CAGNOLO, Gerolamo
Nacque a Vercelli nel 1491 da Sebastiano, patrizio vercellese e dottore nel Collegio dei giuristi, e da Francesca Alciati, figlia di Nicolò, ambasciatore del duca di Savoia, distintosi nelle trattative di pace con Francesco Sforza, e divenuto poi senatore nell'anno 1463.
A Vercelli e a Torino il C. compì i suoi studi, orientati secondo un largo programma umanistico, sicché alle scienze giuridiche egli uni non solo le "litterae humaniores" e una severa disciplina linguistica, ma anche l'intero campo delle "artes disserendi", della teologia, degli "arcana naturae" (Viola, c. 2v). Fu appunto questa formazione, che gli consentì successivamente di inserirsi con sicuro prestigio nella Padova del Tornitano e degli Accademici Infiammati, in anni molto importanti per la storia della cultura padovana. È probabile, tuttavia, che i suoi interessi per la filosofia e le scienze della natura si definissero soprattutto in seguito, nel contatto con l'ambiente della città veneta, e che solo per amplificazione retorica il suo biografo li proiettasse indietro negli anni della giovinezza. Già a ventisei anni, comunque, egli otteneva una cattedra di diritto civile nello Studio di Torino, succedendo al Purpurato, dal quale, fin da studente, lo avevano diviso vivaci polemiche scientifiche. A Torino il C. raggiunse in breve la cattedra primaria di ius civile, con lo stipendio di 700 fiorini, ch'era il più elevato dell'università. Rimase allo Studio sino alla crisi provocata nel 1536 dalle operazioni militari di Francesco I in Piemonte e in Savoia. I suoi rapporti con la corte ducale erano divenuti frattanto assai stretti. Fin dal 1522 aveva ottenuto la carica di senatore, mentre nel maggio del 1535 aveva partecipato, insieme col referendario e il governatore di Vercelli, alle trattative col duca di Milano per definire i confini fra il ducato milanese e quello sabaudo.
Occupata Torino dai Francesi nel 1536, il C. si ritirò a Vercelli. Qui, mentre per il ducato "infieriva Marte", compose una Epistola de regimine boni principis (datata 1540 nell'edizione a stampa), dedicata al giovane figlio del duca, Emanuele Filiberto.
Preparandone la pubblicazione intorno al 1545 (l'Epistola apparve poi a stampa negli Opera), il C. la presentava come scritta per fare cosa utile e adatta alle circostanze, all'età del suo principe ed al proprio ufficio. L'Epistola, infatti, condotta secondo "l'autorità delle Scritture e l'esempio dei più famosi sovrani", seguiva i moduli di un'elegante precettistica umanistica, ma costituiva anche un efficace trattatello politico, di ispirazione cattolica, capace di fornire per la prima volta definizione giuridica ai poteri del duca sabaudo, concepiti già in termini antifeudali.
Come premio per il suo lavoro, come scrive il Dionisotti, ma certo ancor più per la fedeltà provata al tempo dell'occupazione francese, Carlo III lo nominò consigliere e cavaliere aurato. Le difficoltà del ducato sabaudo, tuttavia, continuavano a impedirgli uno svolgimento pieno della sua attività di giurista ("silent enim leges inter arma", egli scriveva, aggiungendo anche il timore che la stessa intelligenza gli sintorpidisse), sicché nel 1544 si risolse ad accettare l'invito della Repubblica di Venezia per il secondo luogo nella cattedra mattutina di ius civile dell'università di Padova. Vi giunse sulla fine dello stesso anno e iniziò i corsi ai primi di gennaio. Il 24, infatti, presenziava in qualità di "doctor publice profitens" al dottorato di Modesto degli Omodei (Acta, III, 3, p. 220). L'università gli corrispondeva già allora il cospicuo stipendio di 800 fiorini d'oro, aumentatogli successivamente fino a 1000. Il Panziroli, che giudicava il C. uomo di solida dottrina, ma piuttosto "laboriosus, quam subtilis", accenna ad alcune difficoltà nei primi tempi dell'insegnamento, poiché gli scolari gli preferivano Marco Mantova, più chiaro e vivace nell'esposizione. Egli stesso però riconosce che in seguito il C. ebbe gran successo. La sua fama, del resto, è fissata da Alberico Gentili che, respingendo il severo giudizio di Cuiacio sui professori italiani, giudicati "miseri", "blaterones" e "desipientes" (ParatitlaDig., Epist. dedic.), lo ricordava, fra gli altri, come esempio di solida scienza e di larga cultura, aperta a tutte le discipline.
Al periodo padovano risalgono quasi tutte le opere, derivate direttamente dalle "letture" cattedratiche e pubblicate per lo più postume, la prima volta fra le Repetitiones (Lugduni 1553) o nell'ed. degli Opera.Fra esse, specie l'Oratio inaugurale, il commentario alla seconda lex del titolo De origine iuris (D.1. 2. 2) ed il Tractatus de ratione studendi, affrontando tipici temi della giurisprudenza umanistica, testimoniano d'una sua vivace presenza nelle ricerche storico-giuridiche e nei dibattiti metodologici, assai vivi fra i maestri dello Studio di Padova. I suoi Commentaria ad alcuni libri del Digesto e del Codice (Venetiis 1549), cui toccò la sorte di numerose ristampe, furono molto apprezzati dai contemporanei e rimasero fra i testi più comunemente citati della giurisprudenza italiana del Cinquecento. Di essi ancor di recente è stata sottolineata la "finezza di analisi dogmatica" (Grossi, p. 227). Fra i corsi padovani, comunque, particolare importanza ebbe quello sul De regulis iuris (Venetiis 1546), che al Brugi appariva, "se non in tutto, in parte alciateo", condotto con esegesi un po' discontinua, ma con chiarezza e "sufficiente eleganza". A questo suo corso egli dedicava le maggiori cure, preparandone una nuova edizione, quando morì, non ancora sessantenne, il 1º febbr. 1551. L'elenco più completo delle opere del C., tutte in genere ristampate più volte, si trova in M. Lipenius, Bibliotheca realis iuridica, Lipsiae 1757, ad vocem.Esse comunque vennero raccolte nei tre volumi in folio degli Opera omnia (Lugduni 1570 e Venetiis 1586).
Fonti e Bibl.: Notizie biografiche si leggono in P. Violae Oratio in funere cl. viri Hieronymi Cagnoli habita, premessa al I volume delle opere nell'ed. lionese, cc. 2r-6r. Vedi inoltre G. Panziroli De claris legum interpretibus…, Lipsiae 1721, p. 282; M. Mantuae Epitome virorum illustrium, in G. Panziroli De claris legum interpretibus, Venetiis 1637, p. 428; J. Middlendorp, Academiarum universi terrarum orbis liber IV, Coloniae Agrippinae 1602, p. 70; I. Facciolati, Fasti Gymnasii Pataviizi, Patavii 1757, III, p. 123; G. De Gregory, Istoria della vercellese letteratura ed arti, II, Torino 1820, pp. 98-101; T. Vallauri, Storia delle univ. degli studi del Piemonte, Torino 1845, I, pp. 129, 136 ss.; C. Dionisotti, Notizie biogr. dei vercellesi illustri, Biella 1852, pp. 46-47; Id., Storia della magistratura piemontese, Torino 1881, II, pp. 304-305. Non si è potuto rintracciate il testo di un'orazione, pronunciata dallo stesso Dionisotti al tribunale di Vercelli, in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario 1856-57, e intitolata: Della vita e delle opere di G. C.Per la presenza del C. al conferimento dei dottorati vedi Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini, III, 3, a cura di E. Martellozzo Forin, Padova 1971, passim.La data della sua morte, variamente testimoniata, è confermata da una fonte dell'università di Padova, pubblicata in appendice a E. Martellozzo Forin, A. Buzzacarini e il cod. D 62 della Bibl. Capitolare di Padova, in Quad. per la stor. dell'univ. di Padova, I(1968), p. 132. Sul rilievo scientifico del C., brevi cenni si trovano in A. Gentilis De iuris interpretibus dialogi sex, a cura di G. Astuti, Torino 1937, p. 11; R. Stintzing, Geschichte der deutschen Rechtswissenschaft, I, München-Leipzig 1880, p. 545; B. Brugi, La scuola padovana di diritto romano nel secolo XVI, Padova 1888, pp. 74 n. 13, 75; Id., L'università dei giuristi in Padova nel Cinquecento, in Arch. veneto-tridentino, I(1922), p. 75, 86; P. Grossi, Ricerche sulle obbligazioni pecuniarie nel diritto comune, Milano 1960, pp. 99, 227, 435.