ASSERETO, Gerolamo
Nacque a Recco nel 1543, da antica famiglia originaria di Assereto, villaggio nei pressi di Rapauo, resa illustre dalla sua attività mercantile. L'A. ebbe una gioventù difficile e laboriosa dovendo sostenere una numerosa famiglia; ma non trascurò la propria educazione, coltivando in specie le discipline giuridiche. Nel 1570, come capitano della fortezza di La Spezia, ricoprì il primo incarico pubblico. Nella grave crisi sociale che travagliò Genova in quegli anni con le lotte tra la fazione del portico di S. Luca e quella del portico di S. Pietro, egli prese partito per quest'ultima che, forte dell'appoggio popolare e guidata dalla nobiltà nuova, si batteva per un allargamento democratico della costituzione oligarchica e, in specie, per l'abolizione dell'odiosa legge del Galibetto. Rappresentò il suo partito al convegno di Casale che ridiede pace a Genova; così, in virtù dei meriti acquisiti, entrò a far parte del Maggior Consiglio e successivamente anche del Minor Consiglio. Da questo momento, per tutta la sua vita, fu chiamato a ricoprire i più vari e importanti incarichi della Repubblica: dal 1576 al 1584 fu successivamente sindacatore della Riviera di Levante, commissario della fortezza di Savona, commissario a Sestri Ponente, membro del Magistrato dei censori, che presiedeva al controllo dei prezzi dei viveri e dei pesi e delle misure.
Nel 1584, insieme con Stefano Centurione, fu nominato sindacatore dell'isola di Corsica; per sei mesi, col suo collega e col nuovo governatore Cattaneo De Marini, percorse tutta l'isola da Bastia attraverso Corte, Calvi ed Aiaccio, fino a Bonifacio, accertando i numerosi torti d'una giustizia malissimo amministrata, raccogliendo querele, istruendo processi, comminando condanne.
La Corsica, restituita alla Casa di S. Giorgio e da questa allo Stato genovese dopo la pace di Cateau-Cambrésis, era ancora nel pieno della sua difficile ricostruzione: il ripristino degli statuti del sec. XIV s'era mostrato inadeguato alla nuova realtà; i focolai della ribellione di Sampiero non ancora spenti, le piaghe del banditismo e delle vendette familiari, le scorrerie frequenti dei Barbareschi e dei Turchi, la crisi agricola, tutto contribuiva a mantenere l'isola in un stato di cronica indigenza. Infine, la collusione tra malgoverno locale e potere centrale rendeva spesso inutile l'opera dei sindacatori annuali; il processo che l'A. e il Centurione istruirono contro gli appaltatori dell'Ufficio di esazione delle taglie mise in luce le estorsioni e le angherie più incredibili, contro le quali però anche l'onestà e la dirittura dei sindacatori furono impotenti. Tuttavia essi lasciarono un ricordo profondo e i Dodici di Corsica, suprema magistratura locale, scrissero al doge Chiavari lodando la loro integrità.
Intorno al 1590 l'A. soggiornò qualche tempo a Firenze per curare, pare, certi interessi finanziari della Repubblica. Subito dopo il suo ritorno fu estratto tra i nuovi senatori e creato governatore di Palazzo. Nel 1595 tornò in Corsica, questa volta per restarci due anni in qualità di governatore generale; e il suo governo si ispirò a quella rettitudine che già l'aveva reso famoso undici anni prima. Si preoccupò soprattutto di rafforzare le fortificazioni, e le opere intraprese per sua iniziativa furono particolarmente vantaggiose per la città di Bastia che, sicura dalle incursioni corsare, rifiorì a nuova vita. Era appena tornato dalla Corsica quando la Repubblica gli affidò un'importante missione diplomatica.
Nel 1597 la Spagna era entrata in trattative con il marchese di Finale per l'acquisto definitivo del feudo, già oggetto di contrasti tra la Spagna stessa, che vi esercitava una rigida tutela, Genova e il ducato di Savoia. L'A. venne inviato come ambasciatore straordinario presso Clemente VIII per indurlo a intercedere presso il re di Spagna a salvaguardia dei diritti della Repubblica sul marchesato. Il memoriale manoscritto che egli presentò al pontefice per illustrare il punto di vista di Genova su tutta la questione si trovava depositato, ancora sul finire del sec. XVII secondo la testimonianza dell'Oldoini, nella biblioteca del duca di Urbino (cfr. Athenaeum ligusticum..,Perusiae 1680, p. 237). Clemente VIII acconsentì ad inviare un nunzio in Spagna per sostenere le ragioni della Repubblica. Ma prima di raggiungere Madrid il nunzio, col quale s'era accompagnato l'A., dovette sostare, per una malattia sopravvenuta, prima a La Spezia, poi più a lungo a Genova; e le successive intense trattative diplomatiche non impedirono la vendita del marchesato (1598).
Tra il i 600 e il i 606 troviamo ancora l'A. alla testa di importanti uffici dello Stato genovese: quello dei Cartaù, concernente il controllo delle imposte; quello del Magistrato delle annone e delle vettovaglie; quello di conservatore della pace. Fu per due volte sindacatore supremo e, per la durata di quest'incarico, attese soprattutto a rafforzare la marina; entrò anche nel Magistrato della milizia, i cui membri -uno alla volta, a turno, sostenevano la carica di generale delle armi: in tale qualità si adoperò per munire di solide fartificazioni La Spezia per prevenire eventuali attacchi della Spagna che, attraverso il Milanese, esercitava in quel tempo una forte pressione sulla Lunigiana. Il 22 marzo 1607 fu eletto doge e incoronato il 22 maggio.
Il suo biennio fu particolarmente tranquillo; tranne qualche conflitto di giurisdizione con lo Stato sabaudo su alcuni feudi di confine, nessun grave avvenimento venne a turbare il suo governo. La prudenza lo indusse però ad occuparsi attivamente del potenziamento della marina e, ancora una volta, della difesa del golfo di La Spezia, di cui, con l'aiuto dello stratega Giorgio Centurione, completò il sistema di fortificazioni.
Scaduto il mandato, rese ancora per molti anni servigi preziosi allo Stato, grazie alla sua grande esperienza e alla sua particolare competenza nelle questioni attinenti la tecnica militare e la finanza pubblica. Due delicati incarichi infatti emergono per importanza tra i molti che gli furono commessi nell'ultima parte della sua vita: dal 1618 al 1620, sebbene già vecchio, sgominò, come presidente del Magistrato della guerra, il banditismo che da qualche tempo infestava il territorio della Repubblica; e dal 1621 al 1624 lavorò a regolare tutta la complessa materia dei rapporti tra lo Stato genovese e la Casa di S. Giorgio. Finalmente, ormai ottantenne, si ritirò a vita privata e morì il 15 marzo 1627.
Bibl.: F. Casoni, Annali della Repubblica di Genova, IV,Genova 1799, M. 82, 248, 262, 266; A. Roccataglia, Annali della Repubblica di Genova dall'anno 1581 all'anno 1607,Genova 1873, pp. 164, 233, 234. 235; A. Remondini, Parrocchie suburbane di Genova, I, Genova 1882 p. 12; G. Avignone, Medaglie liguri e della Liguria,in Atti d. Soc. ligure di storia patria,VIII(1877), p. 523; L. M. Levati, Vita del servo di Dio Stefano Centurione,Genova 1918, pp. 47-57; Id., Dogi biennali di Genova dal 1528 al 1699,I,Genova 1930, pp. 316-329; O. F. Tencaioli, Le antiche fortific. genovesi della Corsica,in Boll. d. Ist. stor. d. Arma d. Genio,n. 8, 1938, pp. 8 s.