestante del paese, ormai critica verso Kohl in nome della stabilità del marco contro i pericoli dell'euro, e in difesa della propria stabilità contro i costi sempre più minacciosi dell'unificazione. Inoltre, nonostante alcuni segnali di ripresa (per il 1998 era previsto un aumento del PIL del 3%), il 1998 era anche l'anno in cui i disoccupati e i senza tetto avevano raggiunto cifre mai registrate dalla fine della Seconda guerra mondiale, e Kohl non era riuscito, contrariamente a quanto era avvenuto nel 1994, a rovesciare i pronostici puntando su un'immagine di solidità e sicurezza: troppo deboli erano stati i risultati delle misure adottate in campo economico, né era stata definita e realizzata la riforma fiscale annunciata da tempo e sostenuta soprattutto dagli alleati della coalizione, i liberali.
Nonostante il programma socialdemocratico affrontasse dunque con una sostanziale vaghezza temi fondamentali come quello della partecipazione o della protezione sociale, e nonostante le difficoltà di un'alleanza governativa tra Verdi e SPD in caso di vittoria fossero già prevedibili (gli ecologisti chiedevano, su una linea più decisa dei socialdemocratici, un rapido abbandono del nucleare, una forte tassa ecologica sui carburanti, facilitazioni all'accesso alla cittadinanza per i cittadini stranieri), il partito di Schröder vinse le elezioni (settembre 1998). La SPD conquistò il 40,9% dei voti (298 seggi al Bundestag), la CDU/CSU il 35,2% (245 seggi), Bündnis '90 il 6,7% (47 seggi), il PDS il 5,1% (35 seggi). Per la destra il voto costituì una secca sconfitta: nessuno dei tre partiti - DVU (Deutsche Volksunion), Republikaner e NPD (Nationaldemokratische Partei Deutschlands) - riuscì a superare la soglia di sbarramento del 5% che condizionava, secondo la legge elettorale, l'ingresso al Bundestag, mentre i liberali dell'FDP ottennero il 6,2% (44 seggi), decisi a a non partecipare a un governo con i socialdemocratici.
Il governo di coalizione tra socialdemocratici e verdi formato da Schröder nell'ottobre 1998 incontrò grandi difficoltà non solo nei contrasti fra i due partiti - soprattutto in materia di politica ambientale e nucleare -, ma anche nella difficile convivenza, all'interno stesso della SPD e dei Grünen, di correnti contrapposte. Dopo la sconfitta di entrambi i partiti nelle elezioni regionali in Assia (febbraio 1999), forti tensioni scoppiarono in occasione dell'intervento militare in Iugoslavia (marzo-maggio 1999). D'altra parte, la stessa politica della 'terza via', ridefinita nel maggio in un testo comune da Blair e Schröder, sembrò non raccogliere significativi consensi nel paese che, nelle elezioni europee del giugno, penalizzò fortemente i partiti di governo.
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